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ARTICOLO 7 DEL TRATTATO DI LISBONA SULLO STATO DI DIRITTO CARTELLINO ROSSO PER VIKTOR ORBAN?
Il “progetto di Trattato sull’Unione europea” del 14 febbraio 1984 (“progetto Spinelli”) era fondato sull’idea che fosse necessario rilanciare l’opera di unificazione democratica dell’Europa e che, per ottenere quest’obiettivo, fosse indispensabile fondare la futura unione sui principi della democrazia pluralista, del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, dunque del primato del diritto europeo su quello degli Stati membri.
Fra le maggiori innovazioni del “progetto Spinelli” vi era l’affermazione secondo cui si poteva diventare membri dell’Unione europea solo a condizione di rispettare questi principi e questi valori ma che, se uno Stato membro li avesse violati, la Corte di Giustizia avrebbe potuto constatarne l’estraneità alla vita democratica dell’Unione europea consentendo al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo con una decisione a maggioranza qualificata e dopo l’accordo del Parlamento europeo - di emarginarlo dal funzionamento delle istituzioni evitando così che un regime illiberale potesse paralizzare il funzionamento del sistema europeo per proteggere l’illegittimità della sua sola sovranità assoluta.
Dopo la vicenda della formazione in Austria del governo sostenuto dal partito neo-fascista guidato da JoergHaider nel 1999, i governi europei hanno cercato di correre ai ripari introducendo nei trattati e a modifica del Trattato di Amsterdam una norma di natura costituzionale simile a quella suggerita dal “progetto Spinelli” allo scopo non solo di condannare le violazioni ma di prevenirle affidando tuttavia il potere di intervento alla decisione arbitraria e per di più all’unanimità del Consiglio europeo escludendo sorprendentemente l’intervento della Corte di Giustizia e auto-attribuendosi il diritto di “non-decidere” alla unanimità.
Il meccanismo intergovernativo confermato dal Trattato di Lisbona è rimasto inapplicato consentendo alla Polonia e all’Ungheria di collocarsi progressivamente in una situazione di estraneità rispetto alla vita democratica dell’Unione europea e creando un inaccettabile stato discriminatorio fra i cittadini europei all’interno e all’esterno di quei paesi.
L’estraneità della Polonia di Jaroslaw Kaczynski e di Mateusz Morawiecki dalla vita democratica dell’Unione europea continua a nostro avviso a permanere nonostante le modifiche-fantoccio introdotte dal Parlamento polacco alla riforma della giustizia che lasciano inalterato il controllo del governo sui giudici, una pseudo riforma che la Commissione europea si appresta ad approvare la concessione dei fondi del NGEU – se il Parlamento europeo non confermerà la sua posizione ferma a difesa dello stato di diritto – sulla base di un’interpretazione inaccettabile della Realpolitik di fronte alla guerra in Ucraina.
L’ostruzionismo putiniano di Viktor Orban sulla questione delle sanzioni contro la Russia ed i suoi autocrati - considerate uno strumento collettivo per minarne alla base l’economia e ridurre dunque la sua capacità militare aggressiva - si è invece aggiunto alle ripetute violazioni dello stato di diritto in Ungheria denunciate dal Parlamento europeo, dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione europea oltre che da un’ampia rete della società civile.
Chi ci segue, sa che - come Movimento europeo – ci siamo ripetutamente rivolti alle istituzioni europee usando prima lo strumento della iniziativa dei cittadini europei (ICE) e poi della petizione per dotare l’Unione europea di forti strumenti per prevenire e reprimere le violazioni dello stato di diritto ma, ciononostante, l’estraneità del regime di Viktor Orban (e del suo partito Fidesz) dal sistema europeo è andata crescendo ed ha raggiunto ora un punto di non-ritorno dopo l’aggressione di Vladimir Putin all’integrità territoriale e all’inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina insieme alla proclamata ed iniziale volontà di ingerenza nel sistema politico a Kiev.
