Via Angelo Brunetti, 60   06.36001705  06.87755731  segreteriacime@tin.it  segreteria@movimentoeuropeo.it

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

 

UNA CAMALDOLI EUROPEA

PER SUPERARE I NAZIONALISMI E COSTRUIRE LA DEMOCRAZIA TRANSNAZIONALE

Il Movimento europeo in Italia accoglie con favore l’idea lanciata dal Cardinale Matteo Zuppi per una “Camaldoli europea” in occasione della sua prolusione per ricordare il “Codice di Camaldoli” del luglio 1943.

L’obiettivo del Cardinale Matteo Zuppi è quello di discutere, coinvolgere e mobilitare i cittadini di ispirazione cristiana su costituzione, democrazia, cultura e politica in una dimensione europea così come i giovani cattolici italiani discussero a Camaldoli di costituzione, democrazia, cultura e politica in una dimensione italiana che aveva tuttavia come punto di riferimento il superamento dei nazionalismi.

In questo spirito dialogante, il Movimento europeo in Italia ha già deciso di avviare un confronto fra l’universalismo promosso dal popolarismo cristiano, il cosmopolitismo rappresentato dal liberalismo e l’internazionalismo rappresentato dal socialismo a cui si è unito a partire dagli anni Ottanta l’ambientalismo dei movimenti verdi coinvolgendo le fondazioni dei partiti europei favorevoli all’unità politica del continente.

Siamo disponibili a dare il nostro contributo di idee e di iniziative alla proposta del Cardinale Matteo Zuppi in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Roma, 24 luglio 2023

Pier Virgilio Dastoli

 

Prolusione al Convegno "Il Codice di Camaldoli" (21 luglio 2023), Cardinale Matteo Maria ZUPPI, Presidente Conferenza Episcopale Italiana

 

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

 

Polemica politicante sulla proposta di direttiva UE anticorruzione:

la (maggioranza della) Commissione «Politiche dell’Unione europea» della Camera dei Deputati fa sfoggio di sovranismo o di ignoranza? O tanto dell’uno quanto dell’altra?

 

di Nicoletta Parisi e Dino G. Rinoldi

1.  Il 3 maggio scorso la Commissione europea ha adottato un “pacchetto” di misure per aggiornare il quadro giuridico dell’Unione in materia di contrasto alla corruzione - oggi ancora fondato su norme assai datate - indirizzate sia all’interno del proprio ordinamento e a quelli degli Stati membri, sia all’esterno, nell’ambito delle relazioni internazionali dell’UE. È la risposta che l’Unione vuole dare a eventi come quelli che sostanziano il Qatargate (al cui riguardo siamo pur sempre in presenza di un quadro quanto meno provvisorio, essendo ancora in corso la fase delle investigazioni).

La necessità è di fondare azioni integrate a livello mondiale, regionale (continentale-europeo) nonché nazionale, in una dimensione olistica, che coinvolga cioè ogni leva utile al contrasto e tutte le componenti della società europea. Il “pacchetto” si situa, insomma, nella prospettiva che il contrasto (declinato in prevenzione e repressione) alla corruzione sia necessario per proteggere i valori europei (art. 2 TUE)[1] e per garantire efficaci politiche dell’Unione, affermando l’inanità di un contrasto frutto di iniziative individuali degli Stati membri, non sorrette da un dialogo costante, utile ad applicare una strategia comune.

Il “pacchetto” comprende una proposta di direttiva, di cui si dirà, e una Comunicazione (adottata congiuntamente dalla Commissione europea e dall’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune/PESC) che preannuncia l’adozione di una proposta di regolamento in ambito appunto PESC concernente il regime sanzionatorio dei responsabili di condotte di corruzione che, indipendentemente dal luogo ove queste si producano, ledano (o rischino di ledere) gravemente gli interessi fondamentali dell’Unione e il conseguimento degli obiettivi della PESC stessa, dunque oltre i confini dell’Unione. La Comunicazione fa inoltre il punto sull’esistente in materia di contrasto alla corruzione entro l’ordinamento dell’Unione e rispetto alle strategie degli Stati membri; sugli strumenti di sostegno a questi ultimi; sulle vie per rafforzare una cultura europea dell’integrità[2].

La proposta di direttiva riproduce in sintesi la struttura e i contenuti della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (aperta alla firma a Merida nel 2003) detta UNCAC nell’acronimo in lingua inglese. Pure l’Unione europea ne è parte contraente (si veda la decisione del Consiglio 2008/801/UE, 25 settembre 2008) e deve dunque darvi adempimento. A tal fine sono necessarie: misure di prevenzione (artt. 4-6 della proposta di direttiva); norme cosiddette di armonizzazione minima[3] di alcune condotte di corruzione concernenti indifferentemente il comparto pubblico e quello privato (corruzione attiva e passiva, abuso di funzione, traffico di influenze illecite, arricchimento illecito, appropriazione indebita, intralcio alla giustizia: artt. 7-14); conseguenti sanzioni per le persone fisiche e giuridiche responsabili di tali condotte (disponendosi anche in tema di circostanze attenuanti e aggravanti; artt. 15-18); misure investigative e di cooperazione giudiziaria penale fra Stati membri e fra questi e le agenzie europee, quali Olaf, Europol, Eurojust e Procura europea (intervenendo anche sul regime di privilegi e immunità, nonché sui termini di prescrizione: artt. 19, 21, 23-24); l’obbligo di protezione del whistleblower (art. 22); i criteri di giurisdizione per l’esercizio dell’azione penale da parte di ciascuno degli Stati membri (art.20).

2. Il Protocollo n. 2 allegato ai Trattati di Unione è intitolato «sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità». Per quanto riguarda il ruolo assegnato in materia ai Parlamenti nazionali, il suo art. 6 prevede che ciascuno di essi (o ciascuna sua Camera) possa esprimersi con un «parere motivato» (dunque in modo non vincolante) sui progetti di atti legislativi europei esponendo «le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà»[4].

A questo titolo si è pronunciata la maggioranza della XIV Commissione parlamentare (Politiche dell’Unione europea) della Camera dei Deputati[5], sostenendo addirittura l’incompetenza dell’Unione, ai sensi del principio di sussidiarietà, nel disciplinare la materia compresa nella proposta di direttiva. Anche la ex Ministra Mariastella Gelmini si situa in questa linea di pensiero avendo affermato nell’intervista rilasciata a margine della polemica sulla riforma dell’abuso d’ufficio che «la materia penale [tutta la materia penale, a dispetto dei Trattati UE!] è e deve rimanere appannaggio dei parlamenti nazionali»[6].

Peraltro, anche il Riksdag svedese si è pronunciato il 21 giugno scorso sulla proposta di direttiva, pervenendo a un risultato critico ma di dimensioni molto ridotte (e ben più puntualmente collaborative) rispetto alla posizione radicalmente negativa appena espressa. Sostiene, infatti, il Parlamento di questo Stato membro che in particolare il regime delle sanzioni proposto (che non consentirebbe di candidarsi per una carica elettiva chi sia stato condannato per corruzione e che introduce sanzioni accessorie) va oltre quanto ritenuto necessario per conseguire l’obiettivo propostosi dalla direttiva stessa, intervenendo sulla materia stessa delle elezioni nazionali.

A parere della Commissione parlamentare italiana, dunque, non vi sarebbe la necessità sul piano europeo di una «disciplina pervasiva che incide profondamente su normative [nazionali] (…) che tengono conto delle specificità dei sistemi, dei dati statistici e delle culture giuridiche, economiche e sociali, nonché dell’ordinamento costituzionale e delle pubbliche amministrazioni di ciascuno Stato membro».

