1. Premessa Il 27 settembre, nel rispetto rigoroso degli impegni presi con l’adozione di un Action Plan per l’implementazione dell’European Social Pillar nel Marzo del 2021, la Commissione europea ha reso pubblica la sua proposta di Raccomandazione del Consiglio “relativa ad un adeguato reddito minimo che garantisca un’inclusione attiva”, che ora verrà esaminata dagli Stati membri in vista della definitiva approvazione ([1]). Prima di riportare il contenuto delle specifiche indicazioni agli stati piuttosto esigenti sul tema dell’effettivo contrasto del rischio di esclusione sociale attraverso quell’istituto di matrice soprattutto europea del reddito minimo garantito (RMG, oggi diritto sociale fondamentale continentale come sancito dall’art. 34 della Carta di Nizza e dagli artt. 30 e 31 della Carta sociale europea) vorremmo contestualizzare l’iniziativa della Commissione. Come già accennato l’Action Plan per l’attuazione dei 20 diritti e principi del Social Pillar prevede uno scadenziario preciso sino al 2026 per un’insieme di iniziative che dovrebbero portare a dare concretezza ed esigibilità all’idea di un’Europa sociale, sia sul fronte lavoristico che su quello della sicurezza sociale, che supporti i suoi cittadini (e i residenti stabili nei territori dell’Unione) garantendo loro le protezioni tipiche del welfare ([2]). Pur essendo la Carta dei diritti completa anche sul lato sociale, l’Unione ha approvato, prima a Göteborg nel 2017 e poi rilanciato con la Dichiarazione di Porto del Giugno 2021, un Social Pillar che riscrive l’elenco dei diritti e dei principi generali riconosciuti dall’Unione in modo più dettagliato ([3]), tenuto conto dell’evoluzione della legislazione sovranazionale e di quella degli Stati membri e della giurisprudenza della Corte di giustizia e delle più alti Corti nazionali in modo da rendere più chiare le sue finalità di lungo periodo. Posto che molti diritti rimangono, soprattutto riguardo l’assistenza e la previdenza, sotto competenza statale l’ambizione della Commissione è stata quella di recuperare, anche riguardo quei settori nei quali gli stati sono rimasti “signori della solidarietà”, una egemonia strategica dell’Unione, la capacità di orientare ed indirizzare le scelte nazionali verso mete comuni, nella ricerca anche di una combinazione tra regolazione sociale ed altri obiettivi strategici perseguiti a livello sovranazionale, tipicamente oggi la digitalizzazione dell’economia e la sostenibilità ambientale (gli altri due pilastri del Recovery Plan insieme all’inclusione sociale). Per questo le iniziative previste nell’Action plan sono giuridicamente eterogenee, direttive o regolamenti ma anche Raccomandazioni o anche solo azioni comuni con gli stati membri.
2. Il reddito minimo garantito e le competenze dell’Unione Nel caso del contrasto del rischio di esclusione sociale l’Europa con la Strategia di Lisbona (che prometteva l’obiettivo della riduzione del 20% del numero di persone a rischio povertà) ha scelto di percorrere la strada dell’originale ed innovativo metodo aperto di coordinamento incentrato sulla scambio di best practises, sul dialogo con la società civile e le parti sociali e sul ruolo degli esperti sensibili al progresso sociale secondo una metodologia che è stata spesso riporta alla filosofia della deliberative democracy ([4]). Su questo fronte la scelta è stata un importante successo portando alla generalizzazione dell’istituto del RMG conosciuto nel Nord Europa già nel dopoguerra ma ostinatamente ignorato da alcuni paesi, soprattutto mediterranei: oggi tutti gli stati conoscono una tutela di ultima istanza. Certo a contribuire alla costruzione di una sorta di tradizione sociale comune è stata la pressione che i meccanismi di controllo macroeconomico esercitato sui member states (attraverso la verifica dei piani nazionali di riforma, da ultimo con il cosidetto semestre europeo) sono riusciti ad esercitare anche su questo fronte indicando nell’estendersi di povertà uno squilibrio intollerabile per la crescita economica e sociale dell’Unione ( con crescente vigore nei confronti dell’Italia, della Grecia e della Spagna a lungo prive di sistemi di tutela della dignità essenziale delle persone). Oggi abbiamo finalmente 27 sistemi di RMG, ma questi garantiscono un reddito “adeguato” come vorrebbe l’art. 14 del Social Pillar consentendo a chi ne usufruisce di condurre una vita dignitosa? La condizionatezza al lavoro (stabilita