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LE EMERGENZE ITALIANE E L’AGENDA EUROPEA

Nella sua decisione di tentare la via di un “governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”, affidando poi a Mario Draghi il difficile compito di assumerne la guida, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha indicato tre gravi emergenze: la lotta alla pandemia, il piano per l’utilizzo dei finanziamenti europei e i problemi sociali.

Le politiche necessarie per rispondere a queste gravi emergenze richiedono una visione a medio termine delle priorità per il paese, una capacità di programmazione a livello centrale, un’approfondita conoscenza del funzionamento degli apparati dello Stato e un consenso ampio nella società italiana che esca dalle aule parlamentari e coinvolga i settori più importanti della nostra vita economica, sociale e culturale a cominciare dal mondo della produzione (lavoratori e imprenditori).

Queste politiche fanno parte di un sistema di governance multilivello[1] che va dalla dimensione locale delle città fino al sistema della cooperazione internazionale, con al centro il processo di integrazione europea, al cui interno gli interessi nazionali possono essere salvaguardati solo a condizione che tutti gli attori istituzionali del processo (i governi nel Consiglio, le forze politiche nel Parlamento Europeo, i “ministri europei” nella Commissione europea, i giudici nella Corte “suprema” dell’Unione) cooperino lealmente fra di loro partendo dalla convinzione che, in un mondo globalizzato, gli Stati europei sono più forti insieme nel quadro di una sovranità condivisa e non separati nella contrapposizione fra apparenti sovranità nazionali.

Sta qui la differenza essenziale fra i cosiddetti sovranisti e coloro che si proclamano europeisti, una differenza che rende impossibile l’alleanza fra gli uni e gli altri nel Consiglio dei governi, nel Parlamento europeo delle forze politiche, nella Commissione europea multinazionale e nella Corte dei giudici creando quella linea di divisione fra innovatori e immobilisti (per usare un’espressione più adatta al mondo di oggi  che a quello del 1941) che fu posta da Altiero Spinelli a conclusione del Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita.

Per questa ragione, noi riteniamo che sia altrettanto impossibile in Italia un’inedita formula politica che si traduca in una alleanza fra i sovranisti (che difendono l’idea di “un governo che vada a trattare a Bruxelles per difendere gli interessi dell’Italia” come ha dichiarato Matteo Salvini uscendo dall’incontro con Mario Draghi) e gli europeisti (che difendono l’idea di una Unione europea fondata sul modello di una sovranità condivisa con un governo europeo della globalizzazione nei settori in cui gli Stati nazionali non sono in grado di agire ciascuno per sé).

Quest’inedita alleanza configgerebbe inevitabilmente con la collocazione europea della Lega nel gruppo Identità e Democrazia al Parlamento europeo, che ha raccolto nel 2019 l’eredità dell’Europa delle Nazioni e a cui appartengono il Rassemblement National di Marine Le Pen, Alternative für Deutschland di Joerg Meuthen e Alexander Gauland, il Vlaams Belang in Belgio e il Freiheitliche Partei in Austria.

Poiché anche i sovranisti si proclamano oggi europeisti, vale la pena di chiarire che l’europeismo non è un concetto astratto (-ismo, ci dice l’Enciclopedia Treccani, è un suffisso di molti vocaboli astratti) o un esercizio di stile - simile ai novantanove racconti della stessa storia di Raymond Queneau - ma si traduce oggi nella condivisione di almeno cinque priorità che sono propedeutiche allo sviluppo dell’Unione europea in vista della riapertura del dibattito sul futuro dell’Europa:

  • Il superamento del voto all’unanimità nel Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo e nel Consiglio dei ministri nazionali con il conseguente rafforzamento dei poteri legislativi e di bilancio del Parlamento europeo per rendere l’Unione europea più efficace e più democratica;
  • l’attribuzione all’Unione europea di competenze concorrenti con quelle degli Stati nazionali in politiche che richiedono una sovranità condivisa e che sono ora largamente di competenza nazionale (salute, sociale, industriale, migratoria, protezione civile, digitale, tecnologica, estera) o di competenze esclusive nello spazio di libertà e di sicurezza e nella cooperazione allo sviluppo con una interpretazione dinamica e non paralizzante del principio di sussidiarietà;
  • uno ius soli europeo come conseguenza del principio della accoglienza e lo sviluppo di una vera cittadinanza europea nella consapevolezza che essa è posta a fondamento del principio di non-discriminazione di tutte le persone che risiedono nell’Unione europea;
  • la capacità fiscale dell’Unione europea autonoma da quella dei bilanci nazionali per dotare il bilancio europeo delle risorse proprie necessarie e di “debito buono” per garantire beni pubblici a dimensione europea;
  • il rispetto dello stato di diritto, come condizione per aderire e/o appartenere all’Unione europea, così come declinato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ed in coerenza con i principi della Carta delle Nazioni Unite nelle relazioni con i paesi terzi.

Se il nuovo governo italiano volesse dare un segnale inequivoco della volontà di gestire le ingenti risorse europee in conformità agli obiettivi della sostenibilità sociale e ambientale, dovrebbe presentare alla Commissione europea un piano per la ripresa (Recovery Plan) la cui premessa sia fondata su una visione a medio termine, su una capacità di programmazione e su un ampio consenso della società italiana.

