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Eugenio Colorni - L'ABC dell'Europa di Ventotene

Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, licenza Creative Commons). Vi segnaliamo il link alla presentazione genovese del 27 maggio svoltasi presso la libreria L'Amico Ritrovato: https://youtu.be/bOe036KiiOI

Colorni, Eugenio di Antonella Braga

Gli studi filosofici e l’adesione al socialismo
Eugenio Colorni nacque a Milano il 22 aprile 1909 da genitori di origine ebraica: Alberto, commerciante mantovano, e Clara Pontecorvo, di famiglia pisana. Si diplomò al Liceo “Manzoni” e, dopo la laurea in filosofia nel 1930, perfezionò gli studi in Germania, tra Marburgo e Berlino, dove conobbe Ursula Hirschmann, con la quale strinse un’intensa relazione affettiva e intellettuale. Rientrato in Italia nel 1933, insegnò filosofia al liceo di Voghera e, dal 1934, all’Istituto magistrale “Carducci” di Trieste. Qui lo raggiunse Ursula, con la quale si sposò nel 1935 e da cui ebbe tre figlie: Silvia (1937), Renata (1939) ed Eva (1941). Intellettuale di straordinaria intelligenza, filosofo aperto alle nuove idee provenienti dalla cultura europea, impegnato in ricerche di matematica e fisica, interessato allo studio della psicanalisi e all’analisi critica del metodo scientifico, Colorni fu anche un politico abile sul piano organizzativo e capace di innovative elaborazioni teoriche. Giunto al socialismo passando attraverso l’esperienza del movimento Giustizia e Libertà, aderì al Centro socialista interno nel 1935, partecipando al dibattito in corso negli ambienti antifascisti.

Continua su: https://www.peacelink.it/europace/a/49049.html

 

 

 

 

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30 May - 5 June 2022

Monday 30 May

Tuesday 31 May

Wednesday 1 June

Thursday 2 June

Friday 3 June

 

 

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 31 maggio 2022, ore 14:30-17:30, Bruxelles e online. Conferenza Internazionale “Il Disarmo Nucleare: Opportunità di Pace e Lavoro per l’Europa e per il Mondo” promossa dal Comitato per una Civiltà dell'Amore. Con l’auspicio che l’Unione Europea si faccia promotrice di una Conferenza di Pace con l’istituzione di un tavolo permanente di dialogo per il disarmo, innanzitutto atomico, per prevenire l’escalation nucleare e indurre tutte le Nazioni al disarmo e alla conversione delle armi nucleari in progetti di pace. PROGRAMMA. Diretta Streaming su https://www.avvenire.it/

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

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1) Nelle stanze della Commissione europea a Bruxelles ci si prepara a cedere alle pressioni polacche e ungheresi con inaccettabili compromessi sul mancato rispetto dello stato di diritto a nome della Realpolik, della unità formale dei 27 nel sostegno all’Ucraina e, last but not least, dello sblocco di decine miliardi di Euro a favore di Varsavia e di Budapest destinati a finire nelle mani di coloro che sostengono la democrazia illiberale di Viktor Orbàn e di Mateusz Morawiecki.

Come reagirà il Parlamento europeo?

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2) I giornali presentano l’accordo del G7 sull’energia come un « rilancio » della decarbonizzazione dimenticando di ricordare che c’è stato invece un rinvio dal 2030 al 2035.

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3) L’eventuale accordo con l’Ungheria sul sesto pacchetto di sanzioni legate all’importazione di petrolio dalla Russia non può passare attraverso lo sblocco dei fondi del NGEU a favore dell’Ungheria ignorando la difesa dello stato di diritto.

Noi condividiamo la proposta fatta a larga maggioranza dal Parlamento europeo per un embargo totale e immediato su tutti i prodotti energetici provenienti dalla Russia (petrolio, gas, carbone e combustibili nucleari).

Un atto simile priverebbe la Russia di un profitto di un miliardo di euro al giorno con uno strumento per « vincere la guerra » molto più efficace di una escalation nell’invio non coordinato di armi dall’Unione europea.

Contemporaneamente è urgente e necessario rilanciare la proposta di inviare in Ucraina dei caschi blu che provengono da paesi neutrali e la cui eventuale aggressione militare da parte di Putin sarebbe una aggressione a tutta la comunità internazionale e alle Nazioni Unite.