Per proteggere gli interessi dell’Unione europea nel suo insieme che riguardano nello stesso tempo la sua autonomia strategica, la sua progressiva indipendenza energetica, la sua capacità di svolgere un ruolo di attore internazionale unitario e attivo sul continente europeo, il rispetto delle regole europee e la protezione dei suoi interessi finanziari, è arrivato il momento di estrarre finalmente il cartellino rosso dell’art. 7 del Trattato di Lisbona contro il governo ungherese denunciando la sua estraneità dal sistema europeo e sospendendo tutti i diritti del governo ungherese che derivano dall’applicazione dei trattati – ivi compresi quelli finanziari – e il diritto di voto di quel governo nel COREPER, nel Consiglio e nel Consiglio europeo annullando così l’effetto paralizzante del diritto di veto in tutte le materie in cui il Trattato prevede nel Consiglio europeo e nel Consiglio dell’Unione il voto all’unanimità - con particolare riferimento all’art. 31.1 TUE che è stato applicato nel caso delle sanzioni - in cui Viktor Orban ha fatto uso con illecita arroganza del potere di interdizione che gli è stato consentito dalla prevalente dimensione confederale del Trattato di Lisbona.
Sarebbe stato certo possibile per il Consiglio decidere sulla base dell’art. 31.2 TUE a maggioranza qualificata sulle sanzioni – applicando un accordo raggiunto tuttavia all’unanimità nel Consiglio europeo – per difendere gli interessi e gli obiettivi strategici dell’Unione europea ma il Consiglio europeo si è guardato bene di rivolgere questa domanda al Consiglio avocando a sé un potere di decisione legislativo che il Trattato di Lisbona non gli attribuisce e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza Josep Borrell ha pilatescamente evitato di ricordare al Consiglio europeo e al Consiglio che avrebbero potuto percorrere questa legittima strada.
Vale la pena di ricordare il principio – costituzionalmente vincolante - della cooperazione leale (art. 4 TUE) che fu iscritto nei trattati di Roma a richiesta del governo tedesco come richiamo alla prospettiva federale dell’integrazione europea e che obbliga tutti gli Stati membri ad astenersi da ogni azione suscettibile di mettere in pericolo gli obiettivi dell’Unione europea fra i quali il contributo “alla pace, alla sicurezza…alla solidarietà e al mutuo rispetto fra i popoli…alla protezione dei diritti dell’uomo in particolare quello dell’infanzia così come allo stretto rispetto e allo sviluppo del diritto internazionale in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite” (art. 3 TUE).
L’applicazione – hic et nunc – dell’art- 7 di questo Trattato e l’uso del cartellino rosso consentirebbero di uscire immediatamente dalla troppo lunga impasse sul contenuto delle sanzioni – una impasse che rafforza la protervia di Vladimir Putin e rende inconsistente l’azione geopolitica dell’Unione europea – e segnalare al regime ungherese e ai cittadini ungheresi, che hanno a maggioranza confermato il governo in carica nelle elezioni del 3 aprile, che la chiusura nel recinto di una sovranità assoluta ed il loro isolamento sono contrari agli interessi del paese e che la sospensione dei suoi diritti può creare danni profondi all’economia e agli equilibri sociali della società magiara rigettandola ai margini di una storia di trenta anni di progresso, di solidarietà e di pace.
È per noi evidente che l’esperienza che stiamo vivendo drammaticamente dal 24 febbraio e le esperienze vissute in questi primi due decenni del ventunesimo secolo rendono necessario e urgente il superamento del Trattato di Lisbona sulla via di un’unità politica indispensabile premessa per l’adesione di nuovi Stati pronti a partecipare ad un progetto di sovranità condivisa, al superamento della divisione del continente in stati-nazione e allo stretto rispetto dello stato di diritto e del primato del diritto europeo (che dovrà essere inserito nel nuovo trattato uscendo dal limbo di una “dichiarazione non vincolante”) che riguarda tutti gli Stati membri dell’Unione europea, nessuno escluso.