L’affermazione della Commissione parlamentare (e della ex Ministra Gelmini) è singolare – e speriamo resti singolare senza farsi plurale! - alla luce di riscontri oggettivi: «Dalle indagini di Eurobarometro 2023 sulla corruzione risulta che questa continua a essere una grave fonte di preoccupazione per cittadini e imprese nell’Unione europea»[7]. Ciò richiede di prendere sul serio la norma (vincolante nella propria struttura e vigente in quanto accettata da tutti gli Stati membri come pure dall’Unione) contenuta in UNCAC secondo la quale «Gli Stati Parte, quando necessario e conformemente ai principi fondamentali del loro sistema giuridico, collaborano gli uni con gli altri e con le Organizzazioni regionali ed internazionali competenti nella promozione e nella messa a punto delle misure di cui al presente articolo» (art. 5.4). Che un’azione coordinata a livello internazionale sia necessaria dipende proprio dall’essere la corruzione fonte di preoccupazione per cittadini e imprese: non si contrasta un fenomeno transnazionale con misure dimensionate a livello (solo) nazionale.

Che un’azione coordinata a livello europeo sia necessaria lo dimostra la situazione che emerge dalla citata Relazione sullo Stato di diritto 2023, ove si riscontra che «Permangono differenze tra gli Stati membri». Non è un caso che con il Trattato di Lisbona del 2007, adottato fra l’altro a modifica del Trattato di Maastricht istitutivo dell’Unione, gli Stati membri abbiano deciso (all’unanimità) che la corruzione è una «una sfera di criminalità particolarmente grave» e che per contrastarla il legislatore europeo è autorizzato a «stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni» (art. 83.1 TFUE)[8].

3. La Commissione parlamentare afferma anche che la proposta di direttiva «esorbita [esorbita!] dalla base giuridica richiamata a suo fondamento nella misura in cui (…) disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto».

Al proposito sembra indispensabile un approfondimento. E’ vero che le basi giuridiche individuate dalla proposta di direttiva soffrono di inadeguatezza, ma in una prospettiva diversa da quella espressa dalla Commissione parlamentare: esse, infatti, benché utili non sono sufficienti. Si reputa cioè che le misure di prevenzione individuate nell’atto europeo trovino fondamento non nell’art. 83 TFUE (come si dichiara nella proposta di direttiva) visto che esse non ricadono nell’ambito del diritto penale sostanziale) bensì nell’art. 84 TFUE, proprio predisposto alla bisogna. Tale disposizione, infatti, accorda al legislatore europeo la facoltà (sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà) di «stabilire misure per incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità».

Si reputa inoltre che le misure di coordinamento dell’azione delle agenzie di polizia degli Stati e dell’Unione abbiamo un fondamento nell’art. 87 TFUE[9], non essendo adatto il solo art. 82 TFUE (considerato dalla Commissione europea) che si occupa di cooperazione delle autorità (nazionali ed europee) implicate nell’esercizio dell’azione penale.

La Commissione parlamentare non rileva questo aspetto riguardo alla base giuridica della direttiva, bensì un altro che dal nostro punto di vista non ha ragione d’essere. L’art. 83 TFUE tratta di sfere di reato e inserisce fra queste anche la corruzione senza aggettivazione alcuna. Si comprende dunque che alla base dell’equivoco in cui è caduta la Commissione parlamentare sta una questione terminologico-concettuale: quando in ambito giuridico si usa il termine corruzione ci si intende riferire a una fenomenologia di condotte che comprende fattispecie di reato diverse, quali la corruzione attiva e passiva, il traffico di influenze, l’abuso di ufficio, eccetera[10].

Questa distinzione risulta molto chiara consultando i testi normativi: sia il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sia le diverse convenzioni internazionali adottate in materia fra cui la più volte citata UNCAC, sia la proposta di direttiva. Se li leggiamo in lingua inglese ne ricaviamo che opera sempre una distinzione fra, da una parte, «corruption» (la categoria generica di condotte criminali che hanno alla base un abuso della funzione)[11] e, da un’altra parte, «bribery» (quella fattispecie di reato che in Italia è denominata corruzione attiva o passiva); quando si utilizza il termine «corruption»  volendosi riferire a una specifica condotta di reato lo si accompagna sempre con l’aggettivazione «active» o «passive»[12].

Dunque, l’art. 83 TFUE non indica come competenza concorrente di Unione e Stati membri il contrasto tramite la leva repressiva della sola corruzione attiva e passiva («corruzione in senso stretto» come, appunto, si dice nel parere), bensì pure delle diverse fattispecie di corruzione che volta a volta venisse considerato necessario contrastare con un’azione normativa europea.

4. Il contenuto del parere ci dice anche che la Commissione parlamentare ignora la portata che nell’ordinamento dell’Unione ha il requisito della transnazionalità del reato ai sensi dell’art. 83 TFUE appena citato[13]. Forse i suoi componenti hanno letto frettolosamente la norma (seppure l’hanno letta …) o comunque non nella sua interezza; cosicché non hanno contezza del fatto che, per gli Stati dell’Unione che l’hanno scritta e inserita nel Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009, questo requisito ricorre non soltanto quando la fattispecie di reato coinvolge (soggettivamente o oggettivamente) il territorio di almeno due Stati membri, ma anche quando la sfera di criminalità implicata determina l’utilità (ecco il significato del principio di sussidiarietà capace di ripartire la competenza fra livelli diversi di governo) che sia l’Unione a contrastarla – a contrastarla meglio rispetto a quanto potrebbero fare gli Stati membri individualmente - a motivo del «carattere» o delle «implicazioni» dei reati o di «una particolare necessità di combatterli su basi comuni». Insomma, con questa norma gli Stati hanno fatto applicazione nel campo penale di quella (bella: possiamo definirla cosi?) giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE secondo la quale l’integrità del «mercato interno» europeo deve essere protetta anche da condotte che hanno un’estensione limitata magari al territorio di un solo Stato membro. Si tratta della giurisprudenza intervenuta a definire — in materia, per esempio, di pratiche concorrenziali — nozioni come quella di «incidenza sul», ovvero di «pregiudizio al» commercio tra Stati membri da parte di una condotta rispettivamente anti-competitiva e abusiva, e come quella di «parte sostanziale del mercato comune» quale termine di riferimento per la determinazione della condotta abusiva. In queste occasioni la Corte europea ha utilizzato un’interpretazione estensiva di tali locuzioni, considerando come dato rilevante non tanto il riprodursi di una situazione in grado di coinvolgere un ambito territoriale transnazionale, come tale capace di comportare l’esercizio della giurisdizione di almeno due Stati membri, bensì l’idoneità della condotta a esercitare un’influenza (diretta o indiretta, attuale o potenziale) nelle relazioni commerciali tra Stati membri[14], anche quando essa riguardi il territorio di un solo Paese[15], o magari anche solo una porzione di quest’ultimo[16].

5. La Commissione parlamentare aggiunge che i beni giuridici che la direttiva vuole tutelare («la “democrazia”, la “stabilità e la sicurezza della società”, i “valori universali su cui si fonda l’Unione europea”, lo “Stato di diritto”») si contraddistinguono per «l’ampiezza e la genericità (…) e la conseguente incertezza del nesso tra gli obiettivi dichiarati e gli strumenti mediante i quali raggiungerli»[17].