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4) Poiché gli acquisti di prodotti energetici (petrolio, gas, carbone e combustibili nucleari) dalla Russia avvengono su base bilaterale il veto ungherese al sesto pacchetto di sanzioni potrebbe essere superato teoricamente con una decisione intergovernativa a 26.

Sappiamo tuttavia che dietro l’opposizione di un singolo stato si nascondono spesso pavidamente le opposizioni per interesse nazionale di altri stati come è avvenuto per anni dietro il paravento euroscettico del Regno Unito e riteniamo molto difficile che i ventisei scelgano la via di un piano intergovernativo/bilaterale.

Di fronte alla impossibilità di applicare l’art. 7 del trattato di Amsterdam contro l’Austria di Haider i 14 decisero di sospendere formalmente le relazioni bilaterali nel febbraio 2000 abolendo affrettatamente la sospensione sette mesi dopo.

La storia potrebbe ripetersi contro la Russia?

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5) La vicenda del sesto pacchetto delle sanzioni relative all’acquisto di prodotti energetici dalla Russia per l’invasione illegittima dell’Ucraina ci insegna alcune cose:

- l’acquisto di fonti di energia (carbone, gas, petrolio e combustili nucleari) da paesi terzi deve diventare una competenza esclusiva dell’Unione europea e dunque della Commissione (esecutivo europeo) così come lo è la politica commerciale e come lo è stato di fatto e provvisoriamente l’acquisto dei vaccini

- il mandato alla Commissione di negoziare o di annullare dei contratti di compravendita deve esserle dato a maggioranza qualificata dal Consiglio e dal Parlamento europeo

- non basta dunque il passaggio dalle decisioni all’unanimità al voto a maggioranza se esso non fosse accompagnato contemporaneamente dai poteri esecutivi/di governo della Commissione europea

- è necessario, per ragioni di efficienza e di democrazia, un potere sul piano di uguaglianza del Parlamento europeo

- il mantra di molti europeisti e anche di qualche federalista che sarebbe sufficiente abolire il diritto di veto rischia di creare pericolose illusioni, di spingere la riforma dei meccanismi di decisione su un vicolo cieco e di produrre un sistema nello stesso tempo inefficace e non democratico e dunque non federalista

- poiché non è applicabile alla cooperazione strutturata permanente, che è limitata agi aspetti squisitamente militari, lo strumento delle sanzioni in materia energetica, bisognerà proporre di modificare la sezione 2 dedicata alla difesa nel capitolo 2 sulla pesc inquadrandola nella autonomia strategica dell’UE in cui rientra la difesa, l’energia, la cybersicurezza, l’intelligenza artificiale e anche l’azione di intelligence applicando lo strumento della cooperazione strutturata - che può essere attivato dal Consiglio a maggioranza qualificata - alla autonomia strategica e non solo alla difesa,

- in attesa di una fase costituente per abbandonare la dimensione confederale del trattato di Lisbona (essendo evidente che una revisione parziale del trattato all’unanimità creerebbe un sistema inefficiente e non democratico) l’unica strada attualmente percorribile è quella di denunciare chi si oppone alle nuove sanzioni di fronte alla Corte di Giustizia per violazione del principio giuridicamente vincolante della cooperazione leale che esige dagli Stati membri di agire per la realizzazione degli obiettivi dell’Unione europea fra cui c’è la pace, la sicurezza, il mutuo rispetto fra i popoli, il rispetto e lo sviluppo del diritto internazionale e in particolare il rispetto della Carta delle Nazioni Unite.

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6) Carlo Panella su Linkiesta scrive che un trattato di Lisbona del 2008 prevede l’espulsione di un paese membro dell’Unione europea.

Poiché noi conosciamo un trattato di Lisbona firmato nel 2007 e entrato in vigore nel 2009 che non prevede l’espulsione, immaginiamo che Carlo Panella faccia riferimento ad un trattato di Lisbona bis che prevede l’espulsione.

Sarebbe interessante conoscere la fonte utilizzata da Carlo Panella.

 

 

 

 

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L’Unione europea fra integrazione o disgregazione, fra federazione e confederazione

L’Europa – diceva Jean Monnet, intendendo l’integrazione europea – sarà forgiata nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni adottate per quelle crisi”.