in tutti i paesi salvo la Svezia nella quale il RMG ha più forti connotati di diritto fondamentale esigibile sulla base del solo bisogno) rispetta le scelte individuali, le attitudine dei singoli e le loro aspettative? Sono domande molto diffuse nella società civile che si occupa del contrasto della povertà, posto che lo schema delle raccomandazioni (la prima del 1992, seguito da un’altra del 2008) rendono alla fine gli stati molto liberi nelle loro opzioni legislative sia dal punto di vista quantitativo (il livello del RMG) che qualitativo ( i servizi assicurati alle persone e il grado di coazione al lavoro o ad altri percorsi di reinserimento) in mancanza di un quadro legislativo preciso e vincolante sulle caratteristiche minime dell’istituto. Per questo, una volta ottenuta la generalizzazione nell’Unione del RMG, le principali O.N.G. coinvolte nelle procedure di dialogo del metodo aperto (come la EAPN, European Anti Poverty Network) hanno richiesto che l’Unione intervenisse non più con gli strumenti della soft law come le Raccomandazioni ( sia pure in questo caso collegate alla sorveglianza macro-economica sugli Stati membri) ma con l’arma di una direttiva([5]). Anche il CESE (Consiglio economico e sociale europeo) nel 2020 ha votato una delibera (con il voto contrario della componente datoriale) in questo senso osservando che solo una direttiva potrebbe garantire ovunque livelli adeguati di protezione e modalità compatibili con la natura di diritto sociale fondamentale della pretesa ad una vita decorosa. La Commissione invece ha proseguito nella vecchia strada individuando come base giuridica per la proposta di cui parliamo in questa sede la lettera J) dell’art. 153 TFUE che autorizza l’Unione ad intervenire nella lotta contro l’esclusione sociale ma non attraverso direttive sui trattamenti minimi.
Forse si tratta di un’occasione persa posto che sembrerebbe (come ritenuto anche dal CESE) applicabile anche la base giuridica costituita dalla lettera h) dell’art. 153 TFUE sull’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro: la norma non parla di integrazione al lavoro che quindi deve intendersi come integrazione sociale (la maggioranza dei percettori di RMG non possono lavorare) e l’esclusione dal mercato, come nel caso dei giovani, può derivare anche dal fatto di non essere mai riusciti (v. i giovani) ad entrarci. Va ricordato che tra le conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa ( CoFoE) vi era la richiesta di un common framework sul RMG, cioè in sostanza dell’adozione di una direttiva con la determinazione di minimi di trattamento inderogabili e di principi uniformi in ordine alla condizionalità al lavoro del sostegno ([6]).
3. Il contenuto della proposta di raccomandazione. In ogni caso il contenuto della raccomandazione è molto chiaro, univoco e coerente con la Carta dei diritti e la Commissione stessa sembra ammettere le difficoltà nel proseguire nella soft law con 27 strade diverse nazionali che peraltro sono in contrasto con la stessa libertà di circolazione dei lavoratori nell’Unione, visto che questi potrebbero avere delle remore nello spostarsi in stati in cui questo tipo di protezione è troppo limitata ([7]). La Commissione afferma con una certa solennità che questa volta non sarà consentito agli stati di ignorare le indicazioni ed insiste moltissimo sui controlli sull’adeguamento alla futura raccomandazione che avverrà in sede di semestre europeo attraverso gli indicatori sociali resi più rilevanti negli ultimi anni, a cominciare dal revised social scoreboard([8]).
Importante l’analisi della situazione sociale europea che evidenza urgenze straordinarie e quanto si sia lontani dall’obiettivo della Strategia 20-30 della riduzione di 15 milioni si soggetti a rischio esclusione sociale. Pochi dati possono comprovare la drammaticità del momento; nel 2021 ben 97 milioni di europei ( una persona su cinque) era a rischio esclusione sociale; per contro i sistemi di protezione sono ancora poco inclusivi o ineffettivi visto che un disoccupato su cinque non può accedervi ( ad es. in molti paesi i migranti ([9])) e che tra il 30% ed il 50% di coloro che avrebbero diritto al sostengo non lo cerca. Troppi giovani sono intrappolati nel circolo vizioso dell’esclusione, le persone assistite non sono motivate a cercare un lavoro decoroso, il livello dei sussidi in molti paesi è platealmente lontano dai parametri internazionali e via dicendo.