Per questa ragione ribadiamo la necessità e l’urgenza di una mobilitazione popolare a sostegno dell’avvio, in vista delle elezioni europee nella primavera del 2024, di una fase costituente per un’Europa unita, democratica e solidale.
La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sul futuro dell’Europa.
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L'EDITORIALE
ARTICOLO 7 DEL TRATTATO DI LISBONA SULLO STATO DI DIRITTO CARTELLINO ROSSO PER VIKTOR ORBAN?
Il “progetto di Trattato sull’Unione europea” del 14 febbraio 1984 (“progetto Spinelli”) era fondato sull’idea che fosse necessario rilanciare l’opera di unificazione democratica dell’Europa e che, per ottenere quest’obiettivo, fosse indispensabile fondare la futura unione sui principi della democrazia pluralista, del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, dunque del primato del diritto europeo su quello degli Stati membri.
Fra le maggiori innovazioni del “progetto Spinelli” vi era l’affermazione secondo cui si poteva diventare membri dell’Unione europea solo a condizione di rispettare questi principi e questi valori ma che, se uno Stato membro li avesse violati, la Corte di Giustizia avrebbe potuto constatarne l’estraneità alla vita democratica dell’Unione europea consentendo al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo con una decisione a maggioranza qualificata e dopo l’accordo del Parlamento europeo - di emarginarlo dal funzionamento delle istituzioni evitando così che un regime illiberale potesse paralizzare il funzionamento del sistema europeo per proteggere l’illegittimità della sua sola sovranità assoluta.
Dopo la vicenda della formazione in Austria del governo sostenuto dal partito neo-fascista guidato da JoergHaider nel 1999, i governi europei hanno cercato di correre ai ripari introducendo nei trattati e a modifica del Trattato di Amsterdam una norma di natura costituzionale simile a quella suggerita dal “progetto Spinelli” allo scopo non solo di condannare le violazioni ma di prevenirle affidando tuttavia il potere di intervento alla decisione arbitraria e per di più all’unanimità del Consiglio europeo escludendo sorprendentemente l’intervento della Corte di Giustizia e auto-attribuendosi il diritto di “non-decidere” alla unanimità.
Il meccanismo intergovernativo confermato dal Trattato di Lisbona è rimasto inapplicato consentendo alla Polonia e all’Ungheria di collocarsi progressivamente in una situazione di estraneità rispetto alla vita democratica dell’Unione europea e creando un inaccettabile stato discriminatorio fra i cittadini europei all’interno e all’esterno di quei paesi.
L’estraneità della Polonia di Jaroslaw Kaczynski e di Mateusz Morawiecki dalla vita democratica dell’Unione europea continua a nostro avviso a permanere nonostante le modifiche-fantoccio introdotte dal Parlamento polacco alla riforma della giustizia che lasciano inalterato il controllo del governo sui giudici, una pseudo riforma che la Commissione europea si appresta ad approvare la concessione dei fondi del NGEU – se il Parlamento europeo non confermerà la sua posizione ferma a difesa dello stato di diritto – sulla base di un’interpretazione inaccettabile della Realpolitik di fronte alla guerra in Ucraina.
L’ostruzionismo putiniano di Viktor Orban sulla questione delle sanzioni contro la Russia ed i suoi autocrati - considerate uno strumento collettivo per minarne alla base l’economia e ridurre dunque la sua capacità militare aggressiva - si è invece aggiunto alle ripetute violazioni dello stato di diritto in Ungheria denunciate dal Parlamento europeo, dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione europea oltre che da un’ampia rete della società civile.
Chi ci segue, sa che - come Movimento europeo – ci siamo ripetutamente rivolti alle istituzioni europee usando prima lo strumento della iniziativa dei cittadini europei (ICE) e poi della petizione per dotare l’Unione europea di forti strumenti per prevenire e reprimere le violazioni dello stato di diritto ma, ciononostante, l’estraneità del regime di Viktor Orban (e del suo partito Fidesz) dal sistema europeo è andata crescendo ed ha raggiunto ora un punto di non-ritorno dopo l’aggressione di Vladimir Putin all’integrità territoriale e all’inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina insieme alla proclamata ed iniziale volontà di ingerenza nel sistema politico a Kiev.