E’ da notare che si tratta di beni giuridici alcuni dei quali sono espressi nell’art. 2 TUE, già citato, come fondativi degli ordinamenti di ciascuno Stato membro e dunque, proprio in quanto ad essi comuni, sono valori dell’Unione stessa.

Si tratta di beni giuridici che, oltre che a livello sovrannazionale europeo, pure a livello internazionale vengono riconosciuti come degni di tutela di fronte alla compromissione da condotte di corruzione (UNCAC, 1° cpv del Preambolo)[18].

Si tratta di beni giuridici a partire dai quali l’Unione europea ha avviato fin dal 2020 un esercizio di valutazione circa l’aderenza dello Stato membro ad essi: esercizio denominato non a caso “Stato di diritto”, mai contestato da alcuno Paese, giunto alla terza tornata e chiusosi nel 2023 con il Rapporto sopra ricordato[19], accompagnato da raccomandazioni indirizzate individualmente a ciascuno Stato membro. In esso è per esempio molto chiara la definizione di «Stato di diritto», ovvero il «valore dell’Unione sancito nell’articolo 2 TUE», nella cui nozione «rientrano i principi di legalità, della certezza del diritto, del divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, della tutela giurisdizionale effettiva, della separazione dei poteri nonché della non discriminazione e dell’uguaglianza di fronte alla legge»[20].

Alla luce della prassi così sinteticamente riassunta pare dunque veramente singolare, persino strabiliante, che la democrazia e lo Stato di diritto vengano considerati concetti generici dai componenti di un Parlamento nazionale, che ne dovrebbe essere il primo interprete e il primo difensore!

6. Conoscendo evidentemente né punto né poco il diritto internazionale, la Commissione parlamentare si spinge infine a riscontrare anche il conflitto fra la pertinente disciplina contenuta nella Convenzione delle NU, che ha per alcuni degli aspetti implicati portata raccomandatoria e la direttiva europea, dotata invece di portata vincolante[21].

Come noto le fonti internazionali sono contraddistinte da un rapporto di elasticità potendosi modificare reciprocamente secondo successione nel tempo[22], salvo il rapporto di supremazia riconosciuto allo ius cogens, situazione che qui non rileva e su cui perciò non ci soffermiamo. Ne consegue che per il limitato gruppo di Stati parti di una convenzione quanto quest’ultima dispone può essere modificato anche da un successivo accordo, il quale evidentemente ha efficacia giuridica esclusivamente fra coloro che vi accedono.

Inoltre, è pure noto che nel diritto internazionale l’ambito territoriale di cooperazione regionale-continentale è destinato proprio a prevedere norme meno lasche rispetto all’ambito di cooperazione universale.

Dunque, che l’Unione europea, nell’applicazione di disposizioni convenzionali stabilite dai propri ventisette Stati membri (ovvero i Trattati di Unione), voglia dotarsi di una normativa più stringente rispetto a quella stabilita in ambito Nazioni Unite non solo è giuridicamente coerente con il sistema internazionali delle fonti, ma è pure una situazione del tutto fisiologica e addirittura auspicabile.

7. La posizione assunta della Commissione parlamentare non sembra essere indenne da alcune convinzioni sostenute da certa parte politica nel passato anche recente e che vede nel processo di integrazione europea non un mezzo per potenziare la sovranità nazionale (che così riuscirebbe finalmente a governare fenomeni e processi trascendenti la limitata e asfittica dimensione compresa entro i confini giuridici e fisici del singolo Stato), e dunque l’efficacia di disciplina su basi appunto nazionali, ma un vulnus proprio alla sovranità. Infatti, non si può certo credere che la Commissione voglia “semplificare” (rinunciando a un’azione comune europea in materia) il lavoro a corrotti e corruttori, tanto nel settore pubblico che in quello privato, dovendo essere i suoi componenti ben consapevoli della pervasività che le condotte di questi ultimi già hanno nei confronti, per esempio, delle risorse destinate al PNRR italiano, che – non lo si dimentichi - sono risorse europee e dagli strumenti anche di questo ordinamento sono e devono essere protette[23].

E’ una posizione, quella che sembra ispirare il parere, preconcetta già manifestatasi nei confronti della legge n. 190/2012 («Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»). Come noto, essa pone obblighi alle amministrazioni pubbliche nazionali di miglior organizzazione per contrastare sul piano sostanziale le condotte di cattiva amministrazione, di illegalità e anche di corruzione, nella convinzione che a questo fine occorra «un ambiente organizzativo che non lasci il funzionario isolato nello svolgimento dei suoi compiti (…), ma crei un contesto nel quale lo svolgimento del procedimento e la decisione pubblica siano sempre confortati dall’apporto di competenze tecniche adeguate alla complessità delle scelte da compiere» (Merloni)[24]. Nei confronti di questa legge di prevenzione della corruzione – determinata dall’esigenza di dare adempimento alla Convenzione di Merida e ispirata ad altre prassi internazionali consolidate – si è addirittura parlato come di un inutile appesantimento dei compiti propri di una pubblica amministrazione[25].

Vi è poi anche il dubbio che la rovente polemica tutta interna all’ordinamento italiano in materia di abuso d’ufficio abbia condizionato la Commissione parlamentare nel rappresentare l’inutilità di una direttiva che al proprio art. 11 si occupa appunto di «abuso di funzioni», per di più non limitatamente al solo comparto pubblico.

8. La proposta di direttiva deve senza dubbio essere migliorata: è quello che si sta facendo anche grazie all’intenso dibattito che va sviluppandosi pure grazie ai due primi Protocolli allegati ai Trattati di Unione.

E’ un dibattito che, coinvolgendo altri organi dell’Unione[26], i parlamenti nazionali, oltre alla società civile europea[27], servirà alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio per rendere più aderente il contenuto di certe disposizioni alle indubbie necessità di comune contrasto alle condotte di corruzione.

Le modifiche migliorative che già vanno emergendo sono nel senso non di un affievolimento dell’azione europea, bensì di un suo rafforzamento. Il «mercato interno» europeo, lo «spazio [europeo] di libertà, sicurezza e giustizia» e la stabilità delle istituzioni nazionali e internazionali sono beni preziosi che devono essere preservati a fronte di condotte pubbliche e private che attentano alla loro integrità.

A questo serve l’adozione di una disciplina europea di armonizzazione normativa e di coordinamento delle strategie nazionali contro la corruzione.

 

 

[1] «L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

[2] Commissione europea/Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Comunicazione congiunta sulla lotta contro la corruzione, 3 maggio 2023, JOIN(2023) 12 final.

[3] Com’è noto l’armonizzazione «minima» prevista da una direttiva UE quale obbligo di risultato da perseguire da parte degli Stati membri corrisponde a uno standard normativo comune almeno sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo oggetto della direttiva, senza precludere che uno Stato membro abbia, nella materia in questione, uno standard normativo più elevato.

[4] Il principio di sussidiarietà è espresso nell’art. 5.3 TUE, secondo il quale:

«In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.

Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo».

D’altro canto, rispettivamente l’art. 2 co.1 e l’art. 3 co. 1 del Protocollo n. 1 allegato ai Trattati di Unione, «sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea» dispongono che «I progetti di atti legislativi indirizzati al Parlamento europeo e al Consiglio sono trasmessi ai parlamenti nazionali», e che «I parlamenti nazionali possono inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato in merito alla conformità di un progetto di atto legislativo al principio di sussidiarietà, secondo la procedura prevista dal protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità»,

[5] Il testo del parere motivato è pubblicato in appendice a questo scritto.

[6] V. Corriere della Sera, 21 luglio 2023, p. 6.