Pertanto si raccomanda agli Stati membri di:
- migliorare l'adeguatezza del sostegno al reddito:
- fissare il livello del sostegno al reddito mediante una metodologia trasparente e solida;
- pur salvaguardando gli incentivi al lavoro, garantire che il sostegno al reddito risponda gradualmente una serie di criteri di adeguatezza. Gli Stati membri dovrebbero raggiungere un livello adeguato di sostegno al reddito entro la fine del 2030, preservando nel contempo la sostenibilità delle finanze pubbliche;
- riesaminare annualmente e, se necessario, adeguare il livello del sostegno al reddito;
- migliorare la copertura del reddito minimo e il ricorso allo stesso:
- i criteri di ammissibilità dovrebbero essere trasparenti e non discriminatori; Ad esempio, per promuovere la parità di genere e l'indipendenza economica, in particolare delle donne e dei giovani adulti, gli Stati membri dovrebbero fare in modo che il sostegno al reddito sia erogato per persona, anziché per nucleo familiare, senza necessariamente aumentare il livello complessivo delle prestazioni per famiglia. Sono inoltre necessarie ulteriori misure per garantire il ricorso al reddito minimo da parte delle famiglie monoparentali, formate in prevalenza da donne;
- le procedure di presentazione della domanda dovrebbero essere accessibili, semplificate e corredate di informazioni di facile comprensione;
- la decisione sulla domanda di reddito minimo dovrebbe essere emessa entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, con possibilità di riesame della decisione;
- i regimi di reddito minimo dovrebbero essere in grado di rispondere alle crisi socioeconomiche, ad esempio tramite l'introduzione di una maggiore flessibilità per quanto riguarda l'ammissibilità;
- migliorare l'accesso a mercati del lavoro inclusivi:
- le misure di attivazione dovrebbero fornire incentivi sufficienti a (ri)entrare nel mercato del lavoro, con particolare attenzione al sostegno ai giovani adulti;
- i regimi di reddito minimo dovrebbero aiutare le persone a trovare un lavoro e a mantenerlo, ad esempio attraverso un'istruzione e una formazione inclusive nonché un sostegno (post-collocamento) e di tutoraggio;
- migliorarel'accesso ai servizi abilitanti ed essenziali:
- i beneficiari dovrebbero avere un accesso effettivo a servizi abilitanti di qualità quali l'assistenza (sanitaria), la formazione e l'istruzione. Coloro che ne hanno bisogno dovrebbero disporre di servizi di inclusione sociale come la consulenza e il coaching;
- i beneficiari dovrebbero avere un accesso continuo ed effettivo ai servizi essenziali, come l'energia;
- promuovere un sostegno personalizzato:
- gli Stati membri dovrebbero svolgere una valutazione individuale e multidimensionale delle esigenze per individuare gli ostacoli all'inclusione sociale e/o all'occupazione incontrati dai beneficiari e il sostegno necessario per affrontarli;
- su tale base, entro tre mesi dall'accesso al reddito minimo i beneficiari dovrebbero ricevere un piano di inclusione che definisca obiettivi comuni, un calendario e un pacchetto di sostegno su misura per raggiungere tali obiettivi.
4. Brevi osservazioni di prospettiva Va sottolineato come la raccomandazione indichi in modo preciso l’esigenza di avvicinarsi in un periodo di tempo ragionevole agli standard internazionali (almeno il 60% del reddito mediano da lavoro dipendente) che naturalmente vanno calcolati a seconda dei redditi da lavoro nazionali. Si indica agli stati di rendere le soglie di accesso più flessibili ed i criteri di accesso più razionali in modo da favorire l’inclusività della misura. In secondo luogo la Raccomandazione esce dalla logica della condizionalità all’accettazione di un lavoro qualsiasi indipendentemente dal bagaglio professionale formale ed informale del soggetto e dalle sue aspettative. Una nuova enfasi è posta nella promozione della ricerca di un’attività non solo produttiva di un reddito decoroso ma anche che valorizzi le capabilities individuali ([10]): la raccomandazione insiste sulla necessità di una predisposizione di servizi efficienti di aiuto alla persona, sulla capacità delle istituzioni statali di promuovere davvero l’attività di studio e formazione libera dei soggetti, sull’accesso di tutti ad effettive occasioni di far valere il “ proprio” contributo alla ricchezza ed al benessere collettivo ([11]). Nessuna simpatia per il workfare, per scelte indotte e non condivise; in un passaggio molto saggio si ricorda che quei sistemi che scelgono penalità per chi non accetta un lavoro (che comunque deve avere i parametri prima ricordati) devono dimostrare che questo tipo di opzione è giustificato e che non comprometta la dignità delle persone coinvolte. La semantica dei diritti fondamentali è costantemente seguita nella Proposta che richiama in modo ricorrente le norme della Carta dei diritti, della Carta sociale europea, le pertinenti convenzioni dell’ILO, i documenti emersi nell’ambito del metodo aperto: si tratta, proclama la Commissione, di un diritto sociale fondamentale che oggi svolge un “ruolo chiave” anche in funzione anticiclica e per salvaguardare la coesione sociale nel vecchio continente.