Per proteggere gli interessi dell’Unione europea nel suo insieme che riguardano nello stesso tempo la sua autonomia strategica, la sua progressiva indipendenza energetica, la sua capacità di svolgere un ruolo di attore internazionale unitario e attivo sul continente europeo, il rispetto delle regole europee e la protezione dei suoi interessi finanziari, è arrivato il momento di estrarre finalmente il cartellino rosso dell’art. 7 del Trattato di Lisbona contro il governo ungherese denunciando la sua estraneità dal sistema europeo e sospendendo tutti i diritti del governo ungherese che derivano dall’applicazione dei trattati – ivi compresi quelli finanziari – e il diritto di voto di quel governo nel COREPER, nel Consiglio e nel Consiglio europeo annullando così l’effetto paralizzante del diritto di veto in tutte le materie in cui il Trattato prevede nel Consiglio europeo e nel Consiglio dell’Unione il voto all’unanimità - con particolare riferimento all’art. 31.1 TUE che è stato applicato nel caso delle sanzioni - in cui Viktor Orban ha fatto uso con illecita arroganza del potere di interdizione che gli è stato consentito dalla prevalente dimensione confederale del Trattato di Lisbona.
Sarebbe stato certo possibile per il Consiglio decidere sulla base dell’art. 31.2 TUE a maggioranza qualificata sulle sanzioni – applicando un accordo raggiunto tuttavia all’unanimità nel Consiglio europeo – per difendere gli interessi e gli obiettivi strategici dell’Unione europea ma il Consiglio europeo si è guardato bene di rivolgere questa domanda al Consiglio avocando a sé un potere di decisione legislativo che il Trattato di Lisbona non gli attribuisce e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza Josep Borrell ha pilatescamente evitato di ricordare al Consiglio europeo e al Consiglio che avrebbero potuto percorrere questa legittima strada.
Vale la pena di ricordare il principio – costituzionalmente vincolante - della cooperazione leale (art. 4 TUE) che fu iscritto nei trattati di Roma a richiesta del governo tedesco come richiamo alla prospettiva federale dell’integrazione europea e che obbliga tutti gli Stati membri ad astenersi da ogni azione suscettibile di mettere in pericolo gli obiettivi dell’Unione europea fra i quali il contributo “alla pace, alla sicurezza…alla solidarietà e al mutuo rispetto fra i popoli…alla protezione dei diritti dell’uomo in particolare quello dell’infanzia così come allo stretto rispetto e allo sviluppo del diritto internazionale in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite” (art. 3 TUE).
L’applicazione – hic et nunc – dell’art- 7 di questo Trattato e l’uso del cartellino rosso consentirebbero di uscire immediatamente dalla troppo lunga impasse sul contenuto delle sanzioni – una impasse che rafforza la protervia di Vladimir Putin e rende inconsistente l’azione geopolitica dell’Unione europea – e segnalare al regime ungherese e ai cittadini ungheresi, che hanno a maggioranza confermato il governo in carica nelle elezioni del 3 aprile, che la chiusura nel recinto di una sovranità assoluta ed il loro isolamento sono contrari agli interessi del paese e che la sospensione dei suoi diritti può creare danni profondi all’economia e agli equilibri sociali della società magiara rigettandola ai margini di una storia di trenta anni di progresso, di solidarietà e di pace.