[7] Commissione europea, Relazione sullo Stato di diritto 2023, COM(2023) 800 fin., p. 13.

[8] «1. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.

Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.

In funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo».

[9] «1. L'Unione sviluppa una cooperazione di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi incaricati dell'applicazione della legge specializzati nel settore della prevenzione o dell'individuazione dei reati e delle relative indagini. (…)».

[10] Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, Napoli, 2013.

[11] Per una definizione sociologica di corruzione si veda Commissione europea/Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Comunicazione cit., p. 2,  individuata come l’ «abuso del potere di cui si dispone per il proprio tornaconto».

[12] Si veda al proposito la definizione che della bribery dà l’art. 4.2, lett. a) e b) della direttiva (UE) 2017/1371, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta alla frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.

[13] Lett. j) del parere.

[14] Sentenza 13 luglio 1966, Consten-Grundig.

[15] Sentenza 9 novembre 1983, Michelin, punto 28.

[16] Sentenza 17 maggio 1994, Corsica Ferries, punto 41.

[17] Lett. f) del parere.

[18] «Gli Stati Parte alla presente Convezione,

Preoccupati dalla gravita' dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto, (…)».

[19] Il Rapporto è accompagnato da ventisette capitoli dedicati ciascuno a ognuno degli Stati membri: per lil nostro Paese si veda il Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto in Italia, adottato dalla Commissione europea il 5 luglio 2023, SWD(2023) 812 final.

[20] Così si esprime la Corte di giustizia UE, sentenza 16 febbraio 2022, in causa C-157/21, Repubblica di Polonia c. PE e Consiglio, punto 154.

[21] Lett. b) e c) del parere.

[22] Conforti, Iovane, Diritto internazionale, Napoli, 201212, p. 195.

[23] Si veda ad esempio lo strumentario messo a disposizione dal diritto dell’Unione a protezione delle risorse conferite all’iniziativa NextGenerationEU e, più in generale, delle risorse finanziarie europee nella loro globalità che sul piano normativo ha un punto di forza nel regolamento (UE) 2020/2092 del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione; nonché  la direttiva (UE) ) 2017/1371 del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode cit.; e nel regolamento (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»).

[24] Relazione su Abolizione del reato di abuso d’ufficio e “buona amministrazione”, Firenze 14 luglio 2023.

[25] Cabiddu, Il fenomeno della corruzione visto dalla prospettiva giuspubblicistica, in Benacchio, Cozzio (a cura di), Azioni collettive, strumenti di integrità e trasparenza per il contrasto alla corruzione nel settore pubblico e privato, Trento, 2019, p. 48.

[26] Quali esemplificativamente il Comitato economico e sociale europeo: si veda https://www.eesc.europa.eu/en/our-work/opinions-information-reports/opinions/update-anti-corruption-legislative-framework

[27] https://ec-europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13674-Fighying-against-corruption-in-the-EU-upedated-rules_en

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

 

FRA PARLAMENTARISMO E INTERGOVERNAMENTALISMO

« Politico » ci ha informato - su ispirazione di due anonimi deputati europei - che i maggiori gruppi politici del Parlamento europeo (PPE, S&D, Renew Europe, Verdi e Sinistra) avrebbero trovato un accordo su una ambiziosa riforma del Trattato di Lisbona e sull’avvio di una convenzione che sarebbe battezzata “costituente”.

Ego te baptizo piscem se l’idea fosse quella di convincere i diciassette governi ostili alla revisione del Trattato di Lisbona a convocare la convenzione ex art. 48 TUE prima delle elezioni europee.

L’idea non sarebbe un ossimoro se, di fronte all’immobilismo atavico dei governi, il Parlamento europeo uscente decidesse di lasciare in eredità al Parlamento europeo entrante l’avvio di un vero processo costituente fondato sul parlamentarismo e non sull’ “intergovernamentalismo” e su un dialogo strutturato con la società civile.

L’articolo di “Politico” ci ha informato che l’obiettivo dei maggiori gruppi politici nel Parlamento europeo sarebbe quello di portare di fronte alla commissione affari costituzionali una risoluzione politica che accompagnerebbe le proposte di modifica del Trattato di Lisbona e che - se adottata - arriverebbe in aula nel prossimo autunno.

Un accordo sarebbe stato dunque raggiunto fra popolari, socialisti, liberali, verdi e sinistre escludendo i conservatori e riformisti oltre a Identità e Democrazia in cui siedono la Lega, il Rassemblement National e l’AFD.

Se così fosse, sarebbe sconfitta l’ipotesi avanzata da Manfred Weber e da Giorgia Meloni di una alleanza fra PPE e ECR che avrebbe escluso i socialisti, i Verdi e le Sinistre cercando di “imbarcare” invece i liberali.

Si tratterebbe di un accordo politicamente rilevante in vista delle elezioni europee del giugno 2024.

L’annuncio dell’accordo avverrebbe il 7 settembre in una conferenza stampa dei gruppi firmatari della risoluzione.

Vedremo se le vacanze estive porteranno un consiglio federalista al PPE e ai gruppi politici per abbandonare la via tortuosa dell’ ”intergovernamentalismo” e prendere la via democratica del parlamentarismo costituente.

Vedremo anche se il Parlamento europeo accetterà la proposta dei Movimenti europei, delle reti della società civile e degli « ambasciatori » nella Conferenza sul futuro dell’Europa di convocare una “agora” prima del voto in aula delle proposte di revisione del Trattato di Lisbona e la richiesta di avviare una fase costituente.

Roma, 23 luglio 2023

coccodrillo

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

 

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Ultime da Bruxelles

- Attiriamo la vostra attenzione

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Ultime da Bruxelles

- Attiriamo la vostra attenzione

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

FRA PARLAMENTARISMO E INTERGOVERNAMENTALISMO

« Politico » ci ha informato - su ispirazione di due anonimi deputati europei - che i maggiori gruppi politici del Parlamento europeo (PPE, S&D, Renew Europe, Verdi e Sinistra) avrebbero trovato un accordo su una ambiziosa riforma del Trattato di Lisbona e sull’avvio di una convenzione che sarebbe battezzata “costituente”.

Ego te baptizo piscem se l’idea fosse quella di convincere i diciassette governi ostili alla revisione del Trattato di Lisbona a convocare la convenzione ex art. 48 TUE prima delle elezioni europee.

L’idea non sarebbe un ossimoro se, di fronte all’immobilismo atavico dei governi, il Parlamento europeo uscente decidesse di lasciare in eredità al Parlamento europeo entrante l’avvio di un vero processo costituente fondato sul parlamentarismo e non sull’ “intergovernamentalismo” e su un dialogo strutturato con la società civile.

L’articolo di “Politico” ci ha informato che l’obiettivo dei maggiori gruppi politici nel Parlamento europeo sarebbe quello di portare di fronte alla commissione affari costituzionali una risoluzione politica che accompagnerebbe le proposte di modifica del Trattato di Lisbona e che - se adottata - arriverebbe in aula nel prossimo autunno.

Un accordo sarebbe stato dunque raggiunto fra popolari, socialisti, liberali, verdi e sinistre escludendo i conservatori e riformisti oltre a Identità e Democrazia in cui siedono la Lega, il Rassemblement National e l’AFD.

Se così fosse, sarebbe sconfitta l’ipotesi avanzata da Manfred Weber e da Giorgia Meloni di una alleanza fra PPE e ECR che avrebbe escluso i socialisti, i Verdi e le Sinistre cercando di “imbarcare” invece i liberali.

Si tratterebbe di un accordo politicamente rilevante in vista delle elezioni europee del giugno 2024.

