PERSONAGGI EUROPEI IN CERCA D’AUTORE
Nel 2005 e all’indomani della fine del progetto di Trattato costituzionale partorito da quel corpo estraneo ai trattati che decise di auto-chiamarsi convention e non body quando fu istituito nel 1999 per elaborare la Carta dei diritti fondamentali, un progetto che i governi vollero storpiare in un patchwork giuridicamente contraddittorio fra una parte breve di diritto primario ed una parte insopportabilmente lunga di diritto secondario, Giuliano Amato – che fu uno dei genitori (molti padri e qualche madre) della parte breve – disse che
“quello che ha preso corpo è un processo di crescente ibridazione fra il maschio Trattato e la femmina Costituzione che tuttavia non è giunto alla trasformazione dell’uno nell’altra ma ha portato alla formazione di un ermafrodito. E l’ermafrodito ha finito per pretendere e ancora oggi pretende di essere riconosciuto e accettato come tale”.
La sceneggiata, che vari “personaggi in cerca di autore” stanno recitando sul palcoscenico europeo in vista delle elezioni europee che avranno luogo fra il 6 e il 9 giugno 2024, è l’innesto ermafroditico fra il maschio-Trattato – di cui i governi pretendono di essere i “signori” – e la femmina-Costituzione concepita dalla Convenzione ma incapace di sopprimere il maschio come avviene quando il fuco muore invece dopo l’accoppiamento con l’ape regina.
Cerchiamo di far luce fra le nebbie provocate dall’ancora embrionale campagna elettorale europea - incardinata nelle logiche nazionali - e dallo sforzo sovrumano di molta stampa che vorrebbe valutare l’ermafrodito europeo secondo le logiche nazionali, fondate sulla contrapposizione fra maggioranze uscenti e opposizioni che aspirano a diventare maggioranze.
Le elezioni europee avranno luogo sulla base di ventisette leggi elettorali nazionali in competizioni nazionali fra leader e candidati nazionali in assenza di interazioni europee perché – salvo rare eccezioni - non ci saranno candidati provenienti da altri paesi europei, non ci saranno liste transnazionali e l’elettorato attivo a sedici anni (risoluzione Ruiz Deveza) né una diversa composizione dell’Assemblea (risoluzione Gozi) chiesti dal Parlamento europeo, una percentuale irrisoria di elettori voterà al di fuori del proprio paese e le regole di voto differiranno da paese a paese come il ricordato elettorato attivo al sedicesimo anno di età in cinque Stati (Germania, Belgio, Austria, Grecia e Malta) e a diciotto anni negli altri ventidue.
In questo spirito, il Movimento europeo in Italia ha deciso di lanciare un appello al parlamento italiano sotto forma di una petizione per estendere anche nel nostro paese l’elettorato attivo ai giovani nati entro il 31 maggio 2008 che rappresentano il 2% dell’elettorato e oltre un milione di potenziali elettori ed elettrici.
Il Trattato di Lisbona afferma che “tenuto conto delle elezioni europee (ma stranamente non del loro risultato) e dopo aver fatto le consultazioni appropriate (senza precisare con chi e perché), il Consiglio europeo, decidendo alla maggioranza qualificata (e cioè con il voto favorevole del 55% degli Stati membri pari ad almeno 15 Stati membri su 27 ed il 65% della popolazione europea e cioè almeno duecento novanta milioni di cittadine e cittadini su 450 milioni) propone al Parlamento europeo un candidato alla presidenza della Commissione. Questo candidato è eletto dal Parlamento europeo alla maggioranza (assoluta e cioè 353 membri) dei membri che lo compongono”.
Il Trattato prevede anche che nel Consiglio europeo si possa formare una “minoranza di blocco” di quattro paesi sapendo che, quando tutti gli Stati membri tranne tre votano a favore, la maggioranza qualificata si considera ugualmente raggiunta anche se i 24 Stati membri che votano a favore rappresentano meno del 65% della popolazione globale.
E’ difficile oggi prevedere quale sarà la composizione politica del Consiglio europeo a fine giugno 2024 - considerando le scadenze elettorali legislative in Spagna, Polonia, Slovacchia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio per non parlare delle elezioni presidenziali in Slovacchia, Lituania, Finlandia, delle elezioni senatoriali in Francia, delle elezioni regionali in Baviera e - al di fuori dell’Unione europea ma con riflessi politici al suo interno - in Ucraina, Russia, Moldavia e in Macedonia del Nord.
È possibile immaginare che gli ipotetici schieramenti di centro-destra (e cioè i governi a trazione PPE e/o ECR) e quelli di centro-sinistra (e cioè i governi a trazione S&D o ALDE talvolta in alleanza con i Verdi) possano costituire ciascuno una minoranza di blocco nel caso in cui l’uno o l’altro schieramento cerchi di imporre un proprio candidato alla presidenza della Commissione nel voto del Consiglio europeo.
In questo caso, i capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo saranno costretti - obtorto collo e con un accordo che provocherebbe forti tensioni fra alleati nei paesi in cui l’estrema destra è al governo - a scegliere un candidato di una grande coalizione che comprenda sia i conservatori (ECR), o almeno alcuni di essi, sia i socialdemocratici con i liberali come un ago della bilancia fra gli uni e gli altri e Germania e Francia in condizione di avvicinarsi insieme alla soglia di un blocco del 35% della popolazione globale europea.
