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Il “LIBRO VERDE - Scriviamo insieme il futuro dell’Europa. Un progetto, un metodo e un’agenda costituente per la decima legislatura 2024-2029” è finalizzato ad aprire una discussione pubblica per tradursi poi in un “Libro bianco” con proposte ancora puntuali rivolte al nuovo Parlamento europeo ed iniziative di cittadine e di cittadini indirizzate alla nuova Commissione europea nel quadro delle azioni e delle priorità del Movimento Europeo Internazionale.

Esso si iscrive nel quadro del dibattito sul futuro dell’integrazione europea sottoposta alle drammatiche sfide che hanno sconvolto il Continente e i Paesi vicini nel secondo decennio del secolo prendendo come punto di partenza le raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa e le reazioni dalle diverse istituzioni europee insieme alle indicazioni emerse dal dibattito italiano e dalle organizzazioni rappresentative della società civile dopo la fine della Conferenza.

Esso rientra, inoltre, nel quadro di attività di due progetti più ampi mirati a rafforzare il ruolo del Movimento Europeo come catalizzatore della società civile organizzata in Italia per quanto riguarda le loro aspettative rispetto all’UE.

Il primo di tali progetti “Beni pubblici europei per una prosperità condivisa: opportunità e sfide del sistema Italia nella decima legislatura europea” è realizzato con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23 bis del D.P.R. 18/1967.

La seconda iniziativa è la piattaforma di attività “Insieme per l’Europa” promosse dal Movimento Europeo Internazionale con il cofinanziamento dell’Unione europea.

Il Movimento Europeo intende condividere il Libro verde con altre reti della società civile, confrontarsi con ricerche e proposte come quelle del Forum Diseguaglianze Diversità (FDD) nel libro “Quale Europa: capire, discutere, scegliere” e diffonderlo attraverso i nostri centri di coordinamento territoriale e sottoporlo poi alle candidate e ai candidati alle elezioni europee.

Il Libro verde esiste in un formato pocket a stampa ed in un formato e-book e si conclude con una sintesi delle nostre priorità “per un’Europa unita e democratica in un mondo paralizzato da un disordine globale” e con il “Manifesto per le Elezioni Europee 2024 del Movimento Europeo Internazionale”. Un volume secondo (disponibile solo in forma elettronica) riporta diversi testi rilevanti per il dibattito sulle riforme europee tra cui, in particolare, i contributi pervenuti da parte delle organizzazioni facenti parte del Movimento Europeo – Italia

Vai alla versione e-book del “LIBRO VERDE” del Movimento Europeo – Italia   (versione stampata 58 pagine)

Vai al Volume secondo del LIBRO VERDE - ALLEGATI

Versione stampata Editoriale Scientifica  (178 pagine)

 

 

 

 

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ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

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Prove (faticose) di Stato di diritto dopo la decima elezione del Parlamento europeo, mentre si passeggia sull’orlo del vulcano (attivo)

In Italia alle elezioni del Parlamento europeo non ha avuto successo (eufemismo!) la lista intestata agli “Stati Uniti d’Europa”. Probabilmente perché lo “scopo” vantato dagli ideatori non era quello fattuale della federazione europea, da raggiungere il più rapidamente possibile con i Paesi che da subito (o quasi) vi fossero disponibili, ma quello assai limitato di superare la soglia di sbarramento elettorale del 4% per inviare all’Assemblea di Strasburgo qualche rappresentante, magari promotore d’interessi specifici quali la legalizzazione in Italia di coltivazione e commercio della cannabis … E invece occorreva pensare ai poteri costituenti da attribuire al Parlamento europeo, all’assunzione da parte di quest’ultimo di una responsabilità politica insurrezionale-istituzionale, come il Movimento Europeo da tempo in Italia sta auspicando.

E siamo intanto arrivati alle “prove di caos” mondiale. Così scrive l’onnipresente Paolo Mieli in prima pagina del Corriere della Sera del 15 luglio raccontandocela lunga, benché non sia detto che la sappia lunga, su Russia, Cina e Iran cui “conviene che gli Stati Uniti [al tempo fra l’altro dell’attentato a Trump] precipitino in una sorta di guerra civile”. E sempre la guerra, quella in atto (fra “Sud globale e Occidente liberale”?), ci racconta ad esempio della tecnica del “doppio colpo” con cui i russi in Ucraina uccidono mediante un secondo successivo missile anche chi soccorre i feriti di un primo lancio (v. Lorenzo Cremonesi a p. 17 dello stesso numero del Corriere), non escludendo ospedali, cliniche, ambulatori, farmacie, Croce rossa, Mezzaluna rossa, … Il che ricorda vicende tragiche di altri contesti bellici, anche mediterranei. Il che pure sottolinea l’insostenibile leggerezza del diritto internazionale, in specie quello che regola i conflitti armati, da tutti citato e chiamato a modello di riferimento … teorico perché crudamente smentito dalla realtà dei fatti. Forse si dovrebbe prestare attenzione proprio alla qualifica di internazionale (inter nationes) di un diritto che avrebbe piuttosto subito bisogno di un’evoluzione della storia in senso anzitutto sovrannazionale, ma infine a cancellare tanto nazionalismi quanto nazionalità!

