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La Corte di giustizia valorizza il ruolo del giudice comune nel garantire il diritto dei migranti alla libertà e a godere di un giusto processo
La Corte di giustizia ha recentemente reso, nella sua composizione più autorevole della Grande Sezione, una importante decisione ([1]) nell’incandescente materia dell’immigrazione sulla base di un’interpretazione molto garantista delle arcigne direttive sul rimpatrio e sul trasferimento (ed ancor prima del trattenimento in uno stato membro) dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ([2]), alla luce degli artt. 6 (diritto alla libertà) e 47 della Carta dei diritti fondamentali (diritto ad una tutela effettiva).
La decisione ha due aspetti di particolare rilievo; da un lato ribadisce gli scopi della normativa in esame che non sono quelli della punizione dei migranti clandestini né di accertamento e repressione di reati di sorta ma invece, da intendersi in modo tassativo e rigido, di assicurare a coloro che fanno domanda di asilo un esame di questa in tempi ragionevoli nel paese ospitante ( o previo trasferimento nel paese competente) o, altrimenti, di realizzare un rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali fissati anche nella Carta. Conseguentemente la possibilità di essere “trattenuti” in vista del perseguimento di queste tre ipotesi va correlato a questi limitati obiettivi e costituisce una deroga eccezionale alla libertà individuale, tutelata dalla Carta dei diritti all’art. 6, deroga sottoposta ad una serie di presupposti di legittimità che vanno scrupolosamente verificati anche nel tempo. Infine, per dare effettività a queste tutele, il giudice ordinario è tenuto, nei procedimenti che hanno oggetto il trattenimento di cittadini di paesi terzi che abbiano chiesto la protezione internazionale, a verificare la sussistenza di tali presupposti di legittimità, anche se il cittadino stesso non abbia sollevato alcuna eccezione o sia incorso in decadenze ed ostacoli processuali stabiliti nel paese che lo ospita. Si deve in questo senso procedere d’ufficio e grava sul giudice comune (nazionale) l’ obbligo di verificare direttamente, con gli strumenti ritenuti idonei, la perdurante sussistenza delle condizioni cui la normativa sovranazionale ha collegato il potere di “trattenere” il migrante illegale.
Sinteticamente va ricordato che i rinvii pregiudiziali sono stati disposti in due controversie nelle quali le rispettive autorità giudiziarie olandesi hanno chiesto in sostanza se il diritto dell’Unione- anche interpretato alla luce degli artt. 6 e 47 della Carta dei diritti- imponesse ai giudici di esaminare il rispetto di taluni presupposti di legittimità della misura di trattenimento disposta nei confronti di tre cittadini di paesi terzi, anche in difetto di un’allegazione di questi profili ed anche se fossero intervenute decadenze processuali disposte dal diritto interno.
La Corte rileva che “ occorre, in primo luogo, ricordare che ogni trattenimento di un cittadino di un paese terzo, che avvenga in forza della direttiva 2008/115 nell’ambito di una procedura di rimpatrio a seguito di soggiorno irregolare, sulla base della direttiva 2013/33 nell’ambito del trattamento di una domanda di protezione internazionale, oppure in forza del regolamento n. 604/2013 nel contesto del trasferimento del richiedente di una siffatta protezione verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda, costituisce un’ingerenza grave nel diritto alla libertà, sancito all’articolo 6 della Carta……Infatti, come prevede l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, una misura di trattenimento consiste nell’isolare una persona in un luogo determinato. Emerge dal testo, dalla genesi e dal contesto di tale disposizione, la cui portata può, peraltro, essere trasferita alla nozione di «trattenimento» contenuta nella direttiva 2008/115 e nel regolamento n. 604/2013, che il trattenimento impone all’interessato di rimanere in un perimetro ristretto e chiuso, isolando così la persona di cui trattasi dal resto della popolazione e privandola della sua libertà di circolazione . Orbene, la finalità delle misure di trattenimento, ai sensi della direttiva 2008/115, della direttiva 2013/33 e del regolamento n. 604/2013, non è il perseguimento o la repressione di reati, bensì la realizzazione degli obiettivi perseguiti da tali strumenti in materia, rispettivamente, di rimpatrio, di esame delle domande di protezione internazionale e di trasferimento di cittadini di paesi terzi. Tenuto conto della gravità di tale ingerenza nel diritto alla libertà sancito all’articolo 6 della Carta e in considerazione dell’importanza di detto diritto, il potere riconosciuto alle autorità nazionali competenti di trattenere cittadini di paesi terzi è rigorosamente inquadrato. Le norme generali e astratte che stabiliscono, quali norme comuni dell’Unione, i presupposti del trattenimento sono contenute all’articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, secondo comma, paragrafi 4, 5 e 6, della direttiva 2008/115, all’articolo 8, paragrafi 2 e 3, all’articolo 9, paragrafi 1, 2 e 4, della direttiva 2013/33 e all’articolo 28, paragrafi 2, 3 e 4, del regolamento n. 604/2013… Dette norme previste nella direttiva 2008/115, nella direttiva 2013/33 e nel regolamento n. 604/2013, da un lato, e le disposizioni di diritto nazionale che danno loro attuazione, dall’altro, costituiscono le norme, derivanti dal diritto dell’Unione, che determinano i presupposti di legittimità del trattenimento, anche dalla prospettiva dell’articolo 6 della Carta. In particolare, il cittadino di un paese terzo interessato non può, come precisato dall’articolo 15, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2008/115, dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2013/33 e dall’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, essere trattenuto qualora una misura meno coercitiva possa essere efficacemente applicata. Laddove appaia che i presupposti di legittimità del trattenimento individuati al punto 77 della presente sentenza non siano stati o non siano più soddisfatti, l’interessato deve, come del resto espressamente indicato dal legislatore dell’Unione all’articolo 15, paragrafo 2, quarto comma, e paragrafo 4, della direttiva 2008/115, nonché all’articolo 9, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2013/33, essere liberato immediatamente. Ciò vale, in particolare, qualora si constati che la procedura di rimpatrio, di esame della domanda di protezione internazionale o di trasferimento, a seconda dei casi, non viene più espletata con tutta la dovuta diligenza (punti 72-78 della sentenza)”.