Un punto di particolare rilievo è che il sostegno deve avere carattere individuale senza abbandonare i soggetti alla carità familiare o alla pietà del capofamiglia che lo richiede, principio questo molto poco seguito nell’Unione ove -quasi ovunque- il RMG è erogato su base familiare.
In presenza di indicazioni così forti ed esigenti ci pare difficile che i governi possano deviare dalla linea di rafforzamento delle “tutele della dignità della persona” tracciata dall’Unione (ove il Consiglio ratificasse la proposta) senza essere pesantemente chiamati in causa nelle procedure del semestre europeo.
[1] Per leggere il testo della proposta della Commissione (attualmente disponibile solo in inglese) : Minimum income: more effective support needed to fight poverty and promote employment - Employment, Social Affairs & Inclusion - European Commission (europa.eu). Il comunicato della Commissione è invece disponibile anche in italiano: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_5706
[2] Sull’Action Plan cfr. G. Bronzini Il senso di Ursula per la solidarietà. Verso un welfare paneuropeo?, In Questione Giustizia on line, leggibile a bronzini-il-senso-di-ursula-per-la-solidarieta.pdf (questionegiustizia.it). Sul Pilastro sociale europeo cfr. ( a cura di G. Bronzini) Verso un pilastro sociale europeo, Milano, Key Editore, 2019
[3] Per il reddito minimo garantito ribattezzato adeguate minimum income viene in rilevo l’art. 14 dell’European social Pillar che riprende l’art. 34.3 della Carta dei diritti che recita: “ chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto ad un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare il reddito minimo dovrebbe combinato con incintivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro”.
[4] Rinvio all’ormai “classico” (a cura di M. Barbera) Nuove forme di regolazione: il metodo aperto di coordinamento delle politiche sociali, Milano, Giuffrè2006
[5] La rete europea del Basic income network ha recentemente promosso una ICE (iniziativa dei cittadini europei come prevista dall’art. 11 del TUE) per l’introduzione di un basic income europeo che però non ha raggiunto il milione di firme previsto pur avendo in molti stati raccolto un discreto consenso.
[6] Per le conclusioni della CoFoE: https://futureu.europa.eu/pages/reporting
[7] Per questo già ai tempi della Commissione Delors si era pensato che la base giuridica per una direttiva sul RMG potessero essere le norme sul mercato unico in quanto diretta ad eliminare anche storture nell’esercizio della libertà di circolazione dei lavoratori tra Stati membri.
[8]La proposta della Commissione ricorda che “ The European Semester process of economic and employment policy coordination has highlighted structural challenges related to minimum income schemes and related elements such as social inclusion and labour market activation, with a number of Member States receiving related country specific recommendations. The revised social scoreboard20 tracks performance and trends in the Member States, enabling the Commission to monitor progress in addressing the country-specific recommendations. The 2022 guidelines for the employment policies of the Member States state that social protection systems should ensure adequate minimum income benefits for everyone lacking sufficient resources and promote social inclusion by encouraging people to actively participate in the labour market and society, including through targeted provision of social services. For strengthening analytical work, a benchmarking framework was agreed in the Social Protection Committee and its results have been reflected in the Joint Employment Report, country reports and country-specific recommendations”. Gli stati sono già in sostanza sotto osservazione circa la loro capacità di evitare che si allarghino ed approfondiscano le zone di povertà.
[9] La norma interna che prevede che il RDC, reddito di cittadinanza, possa essere erogata solo a chi ha un permesso per lungo-soggiornanti ed abbia la residenza almeno decennale è già stata sottoposta dal Tribunale di Brescia all’attenzione della Corte di giustizia in quanto norma discriminatoria.
[10] Va ricordato che nel suo Discorso sullo stato dell’Unione la Presidente della Commissione ha lanciato per il 2023 l’anno europeo della formazione insistendo su meccanismi di apprendimento che favoriscano i progetti personali e la creatività delle persone (anche con innovative politiche di transizione verso occupazioni più qualificate) uscendo dalla logica del mero riadattamento produttivo.
[11] Va segnalato che proprio in questi giorni in Germania è entrata in vigore una riforma del RMG (che sembra anticipare il contenuto della Raccomandazione, che incrementa le prestazioni, sposta il focus delle politiche attive sulla formazione e l’apprendimento più che sulla ricerca immediata di una lavoro, riduce le sanzioni per il rifiuto di occasioni di lavoro non ritenute congrue dai beneficiari, apre la tutela anche ai titolari di permesso di lavoro.