Gli Stati disuniti d’Europa, alla prova della storia e dei tempi che si sono oramai fatti stretti (San Paolo, Prima lettera ai Corinti, 7.29) sono fra l’altro di fronte alla determinazione degli incarichi direttivi di vertice (i cosiddetti “Top Jobs”) in talune delle 7 istituzioni (gli organi principali: v. art. 13 del Trattato sull’Unione europea-TUE) che mi piace ancora definire “comunitarie” per quanto l’unica “Comunità” formalmente sopravvissuta sia la CEEA. Dove  la Comunità Europea dell’Energia Atomica prodotta a fini pacifici apre per assonanza  l’altro drammatico squarcio o baratro odierno circa l’uso possibile, tattico o strategico, dell’arma nucleare: se troppo si guarda nell’abisso finisce con l’abisso che guarda dentro di te (F. Nietzsche), cosicché il tempo sia compiuto (Marco, 1.15).

E gli Stati disuniti nemmeno si son troppo preoccupati, nell’UE, della battaglia per la promozione dei valori dello Stato di diritto (art. 2 TUE), su cui ci aggiorna l’editoriale (Tanto tuonò che piovve. Viktor Orbàn, i suoi 12 ministri e la cooperazione leale) di Pier Virgilio Dastoli in questa Newsletter. Soddisfatti della petizione di principio (peraltro non accettata da tutti i Paesi membri) evocata dal motto secondo cui l’UE è “Unita nella diversità” (dichiarazione n. 52 annessa ai Trattati istitutivi) non hanno dedicato attenzione a quanto almeno dal 2023 si paventava circa l’assunzione da parte dell’Ungheria di Orbàn Viktor (dal primo luglio 2024) della Presidenza del Consiglio (dei Ministri) dell’UE stessa (v. la Newsletter del 17 giugno 2024, Il “caso Ungheria” nell’Unione europea: ora si pone la questione della Presidenza del Consiglio). La diversità accentuata di tale governo - vorrei dire: la sua divaricazione - rispetto a quei valori, che sono la base politico-sociale inaggirabile dell’UE, non consente di ricondurla all’ unità pretesa dal motto. E i mezzi giuridici per la revoca ci sono e già son stati menzionati nella Newsletter rammentata e soprattutto nel contributo di P.V. Dastoli e E. De Capitani in Verfassungsblog on matters constitutional del 17 giugno 2024.

Persino Charles Michel, ancora Presidente in carica del Consiglio europeo, si è doluto del protagonismo multipolare orbaniano (con Ucraina, Federazione russa, Cina, ecc.) volto ad escludere previe intese appunto “comunitarie”, non avendone mandato alcuno (come affermato da Michel). Esclusioni troppo significative anche per chi non aveva mosso ciglio nell’episodio del “sofà turco”, allorché Michel da Presidente del Consiglio europeo si trovava nell’aprile 2021 in visita in Turchia, dal Presidente della Repubblica Erdogan, in compagnia della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen cui era stato riservato un posto a sedere su un divano laterale rispetto alle due poltrone, centrali, affidate all’importante seduta dei due uomini.

Buona osservazione, verrebbe da dire a Charles Michel: “Michel, mon bel, sont les mots qui vont très bien ensemble” … almeno stavolta e con buona pace della celebre canzone (un po' modificata) dei Beatles.

In tema di verifica del rispetto dei principi dello Stato di diritto proprio la Commissione europea (persino la Commissione europea!) si dedica a giochi politici, ritardando la presentazione del proprio rapporto annuale in materia, originariamente prevista per l’8 luglio 2024 e rimandata al 24 del mese, onde non comunicare ufficialmente certe criticità al riguardo da parte dello Stato italiano quanto a libertà d’espressione e attività dei media. Motivo?  Non scontentare Meloni prima della votazione (giovedì 18 luglio) in Parlamento europeo sulla presidenza della nuova Commissione europea con l’eventuale riconferma di von der Leyen.