La Corte aggiunge una disamina delle ulteriori cautele e garanzie apprestate per garantire che i presupposti sostanziali per la legittimità del provvedimento di trattenimento siano costantemente verificati e sottoposti a controllo giudiziario o diretto (per gli stati che lo prevedono ) o indiretto (attraverso l’impugnazione dell’atto amministrativo). Le conseguenze sono quindi drastiche: “Dal momento che il legislatore dell’Unione richiede, senza eccezioni, che il riesame del rispetto dei presupposti di legittimità del trattenimento abbia luogo «a intervalli ragionevoli», l’autorità competente è tenuta a effettuare detto controllo d’ufficio, anche se l’interessato non ne fa domanda. Come risulta dall’insieme delle disposizioni in parola, il legislatore dell’Unione non si è limitato a stabilire norme comuni sostanziali, ma ha altresì introdotto norme comuni procedurali, al fine di garantire l’esistenza, in ogni Stato membro, di un regime che consenta all’autorità giudiziaria competente di liberare l’interessato, se del caso dopo un esame d’ufficio, non appena risulti che il suo trattenimento non è, o non è più, legittimo. Affinché un siffatto regime di tutela assicuri in modo effettivo il rispetto dei rigorosi presupposti che la legittimità di una misura di trattenimento prevista dalla direttiva 2008/115, dalla direttiva 2013/33 o dal regolamento n. 604/2013 deve soddisfare, l’autorità giudiziaria competente deve essere in grado di deliberare su tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti ai fini della verifica di detta legittimità. A tal fine, essa deve poter prendere in considerazione gli elementi di fatto e le prove assunti dall’autorità amministrativa che ha disposto il trattenimento iniziale. Essa deve altresì poter prendere in considerazione i fatti, le prove e le osservazioni che le vengono eventualmente sottoposti dall’interessato. Inoltre, essa deve poter ricercare, laddove lo ritenga necessario, tutti gli altri elementi rilevanti ai fini della propria decisione. I poteri di cui essa dispone nell’ambito di un controllo non possono, in alcun caso, essere circoscritti ai soli elementi dedotti dall’autorità amministrativa …Come rilevato dall’avvocato generale in considerazione dell’importanza del diritto alla libertà, della gravità dell’ingerenza in detto diritto costituita dal trattenimento di persone per motivi diversi dal perseguimento o dalla repressione di reati e del requisito, evidenziato dalle norme comuni stabilite dal legislatore dell’Unione, di una tutela giurisdizionale di livello elevato che consenta di conformarsi alla necessità imperativa di liberare una tale persona laddove i presupposti di legittimità del trattenimento non siano, o non siano più, soddisfatti, l’autorità giudiziaria competente deve prendere in considerazione tutti gli elementi, in particolare fattuali, portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti nell’ambito di misure procedurali che essa ritenga necessario adottare in base al suo diritto nazionale, e, sulla base degli elementi in parola, rilevare, se del caso, la violazione di un presupposto di legittimità derivante dal diritto dell’Unione, anche qualora una simile violazione non sia stata dedotta dall’interessato. Tale obbligo lascia impregiudicato quello consistente, per l’autorità giudiziaria che è così indotta a rilevare d’ufficio un siffatto presupposto di legittimità, nell’invitare ciascuna delle parti a prendere posizione sul presupposto in parola, in conformità al principio del contraddittorio”. (punti 83.88).
Pertanto, posto che l’intero procedimento di garanzie è stabilito dalle fonti sovranazionali, il giudice comune è tenuto a garantirne l’effettività, anche ai sensi dell’art. 47 della Carta, senza che vengano in gioco sbarramenti o decadenze processuali stabilite dal diritto interno acquisendo di sua iniziativa, se del caso, tutti gli elementi fattuali pertinenti anche attivando le necessarie collaborazioni ed interlocuzioni con organi degli altri paesi interessati, giudiziari o amministrativi.
Si aggiunge con una notevole forza che “ non si può, in particolare, ammettere che, negli Stati membri in cui le decisioni di trattenimento sono adottate da un’autorità amministrativa, il sindacato giurisdizionale non comprenda la verifica, da parte dell’autorità giudiziaria, sulla base degli elementi di cui al punto precedente della presente sentenza, del rispetto di un presupposto di legittimità la cui violazione non sia stata sollevata dall’interessato, mentre, negli Stati membri in cui le decisioni di trattenimento devono essere adottate da un’autorità giudiziaria, quest’ultima è tenuta a procedere a una siffatta verifica d’ufficio, in considerazione dei suddetti elementi”.
La sentenza è quindi di notevole rilevanza in via generale perché, attribuendo, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di giustizia, un’importanza cruciale all’art. 47 della Carta (di applicazione diretta) come meta- diritto funzionale a rendere pienamente esigibili tutte le protezioni e tutele di fonte sovranazionale, rende il giudice comune il motore principale dell’attuazione del diritto dell’Unione relativizzando l’importanza di ostacoli processuali interni che possono paralizzare la concretizzazione dell’ordinamento europeo (ed anche una sua uniforme applicazione in ogni stato membro). Il giudice nazionale dovrà, invece, attivarsi anche come regista della verifica giudiziaria della legittimità sostanziale dei provvedimenti di privazione della libertà personale di sua iniziativa come organo di base del sistema di protezione dell’Unione, il che potrà essere replicato in molti altri settori nei quali l’Unione stessa ha previsto con sufficiente precisione procedure e tutele sostanziali a favore dei soggetti coinvolti.
La notevole decisione di novembre ricorda, sotto molti profili, quella adottata l’8 marzo 2022 (sempre nella composizione della Grande Sezione) in materia penale e/o sanzionatoria secondo la quale nei casi ([3]) in cui il diritto dell’Unione prescriva sanzioni penali o amministrative (laddove quest’ultime abbiano un carattere afflittivo comparabile con quello proprio delle sanzioni penali) il giudice ordinario può ridurne ad equità l’entità rapportandola all’entità del fatto commesso ([4]). Con quella sentenza la Corte, nel riaffermare la diretta applicabilità del principio di proporzionalità delle sanzioni, principio generale del diritto dell’Unione e consacrato dalla Carta dei diritti al suo art. 49 comma terzo per quanto riguarda le “pene” (nel titolo dell’art. 49 si richiama la proporzionalità dei reati e delle pene) stabilisce questo effetto in esplicita discontinuità con una precedente (recente) sentenza della Corte di giustizia che, in nome della certezza del diritto, aveva deciso diversamente (Corte di giustizia 4 Ottobre 2018, C-384) negando al giudice nazionale la possibilità di disapplicare (anche parzialmente) la normativa nazionale applicando una sanzione commisurata alla gravità del fatto. Con questa nuova decisione, invece, il giudice comune diventa l’arbitro di una corretta ed equilibrata attuazione del diritto dell’Unione correggendo le legislazioni nazionali ove siano manifestamente inique ed eccessive attraverso una doppia operazione di disapplicazione della norma interna (ad esempio ove preveda minimi edittali troppo alti per modulare la sanzione al fatto effettivamente commesso) e di rideterminazione equitativa delle sanzioni applicabili, con ciò seguendo lo spirito e la lettera dell’art. 49 della Carta dei diritti (che raddoppia la protezione già accordata dalla Convenzione europea, ma con effetti ben più incisivi). Questo meccanismo rende vivente la prospettiva di Stefano Rodotà quanto scriveva (a proposito dei primi casi di utilizzo della Carta dei diritti, ancora prima venisse dichiarata la sua obbligatorietà con il Trattato di Lisbona) che la concretizzazione dei diritti della Carta con il ricorso alla loro attuazione attraverso il giudice comune che si rapporta al Testo di Nizza costruisce e rafforza nel suo sviluppo un legame formidabile a carattere orizzontale tra i cittadini europei che possono riconoscersi in un sistema integrato ed efficace di valori, principi e protezioni individuali e collettive codificato in un Bill of rights dell’Unione che chiude il sistema sovranazionale, così come negli stati nazionali fanno le Costituzioni interne ([5]).