È per noi evidente che l’esperienza che stiamo vivendo drammaticamente dal 24 febbraio e le esperienze vissute in questi primi due decenni del ventunesimo secolo rendono necessario e urgente il superamento del Trattato di Lisbona sulla via di un’unità politica indispensabile premessa per l’adesione di nuovi Stati pronti a partecipare ad un progetto di sovranità condivisa, al superamento della divisione del continente in stati-nazione e allo stretto rispetto dello stato di diritto e del primato del diritto europeo (che dovrà essere inserito nel nuovo trattato uscendo dal limbo di una “dichiarazione non vincolante”) che riguarda tutti gli Stati membri dell’Unione europea, nessuno escluso.
Per questa ragione ribadiamo la necessità e l’urgenza di una mobilitazione popolare a sostegno dell’avvio, in vista delle elezioni europee nella primavera del 2024, di una fase costituente per un’Europa unita, democratica e solidale.
Roma-Bruxelles, 6 giugno 2022
ULTIME DA BRUXELLES
PROVE DI UNITÀ
Il Consiglio europeo straordinario dello scorso 30 e 31 maggio ha avuto come obiettivo quello di dare una risposta unitaria ai tre temi che maggiormente preoccupano i paesi e cioè: la crisi degli approvvigionamenti energetici, la sicurezza alimentare, la difesa e la sicurezza europea.
Gli impatti di queste tre politiche, tra loro strettamente collegate, sono tutti riconducibili all’andamento del conflitto Ucraino-Russo e alla risposta che anche l’Unione saprà dare per arginare le conseguenze che lo stesso potrebbe ulteriormente provocare nel tempo, oltre alla già innescata crisi economica-finanziaria, e cioè una vera e propria crisi alimentare ed umanitaria globale.
Al di là delle ragioni, o dei principi alla base di questo conflitto, di cui da oltre 100 giorni si discute ampiamente sui diversi media, ufficiali e non, che non sono argomento di analisi in questa sede, è opinione diffusa che le decisioni prese dovrebbero essere tali da incidere sui tempi di durata della guerra, spingendo la parte colpita dalle sanzioni - entro breve tempo - ad adire ad un serio tavolo negoziale per la pace.
A prima vista sembra piuttosto palese per quanto riguarda i tempi di attuazione concordati, che le sanzioni non verranno messe in pratica a breve. Troppi infatti sono i vincoli di governance, decisionali, economici, finanziari, di opportunità politica , in cui tutto il mondo e in particolare l’Unione Europea, sembra essersi imbrigliato nel corso del tempo, in nome di una voluta a-tutti-i-costi globalizzazione economica, di un relativo abbattimento dei costi di produzione (in particolare quelli dei prodotti energetici ed alimentari), nella speranza che grazie a questa apertura e globalizzazione dell’economia certi pericoli di guerra potessero essere esorcizzati almeno in Europa. Tutto questo in mancanza di un piano ‘B’, vale a dire di una visione che privilegiasse l’autonomia strategica dell’Unione a garanzia della sua resilienza e di un suo ruolo autonomo a livello internazionale. Ecco, dunque, che proprio quei settori, considerati per eccellenza strategici, in quanto essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’Unione, non hanno avuto la dovuta attenzione, condizionando oggi quelle scelte a sostegno del rispetto dei diritti umani. Gli accordi commerciali e modelli di vita esportati verso mercati sempre più ampi, non sono risultati in grado di poter frenare o eliminare vecchi asti tra popoli o paesi, che sembravano finalmente assopiti, grazie a false idee di possibili prosperità da realizzare attraverso accordi commerciali tra paesi. E’ invece avvenuto ciò che nessuno pensava potesse di nuovo accadere in Europa: una sanguinosa e devastante guerra, in cui direttamente o indirettamente ci troviamo coinvolti.
Di fronte a questa realtà, tutti sono d’accordo – almeno nelle dichiarazioni ufficiali e pubbliche - che occorre cambiare, essere uniti e solidali e bisogna farlo in tempi stretti.
Ma all’atto pratico è realmente così? Oppure, difronte a questa crisi, non si sta procedendo nuovamente a piccoli passi malgrado la situazione umanitaria richieda veri e propri passi da gigante?