La necessità di creare una grande coalizione si rafforzerebbe inoltre se fra i capi di Stato e di governo emergesse l’idea di unificare le presidenze della Commissione europea e del Consiglio europeo (ambedue scelte alla maggioranza qualificata) così come sarà proposto dal Parlamento europeo nel progetto di revisione del Trattato di Lisbona e che non richiederebbe comunque una modifica del Trattato.
La decisione del Consiglio europeo è condizionata inoltre dall’incertezza che pesa sulla volontà dei gruppi politici nel Parlamento europeo di ripetere nel 2024 il metodo - non previsto dal Trattato di Lisbona ma proposto nel 2013 dal leader SPD e allora presidente del Parlamento europeo Martin Schulz nell’illusione che i socialisti europei avrebbero superato il PPE alle elezioni europee nel 2014 - di presentare alle elezioni europee dei candidati-leader (Spitzenkandidaten) alla presidenza della Commissione europea.
Il metodo fu solo apparentemente applicato nel 2014 alla scelta del lussemburghese Jean-Claude Juncker, che fu il frutto invece di un accordo preelettorale franco-tedesco gestito da Angela Merkel e accantonato poi nel 2019 quando ancora Angela Merkel preferì al bavarese Manfred Weber la fedele Ursula von der Leyen, sua ministra della difesa.
La stessa Ursula von der Leyen, che vorrebbe restare nel palazzo del Berlaymont dal 2024 al 2029 per gestire i negoziati con i paesi candidati all’adesione e in particolare l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, sa bene che la sua conferma dal Consiglio europeo di fine giugno 2024 sarebbe facilitata da una nuova “maggioranza Ursula” - come quella che dette la fiducia alla sua Commissione nel novembre 2019 con il voto favorevole di PPE, socialisti (senza i francesi), liberali, una parte del Movimento 5 Stelle e il PiS polacco, l’astensione dei Verdi e il voto contrario di Fratelli d’Italia, della Lega e del Rassemblement national - e sarebbe resa invece più difficile se accettasse di essere la Spitzenkandidatin del PPE o, peggio ancora, di una coalizione PPE-ECR che sarebbe comunque minoritaria sia nell’attuale che nel futuro Parlamento europeo.
Le pene di Ursula von der Leyen o di un altro candidato-presidente non finiranno dopo l’eventuale accordo nel Consiglio europeo perché la scelta dei capi di Stato e di governo dovrà essere confermata dall’elezione a maggioranza assoluta nel Parlamento europeo che avvenne nel luglio 2019 per Ursula von der Leyen con soli nove voti di scarto a cui seguì poi a novembre il voto di fiducia più ampio su tutta la Commissione.
Il candidato o la candidata alla presidenza della Commissione europea dovrà infatti presentarsi di nuovo davanti alla assemblea per il voto di fiducia con il suo “collegio” e cioè con ventisei commissari scelti di comune accordo con i governi nazionali, dove quelli a trazione PPE sceglieranno un popolare, quelli a trazione S&D un socialista, quelli a trazione ALDE un liberale, quelli a trazione ECR un conservatore a meno che in un governo di centro-sinistra prevalga un commissario appartenente ai Verdi.
L’unico, ma consistente, margine di manovra del Presidente o della Presidente della Commissione starà nella distribuzione dei “portafogli” e cioè di quelli che chiameremmo, in una logica nazionale, gli incarichi ministeriali dove il Parlamento europeo si è tuttavia auto-attribuito un potere di veto che costò il posto di commissario a Rocco Buttiglione nel 2009.
Qui finisce la sceneggiata preelettorale con un copione che deve ancora essere in buona parte scritto ma in cui appare molto impervia la strada di coloro che immaginano di “rovesciare il tavolo” nel 2024 e conquistare il “governo dell’Europa” ad uso e consumo dei sovranisti.
La vita della legislatura 2024-2029 sarà invece soggetta ad un altro copione e ciò dipenderà dagli equilibri fra i gruppi politici nel prossimo Parlamento europeo eletto fra il 6 e il 9 giugno 2024.
Se la nomina del Presidente della Commissione europea e dell’intero collegio sarà inevitabilmente legata alla ricerca di una larga maggioranza nel Consiglio europeo, l’attuazione delle priorità politiche e legislative della nuova legislatura europea (welfare, ambiente, politiche migratorie, bilancio, intelligenza artificiale…) sarà invece il frutto della quotidiana contrapposizione fra innovatori e immobilisti o europeisti e sovranisti anche sul processo che dovrà inevitabilmente portare – prima dell’allargamento dell’Unione europea ai nuovi paesi candidati – al superamento di Lisbona in cui noi vorremmo che prevalga la femmina-Costituzione sul maschio-Trattato.
Ne sapremo qualcosa di più dopo le elezioni in Spagna, Polonia, Lussemburgo, Slovacchia, Paesi Bassi e Belgio che chiariranno a livello nazionale gli orientamenti di quegli elettorati.
Il seguito alla prossima puntata!
Roma, 10 luglio 2023
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