Insomma, non resta che affidarsi alla fantascienza per promuovere ancora certi ideali, sperando che un grande autore di fantascienza come Isaac Asimov anticipi, come sovente accade, la realtà: “Gli ideali in cui credo sono pace, libertà e sicurezza per tutti. Lo Stato-nazione è obsoleto: abbiamo bisogno di un governo mondiale federale” (v. F. Marino, Come Isaac Asimov aveva previsto il 2019 e il futuro della tecnologia, Techprincess, 2 gennaio 2019, on line).

Dino G. Rinoldi

 

 

 

 

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Tanto tuonò che piovve

Viktor Orban, i suoi dodici ministri e la cooperazione leale

Come fu deciso nel 2009, il governo ungherese di Viktor Orban ha assunto dal 1° luglio al 31 dicembre 2024 - per la seconda volta nella storia dell’Ungheria come paese membro dell’UE - la presidenza del Consiglio dell’Unione europea chiudendo così il trio Spagna-Belgio-Ungheria in un semestre di transizione istituzionale.

Viktor Orban è stato primo ministro dal 1998 al 2002 e poi, ininterrottamente, dal 2010 essendo stato rieletto per tre volte ed essendo così oggi il primo ministro più longevo fra i Ventisette.

Il suo partito Fidesz è passato sotto la sua guida da posizioni liberali e popolari a posizioni euroscettiche e di negazione dei valori comuni dell’Unione europea, sostenuto soprattutto nelle campagne dalla maggioranza degli ungheresi – come avviene del resto alla grande maggioranza dei partiti populisti di estrema destra in Europa – ma contestato nelle grandi città come Budapest mantenendo finora la maggioranza assoluta nel Parlamento nazionale.

Per le sue posizioni contrarie ai valori comuni dell’Unione europea il partito Fidesz è stato sospeso nel marzo 2019 dal Partito Popolare Europeo a cui aveva aderito fin dalla sua nascita e ne è uscito nel marzo 2021 quando il PPE ha cambiato il suo statuto rafforzando l’impegno al rispetto dello stato di diritto.

Come sappiamo, dopo le recenti elezioni europee il partito Fidesz ha promosso la costituzione al Parlamento europeo di un nuovo gruppo di “Patrioti” che ha sostituito l’8 luglio quello di Identità e Democrazia e che ha riunito quasi molti partiti euro-ostili di estrema destra con l’eccezione dell’AFD avendo come obiettivo la difesa delle nazioni, le radici giudaico-cristiane, la lotta all’immigrazione e la cancellazione del Patto Verde Europeo diventando il terzo gruppo parlamentare dopo i popolari e i socialisti e prima dei Conservatori e dei Liberali.

Nel 2018, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione “legislativa” in cui ha chiesto al Consiglio di applicare l’art. 7.1 del Trattato sull’Unione europea dove è scritto che – su proposta dello stesso PE, di un terzo degli Stati membri o della Commissione – il Consiglio può constatare alla maggioranza dei 4/5 dei suoi membri che “esiste un rischio chiaro di violazione da parte di uno Stato membro dei valori comuni definiti all’art. 2” dello stesso Trattato.

Nonostante i pareri motivati della Commissione europea e le conseguenti sentenze della Corte di Giustizia, le reiterate denunce del Parlamento europeo e la sospensione delle sovvenzioni all’Ungheria per la constatata violazione dello stato di diritto, il Consiglio non è stato finora in grado di riunire la maggioranza dei 4/5 (e cioè nessuna delle dodici presidenze del Consiglio dell’Unione europea dal 2018 ad oggi ha posto la questione all’o.d.g.) per constatare il rischio grave della violazione dei valori definiti nell’art. 2, il che avrebbe aperto la strada ad una decisione all’unanimità del Consiglio europeo per constatare l’esistenza della violazione e poi del Consiglio di sospendere a maggioranza qualificata il diritto di voto nello stesso Consiglio e nel Consiglio europeo del governo ungherese.

Certo, ci sono state in tutti questi anni dichiarazioni di questo o quel ministro nazionale o della Commissione (dixi et salvavi animam meam) per sostenere l’idea che era venuto il momento di mettere fine alla protervia orbaniana, resa più insopportabile da continui atti di ostilità politica ed istituzionale, applicando integralmente l’art. 7 ma nulla è avvenuto lasciando al governo ungherese un grottesco “diritto all’immunità europea”.