Giuseppe Bronzini
[1] 8 Novembre, C-704 e C-39/21, Staatssegretaris van Justicie en Veiligheid
[2] Le fonti sovranazionali in questione richiamate nelle ordinanze pregiudiziali sono la direttiva 2008/115/CE, la direttiva 2013/33 ed il regolamento n. 604/2013
[3] Il Sole24ore ha calcolato che sono circa 120 le direttive che prescrivono espressamente l’adozione di sanzioni (penali e/o amministrative) “proporzionate”, ma a mio parere quanto disposto dalla sentenza si dovrebbe applicare anche se questa specificazione è stata omessa essendo l’art. 49 della Carta direttamente applicabile sulla base dell’esistenza di un nesso con la normativa dell’Unione
[4] Corte di giustizia, Grande Sezione, 8 marzo 2022, C-205/2020, NE
[5] Cfr. S. Rodotà Nel silenzio della politica i Giudici fanno l’Europa, in (a cura di G. Bronzini, V. Piccone) La Carta e le Corti. I diritti fondamentali nella giurisprudenza europea multilevello, Chimienti, 2007
Denunciamo i rischi di una “diabolica alleanza” e dell’Europa che esclude
L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR e molti rapporti internazionali hanno stabilito che a maggio 2022 oltre cento milioni di persone avevano perso le loro radici economiche, sociali, culturali e familiari nel mondo fuggendo dalle loro case, dalle campagne, dalle città, dalle loro regioni e dai loro paesi nella maggior parte dei casi lasciando tutto dietro di sé e portando con sé solo il bagaglio della speranza di una vita dove fosse garantita la dignità umana.
Vale la pena di riscrivere qui l’incipit del libro di Ursula HirschmannNoi senza patria:
“Non sono italiana benché abbia figli italiani, non sono tedesca benché la Germania fosse una volta la mia patria. E non sono nemmeno ebrea benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno di quei forni di qualche campo di sterminio. Noi déracinés d’Europa che abbiamo cambiato più volte di frontiera che di scarpe, come dice Bertold Brecht questo re dei déracinés, anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti”.
Di quelle decine milioni di persone che hanno perso le loro radici, solo il 17% ha trovato varie forme di accoglienza – talvolta grazie a politiche di inclusione, altre con politiche di integrazione spesso forzata, molto di più con forme di emarginazione e dunque di inevitabile conflittualità sociale che mette a confronto gruppi diversamente disagiati – nei paesi sviluppati del mondo occidentale e meno del 10% in Europa e in particolare nell’Unione europea.
Dobbiamo anche sapere che i déracinés fuggono per persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni di diritti fondamentali, gravi perturbazioni dell’ordine pubblico, disastri ambientali e espropriazione delle terre, che nel 2021 quasi un miliardo di persone nel mondo sono state coinvolte in conflitti di media o elevata intensità con l’uso di armi provenienti in larga parte dai paesi sviluppati oltre che dalla rarefazione alimentare, dalla crisi climatica e dall’aumento del costo della vita, che i déracinés si sono drammaticamente moltiplicati nel 2022 a causa dell’aggressione della Russia di Putin all’indipendenza e alla inviolabilità territoriale dell’Ucraina, che la maggioranza dei rifugiati o dei richiedenti asilo sono stati accolti in paesi vicini, che la metà dei déracinés sono fuggiti all’interno del loro paese come è avvenuto nel Myanmar e in Etiopia, nel Sahel, in Burkina Faso e nel Ciad, che fra i paesi “di accoglienza” il primo paese dell’Unione europea è la Germania - con l’Italia al quinto posto in numeri assoluti fra i paesi europei - dopo la Turchia, la Colombia, l’Uganda, il Pakistan e che i due terzi dell’insieme dei rifugiati provenivano da cinque paesi (Siria, Venezuela, Afghanistan, Sudan, Myanmar).
Questo quadro molto crudo, fatto purtroppo di numeri e non di persone (donne, bambini e uomini), evidenzia come i movimenti di decine di milioni di déracinés sono da attribuirsi alla responsabilità diretta o indiretta dei paesi sviluppati e che è molto difficile distinguere fra i déracinés quelli che vengono chiamati migranti economici dai richiedenti asilo e dai rifugiati fra cui dobbiamo collocare anche i migranti illegali e quelli irregolari.
Pochi ricordano che la Commissione presieduta da Jean-Claude Juncker propose nel 2015 una Agenda per l’immigrazione sottolineando che la sua attuazione – su cui erano chiamati a decidere il Consiglio e il Parlamento europeo – avrebbe raggiunto l’obiettivo di dare una soluzione perenne alle politiche europee per le migrazioni e i rifugiati e che all’agenda europea, in assenza di decisioni adeguate, fece seguito nel 2018 una proposta di revisione del regolamento di Dublino su cui il Parlamento europeo si è pronunciato con sostanziali emendamenti nel gennaio 2019.
Dal 2015 in poi l’Unione europea non ha trovato una soluzione perenne alle politiche comuni migratorie mentre i déracinés sono aumentati drammaticamente perché sono aumentati i conflitti di media e alta intensità uscendo – come è avvenuto per l’Ucraina – dai confini nazionali o resi più acuti da interventi esterni come sta avvenendo da anni in Siria, perché si è radicalizzata la rarefazione alimentare e la desertificazione, perché si è estesa nel mondo la presenza di regimi autoritari con cui l’Unione europea intrattiene rapporti economici, commerciali e militari.
