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La bibliografia sulla Brexit è ormai vasta. Per comprenderne meglio i suoi aspetti giuridici in relazione ai Trattati europei, questa settimana abbiamo individuato un testo a cura del prof. Federico Savastano, docente a contratto presso l’Università LUMSA nonché autore di numerosi saggi e pubblicazioni.
Questi giorni di negoziati, in cui molti dei capitoli relativi agli accordi sono tuttora aperti, possono essere letti anche attraverso l’analisi condotta da Savastano e che è iniziata proprio all’indomani della Brexit. È infatti disponibile on line, sulla rivista www.federalismi.it, una sua analisi del voto britannico. Come si può leggere sfogliando le pagine del saggio “Brexit: un'analisi del voto”, fin da subito è stato chiaro che il voto è stato il risultato di una scelta legata ad una scommessa politico-elettorale dell’allora premier inglese David Cameron e dallo stesso persa. È stato altrettanto chiaro che alcune categorie come gli scozzesi, i nordirlandesi e i giovani avrebbero dovuto subire una scelta contraria ai propri desiderata. Quello che inizialmente sembrava un periodo di circa due anni necessario a ridefinire i rapporti, oggi è più che raddoppiato senza che ancora si intraveda una loro definizione chiara per il futuro. Ecco perché è importante leggere la questione Brexit come un caso giuridico assai complesso che non può essere limitato ad un’analisi di comunicazione politica, ma da esaminare anche e soprattutto – come ha scelto di fare l’autore – attraverso le lenti del diritto costituzionale e del diritto federale.
Questa settimana vi presentiamo una controversia risoltasi in sede di Corte di Giustizia dell’Ue il 7 novembre 2019. Le parti interessate sono l’Alliance for Direct Democracy in Europe ASBL (ADDE), partito politico europeo con sede a Bruxelles, da un lato e, dall’altro, il Parlamento europeo. Negli atti del processo è descritta la controversia nel dettaglio: “Il 30 settembre 2014 la ricorrente (l’Alliance for Direct Democracy in Europe ASBL, ndr) ha presentato, in forza dell’articolo 4 del regolamento n. 2004/2003, una domanda di finanziamento a carico del bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio finanziario 2015.Nella riunione del 15 dicembre 2014, l’ufficio di presidenza del Parlamento europeo ha adottato la decisione FINS-2015-14, che ha concesso alla ricorrente una sovvenzione massima di EUR 1 241 725 per l’esercizio finanziario 2015. Il 18 aprile 2016 il revisore esterno ha adottato la sua relazione di revisione con cui ha ritenuto inammissibili, per l’esercizio 2015, talune spese per un importo di EUR 157 935,05.5 A partire da maggio 2016, i servizi del Parlamento hanno effettuato ulteriori controlli […] Con lettera del 14 ottobre 2016, il direttore generale delle finanze del Parlamento ha informato la ricorrente che, a seguito della relazione di revisione esterna e dei controlli ulteriori effettuati dai servizi del Parlamento, una serie di spese era stata considerata inammissibile per l’esercizio finanziario 2015 […] Nella riunione del 12 dicembre 2016, l’ufficio di presidenza del Parlamento europeo ha adottato la sua decisione FINS-2017-13, con cui ha concesso alla ricorrente una sovvenzione massima di EUR 1 102 642,71 per l’esercizio finanziario 2017 e ha previsto che il prefinanziamento fosse limitato al 33% dell’importo massimo della sovvenzione, e ciò dietro presentazione di una garanzia bancaria a prima richiesta (in prosieguo: «la decisione impugnata relativa all’esercizio finanziario 2017»). Tale decisione è stata firmata e comunicata alla ricorrente il 15 dicembre 2016”.
Ciò ha determinato l’insorgere di una controversia in sede di CGUE; il 27 gennaio 2017: la ricorrente ha chiesto l’annullamento di tali provvedimenti, cioè sia della decisione di ritenere inammissibili alcune spese, sia quella di limitare il prefinanziamento al 33% dell’importo massimo della sovvenzione dietro presentazione di una garanzia bancaria; il Parlamento europeo ha chiesto, viceversa, il rigetto del ricorso in quanto infondato.