L’annuncio dell’accordo avverrebbe il 7 settembre in una conferenza stampa dei gruppi firmatari della risoluzione.

Vedremo se le vacanze estive porteranno un consiglio federalista al PPE e ai gruppi politici per abbandonare la via tortuosa dell’ ”intergovernamentalismo” e prendere la via democratica del parlamentarismo costituente.

Vedremo anche se il Parlamento europeo accetterà la proposta dei Movimenti europei, delle reti della società civile e degli « ambasciatori » nella Conferenza sul futuro dell’Europa di convocare una “agora” prima del voto in aula delle proposte di revisione del Trattato di Lisbona e la richiesta di avviare una fase costituente.

Roma, 23 luglio 2023

coccodrillo

 

 

 


ULTIME DA BRUXELLES

Polemica politicante sulla proposta di direttiva UE anticorruzione:

la (maggioranza della) Commissione «Politiche dell’Unione europea» della Camera dei Deputati fa sfoggio di sovranismo o di ignoranza? O tanto dell’uno quanto dell’altra?

 

di Nicoletta Parisi e Dino G. Rinoldi

1.  Il 3 maggio scorso la Commissione europea ha adottato un “pacchetto” di misure per aggiornare il quadro giuridico dell’Unione in materia di contrasto alla corruzione - oggi ancora fondato su norme assai datate - indirizzate sia all’interno del proprio ordinamento e a quelli degli Stati membri, sia all’esterno, nell’ambito delle relazioni internazionali dell’UE. È la risposta che l’Unione vuole dare a eventi come quelli che sostanziano il Qatargate (al cui riguardo siamo pur sempre in presenza di un quadro quanto meno provvisorio, essendo ancora in corso la fase delle investigazioni).

La necessità è di fondare azioni integrate a livello mondiale, regionale (continentale-europeo) nonché nazionale, in una dimensione olistica, che coinvolga cioè ogni leva utile al contrasto e tutte le componenti della società europea. Il “pacchetto” si situa, insomma, nella prospettiva che il contrasto (declinato in prevenzione e repressione) alla corruzione sia necessario per proteggere i valori europei (art. 2 TUE)[1] e per garantire efficaci politiche dell’Unione, affermando l’inanità di un contrasto frutto di iniziative individuali degli Stati membri, non sorrette da un dialogo costante, utile ad applicare una strategia comune.

Il “pacchetto” comprende una proposta di direttiva, di cui si dirà, e una Comunicazione (adottata congiuntamente dalla Commissione europea e dall’Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune/PESC) che preannuncia l’adozione di una proposta di regolamento in ambito appunto PESC concernente il regime sanzionatorio dei responsabili di condotte di corruzione che, indipendentemente dal luogo ove queste si producano, ledano (o rischino di ledere) gravemente gli interessi fondamentali dell’Unione e il conseguimento degli obiettivi della PESC stessa, dunque oltre i confini dell’Unione. La Comunicazione fa inoltre il punto sull’esistente in materia di contrasto alla corruzione entro l’ordinamento dell’Unione e rispetto alle strategie degli Stati membri; sugli strumenti di sostegno a questi ultimi; sulle vie per rafforzare una cultura europea dell’integrità[2].

La proposta di direttiva riproduce in sintesi la struttura e i contenuti della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (aperta alla firma a Merida nel 2003) detta UNCAC nell’acronimo in lingua inglese. Pure l’Unione europea ne è parte contraente (si veda la decisione del Consiglio 2008/801/UE, 25 settembre 2008) e deve dunque darvi adempimento. A tal fine sono necessarie: misure di prevenzione (artt. 4-6 della proposta di direttiva); norme cosiddette di armonizzazione minima[3] di alcune condotte di corruzione concernenti indifferentemente il comparto pubblico e quello privato (corruzione attiva e passiva, abuso di funzione, traffico di influenze illecite, arricchimento illecito, appropriazione indebita, intralcio alla giustizia: artt. 7-14); conseguenti sanzioni per le persone fisiche e giuridiche responsabili di tali condotte (disponendosi anche in tema di circostanze attenuanti e aggravanti; artt. 15-18); misure investigative e di cooperazione giudiziaria penale fra Stati membri e fra questi e le agenzie europee, quali Olaf, Europol, Eurojust e Procura europea (intervenendo anche sul regime di privilegi e immunità, nonché sui termini di prescrizione: artt. 19, 21, 23-24); l’obbligo di protezione del whistleblower (art. 22); i criteri di giurisdizione per l’esercizio dell’azione penale da parte di ciascuno degli Stati membri (art.20).

2. Il Protocollo n. 2 allegato ai Trattati di Unione è intitolato «sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità». Per quanto riguarda il ruolo assegnato in materia ai Parlamenti nazionali, il suo art. 6 prevede che ciascuno di essi (o ciascuna sua Camera) possa esprimersi con un «parere motivato» (dunque in modo non vincolante) sui progetti di atti legislativi europei esponendo «le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà»[4].

A questo titolo si è pronunciata la maggioranza della XIV Commissione parlamentare (Politiche dell’Unione europea) della Camera dei Deputati[5], sostenendo addirittura l’incompetenza dell’Unione, ai sensi del principio di sussidiarietà, nel disciplinare la materia compresa nella proposta di direttiva. Anche la ex Ministra Mariastella Gelmini si situa in questa linea di pensiero avendo affermato nell’intervista rilasciata a margine della polemica sulla riforma dell’abuso d’ufficio che «la materia penale [tutta la materia penale, a dispetto dei Trattati UE!] è e deve rimanere appannaggio dei parlamenti nazionali»[6].

Peraltro, anche il Riksdag svedese si è pronunciato il 21 giugno scorso sulla proposta di direttiva, pervenendo a un risultato critico ma di dimensioni molto ridotte (e ben più puntualmente collaborative) rispetto alla posizione radicalmente negativa appena espressa. Sostiene, infatti, il Parlamento di questo Stato membro che in particolare il regime delle sanzioni proposto (che non consentirebbe di candidarsi per una carica elettiva chi sia stato condannato per corruzione e che introduce sanzioni accessorie) va oltre quanto ritenuto necessario per conseguire l’obiettivo propostosi dalla direttiva stessa, intervenendo sulla materia stessa delle elezioni nazionali.

A parere della Commissione parlamentare italiana, dunque, non vi sarebbe la necessità sul piano europeo di una «disciplina pervasiva che incide profondamente su normative [nazionali] (…) che tengono conto delle specificità dei sistemi, dei dati statistici e delle culture giuridiche, economiche e sociali, nonché dell’ordinamento costituzionale e delle pubbliche amministrazioni di ciascuno Stato membro».

L’affermazione della Commissione parlamentare (e della ex Ministra Gelmini) è singolare – e speriamo resti singolare senza farsi plurale! - alla luce di riscontri oggettivi: «Dalle indagini di Eurobarometro 2023 sulla corruzione risulta che questa continua a essere una grave fonte di preoccupazione per cittadini e imprese nell’Unione europea»[7]. Ciò richiede di prendere sul serio la norma (vincolante nella propria struttura e vigente in quanto accettata da tutti gli Stati membri come pure dall’Unione) contenuta in UNCAC secondo la quale «Gli Stati Parte, quando necessario e conformemente ai principi fondamentali del loro sistema giuridico, collaborano gli uni con gli altri e con le Organizzazioni regionali ed internazionali competenti nella promozione e nella messa a punto delle misure di cui al presente articolo» (art. 5.4). Che un’azione coordinata a livello internazionale sia necessaria dipende proprio dall’essere la corruzione fonte di preoccupazione per cittadini e imprese: non si contrasta un fenomeno transnazionale con misure dimensionate a livello (solo) nazionale.