Invece di lavorare per la ricerca di una soluzione perenne che unisca all’obbligo costituzionalmente vincolante (art. 80 TFUE) della solidarietà interna all’Unione europee la realizzazione degli obiettivi della pace, dello sviluppo sostenibile del pianeta, della solidarietà e del mutuo rispetto dei popoli, dell’eliminazione della povertà e della protezione dei diritti fondamentali in particolare dell’infanzia, del rispetto e dello sviluppo del diritto internazionale (art. 3 TUE), i governi nazionali e la Commissione europea stanno cercando di costruire una diabolica alleanza con l’obiettivo condiviso di perennizzare una Europa che esclude e di allontanare l’obiettivo di una Europa che accoglie.
Dietro le parole esternalizzazione (e cioè accordi con i paesi di origine), hotspot nei paesi terzi (che ai tempi della Commissione Juncker fu impossibile creare), aiuti ai paesi nordafricani “di prima accoglienza” (in particolare la Libia) di intelligence e di sicurezza, un rigido codice di condotta per le ONG, il rafforzamento dell’agenzia Frontex e di operazioni militari come Eunavfor Med- Operazione Irini per controllare le frontiere esterne e l’esclusione di operazioni di salvataggio in mare come fu l’iniziativa Mare Nostrum italiana dopo la tragedia di Lampedusa il 3 ottobre 2013 si nasconde a malapena l’obiettivo di affrontare la questione delle migrazioni riducendo drasticamente le domande di asilo, i rifugiati e selezionando i migranti cosiddetti economici.
Noi riteniamo che le organizzazioni europee della società civile debbano denunciare i rischi della diabolica alleanza prima della riunione dei ministri degli interni e della giustizia dell’Unione europea dell’8 dicembre.
La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee del maggio 2024.
Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.
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L'EDITORIALE
Denunciamo i rischi di una “diabolica alleanza” e dell’Europa che esclude
L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR e molti rapporti internazionali hanno stabilito che a maggio 2022 oltre cento milioni di persone avevano perso le loro radici economiche, sociali, culturali e familiari nel mondo fuggendo dalle loro case, dalle campagne, dalle città, dalle loro regioni e dai loro paesi nella maggior parte dei casi lasciando tutto dietro di sé e portando con sé solo il bagaglio della speranza di una vita dove fosse garantita la dignità umana.
Vale la pena di riscrivere qui l’incipit del libro di Ursula HirschmannNoi senza patria:
“Non sono italiana benché abbia figli italiani, non sono tedesca benché la Germania fosse una volta la mia patria. E non sono nemmeno ebrea benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno di quei forni di qualche campo di sterminio. Noi déracinés d’Europa che abbiamo cambiato più volte di frontiera che di scarpe, come dice Bertold Brecht questo re dei déracinés, anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti”.
Di quelle decine milioni di persone che hanno perso le loro radici, solo il 17% ha trovato varie forme di accoglienza – talvolta grazie a politiche di inclusione, altre con politiche di integrazione spesso forzata, molto di più con forme di emarginazione e dunque di inevitabile conflittualità sociale che mette a confronto gruppi diversamente disagiati – nei paesi sviluppati del mondo occidentale e meno del 10% in Europa e in particolare nell’Unione europea.
Dobbiamo anche sapere che i déracinés fuggono per persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni di diritti fondamentali, gravi perturbazioni dell’ordine pubblico, disastri ambientali e espropriazione delle terre, che nel 2021 quasi un miliardo di persone nel mondo sono state coinvolte in conflitti di media o elevata intensità con l’uso di armi provenienti in larga parte dai paesi sviluppati oltre che dalla rarefazione alimentare, dalla crisi climatica e dall’aumento del costo della vita, che i déracinés si sono drammaticamente moltiplicati nel 2022 a causa dell’aggressione della Russia di Putin all’indipendenza e alla inviolabilità territoriale dell’Ucraina, che la maggioranza dei rifugiati o dei richiedenti asilo sono stati accolti in paesi vicini, che la metà dei déracinés sono fuggiti all’interno del loro paese come è avvenuto nel Myanmar e in Etiopia, nel Sahel, in Burkina Faso e nel Ciad, che fra i paesi “di accoglienza” il primo paese dell’Unione europea è la Germania - con l’Italia al quinto posto in numeri assoluti fra i paesi europei - dopo la Turchia, la Colombia, l’Uganda, il Pakistan e che i due terzi dell’insieme dei rifugiati provenivano da cinque paesi (Siria, Venezuela, Afghanistan, Sudan, Myanmar).
Questo quadro molto crudo, fatto purtroppo di numeri e non di persone (donne, bambini e uomini), evidenzia come i movimenti di decine di milioni di déracinés sono da attribuirsi alla responsabilità diretta o indiretta dei paesi sviluppati e che è molto difficile distinguere fra i déracinés quelli che vengono chiamati migranti economici dai richiedenti asilo e dai rifugiati fra cui dobbiamo collocare anche i migranti illegali e quelli irregolari.
Pochi ricordano che la Commissione presieduta da Jean-Claude Juncker propose nel 2015 una Agenda per l’immigrazione sottolineando che la sua attuazione – su cui erano chiamati a decidere il Consiglio e il Parlamento europeo – avrebbe raggiunto l’obiettivo di dare una soluzione perenne alle politiche europee per le migrazioni e i rifugiati e che all’agenda europea, in assenza di decisioni adeguate, fece seguito nel 2018 una proposta di revisione del regolamento di Dublino su cui il Parlamento europeo si è pronunciato con sostanziali emendamenti nel gennaio 2019.
Dal 2015 in poi l’Unione europea non ha trovato una soluzione perenne alle politiche comuni migratorie mentre i déracinés sono aumentati drammaticamente perché sono aumentati i conflitti di media e alta intensità uscendo – come è avvenuto per l’Ucraina – dai confini nazionali o resi più acuti da interventi esterni come sta avvenendo da anni in Siria, perché si è radicalizzata la rarefazione alimentare e la desertificazione, perché si è estesa nel mondo la presenza di regimi autoritari con cui l’Unione europea intrattiene rapporti economici, commerciali e militari.
