9 DICEMBRE: NELLA GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA CORRUZIONE …
Il Governo si occupa dell’attuazione in Italia della direttiva UE sulla «protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione».
1. Già tempo fa (luglio 2021) ragionavamo sull’applicazione in Italia di un istituto giuridico di origine anglosassone denominato whistleblowing: esso concerne, come noto, l’attività di chi segnala (anche solo il rischio di) condotte irregolari o illecite, fra le quali statisticamente nella prassi hanno preminenza i fatti di corruzione e di cattiva amministrazione pubblica.
Il 17 dicembre 2021 sono scaduti i termini per il recepimento di una direttiva dell’Unione europea (2019/1937) che stabilisce l’obbligo per gli Stati di predisporre uno statuto di protezione del whistleblower, tanto nell’ambiente pubblico che in quello privato, il quale contribuisca a far emergere condotte suscettibili di determinare violazioni di norme dell’ordinamento europeo.
La scadenza data a tutti i 27 Stati membri per raggiungere dentro il proprio ordinamento i risultati di armonizzazione normativa chiesti dalla direttiva - pur intervenendo al riguardo con forme e mezzi nazionali ritenuti i più idonei a conseguire l’obiettivo voluto da questa - è dunque ormai superata. Per questo la Commissione ha avviato nel mese di gennaio 2022 la procedura per ottenere dall’Italia (e da molti altri Stati membri inadempienti) le informazioni relative allo stato del recepimento della direttiva e, conseguentemente, ha anche emesso (il 15 luglio di questo stesso anno) un parere motivato sul perdurare della situazione di inadempimento italiano, passo che potrebbe condurre ad aprire una procedura in Corte di Giustizia dell’Unione per violazione del diritto europeo.
Si pone dunque oggi in Italia il problema, a carico del nuovo Governo, di dare attuazione a quella direttiva integrandone il recepimento con le già vigenti disposizioni del nostro ordinamento in materia di protezione di colui il quale effettui segnalazioni in relazione a fatti e condotte interne al nostro stesso ordinamento (legge 179/2017).
2. Il Legislatore (art. 13 legge 4 agosto 2022, n. 127) ha già scelto che il Governo - nello specifico il Ministero della giustizia - debba provvedere al recepimento dettando uno statuto unico per ambedue gli ambiti ordinamentali coinvolti (quello nazionale e quello europeo) e, seguendo l’indicazione della direttiva, per ambedue le sfere implicate: sia quella pubblica sia quella privata.
Il 9 dicembre scorso – giornata internazionale contro la corruzione e data di scadenza della delega conferita al Governo con la legge 127/2022 (da esercitare entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge stessa) – il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il PNRR nonché del Ministro della giustizia, ha approvato in esame preliminare lo schema di decreto legislativo, destinato a passare all’esame delle competenti commissioni dei due rami del Parlamento (art. 1.2 legge ult. cit.).
Dunque l’iter di attuazione della direttiva prosegue, seppure con tempi non brevi: sono a disposizione di quest’ultimo tratto di strada 90 giorni perché il Parlamento si pronunci con il proprio parere sui contenuti dello schema di decreto legislativo e il Governo provveda poi a dargli veste definitiva.
3. Cosa nel frattempo succede al whistleblower domestico che volesse segnalare una violazione o un’irregolarità, per esempio nell’uso delle risorse finanziarie conferite dall’Unione europea nel quadro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
Egli dovrebbe anzitutto poter godere della tutela minima stabilita con la direttiva. Ma questa, per l’appunto, non è recepita in Italia!
Ammettiamo comunque che il segnalante utilizzi una norma della direttiva che sia immediatamente applicabile, ovvero che non necessita di alcuna specificazione per poter essere operativa: è ad esempio il caso della segnalazione non tramite i canali interni all’ente di appartenenza, o esterni ad esso, già individuati dalla nostra legge 179/2017, ma mediante i canali social o comunque i mezzi di informazione. La direttiva consente in via eccezionale l’uso di queste modalità, se ricorrono certi presupposti alternativi: che la segnalazione sia già stata fatta tramite i canali istituzionali interni o esterni senza alcun esito; che a giudizio del segnalante ricorra un pericolo imminente o palese rispetto al pubblico interesse, esista un rischio di ritorsioni nei suoi confronti, ovvero siano scarse le prospettive che la segnalazione venga amministrata in modo efficace (magari anche per il rischio di occultamento o distruzione di prove).
Il nostro ordinamento, dunque, dovrebbe fin da ora “subire” la segnalazione: e diciamo “subire” perché, se invece fosse intervenuto un adempimento tempestivo, la legge italiana avrebbe potuto dettare le modalità appropriate (non eccedenti la finalità appropriate propria dell’istituto, per esempio per garantire la continenza verbale del segnalante) per indicare al segnalante un corretto uso di questa via alla segnalazione.
Ma anche le norme della direttiva non direttamente applicabili - che quindi necessitano di una precisazione da parte dell’ordinamento nazionale implicato per dispiegare la propria efficacia - sono capaci di esplicare effetti negli Stati inadempienti che non abbiano ancora provveduto al recepimento. Ricordiamo infatti l’importante punto d’arrivo conseguito con la sentenza della Corte di Giustizia europea Francovich (19.11.1991, nelle cause riunite C-6/90 e 9/90), là dove si dichiara che certamente coloro i quali sono interessati dalla protezione dei diritti stabiliti dalla direttiva (nel caso si trattava di insolvenza del datore di lavoro nei confronti di dipendenti subordinati) non possono far valere tali diritti nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini. Tuttavia lo Stato membro inadempiente è tenuto a risarcire i danni derivanti dalla mancata attuazione della direttiva stessa.
Nel caso nostro - per fare soltanto uno dei tanti esempi che potrebbero essere evocati - oggi si tratta del diritto che la norma europea stabilisce a favore del segnalante di godere di «misure di sostegno» da parte dello Stato membro, sotto forma di accesso «a informazioni e consulenze esaustive e indipendenti, facilmente accessibili al pubblico e a titolo gratuito, sulle procedure e i mezzi di ricorso disponibili in materia di protezione dalle ritorsioni e sui diritti della persona coinvolta» (art. 20.1, lett. a, dir.). La mancanza di queste misure di sostegno può ben determinare un danno al segnalante che, a motivo del mancato recepimento della direttiva, non può goderne utilmente visto che l’attuale disciplina italiana in materia non contempla alcunché al proposito.
4. Si può sperare che le nostre commissioni parlamentari si pronuncino rapidamente, magari anche suggerendo al Governo possibili miglioramenti: l’istituto del whistleblowing avrebbe bisogno di massima valorizzazione, stante la sua funzione anche di “lanceur d’allert” (per impiegare l’efficace espressione utilizzata in Francia per denominare il whistleblower) a fronte di condotte distorsive nell’uso di risorse finanziarie. E siamo in un momento storico in cui le ingentissime risorse pubbliche europee messe a disposizione nell’ambito di NextGenerationEU e dei 27 Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) devono trovare massima protezione. Non è un caso che il regolamento dell’Unione 2020/2092 – nel disporre un regime di condizionalità a protezione del proprio bilancio – disciplini la facoltà delle persone di segnalare alla Commissione europea stessa violazioni del diritto euro-unitario nell’uso delle risorse finanziarie (art. 5.4), persone che saranno protette dalla Commissione stessa sulla base dello statuto stabilito nella “direttiva whistleblowing”.
Milano-Piacenza, 11 dicembre 2022
Nicoletta Parisi e Dino Rinoldi