Il Consiglio europeo si è riunito in sessione straordinaria proprio per dare una risposta comune a questi interrogativi. Vediamo cosa è stato a fatica concordato.
Il Consiglio Europeo straordinario ha innanzitutto confermato la pressione sulla Russia attraverso un sesto pacchetto di sanzioni che riguarda principalmente l’approvvigionamento del petrolio greggio e dei prodotti petroliferi forniti dalla Russia. Al di là del fatto che le misure previste entreranno in funzione per quasi tutti i paesi solo tra otto mesi, invece per alcune nazioni, tra le quali la Germania e la Polonia (che si approvvigionano attraverso l’oleodotto di Druzhba), sono previste deroghe ‘temporali’ senza però alcuna indicazione di una data certa, mentre l’Ungheria addirittura ha ottenuto una deroga fino al 2024.
E’ stato inoltre previsto un aiuto finanziario all’Ucraina per la futura ricostruzione del paese pari a 9 milioni di euro, nonché la creazione di una piattaforma per la ricostruzione che riunirà Governo ucraino, l’Unione europea e gli Stati membri, la Banca Centrale Europea (BCE), altri istituti finanziari ed esperti internazionali. Ma per questo occorrerà attendere la fine del conflitto che però non si prevede vicina.
I beni confiscati degli oligarchi verranno indirizzati alla ricostruzione dell’Ucraina, ma non quelli – che non saranno neppure confiscati - del patriarca Kirill, come da espressa richiesta dell’Ungheria. Infine, sempre nell’ambito delle misure prese con il sesto pacchetto di sanzioni, si è confermato il sostegno militare a Kiev nonché ci si è dati appuntamento per il prossimo Consiglio europeo di giugno per affrontare la questione politica della domanda di adesione del paese insieme a quelle della Moldavia, e della Giorgia.
Il Consiglio europeo, infine, si è dichiarato favorevole ad assicurare il rispetto dei diritti umani in Bielorussia compreso quello di nuove elezioni democratiche.
Per quanto riguarda le sanzioni, appare dunque quanto l’Unione sia ancora estremamente fragile, nelle decisioni che debbono essere prese all’unanimità. E’ stato necessario infatti mediare al ribasso per poter decidere in modo unanime e questo sicuramente a svantaggio di una situazione che col passar del tempo ha non solo più vittime ucraine e russe ma anche conseguenze per il mondo intero, mentre l’opinione pubblica si sta via via distogliendo dalla tragedia in corso.
Ma questa mancanza di unanimità dovuta a bisogni economici, sociali e finanziari dei vari paesi nasce sempre da una carenza strutturale dell’Unione: la mancanza di una visione e programmazione strategica (e relativa pianificazione integrata) sui settori vitali, quali quello energetico, il settore alimentare e quello di difesa comune. In tutti questi settori, l’Unione pur concordando su principi base comuni, non ha impostato ed attuato una vera programmazione strategica e quindi di fatto ora è scoperta. Ogni Stato si muoveva autonomamente secondo i propri bisogni nazionali. Questa impostazione si è rilevata il vero tallone d’Achille dell’Unione che oggi si trova a dir poco ‘ricattata’ nell’acquisto di prodotti energetici dalla Russia per soddisfare dei bisogni primari nazionali malgrado la gravità di una situazione che non può essere accettata in termini di rispetto di diritti umani.
Per quanto riguarda la strategia alimentare, si tratta più che di una questione strettamente europea di un problema mondiale. L’Europa ne è colpita per quanto riguarda i costi e le possibili conseguenze che una carestia mondiale può comportare (migrazioni massicce). Il dossier è pertanto un vero e proprio dossier dell’ONU /Fao. II Consiglio europeo, quindi, ha chiesto ai 27 stati di attuare al più presto le azioni previste in ambito PAC, ma soprattutto ‘ha chiesto un coordinamento internazionale efficace per garantire una risposta globale in materia di sicurezza alimentare a livello mondiale’. A tal fine, è necessario infatti un coordinamento internazionale, che si basi su tre pilastri fondamentali: commercio, solidarietà e produzione, per poter calmierare i prezzi dei prodotti agricoli e soprattutto l’approvvigionamento dei cereali. La Commissione europea studierà inoltre su richiesta del Consiglio europeo come mobilitare risorse del Fondo europeo di sviluppo a sostegno dei paesi più colpiti dalla crisi alimentare.