Contrariamente al metodo del gradualismo istituzionale che ha ben funzionato per la CECA o quando l’obiettivo era la realizzazione del mercato unico con il Trattato di Roma, non è stato sempre così e la storia dell’integrazione europea è stata costellata dal 1950 ad oggi da talune accelerazioni ma anche da forti rallentamenti o talora da momenti di paralisi che hanno fatto temere per la disgregazione di tutto quel che era stato faticosamente costruito.

Dal punto di vista dell’obiettivo del passaggio dalle Comunità e, dopo il 1993, dall’Unione europea alla federazione non ha funzionato ancor di più il cosiddetto “piano inclinato” 

  • perché alle elezioni a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo nel 1979 non è seguita l’azione degli – ancora oggi molto embrionali – partiti europei per conquistare il potere europeo che era allora in statu nascendi e cioè che avrebbe dovuto essere attribuito a un governo europeo con poteri limitati ma reali responsabile dinanzi alla assemblea
  • e perché alla cessione della sovranità monetaria nazionale ad una condivisa sovranità europea con l’euro e con la BCE non ha fatto seguito la creazione di un governo dell’economia europea e di una autonoma capacità fiscale dell’Unione europea.

I risultati del dibattito sul futuro dell’Europa nella Conferenza immaginata da Emmanuel Macron nella “lettera agli europei” del 4 marzo 2019 - partita il 9 maggio 2021 con un anno di ritardo per i contrasti fra i governi e il Parlamento europeo e chiusa frettolosamente il 9 maggio 2022 in piena guerra alle porte dell’Unione europea – sono andati nel senso della volontà di “cambiare rotta all’Unione europea”.

I rischi di una disgregazione dell’integrazione tornano tuttavia ad apparire per i disaccordi fra gli Stati e per il pericolo di mettere in discussione i valori su cui si fonda l’Unione europea.

Proviamo a sintetizzarli uno dopo l’altro:

  • Non c’è accordo sugli obiettivi, sulla struttura e sull’architettura istituzionale di una difesa comune perché la cosiddetta bussola strategica adottata dal Consiglio europeo il 24 marzo è stata scritta prima del terremoto provocato dall’aggressione della Russia all’Ucraina e adottata in piena guerra senza sostanziali modifiche. È stato declassato l’ipotetico corpo d’armata di sessantamila unità deciso nel 1999 ad Helsinki in una Unione a quindici ma con quattro paesi neutrali (o addirittura i quaranta battaglioni con 1300 unità ciascuno della CED a Sei nel 1952) in un modesto e per ora ancor più ipotetico battaglione di cinquemila unità. È stata ignorata la questione essenziale secondo cui la difesa deve essere parte di una politica estera e di sicurezza. Per realizzarla non basteranno inutili proclami o la grottesca e inefficiente cooperazione strutturata a 25 o l’illusione dell’uso della “clausola passerella” per un teorico voto a maggioranza qualificata nel Consiglio. Una vera politica estera e della sicurezza che comprenda la difesa comune sarà possibile solo in una dimensione costituzionale diversa dalla dimensione confederale del Trattato di Lisbona perché – come diceva Altiero Spinelli – “l’Europa non cade dal cielo”.
  • Non c’è accordo sul ruolo che l’Unione europea potrebbe svolgere ai margini del drammatico teatro militare ucraino. I leader europei si sono mossi in ordine sparso come è stato dimostrato dalla recente telefonata di Macron e Scholz a Putin non a nome e per conto di tutta l’Unione europea, non sono stati capaci di esigere l’intervento delle Nazioni Unite e dell’OSCE (ricordandoci che, al tempo dei mai attuati accordi di Minsk, al tavolo dei negoziati c’era il direttorio franco-tedesco ma non l’Unione europea) anche attraverso l’intervento dei Caschi Blu e non hanno un piano per il dopo-guerra in una guerra che si aprirà ai negoziati solo se sarà garantita l’integrità territoriale e l’inviolabilità delle frontiere ucraine nel Donbass come fu affermato dell’accordo di Budapest nel 1994. L’Unione europea avrebbe dovuto lavorare fin dall’inizio sull’ipotesi di una “Ucraina neutrale e federale” applicando al Donbass un sistema di vera autonomia sul modello degli accordi De Gasperi Gruber.
  • Non c’è uno straccio di riflessione sull’organizzazione della cooperazione e sulla sicurezza in Europa sul modello degli accordi di Helsinki del 1975 e della successiva Carta di Parigi nel 1990. La sicurezza e la cooperazione in Europa sono certamente negli interessi degli europei più che in quello degli Stati Uniti (e della Cina, nostro “rivale sistemico”) e in quest’organizzazione dovrà trovare spazio un accordo con la Russia e con i suoi dirigenti ma a condizione che la Russia rispetti l’integrità territoriale dell’Ucraina e l’inviolabilità delle sue frontiere insieme alla non ingerenza negli affari interni di un paese indipendente.
  • Non ci sono idee su quell’insieme di sistemi – per usare un’espressione della matematica – che sarà inevitabile quando si aprirà concretamente il cantiere della riforma dell’Unione europea. La riforma andrà di pari passo con le discussioni sui confini politici dell’Europa integrata verso i Balcani occidentali da una parte (Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Bosnia Erzegovina, Albania, Kossovo) e l’Europa orientale dall’altra (Ucraina, Georgia e Moldavia) ricordando l’insegnamento attualissimo di Altiero Spinelli: l’obiettivo non è quello di restaurare o piuttosto di instaurare delle democrazie nazionali (Nations building) ma di integrare popoli e stati in una solida democrazia sovranazionale. Dobbiamo chiederci e chiedere quali popoli e quali stati fra i trentasei (UE-Balcani-Europa Orientale) o trentasette (UE-Balcani-Europa Orientale-UK) o trentotto (UE-Balcani-Europa Orientale-UK-Turchia) dell’ipotetica “comunità politica europea” annunciata il 9 maggio da Emmanuel Macron saranno disposti ad accettare una sovranità condivisa e a rinunciare ai principi del diritto internazionale fondati sullo Stato-nazione. Quali decideranno di entrare nella “federazione” immaginata da Jean Monnet nel 1950 come obiettivo finale del modello comunitario o chi deciderà di rimanere in una più ampia e meno integrata “confederazione”. Noi siamo convinti che i membri delle future federazione e confederazione potranno essere decisi alla chiusura e non all’apertura del cantiere sulla riforma dell’Unione europea.
  • Last but not least, evapora lentamente la difesa dello stato di diritto sacrificato sull’altare della teorica unità europea di fronte all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Si è sgretolata la difesa dello stato di diritto in Polonia con il preannuncio della disponibilità della Commissione europea ad accettare il fantoccio di una riforma del sistema giudiziario che lascia sostanzialmente inalterato il controllo del governo polacco sui magistrati. Di fronte alla slealtà dell’Ungheria nelle decisioni sul sesto pacchetto di sanzioni alla Russia relative all’acquisto di petrolio sembra che i governi dei 26 siano ora disponibili ad accettare il veto di Budapest o consentendo all’Ungheria una “deroga temporanea” in cambio dello scongelamento dei fondi del Recovery Plan bloccati per le violazioni ungheresi allo stato di diritto o a cedere totalmente al ricatto ungherese rinunciando al blocco nell’acquisto di petrolio russo e ripiegando sulle inefficace disconnessione di Sberbank da Swift, sull’oscuramento nell’Unione europea di alcune reti televisive russe o sull’inserimento di alcune personalità nella lista delle sanzioni.

Non c’è molto tempo per sciogliere i nodi delle crisi ma sui tavoli delle istituzioni mancano ancora i contenuti del progetto e il metodo per realizzarlo. Come è avvenuto per la lotta alla pandemia le risposte alle emergenze a cominciare dall’energia e dalla crisi alimentare possono essere date usando strumenti eccezionali e temporanei attribuendo alla Commissione europea poteri esecutivi a nome dell’Unione europea sotto il controllo del Consiglio e del Parlamento europeo ma il rispetto  della democrazia richiede di uscire dall’emergenza e la sola prospettiva seria e pragmatica appare l’apertura di una fase costituente dopo le elezioni europee nella primavera del 2024.

Serve per questo una mobilitazione dell’opinione pubblica europea da Lisbona a Varsavia, da Tallinn a Nicosia per evitare la disgregazione dell’Unione europea chiedendo il passaggio dall’attuale sistema inefficacemente ibrido fra dimensione comunitaria e dimensione confederale alla federazione di Ventotene, senza la scorciatoia di parziali e precarie unioni intergovernative nell’energia e nella difesa.

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