Che un’azione coordinata a livello europeo sia necessaria lo dimostra la situazione che emerge dalla citata Relazione sullo Stato di diritto 2023, ove si riscontra che «Permangono differenze tra gli Stati membri». Non è un caso che con il Trattato di Lisbona del 2007, adottato fra l’altro a modifica del Trattato di Maastricht istitutivo dell’Unione, gli Stati membri abbiano deciso (all’unanimità) che la corruzione è una «una sfera di criminalità particolarmente grave» e che per contrastarla il legislatore europeo è autorizzato a «stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni» (art. 83.1 TFUE)[8].

3. La Commissione parlamentare afferma anche che la proposta di direttiva «esorbita [esorbita!] dalla base giuridica richiamata a suo fondamento nella misura in cui (…) disciplina reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto».

Al proposito sembra indispensabile un approfondimento. E’ vero che le basi giuridiche individuate dalla proposta di direttiva soffrono di inadeguatezza, ma in una prospettiva diversa da quella espressa dalla Commissione parlamentare: esse, infatti, benché utili non sono sufficienti. Si reputa cioè che le misure di prevenzione individuate nell’atto europeo trovino fondamento non nell’art. 83 TFUE (come si dichiara nella proposta di direttiva) visto che esse non ricadono nell’ambito del diritto penale sostanziale) bensì nell’art. 84 TFUE, proprio predisposto alla bisogna. Tale disposizione, infatti, accorda al legislatore europeo la facoltà (sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà) di «stabilire misure per incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità».

Si reputa inoltre che le misure di coordinamento dell’azione delle agenzie di polizia degli Stati e dell’Unione abbiamo un fondamento nell’art. 87 TFUE[9], non essendo adatto il solo art. 82 TFUE (considerato dalla Commissione europea) che si occupa di cooperazione delle autorità (nazionali ed europee) implicate nell’esercizio dell’azione penale.

La Commissione parlamentare non rileva questo aspetto riguardo alla base giuridica della direttiva, bensì un altro che dal nostro punto di vista non ha ragione d’essere. L’art. 83 TFUE tratta di sfere di reato e inserisce fra queste anche la corruzione senza aggettivazione alcuna. Si comprende dunque che alla base dell’equivoco in cui è caduta la Commissione parlamentare sta una questione terminologico-concettuale: quando in ambito giuridico si usa il termine corruzione ci si intende riferire a una fenomenologia di condotte che comprende fattispecie di reato diverse, quali la corruzione attiva e passiva, il traffico di influenze, l’abuso di ufficio, eccetera[10].

Questa distinzione risulta molto chiara consultando i testi normativi: sia il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sia le diverse convenzioni internazionali adottate in materia fra cui la più volte citata UNCAC, sia la proposta di direttiva. Se li leggiamo in lingua inglese ne ricaviamo che opera sempre una distinzione fra, da una parte, «corruption» (la categoria generica di condotte criminali che hanno alla base un abuso della funzione)[11] e, da un’altra parte, «bribery» (quella fattispecie di reato che in Italia è denominata corruzione attiva o passiva); quando si utilizza il termine «corruption»  volendosi riferire a una specifica condotta di reato lo si accompagna sempre con l’aggettivazione «active» o «passive»[12].

Dunque, l’art. 83 TFUE non indica come competenza concorrente di Unione e Stati membri il contrasto tramite la leva repressiva della sola corruzione attiva e passiva («corruzione in senso stretto» come, appunto, si dice nel parere), bensì pure delle diverse fattispecie di corruzione che volta a volta venisse considerato necessario contrastare con un’azione normativa europea.

4. Il contenuto del parere ci dice anche che la Commissione parlamentare ignora la portata che nell’ordinamento dell’Unione ha il requisito della transnazionalità del reato ai sensi dell’art. 83 TFUE appena citato[13]. Forse i suoi componenti hanno letto frettolosamente la norma (seppure l’hanno letta …) o comunque non nella sua interezza; cosicché non hanno contezza del fatto che, per gli Stati dell’Unione che l’hanno scritta e inserita nel Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009, questo requisito ricorre non soltanto quando la fattispecie di reato coinvolge (soggettivamente o oggettivamente) il territorio di almeno due Stati membri, ma anche quando la sfera di criminalità implicata determina l’utilità (ecco il significato del principio di sussidiarietà capace di ripartire la competenza fra livelli diversi di governo) che sia l’Unione a contrastarla – a contrastarla meglio rispetto a quanto potrebbero fare gli Stati membri individualmente - a motivo del «carattere» o delle «implicazioni» dei reati o di «una particolare necessità di combatterli su basi comuni». Insomma, con questa norma gli Stati hanno fatto applicazione nel campo penale di quella (bella: possiamo definirla cosi?) giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE secondo la quale l’integrità del «mercato interno» europeo deve essere protetta anche da condotte che hanno un’estensione limitata magari al territorio di un solo Stato membro. Si tratta della giurisprudenza intervenuta a definire — in materia, per esempio, di pratiche concorrenziali — nozioni come quella di «incidenza sul», ovvero di «pregiudizio al» commercio tra Stati membri da parte di una condotta rispettivamente anti-competitiva e abusiva, e come quella di «parte sostanziale del mercato comune» quale termine di riferimento per la determinazione della condotta abusiva. In queste occasioni la Corte europea ha utilizzato un’interpretazione estensiva di tali locuzioni, considerando come dato rilevante non tanto il riprodursi di una situazione in grado di coinvolgere un ambito territoriale transnazionale, come tale capace di comportare l’esercizio della giurisdizione di almeno due Stati membri, bensì l’idoneità della condotta a esercitare un’influenza (diretta o indiretta, attuale o potenziale) nelle relazioni commerciali tra Stati membri[14], anche quando essa riguardi il territorio di un solo Paese[15], o magari anche solo una porzione di quest’ultimo[16].

5. La Commissione parlamentare aggiunge che i beni giuridici che la direttiva vuole tutelare («la “democrazia”, la “stabilità e la sicurezza della società”, i “valori universali su cui si fonda l’Unione europea”, lo “Stato di diritto”») si contraddistinguono per «l’ampiezza e la genericità (…) e la conseguente incertezza del nesso tra gli obiettivi dichiarati e gli strumenti mediante i quali raggiungerli»[17].

E’ da notare che si tratta di beni giuridici alcuni dei quali sono espressi nell’art. 2 TUE, già citato, come fondativi degli ordinamenti di ciascuno Stato membro e dunque, proprio in quanto ad essi comuni, sono valori dell’Unione stessa.

Si tratta di beni giuridici che, oltre che a livello sovrannazionale europeo, pure a livello internazionale vengono riconosciuti come degni di tutela di fronte alla compromissione da condotte di corruzione (UNCAC, 1° cpv del Preambolo)[18].

Si tratta di beni giuridici a partire dai quali l’Unione europea ha avviato fin dal 2020 un esercizio di valutazione circa l’aderenza dello Stato membro ad essi: esercizio denominato non a caso “Stato di diritto”, mai contestato da alcuno Paese, giunto alla terza tornata e chiusosi nel 2023 con il Rapporto sopra ricordato[19], accompagnato da raccomandazioni indirizzate individualmente a ciascuno Stato membro. In esso è per esempio molto chiara la definizione di «Stato di diritto», ovvero il «valore dell’Unione sancito nell’articolo 2 TUE», nella cui nozione «rientrano i principi di legalità, della certezza del diritto, del divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, della tutela giurisdizionale effettiva, della separazione dei poteri nonché della non discriminazione e dell’uguaglianza di fronte alla legge»[20].