Per quanto riguarda il settore energetico, il Consiglio europeo ha ricordato gli impegni presi per la lotta al cambiamento climatico che si intendono confermati e il piano REPowerEU finalizzato alla riduzione dell’Unione dai combustibili fossili russi. Obiettivo è ridurre rapidamente la dipendenza energetica europea da Mosca diversificando quanto più possibile i paesi da cui ci si di approvvigiona, aprendo la piattaforma dell’UE per gli acquisti energetici anche ai Balcani, chiedendo alla Commissione di valutare insieme ai partner internazionali proposte per il contenimento dei prezzi delle materie prime, considerando tra le possibili ipotesi anche la proposta italiana di un ‘price cap’ temporaneo alle importazioni. Il Consiglio europeo ha sottolineato inoltre l’importanza da una parte di una strategia comune di acquisto e dall’altra di un’accelerazione nella diffusione delle energie rinnovabili attraverso una semplificazione delle procedure di autorizzazione e un polo industriale per ricerca ed innovazione a sostegno della transizione energetica nei diversi settori (solare, eolico ecc) . Nel disegnare questa strategia, dovranno essere considerate le caratteristiche geografiche di determinati Stati membri (in particolare del sud), soprattutto ai fini della interconnessione di reti europee del gas e dell’elettricità e delle energie rinnovabili. Inoltre, è stata sottolineata l’opportunità e la necessità di un piano europeo energetico coordinato per fronteggiare possibili gravi interruzioni future di approvvigionamento, oltre a un piano energetico di stoccaggio del gas in vista del prossimo inverno.
Sicuramente per quanto riguarda il settore energetico, sembra essere evidente l’urgenza di un’azione unitaria dell’Unione. Anche qui però sia per la diversificazione nell’approvvigionamento dei combustibili, sia per le diverse fonti rinnovabili a sostegno delle quali si auspica una importante attività di ricerca e innovazione, sia per la costruzione di impianti di stoccaggio europei e di reti di distribuzioni europee….l’Unione è in ritardo. Tutto ciò presuppone infatti investimenti pluriennali, risorse che sicuramente eccedono quelle del bilancio europeo e tempi di realizzazione pluriennali ….
La decisione di non ricorrere a risorse Russe può infatti essere immediata e realizzabile solo se si può contare su un’alternativa economicamente, finanziariamente e socialmente sostenibile.
Last but not the least , altro tema trattato è stato quello della Difesa e sicurezza. L’Unione europea ha preso atto della necessità di un forte coordinamento in questo settore, in perfetta condivisione e in complementarità con i principi della NATO di cui fa parte. E’ necessario anche in questo settore continuare a mappare le capacità di difesa europee, rafforzando la capacità del settore industriale tecnologico europeo, sviluppando a questo fine anche il ruolo della Banca europea a sostegno della sicurezza e della difesa europea in linea con la recente iniziativa della Bussola europea per la difesa.
Anche in questo settore, il tempo non gioca a favore dell’autonomia strategica dell’Unione. Sembriamo esserci svegliati ‘di botto’ da un profondo sonno in cui non siamo stati in grado di guardare ed interpretare tutto ciò che accadeva intorno a noi, i nostri alleati, i paesi non alleati…. Un brusco risveglio che di nuovo ci trova impreparati.