In particolare, la ricorrente ha contestato il fatto che la decisione non sarebbe stata né equa, né imparziale, tra l’altro perché “l’ufficio di presidenza del Parlamento, […] costituito dal presidente e dai quattordici vicepresidenti del Parlamento, non comprende un solo rappresentante dei partiti cosiddetti «euroscettici»”. Il testo della sentenza è complesso e affronta vari aspetti della questione che andrebbero trattati nel dettaglio. Con riferimento al tema al centro della newsletter di questa settimana, nella sentenza si possono trovare anche dei riferimenti ad alcuni sondaggi condotti dalla ricorrente in relazione al referendum del 23 giugno 2016 sulla Brexit. Infatti, “il Parlamento ha sostenuto che il sondaggio effettuato in sette Stati membri era orientato sul Regno Unito e verteva essenzialmente sul referendum sul Brexit, a favore dell’UKIP.Per quanto riguarda i sondaggi effettuati dopo le elezioni legislative nel Regno Unito tra giugno e dicembre 2015, dalla decisione impugnata relativa all’esercizio finanziario 2015 risulta che le relative spese sono state considerate inammissibili per due motivi, vale a dire il divieto di finanziamento indiretto di un partito politico nazionale, previsto all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 2004/2003, e il divieto di finanziare campagne referendarie, stabilito all’articolo 8, quarto comma, dello stesso regolamento. Infatti, secondo detta decisione, tali sondaggi vertevano soprattutto sul referendum sul Brexit e taluni vertevano anche in parte su questioni di politica nazionale”. Tuttavia, secondo la Corte, il Parlamento europeo non ha dimostrato che il sondaggio in questione potesse essere di “qualche utilità alla campagna referendaria sul Brexit nel Regno Unito”, né “di una qualche utilità per l’UKIP”.
La CGUE ha quindi accolto il primo punto del ricorso, relativo all’inammissibilità di alcune spese sostenute dall’Alliance for Direct Democracy in Europe ASBL per l’esercizio finanziario 2015, mentre ha respinto il secondo, relativo alla concessione di una sovvenzione alla ricorrente per l’esercizio finanziario 2017. Le spese relative al procedimento sono state poste a carico di entrambe le parti. Per conoscere nel dettaglio questa sentenza, clicca qui.
L’articolo 39 della Carta dei diritti fondamentali si occupa del diritto di voto attivo e passivo alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni locali. Come afferma il primo comma, tale diritto è riconosciuto ad ogni cittadino dell’Unione “nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”. Ciò presuppone quindi che ciascun elettore voti in base alla legge elettorale per le consultazioni europee previste dal proprio Stato e, come è noto, un accordo per armonizzare le diverse tradizioni giuridiche tra i membri dell’Ue non è ancora stato raggiunto, pur considerando alcuni passi in avanti realizzati nonostante il voto contrario del PE durante la scorsa legislatura sulle cosiddette liste transnazionali. Si tratta di un’ipotesi presa in considerazione proprio a seguito del tema che rappresenta il filo conduttore di questa newsletter, cioè la Brexit. È la soluzione che più porta a creare dei partiti politici europei piuttosto che a riproporre le dinamiche interne in sede di Parlamento europeo. Con le liste transnazionali, vi sarebbe un’unica circoscrizione europea, in cui la scelta del candidato avverrebbe più sulla base di un confronto tra idee che sull’appartenenza territoriale.
Il secondo comma afferma poi che “I membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto”; come si potrà notare, anche in questo caso come già in altri articoli della Carta, la versione in lingua inglese utilizza l’indicativo futuro, lasciando forse margini per una possibile ridefinizione delle modalità di elezione dei rappresentanti presso l’istituzione in questione. Ripercorrendo la sua storia, si potrà notare in effetti come la sua composizione sia stata soggetta a diverse modifiche nel corso del tempo. Inizialmente denominata, dal 1958, Assemblea parlamentare europea, composta di 142 membri, dal 1962 si è autodenominata "Parlamento europeo”; dal 1973 gli eletti divengono 198 a seguito dell’ingresso nell’Ue di Danimarca, Regno Unito e Irlanda.
Il 20 settembre 1976, verrà presa la decisione, in seno al Consiglio europeo, della sua elezione attraverso il suffragio universale diretto, tenendo conto, come si è detto, di meccanismi elettorali fissati dalle legislazioni nazionali. Ciò porterà alle prime elezioni da parte dei cittadini, nel 1979. A seguito dei successivi allargamenti, gradualmente il numero dei rappresentanti eletti è cresciuto: si è passati, con il suffragio universale diretto, a 410 membri, per poi vedere incrementi successivi fino al massimo dei 751 europarlamentari del 2007. Dalla Brexit il numero è sceso a 705. Dei 73 seggi del Regno Unito, 27 sono stati redistribuiti tra gli altri Stati membri e 46 rimangono disponibili, in previsione di nuove adesioni.
Le dichiarazioni del Presidente Sassoli: “Desidero congratularmi con i rappresentanti dell'opposizione bielorussa per il loro coraggio, la loro resilienza e la loro determinazione. Si sono dimostrati e continuano a dimostrarsi forti di fronte a un avversario molto più potente. Ma ciò che li sostiene è qualcosa che la forza bruta non potrà mai sconfiggere: la verità. Ecco dunque il mio messaggio per voi, cari vincitori: continuate ad essere forti e non rinunciate alla vostra lotta. Sappiate che siamo con voi”.