Alla luce della prassi così sinteticamente riassunta pare dunque veramente singolare, persino strabiliante, che la democrazia e lo Stato di diritto vengano considerati concetti generici dai componenti di un Parlamento nazionale, che ne dovrebbe essere il primo interprete e il primo difensore!

6. Conoscendo evidentemente né punto né poco il diritto internazionale, la Commissione parlamentare si spinge infine a riscontrare anche il conflitto fra la pertinente disciplina contenuta nella Convenzione delle NU, che ha per alcuni degli aspetti implicati portata raccomandatoria e la direttiva europea, dotata invece di portata vincolante[21].

Come noto le fonti internazionali sono contraddistinte da un rapporto di elasticità potendosi modificare reciprocamente secondo successione nel tempo[22], salvo il rapporto di supremazia riconosciuto allo ius cogens, situazione che qui non rileva e su cui perciò non ci soffermiamo. Ne consegue che per il limitato gruppo di Stati parti di una convenzione quanto quest’ultima dispone può essere modificato anche da un successivo accordo, il quale evidentemente ha efficacia giuridica esclusivamente fra coloro che vi accedono.

Inoltre, è pure noto che nel diritto internazionale l’ambito territoriale di cooperazione regionale-continentale è destinato proprio a prevedere norme meno lasche rispetto all’ambito di cooperazione universale.

Dunque, che l’Unione europea, nell’applicazione di disposizioni convenzionali stabilite dai propri ventisette Stati membri (ovvero i Trattati di Unione), voglia dotarsi di una normativa più stringente rispetto a quella stabilita in ambito Nazioni Unite non solo è giuridicamente coerente con il sistema internazionali delle fonti, ma è pure una situazione del tutto fisiologica e addirittura auspicabile.

7. La posizione assunta della Commissione parlamentare non sembra essere indenne da alcune convinzioni sostenute da certa parte politica nel passato anche recente e che vede nel processo di integrazione europea non un mezzo per potenziare la sovranità nazionale (che così riuscirebbe finalmente a governare fenomeni e processi trascendenti la limitata e asfittica dimensione compresa entro i confini giuridici e fisici del singolo Stato), e dunque l’efficacia di disciplina su basi appunto nazionali, ma un vulnus proprio alla sovranità. Infatti, non si può certo credere che la Commissione voglia “semplificare” (rinunciando a un’azione comune europea in materia) il lavoro a corrotti e corruttori, tanto nel settore pubblico che in quello privato, dovendo essere i suoi componenti ben consapevoli della pervasività che le condotte di questi ultimi già hanno nei confronti, per esempio, delle risorse destinate al PNRR italiano, che – non lo si dimentichi - sono risorse europee e dagli strumenti anche di questo ordinamento sono e devono essere protette[23].

E’ una posizione, quella che sembra ispirare il parere, preconcetta già manifestatasi nei confronti della legge n. 190/2012 («Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»). Come noto, essa pone obblighi alle amministrazioni pubbliche nazionali di miglior organizzazione per contrastare sul piano sostanziale le condotte di cattiva amministrazione, di illegalità e anche di corruzione, nella convinzione che a questo fine occorra «un ambiente organizzativo che non lasci il funzionario isolato nello svolgimento dei suoi compiti (…), ma crei un contesto nel quale lo svolgimento del procedimento e la decisione pubblica siano sempre confortati dall’apporto di competenze tecniche adeguate alla complessità delle scelte da compiere» (Merloni)[24]. Nei confronti di questa legge di prevenzione della corruzione – determinata dall’esigenza di dare adempimento alla Convenzione di Merida e ispirata ad altre prassi internazionali consolidate – si è addirittura parlato come di un inutile appesantimento dei compiti propri di una pubblica amministrazione[25].

Vi è poi anche il dubbio che la rovente polemica tutta interna all’ordinamento italiano in materia di abuso d’ufficio abbia condizionato la Commissione parlamentare nel rappresentare l’inutilità di una direttiva che al proprio art. 11 si occupa appunto di «abuso di funzioni», per di più non limitatamente al solo comparto pubblico.

8. La proposta di direttiva deve senza dubbio essere migliorata: è quello che si sta facendo anche grazie all’intenso dibattito che va sviluppandosi pure grazie ai due primi Protocolli allegati ai Trattati di Unione.

E’ un dibattito che, coinvolgendo altri organi dell’Unione[26], i parlamenti nazionali, oltre alla società civile europea[27], servirà alla Commissione, al Parlamento e al Consiglio per rendere più aderente il contenuto di certe disposizioni alle indubbie necessità di comune contrasto alle condotte di corruzione.

Le modifiche migliorative che già vanno emergendo sono nel senso non di un affievolimento dell’azione europea, bensì di un suo rafforzamento. Il «mercato interno» europeo, lo «spazio [europeo] di libertà, sicurezza e giustizia» e la stabilità delle istituzioni nazionali e internazionali sono beni preziosi che devono essere preservati a fronte di condotte pubbliche e private che attentano alla loro integrità.

A questo serve l’adozione di una disciplina europea di armonizzazione normativa e di coordinamento delle strategie nazionali contro la corruzione.

 

 

[1] «L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

[2] Commissione europea/Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Comunicazione congiunta sulla lotta contro la corruzione, 3 maggio 2023, JOIN(2023) 12 final.

[3] Com’è noto l’armonizzazione «minima» prevista da una direttiva UE quale obbligo di risultato da perseguire da parte degli Stati membri corrisponde a uno standard normativo comune almeno sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo oggetto della direttiva, senza precludere che uno Stato membro abbia, nella materia in questione, uno standard normativo più elevato.

[4] Il principio di sussidiarietà è espresso nell’art. 5.3 TUE, secondo il quale:

«In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.

Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo».

D’altro canto, rispettivamente l’art. 2 co.1 e l’art. 3 co. 1 del Protocollo n. 1 allegato ai Trattati di Unione, «sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea» dispongono che «I progetti di atti legislativi indirizzati al Parlamento europeo e al Consiglio sono trasmessi ai parlamenti nazionali», e che «I parlamenti nazionali possono inviare ai presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato in merito alla conformità di un progetto di atto legislativo al principio di sussidiarietà, secondo la procedura prevista dal protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità»,

[5] Il testo del parere motivato è pubblicato in appendice a questo scritto.

[6] V. Corriere della Sera, 21 luglio 2023, p. 6.

[7] Commissione europea, Relazione sullo Stato di diritto 2023, COM(2023) 800 fin., p. 13.

[8] «1. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.

Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.

In funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo».

[9] «1. L'Unione sviluppa una cooperazione di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi incaricati dell'applicazione della legge specializzati nel settore della prevenzione o dell'individuazione dei reati e delle relative indagini. (…)».

[10] Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, Napoli, 2013.

[11] Per una definizione sociologica di corruzione si veda Commissione europea/Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Comunicazione cit., p. 2,  individuata come l’ «abuso del potere di cui si dispone per il proprio tornaconto».

[12] Si veda al proposito la definizione che della bribery dà l’art. 4.2, lett. a) e b) della direttiva (UE) 2017/1371, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta alla frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.

[13] Lett. j) del parere.

[14] Sentenza 13 luglio 1966, Consten-Grundig.

[15] Sentenza 9 novembre 1983, Michelin, punto 28.