Invece di lavorare per la ricerca di una soluzione perenne che unisca all’obbligo costituzionalmente vincolante (art. 80 TFUE) della solidarietà interna all’Unione europee la realizzazione degli obiettivi della pace, dello sviluppo sostenibile del pianeta, della solidarietà e del mutuo rispetto dei popoli, dell’eliminazione della povertà e della protezione dei diritti fondamentali in particolare dell’infanzia, del rispetto e dello sviluppo del diritto internazionale (art. 3 TUE), i governi nazionali e la Commissione europea stanno cercando di costruire una diabolica alleanza con l’obiettivo condiviso di perennizzare una Europa che esclude e di allontanare l’obiettivo di una Europa che accoglie.
Dietro le parole esternalizzazione (e cioè accordi con i paesi di origine), hotspot nei paesi terzi (che ai tempi della Commissione Juncker fu impossibile creare), aiuti ai paesi nordafricani “di prima accoglienza” (in particolare la Libia) di intelligence e di sicurezza, un rigido codice di condotta per le ONG, il rafforzamento dell’agenzia Frontex e di operazioni militari come Eunavfor Med- Operazione Irini per controllare le frontiere esterne e l’esclusione di operazioni di salvataggio in mare come fu l’iniziativa Mare Nostrum italiana dopo la tragedia di Lampedusa il 3 ottobre 2013 si nasconde a malapena l’obiettivo di affrontare la questione delle migrazioni riducendo drasticamente le domande di asilo, i rifugiati e selezionando i migranti cosiddetti economici.
Noi riteniamo che le organizzazioni europee della società civile debbano denunciare i rischi della diabolica alleanza prima della riunione dei ministri degli interni e della giustizia dell’Unione europea dell’8 dicembre.
Roma, 28 novembre 2022
ULTIME DA BRUXELLES
La Corte di giustizia valorizza il ruolo del giudice comune nel garantire il diritto dei migranti alla libertà e a godere di un giusto processo
La Corte di giustizia ha recentemente reso, nella sua composizione più autorevole della Grande Sezione, una importante decisione ([1]) nell’incandescente materia dell’immigrazione sulla base di un’interpretazione molto garantista delle arcigne direttive sul rimpatrio e sul trasferimento (ed ancor prima del trattenimento in uno stato membro) dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ([2]), alla luce degli artt. 6 (diritto alla libertà) e 47 della Carta dei diritti fondamentali (diritto ad una tutela effettiva).
La decisione ha due aspetti di particolare rilievo; da un lato ribadisce gli scopi della normativa in esame che non sono quelli della punizione dei migranti clandestini né di accertamento e repressione di reati di sorta ma invece, da intendersi in modo tassativo e rigido, di assicurare a coloro che fanno domanda di asilo un esame di questa in tempi ragionevoli nel paese ospitante (o previo trasferimento nel paese competente) o, altrimenti, di realizzare un rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali fissati anche nella Carta. Conseguentemente la possibilità di essere “trattenuti” in vista del perseguimento di queste tre ipotesi va correlato a questi limitati obiettivi e costituisce una deroga eccezionale alla libertà individuale, tutelata dalla Carta dei diritti all’art. 6, deroga sottoposta ad una serie di presupposti di legittimità che vanno scrupolosamente verificati anche nel tempo. Infine, per dare effettività a queste tutele, il giudice ordinario è tenuto, nei procedimenti che hanno oggetto il trattenimento di cittadini di paesi terzi che abbiano chiesto la protezione internazionale, a verificare la sussistenza di tali presupposti di legittimità, anche se il cittadino stesso non abbia sollevato alcuna eccezione o sia incorso in decadenze ed ostacoli processuali stabiliti nel paese che lo ospita. Si deve in questo senso procedere d’ufficio e grava sul giudice comune (nazionale) l’obbligo di verificare direttamente, con gli strumenti ritenuti idonei, la perdurante sussistenza delle condizioni cui la normativa sovranazionale ha collegato il potere di “trattenere” il migrante illegale.
Sinteticamente va ricordato che i rinvii pregiudiziali sono stati disposti in due controversie nelle quali le rispettive autorità giudiziarie olandesi hanno chiesto in sostanza se il diritto dell’Unione - anche interpretato alla luce degli artt. 6 e 47 della Carta dei diritti - imponesse ai giudici di esaminare il rispetto di taluni presupposti di legittimità della misura di trattenimento disposta nei confronti di tre cittadini di paesi terzi, anche in difetto di un’allegazione di questi profili ed anche se fossero intervenute decadenze processuali disposte dal diritto interno.
La Corte rileva che “ occorre, in primo luogo, ricordare che ogni trattenimento di un cittadino di un paese terzo, che avvenga in forza della direttiva 2008/115 nell’ambito di una procedura di rimpatrio a seguito di soggiorno irregolare, sulla base della direttiva 2013/33 nell’ambito del trattamento di una domanda di protezione internazionale, oppure in forza del regolamento n. 604/2013 nel contesto del trasferimento del richiedente di una siffatta protezione verso lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda, costituisce un’ingerenza grave nel diritto alla libertà, sancito all’articolo 6 della Carta……Infatti, come prevede l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, una misura di trattenimento consiste nell’isolare una persona in un luogo determinato. Emerge dal testo, dalla genesi e dal contesto di tale disposizione, la cui portata può, peraltro, essere trasferita alla nozione di «trattenimento» contenuta nella direttiva 2008/115 e nel regolamento n. 604/2013, che il trattenimento impone all’interessato di rimanere in un perimetro ristretto e chiuso, isolando così la persona di cui trattasi dal resto della popolazione e privandola della sua libertà di circolazione. Orbene, la finalità delle misure di trattenimento, ai sensi della direttiva 2008/115, della direttiva 2013/33 e del regolamento n. 604/2013, non è il perseguimento o la repressione di reati, bensì la realizzazione degli obiettivi perseguiti da tali strumenti in materia, rispettivamente, di rimpatrio, di esame delle domande di protezione internazionale e di trasferimento di cittadini di paesi terzi. Tenuto conto della gravità di tale ingerenza nel diritto alla libertà sancito all’articolo 6 della Carta e in considerazione dell’importanza di detto diritto, il potere riconosciuto alle autorità nazionali competenti di trattenere cittadini di paesi terzi è rigorosamente inquadrato. Le norme generali e astratte che stabiliscono, quali norme comuni dell’Unione, i presupposti del trattenimento sono contenute all’articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, secondo comma, paragrafi 4, 5 e 6, della direttiva 2008/115, all’articolo 8, paragrafi 2 e 3, all’articolo 9, paragrafi 1, 2 e 4, della direttiva 2013/33 e all’articolo 28, paragrafi 2, 3 e 4, del regolamento n. 604/2013… Dette norme previste nella direttiva 2008/115, nella direttiva 2013/33 e nel regolamento n. 604/2013, da un lato, e le disposizioni di diritto nazionale che danno loro attuazione, dall’altro, costituiscono le norme, derivanti dal diritto dell’Unione, che determinano i presupposti di legittimità del trattenimento, anche dalla prospettiva dell’articolo 6 della Carta. In particolare, il cittadino di un paese terzo interessato non può, come precisato dall’articolo 15, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2008/115, dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2013/33 e dall’articolo 28, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013, essere trattenuto qualora una misura meno coercitiva possa essere efficacemente applicata. Laddove appaia che i presupposti di legittimità del trattenimento individuati al punto 77 della presente sentenza non siano stati o non siano più soddisfatti, l’interessato deve, come del resto espressamente indicato dal legislatore dell’Unione all’articolo 15, paragrafo 2, quarto comma, e paragrafo 4, della direttiva 2008/115, nonché all’articolo 9, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2013/33, essere liberato immediatamente. Ciò vale, in particolare, qualora si constati che la procedura di rimpatrio, di esame della domanda di protezione internazionale o di trasferimento, a seconda dei casi, non viene più espletata con tutta la dovuta diligenza (punti 72-78 della sentenza)”.