Le decisioni del Consiglio europeo sono sicuramente importanti perché sempre di più ci si rende conto della assoluta necessità di essere uniti, solidali, integrati in tutti i settori, ma di fatto sono un’ammissione delle proprie fragilità, delle proprie criticità e della necessità di una rapida soluzione. Quest’ultima però non potrà essere presa per mancanza di alternative immediate e non finanziabili con risorse del bilancio europeo. Anche alla luce delle difficoltà del negoziato che si è affrontato con alcuni paesi, in particolare l’Ungheria, per una decisione per altro non immediata per l’energia, la domanda che a questo punto viene spontanea è: con che modalità e in che termini l’Unione riuscirà a realizzare queste indicazioni con l’attuale sistema decisionale? In quali tempi e con quali risorse? Mentre tutto intorno a noi manda un solo e unico avvertimento: non possiamo permetterci più ulteriori ritardi.
L'ABC DELL'EUROPA DI VENTOTENE PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO
Democrazia - L'ABC dell'Europa di Ventotene
Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, licenza Creative Commons). Vi segnaliamo il link alla presentazione online del 9 maggio con gli autori e le autrici del dizionario: https://youtu.be/svmRjMaH8ww
Democrazia di Roberto Castaldi
Democrazia diretta e rappresentativa La parola democrazia deriva dal greco demos popolo e cratos potere, e stava ad indicare una forma di governo in cui il potere era esercitato direttamente dal popolo. Questo perché in una piccola città le persone potevano tutte riunirsi in una grande piazza. In realtà, anche nell’antichità, ciò era possibile solo perché molte persone erano escluse dalla partecipazione alla vita pubblica: donne, schiavi, ecc.
Nella modernità si sono affermate unità statali molto più grandi e un’assemblea di tutto il popolo sarebbe impossibile. Così la democrazia ha assunto la forma di una democrazia rappresentativa, in cui il popolo sceglie periodicamente e pacificamente, mediante le elezioni, i propri governanti e ha quindi la possibilità di confermarli o di sostituirli alle elezioni successive.
in collaborazione con il Movimento Europeo Italia e AICCRE,
con l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo
e il Patrocinio della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia,
del Consiglio Regionale della Toscana, della Provincia di Lucca e del Comune di Viareggio,
è lieta di annunciare la
Scuola di Politiche Europee intitolata ad Ursula Hirschmann
FINALITÀ, FORMATO E PARTECIPANTI
Far conoscere meglio l’Europa, il suo funzionamento, le istituzioni, gli organismi e le dinamiche che ne regolano il funzionamento e la capacità di intervento, contribuendo a formare una cittadinanza e una classe dirigente, presenti e future, consapevolmente europeiste nella politica, nella P.A., nel mondo imprenditoriale e del terzo settore.
La Scuola si svolgerà come atelier formativo nell'arco di 3 giorni e vedrà gli interventi di cariche istituzionali e di alti funzionari europei, in parte in presenza e in parte in collegamento web da Bruxelles e Strasburgo.
Sarà inoltre garantito un collegamento in diretta streaming dalle sedi del Movimento Europeo Italia, delle Case Europa in Italia afferenti alla Federazione e dalle varie organizzazioni e amministrazioni coinvolte.
Il programma dettagliato sarà pubblicato sulla pagina web dedicata tinyurl.com/ScuolaPoliticheEuropee e sui social di Casa Europa Viareggio nelle prossime settimane.
La partecipazione è aperta a tuttз, ma si rivolge in particolare ai giovani e alle giovani dei partiti politici europeisti, delle organizzazioni e associazioni europeiste, degli enti e delle organizzazioni territoriali, di rappresentanza imprenditoriale e del terzo settore.
COME PARTECIPARE
Per partecipare è necessario compilare l'apposito modulo disponibile a questo link, entro il 5 giugno. Dato il numero limitato di posti in presenza, verrà effettuata una selezione delle candidature. I soci di Casa Europa Viareggio avranno priorità, mentre per chi non è ancora socio/a si terranno in particolare considerazione la residenza o il domicilio in Toscana e l’equilibrio di genere. Compilando il modulo si potranno ricevere direttamente via e-mail gli aggiornamenti sulla Scuola (programma dettagliato, esito della selezione, informazioni pratico-logistiche).