[16] Sentenza 17 maggio 1994, Corsica Ferries, punto 41.

[17] Lett. f) del parere.

[18] «Gli Stati Parte alla presente Convezione,

Preoccupati dalla gravita' dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto, (…)».

[19] Il Rapporto è accompagnato da ventisette capitoli dedicati ciascuno a ognuno degli Stati membri: per lil nostro Paese si veda il Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto in Italia, adottato dalla Commissione europea il 5 luglio 2023, SWD(2023) 812 final.

[20] Così si esprime la Corte di giustizia UE, sentenza 16 febbraio 2022, in causa C-157/21, Repubblica di Polonia c. PE e Consiglio, punto 154.

[21] Lett. b) e c) del parere.

[22] Conforti, Iovane, Diritto internazionale, Napoli, 201212, p. 195.

[23] Si veda ad esempio lo strumentario messo a disposizione dal diritto dell’Unione a protezione delle risorse conferite all’iniziativa NextGenerationEU e, più in generale, delle risorse finanziarie europee nella loro globalità che sul piano normativo ha un punto di forza nel regolamento (UE) 2020/2092 del 16 dicembre 2020 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione; nonché  la direttiva (UE) ) 2017/1371 del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode cit.; e nel regolamento (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»).

[24] Relazione su Abolizione del reato di abuso d’ufficio e “buona amministrazione”, Firenze 14 luglio 2023.

[25] Cabiddu, Il fenomeno della corruzione visto dalla prospettiva giuspubblicistica, in Benacchio, Cozzio (a cura di), Azioni collettive, strumenti di integrità e trasparenza per il contrasto alla corruzione nel settore pubblico e privato, Trento, 2019, p. 48.

[26] Quali esemplificativamente il Comitato economico e sociale europeo: si veda https://www.eesc.europa.eu/en/our-work/opinions-information-reports/opinions/update-anti-corruption-legislative-framework

[27] https://ec-europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13674-Fighying-against-corruption-in-the-EU-upedated-rules_en

 

 

 


ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

UNA CAMALDOLI EUROPEA

PER SUPERARE I NAZIONALISMI E COSTRUIRE LA DEMOCRAZIA TRANSNAZIONALE

Il Movimento europeo in Italia accoglie con favore l’idea lanciata dal Cardinale Matteo Zuppi per una “Camaldoli europea” in occasione della sua prolusione per ricordare il “Codice di Camaldoli” del luglio 1943.

L’obiettivo del Cardinale Matteo Zuppi è quello di discutere, coinvolgere e mobilitare i cittadini di ispirazione cristiana su costituzione, democrazia, cultura e politica in una dimensione europea così come i giovani cattolici italiani discussero a Camaldoli di costituzione, democrazia, cultura e politica in una dimensione italiana che aveva tuttavia come punto di riferimento il superamento dei nazionalismi.

In questo spirito dialogante, il Movimento europeo in Italia ha già deciso di avviare un confronto fra l’universalismo promosso dal popolarismo cristiano, il cosmopolitismo rappresentato dal liberalismo e l’internazionalismo rappresentato dal socialismo a cui si è unito a partire dagli anni Ottanta l’ambientalismo dei movimenti verdi coinvolgendo le fondazioni dei partiti europei favorevoli all’unità politica del continente.

Siamo disponibili a dare il nostro contributo di idee e di iniziative alla proposta del Cardinale Matteo Zuppi in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Roma, 24 luglio 2023

Pier Virgilio Dastoli

 

Prolusione al Convegno "Il Codice di Camaldoli" (21 luglio 2023), Cardinale Matteo Maria ZUPPI, Presidente Conferenza Episcopale Italiana

 

 

 


IN EVIDENZA

VI SEGNALIAMO

  • 4-5 agosto, Riace (RC). Iniziativa “Estate al villaggio globale”. Manifestazioni a sostegno dell’Esperienza di Riace e di Mimmo Lucano", a cui parteciperà tra gli altri il Presidente Pier Virgilio Dastoli, essendo il Movimento europeo tra i promotori dell'evento. PROGRAMMA.
  • 7 agosto, ore 14:30-17:30, Marcinelle (Belgio). In occasione dell'anniversario del disastro di Marcinelle, avvenuto l'8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, la Cgil, insieme all’Inca nazionale e del Belgio, con la Federazione generale del lavoro belga, FGTB, ha organizzato presso il Bois du Cazier, a Bruxelles, un dibattito su tre argomenti significativi e attuali per il sindacato – immigrazione, sicurezza sul lavoro, democrazia - simbolo di sacrificio, lavoro e conquista di diritti. L’iniziativa sarà coordinata da Filippo Ciavaglia, dell’Area delle politiche europee e internazionali della CGIL nazionale. La CGIL e la FGTB hanno inoltre promosso una cena sociale per le popolazioni dell’Emilia-Romagna presso la storica sede sindacale de La Maison des 8 Heures. LOCANDINA. Ulteriori informazioni.
  • 3-8 settembre, Ventotene (LT). La quarantaduesima edizione del Seminario nazionale di formazione federalista avrà luogo sull’isola pontina dal 3 all’8 settembre, promosso dall'Istituto di Studi Federalisti "Altiero Spinelli". Nato nel 1982 su proposta di Altiero Spinelli che in quell’isola scrisse assieme ad Ernesto Rossi il “Manifesto di Ventotene”, il Seminario è diventato uno dei più importanti momenti di riflessione sul futuro dell’Europa e del mondo al quale hanno partecipato importanti personalità europee del panorama politico e culturale. Ogni anno 150 giovani europei. 60 ore di formazione e dibattito. 30 relatori. PROGRAMMA provvisorio Seminario Nazionale di Ventotene 2023.

 

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


 Training: How to reach beyond our echo-chambers ahead of the 2024 European elections

Il Movimento Europeo Internazionale organizza un corso di formazione online dal titolo "How to reach beyond your base ahead of the 2024 European elections" in vista delle prossime elezioni europee del 2024.

Il corso consentirà di imparare come utilizzare i dati per ottimizzare campagne e messaggi, definire e costruire un pubblico, promuovere una comunità tramite i social media e ottenere comunicazioni generali e suggerimenti e trucchi di progettazione.

Il corso, gratuito, si svolgerà tra il 25 e il 28 settembre o il 2 e 5 ottobre 2023.

Sarà possibile iscriversi entro il 28 agosto. I posti disponibili sono 50.

PER SAPERNE DI PIU’ E REGISTRARSI, VISITARE IL SITO DEDICATO.

 

 

 

 A TUTTE LE NOSTRE LETTRICI E A TUTTI I NOSTRI LETTORI AUGURIAMO BUONE VACANZE !

VI DIAMO APPUNTAMENTO AL 28 AGOSTO PER LA RIPRESA DEI LAVORI !

 

 

 

 

 

 centricoo

altiero

ImmagineLIBRO VERDE xsito

 BannerPROCESSO UE

bileurozona

rescue

casaeuropa

agorabanner

coccodrillo

banner fake


Le Nostre Reti

eumov

eucivfor

logo asvis

Comitato Eeinaudi desktop 1 1

ride logoretepace

routecharlemagne


Partner e Sostenitori

parleuitarapprita

banner12

banner11


 ed logo

Gioiosa Jonica  -  Modena  -  Nuoro  - Capo d’Orlando


 

Registrati per ricevere le nostre newsletter.
 

Sostieni le iniziative del Movimento Europeo con una piccola donazione


© Movimento Europeo - Via Angelo Brunetti, 60  ||  Realizzato da logoims

Search