La Corte aggiunge una disamina delle ulteriori cautele e garanzie apprestate per garantire che i presupposti sostanziali per la legittimità del provvedimento di trattenimento siano costantemente verificati e sottoposti a controllo giudiziario o diretto (per gli stati che lo prevedono) o indiretto (attraverso l’impugnazione dell’atto amministrativo). Le conseguenze sono quindi drastiche: “Dal momento che il legislatore dell’Unione richiede, senza eccezioni, che il riesame del rispetto dei presupposti di legittimità del trattenimento abbia luogo «a intervalli ragionevoli», l’autorità competente è tenuta a effettuare detto controllo d’ufficio, anche se l’interessato non ne fa domanda. Come risulta dall’insieme delle disposizioni in parola, il legislatore dell’Unione non si è limitato a stabilire norme comuni sostanziali, ma ha altresì introdotto norme comuni procedurali, al fine di garantire l’esistenza, in ogni Stato membro, di un regime che consenta all’autorità giudiziaria competente di liberare l’interessato, se del caso dopo un esame d’ufficio, non appena risulti che il suo trattenimento non è, o non è più, legittimo. Affinché un siffatto regime di tutela assicuri in modo effettivo il rispetto dei rigorosi presupposti che la legittimità di una misura di trattenimento prevista dalla direttiva 2008/115, dalla direttiva 2013/33 o dal regolamento n. 604/2013 deve soddisfare, l’autorità giudiziaria competente deve essere in grado di deliberare su tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti ai fini della verifica di detta legittimità. A tal fine, essa deve poter prendere in considerazione gli elementi di fatto e le prove assunti dall’autorità amministrativa che ha disposto il trattenimento iniziale. Essa deve altresì poter prendere in considerazione i fatti, le prove e le osservazioni che le vengono eventualmente sottoposti dall’interessato. Inoltre, essa deve poter ricercare, laddove lo ritenga necessario, tutti gli altri elementi rilevanti ai fini della propria decisione. I poteri di cui essa dispone nell’ambito di un controllo non possono, in alcun caso, essere circoscritti ai soli elementi dedotti dall’autorità amministrativa …Come rilevato dall’avvocato generale in considerazione dell’importanza del diritto alla libertà, della gravità dell’ingerenza in detto diritto costituita dal trattenimento di persone per motivi diversi dal perseguimento o dalla repressione di reati e del requisito, evidenziato dalle norme comuni stabilite dal legislatore dell’Unione, di una tutela giurisdizionale di livello elevato che consenta di conformarsi alla necessità imperativa di liberare una tale persona laddove i presupposti di legittimità del trattenimento non siano, o non siano più, soddisfatti, l’autorità giudiziaria competente deve prendere in considerazione tutti gli elementi, in particolare fattuali, portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti nell’ambito di misure procedurali che essa ritenga necessario adottare in base al suo diritto nazionale, e, sulla base degli elementi in parola, rilevare, se del caso, la violazione di un presupposto di legittimità derivante dal diritto dell’Unione, anche qualora una simile violazione non sia stata dedotta dall’interessato. Tale obbligo lascia impregiudicato quello consistente, per l’autorità giudiziaria che è così indotta a rilevare d’ufficio un siffatto presupposto di legittimità, nell’invitare ciascuna delle parti a prendere posizione sul presupposto in parola, in conformità al principio del contraddittorio”. (punti 83.88).
Pertanto, posto che l’intero procedimento di garanzie è stabilito dalle fonti sovranazionali, il giudice comune è tenuto a garantirne l’effettività, anche ai sensi dell’art. 47 della Carta, senza che vengano in gioco sbarramenti o decadenze processuali stabilite dal diritto interno acquisendo di sua iniziativa, se del caso, tutti gli elementi fattuali pertinenti anche attivando le necessarie collaborazioni ed interlocuzioni con organi degli altri paesi interessati, giudiziari o amministrativi.
Si aggiunge con una notevole forza che “non si può, in particolare, ammettere che, negli Stati membri in cui le decisioni di trattenimento sono adottate da un’autorità amministrativa, il sindacato giurisdizionale non comprenda la verifica, da parte dell’autorità giudiziaria, sulla base degli elementi di cui al punto precedente della presente sentenza, del rispetto di un presupposto di legittimità la cui violazione non sia stata sollevata dall’interessato, mentre, negli Stati membri in cui le decisioni di trattenimento devono essere adottate da un’autorità giudiziaria, quest’ultima è tenuta a procedere a una siffatta verifica d’ufficio, in considerazione dei suddetti elementi”.
La sentenza è quindi di notevole rilevanza in via generale perché, attribuendo, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di giustizia, un’importanza cruciale all’art. 47 della Carta (di applicazione diretta) come meta - diritto funzionale a rendere pienamente esigibili tutte le protezioni e tutele di fonte sovranazionale, rende il giudice comune il motore principale dell’attuazione del diritto dell’Unione relativizzando l’importanza di ostacoli processuali interni che possono paralizzare la concretizzazione dell’ordinamento europeo (ed anche una sua uniforme applicazione in ogni stato membro). Il giudice nazionale dovrà, invece, attivarsi anche come regista della verifica giudiziaria della legittimità sostanziale dei provvedimenti di privazione della libertà personale di sua iniziativa come organo di base del sistema di protezione dell’Unione, il che potrà essere replicato in molti altri settori nei quali l’Unione stessa ha previsto con sufficiente precisione procedure e tutele sostanziali a favore dei soggetti coinvolti.