Fondandoci su due risoluzioni del Parlamento europea che sollevavano dei dubbi motivati sulla capacità del governo ungherese di presiedere il Consiglio dell’Unione europea dal 1° luglio 2024, abbiamo lanciato in tempo utile e nello scorso maggio (LINK) un appello al Presidente del Consiglio europeo e al Presidente di turno belga del Consiglio dell’UE informando contemporaneamente la Presidente della Commissione, la Presidente del PE e il Presidente della Corte per chiedere - nel rispetto delle procedure previste dal Trattato e motivandolo con evidenti ragioni giuridiche - di modificare l’ordine delle presidenze deciso nel 2009 o prolungando la presidenza belga o anticipando la presidenza polacca.

Alcuni ci hanno risposto “in punta di diritto” pur mostrando empatia per il nostro allarme, altri come il ministro Tajani ci hanno bacchettato dicendo che confondevamo la politica con le istituzioni e l’ineffabile Charles Michel ci ha invitato a rileggere l’art. 16.9 TUE (LINK) dimenticando di leggere non solo l’art. 236 TFUE ma di interpretare il Trattato e di applicare al governo ungherese le regole interne del funzionamento del Consiglio e del Consiglio europeo.

Siamo, del resto, ancora in paziente attesa del rapporto che la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affidato alla penna del suo vicepresidente Sefcovic in risposta al nostro appello (LINK).

Tanto tuonò che piovve!

Dopo il 1° luglio e legittimato a suo dire dalle insegne della presidenza del Consiglio dell’Unione europea e dal motto trumpiano “make Europe great again”, Viktor Orban è salito su un volo di Stato (pagato da chi?) e ha iniziato a girare per il mondo fra Kiev, Mosca, Pechino e Washington per “contribuire alla pace universale” dimenticandosi di informare preliminarmente Charles Michel, Ursula von der Leyen e Josep Borrell della sua missione internazionale nel pieno disprezzo della cooperazione leale fra istituzioni, un principio che appare anche nell’incipit del sito della presidenza di turno del Consiglio UE.

Alla vigilia del 1° luglio, il Consiglio ha organizzato il 25 giugno una inutile e grottesca audizione del governo ungherese pregando chi lo rappresentava di stare attento “in punta di diritto” al rispetto delle regole e il rappresentante ungherese ha assicurato i suoi colleghi che a Budapest avrebbero tenuto conto delle osservazioni del Consiglio.

Invitata dal Consiglio europeo il 27 giugno, la Presidente del PE Roberta Metsola si è dimenticata – nella confusione della transizione istituzionale e concentrandosi sulla sua rielezione il 16 luglio – di ricordare ai Capi di Stato e di governo le risoluzioni del PE sulla incapacità ungherese di presiedere il Consiglio dell’UE e il rapporto del 22 novembre  2023 in cui si chiede una revisione del Trattato di Lisbona, fra cui l’art 7 TUE.

Finalmente e adontati dai viaggi internazionali di Viktor Orban, Charles Michel, Josep Borrell e ben 25 rappresentanti permanenti – incoraggiati da un parere motivato del Servizio Giuridico del Consiglio – hanno detto in coro “ohibò” e il Coreper II ha iscritto all’o.d.g. (fra “eventuali e varie”, per evitare di dover decidere) del 9 luglio, ma a presidenza ungherese iniziata, la “missione di pace” avviata da Viktor Orban.

Il rappresentante ungherese ha cercato di sdrammatizzare - così come i direttori dell’integrazione europea dei 27 avevano cercato di sdrammatizzare in contemporanea la questione riuniti a Budapest - sostenendo che i viaggi di Viktor Orban non impegnavano la presidenza del Consiglio dell’UE e che si trattava di incontri bilaterali.

I venticinque ambasciatori, pur professionalmente compassati, hanno tenuto il punto e hanno detto: “così non si fa e ciò non deve più avvenire”.

In punta di diritto” sembra che non si possa più tornare indietro e che, se si togliesse la poltrona della presidenza da sotto le terga di Viktor Orban, sarebbe violato il principio del sistema di uguale rotazione fissato dall’art. 16.9 a cui tiene molto l’ineffabile Charles Michel.

Dovremmo dunque adeguarci “in punta di diritto” non mancando tuttavia di ricordare che avevamo avvisato i naviganti europei fin dal mese di maggio che un temporale inter-istituzionale era in arrivo.

Ci permettiamo ora di attirare l’attenzione delle istituzioni europee sugli oltre trecento eventi programmati dalla presidenza ungherese verificando attentamente quali di questi eventi rientrano nelle sue competenze e quali fanno invece parte dei poteri di altre istituzioni: nel rispetto della cooperazione leale (LINK al programma).

Montpellier, 12 luglio 2024
coccodrillo

 

  

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare per la nuova legislatura europea.

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