La notevole decisione di novembre ricorda, sotto molti profili, quella adottata l’8 marzo 2022 (sempre nella composizione della Grande Sezione) in materia penale e/o sanzionatoria secondo la quale nei casi ([3]) in cui il diritto dell’Unione prescriva sanzioni penali o amministrative (laddove quest’ultime abbiano un carattere afflittivo comparabile con quello proprio delle sanzioni penali) il giudice ordinario può ridurne ad equità l’entità rapportandola all’entità del fatto commesso ([4]). Con quella sentenza la Corte, nel riaffermare la diretta applicabilità del principio di proporzionalità delle sanzioni, principio generale del diritto dell’Unione e consacrato dalla Carta dei diritti al suo art. 49 comma terzo per quanto riguarda le “pene” (nel titolo dell’art. 49 si richiama la proporzionalità dei reati e delle pene) stabilisce questo effetto in esplicita discontinuità con una precedente (recente) sentenza della Corte di giustizia che, in nome della certezza del diritto, aveva deciso diversamente (Corte di giustizia 4 Ottobre 2018, C-384) negando al giudice nazionale la possibilità di disapplicare (anche parzialmente) la normativa nazionale applicando una sanzione commisurata alla gravità del fatto. Con questa nuova decisione, invece, il giudice comune diventa l’arbitro di una corretta ed equilibrata attuazione del diritto dell’Unione correggendo le legislazioni nazionali ove siano manifestamente inique ed eccessive attraverso una doppia operazione di disapplicazione della norma interna (ad esempio ove preveda minimi edittali troppo alti per modulare la sanzione al fatto effettivamente commesso) e di rideterminazione equitativa delle sanzioni applicabili, con ciò seguendo lo spirito e la lettera dell’art. 49 della Carta dei diritti (che raddoppia la protezione già accordata dalla Convenzione europea, ma con effetti ben più incisivi). Questo meccanismo rende vivente la prospettiva di Stefano Rodotà quanto scriveva (a proposito dei primi casi di utilizzo della Carta dei diritti, ancora prima venisse dichiarata la sua obbligatorietà con il Trattato di Lisbona) che la concretizzazione dei diritti della Carta con il ricorso alla loro attuazione attraverso il giudice comune che si rapporta al Testo di Nizza costruisce e rafforza nel suo sviluppo un legame formidabile a carattere orizzontale tra i cittadini europei che possono riconoscersi in un sistema integrato ed efficace di valori, principi e protezioni individuali e collettive codificato in un Bill of rights dell’Unione che chiude il sistema sovranazionale, così come negli stati nazionali fanno le Costituzioni interne ([5]).
Giuseppe Bronzini
[1] 8 Novembre, C-704 e C-39/21, Staatssegretaris van Justicie en Veiligheid
[2] Le fonti sovranazionali in questione richiamate nelle ordinanze pregiudiziali sono la direttiva 2008/115/CE, la direttiva 2013/33 ed il regolamento n. 604/2013
[3] Il Sole24ore ha calcolato che sono circa 120 le direttive che prescrivono espressamente l’adozione di sanzioni (penali e/o amministrative) “proporzionate”, ma a mio parere quanto disposto dalla sentenza si dovrebbe applicare anche se questa specificazione è stata omessa essendo l’art. 49 della Carta direttamente applicabile sulla base dell’esistenza di un nesso con la normativa dell’Unione
[4] Corte di giustizia, Grande Sezione, 8 marzo 2022, C-205/2020, NE
[5] Cfr. S. Rodotà Nel silenzio della politica i Giudici fanno l’Europa, in (a cura di G. Bronzini, V. Piccone) La Carta e le Corti. I diritti fondamentali nella giurisprudenza europea multilevello, Chimienti, 2007
LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO
29 novembre
Seminario "NEXT GENERATION EU: COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E STATO DI DIRITTO" Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza
“PUTTING EUROPEAN CITIZENSHIP ON THE EU AGENDA TO DEEPEN AND EXPAND” - 7th Edition of the ECIT Annual Conference
Evento “In-between 2.0 event” (European House Budapest)
30 novembre
Foster Europe meeting
Evento “More Than Words: What's Next for the Conference on the Future of Europe?” (European Movement International)
Evento conclusivo progetto “COOPERAZIONE SUD 2030 - I contesti e gli strumenti del dialogo sociale per il protagonismo delle imprese cooperative per lo sviluppo del Mezzogiorno nell’era digitale” (AGCI)
Citizens Take Over Europe meeting
Webinar "Il Brasile di Lula: fra multilateralismo e integrazione regionale" promosso dal Movimento europeo Italia
2-3 dicembre
8th edition of "MED - Rome Mediterranean Dialogues" (ISPI)
IN EVIDENZA
VI SEGNALIAMO
Martedì 29 novembre, Roma, ore 8:30-12:00. Il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza organizza il Seminario dal titolo "NEXT GENERATION EU: COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E STATO DI DIRITTO", che si terrà presso l’aula T1, P.le Aldo Moro, 5. E' previsto, fra gli altri, anche l'intervento del Presidente del Movimento europeo Italia, Prof. Pier Virgilio Dastoli. PROGRAMMA. Per informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Mercoledì 30 novembre, ore 18:30-20:00. Il Movimento europeo promuove il Webinar "Il Brasile di Lula: fra multilateralismo e integrazione regionale" sulle elezioni presidenziali in Brasile nel quadro del rilancio del multilateralismo e di un partenariato politico tra Unione europea e Brasile. Interverranno: On. Brando Benifei, Deputato europeo, membro della Delegazione per le relazioni con la Repubblica federativa del Brasile, Min. Plen. Antonella Cavallari, Segretario Generale dell’Organizzazione Internazionale Italo-Latino Americana (IILA), Fernando A. Iglesias, Presidente World Federalist Movement (TBC), Amb. Michele Valensise, Copresidente Villa Vigoni (Centro italo-tedesco per il dialogo europeo), già Ambasciatore d’Italia in Brasile. Modera e conclude: Prof. Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Movimento europeo. L’incontro, che si svolgerà sulla piattaforma Zoom del Movimento europeo, è realizzato con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea nel quadro del progetto "L'Europa chiama il futuro. PROGRAMMA E ISCRIZIONI. Le registrazioni saranno chiuse alle ore 18:00 di martedì 29 novembre.
Venerdì 2 dicembre, ore 18:00. In diretta streaming sulla pagina Facebook “Storia&Memoria”, sul canale YouTube “Radio Balcani” e sul canale Twitch “Orizzonti Chioggia” si terrà l’incontro online “Le sfide dell’Unione Europea” con la partecipazione di Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo e già direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Durante la diretta online verranno affrontate le principali tematiche con cui la UE è chiamata a confrontarsi: l’ascesa di movimenti euroscettici ed eurocritici, la guerra in Ucraina, la crisi energetica, la capacità di trovare un proprio spazio geopolitico, la questione del Mediterraneo. L’incontro fa parte de “I Dialoghi di Orizzonti”, rassegna promossa da Associazione NordEstSudOvest, Movimento Federalista Europeo Venezia e Ada Venezia. LOCANDINA. (Segui su FB: https://www.facebook.com/storiamemo/ - Segui su YouTube: https://youtube.com/user/RadioBalcaniTV - Segui su Twitch: https://twitch.tv/orizzontichioggia). L'INCONTRO E' STATO RINVIATO AL 12 DICEMBRE.
Lunedì 5 dicembre, Roma, ore 14:00-16:00. NICE - Nobody Ignores The Charter of Europe. Presentazione della mostra fotografica e dei risultati del progetto. Il Movimento Europeo in Italia promuove una mostra fotografica temporanea dal titolo "NICE - Nobody ignores the charter of Europe" sul tema della percezione dei diritti derivanti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea. La mostra è stata realizzata nell'ambito dell'omonimo progetto finanziato dal programma Europe for Citizens dell'Unione europea, in collaborazione con due partner dei paesi Baltici, l'ONG lituana Unique projects e l'ONG lettone Social Innovation Center. PROGRAMMA. La mostra fotografica sarà ospitata presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza (Via Salaria, 113) fino al 13 dicembre.
Lunedì 5 dicembre, ore 17:30-19:30. L'Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale ("Compubblica") e l'associazione Infocivica - Gruppo di Amalfi promuovono la presentazione online del libro di Michele Mezza "Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra" (Donzelli, 2022; https://www.donzelli.it/libro/9788855224116, postscritto di Pierguido Iezzi). PROGRAMMA. L'evento si terrà sulla piattaforma Zoom di Compubblica. Per partecipare e ricevere le credenziali inviare una richiesta aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Martedì 6 dicembre, Roma, ore 16:00-18:30. XII riunione della Piattaforma italiana per la Conferenza sul futuro dell’Europa, creata dal Movimento europeo nel settembre del 2019, dopo la proposta del Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron nella sua lettera ai cittadini europei del 4 marzo 2019 e sostenuta dalla Presidente Ursula von der Leyen. L’incontro si terrà in presenza a Roma presso il nuovo spazio espositivo Esperienza Europa - David Sassoli in Piazza Venezia, 11. Il programma dell'incontro sarà disponibile nei prossimi giorni sul sito del Movimento europeo. Registrazione obbligatoria tramite l’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Sabato 26 novembre ha avuto luogo a Roma la presentazione della sezione giovanile del Movimento europeo in Italia, sotto il titolo "Cosa possono fare i giovani per il futuro dell'Europa?". Leggi il MANIFESTO:
Principi
Impegnarsi attivamente
L'impegno attivo è un principio centrale dello sviluppo giovanile.
Secondo la prospettiva sostenibile dello sviluppo umano, i giovani sono agenti del proprio sviluppo. Più che essere destinatari passivi di influenze esterne, essi sono attivamente coinvolti nel plasmare il loro sviluppo, interagendo con le persone e le opportunità rese disponibili nei loro ambienti.
I giovani hanno il diritto di rappresentare i propri interessi.
L'impegno civico dei giovani è anche di fondamentale importanza per essere cittadini attivi in una democrazia. L'impegno dei giovani è una proposta vantaggiosa per tutti, in quanto: Le organizzazioni traggono vantaggio dal miglioramento dei loro programmi, dal riconoscimento della comunità e dell'attrazione di finanziatori. Le comunità traggono vantaggio dal miglioramento della qualità della vita, dal coordinamento dei servizi per i giovani e dall'accoglienza autentica della diversità rappresentando i giovani.
Coinvolgere i giovani
Attraverso il coinvolgimento dei giovani, le comunità possono fare un lavoro migliore nel creare i servizi, le opportunità e i supporti di cui i giovani hanno bisogno per svilupparsi in modo sano.
Il coinvolgimento dei giovani offre ai leader della comunità la loro esperienza e collaborazione, aiutando gli adulti a comprendere appieno cosa vuol dire crescere in un mondo in rapida evoluzione.
L'ABC DELL'EUROPA DI VENTOTENE PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO
Ventotene, isola di confino - L'ABC dell'Europa di Ventotene
Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, seconda edizione, licenza Creative Commons).
Ventotene, isola di confino, di Piero Graglia
Ventotene, insieme alla piccola isola di Santo Stefano un miglio marino davanti a essa, costituisce il gruppo orientale delle isole Pontine. Da Napoli dista 40 miglia, da Ponza 22. Oggi la via più breve per arrivarvi è il traghetto da Formia, a poco meno di quindici miglia. Durante gli anni del fascismo l’isola di Ventotene venne scientificamente adattata al suo triste ruolo di colonia di confino: nel 1930 essa ospitava confinati comuni, i cosiddetti “coatti”, in locali ricavati nella torre borbonica (il Castello), nella caserma dei Granili – a pochi passi dalla chiesa del paese - e in altri locali di fortuna nel centro dell’abitato. Ancora prima dei coatti, vi aveva trovato sistemazione una compagnia di disciplina dell’esercito.
A proposito dell'ABC dell'Europa di Ventotene, ci fa piacere segnalarvi la presentazione avvenuta lo scorso 25 novembre con Nicola Vallinoto (curatore del volume) Monica Frassoni (presidente European Alliance to Save Energy), prof. Piero Graglia (docente Relazioni Internazionali Università degli Studi di Milano), nell'ambito de "I DIALOGHI DI ORIZZONTI - L’ABC DELL’EUROPA DI VENTOTENE" rassegna promossa dall'Associazione NordEstSudOvest, il Movimento Federalista Europeo Venezia e Ada Venezia.