Se il nuovo governo italiano volesse contribuire a creare nell’Unione europea una alleanza di innovatori-europeisti in vista del dibattito sul futuro dell’Europa dovrebbe presentare al Consiglio europeo del 25 e 26 marzo, reiterandole nell’ambito delle riunioni di concertazione europea dei ministri del G20 e sottoponendole alle riunioni della società civile del C20 e dei think tank del T20, le cinque priorità più sopra indicate, chiedendo alle forze politiche europeiste che gli daranno la fiducia nel parlamento italiano di sostenerle nel Parlamento europeo.

 

[1]    Mario Draghi aveva scritto il 9 luglio 2009 su L’Osservatore romano, commentando l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, che la proposta è quella di “affidare il governo della globalizzazione a una autorità policentrica costituita da più livelli e da piani diversi e coordinati fra loro, non fondata esclusivamente sui poteri pubblici ma anche su elementi della società civile”

 coccodrillo

 

 


 

Attiriamo la vostra attenzione

A soli sette giorni dall'uscita della precedente newsletter, lo scenario del nostro Paese, osservato da una prospettiva europea, è cambiato notevolmente. Proprio a poche ore dalla sua diffusione di lunedì scorso, avveniva la convocazione di Mario Draghi da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per mercoledì 3 febbraio, al fine di avviare un nuovo governo. Le caratteristiche della nuova formazione, incaricata di rispondere al meglio alla complicata situazione attuale, potranno delinearsi sempre più nelle prossime ore, una volta sciolte le riserve dall'ex Presidente della BCE, ma appare chiaro da subito che un accadimento simile sta mutando lo scenario in maniera molto rapida e al tempo stesso profonda: scende lo spread e attorno al nome di Draghi si crea concordia anche tra soggetti politici molto eterogenei tra loro. Chiarite le incognite, il nuovo governo avrà su di sé la grande responsabilità della migliore gestione possibile delle risorse del Recovery plan.

A livello europeo, poniamo l'attenzione su almeno due punti di primario interesse: nei giorni scorsi, come si apprende sul sito “Energia Oltre”, ”È stato presentato al Parlamento europeo un rapporto sul nuovo Piano d’azione sull’economia circolare, adottato dalla Commissione lo scorso marzo e presentato come uno dei principali elementi costitutivi del Green Deal, il grande piano che si prefigge di rafforzare e rendere più sostenibile l’economia europea”. Oggi inizia la seconda sessione plenaria dell'anno e, per l'avvio dei lavori, la Presidente della BCE Christine Lagarde presenterà la relazione annuale della Banca centrale europea per il 2020 e, come si può leggere sui documenti istituzionali circolati, “i deputati discuteranno cosa può fare la BCE, nell’ambito del suo mandato, per mitigare gli effetti economici della pandemia, includendo la possibilità di nuovi strumenti”.

Nel frattempo, il Movimento europeo in Italia prosegue – grazie al supporto imprescindibile delle tecnologie informatiche – le sue attività: vi ricordiamo infatti, che venerdì 12 febbraio avrà luogo, dalle ore 15.30 alle 17.30, una nuova riunione della Piattaforma italiana per la Conferenza sul futuro dell'Europa, per continuare a contribuire al confronto e al dibattito con organizzazioni rappresentative dei cittadini, del mondo associativo, del federalismo europeo, al fine di interpretare al meglio il ruolo del nostro Paese nell'ottica della riforma dell’Unione che oggi appare sempre più come una necessità per proseguire il cammino verso l'unità federale europea. La documentazione sulla Conferenza sul futuro dell'Europa - fra cui le risoluzioni del Parlamento europeo, la comunicazione della Commissione europea, i testi del Consiglio e le prese di posizione del Movimento europeo - è disponibile sul sito del Movimento europeo, nella sezione dedicata.

 

 


 

Vi segnaliamo

 


 


 

Testi della settimana

 


 

Economia

 di Anna Maria Villa

Una professionalità eccezionale ha bisogno di uno sforzo comune

 

La decisione del Presidente della Repubblica di affidare l’incarico per la formazione di un nuovo governo al Prof. Mario Draghi è stata accettata con un ampio consenso nazionale ed internazionale.

La situazione dell’Italia, come noto, è estremamente critica. Siamo un paese provato da anni di crisi economico-finanziaria e sociale, arrancante e disorientato. La crisi pandemica inserendosi su questa situazione l’ha notevolmente aggravata, trasformandola in una crisi politica che rischia di diventare una preoccupante crisi di sistema.

L’incarico di formare un nuovo governo per rimettere in moto questo paese ad una professionalità di spicco può però non essere sufficiente. Il coraggio e le capacità di Draghi, che con il suo famoso ‘whatever it takes’ ha salvato l’euro, sono state possibili in un contesto diverso da quello italiano. Draghi era presidente della BCE, organismo indipendente e grazie anche ad un accordo politico ha potuto assumersi tutta la responsabilità di un’azione storica senza precedenti. Il suo intervento fu provvidenziale, riconosciuto universalmente e tutt’oggi seguito.

In Italia la situazione attuale è simile per la gravità e la necessità di un intervento rapido e qualificato, ma diversa. Draghi dovrà affrontare ostacoli di fronte ai quali anche le migliori scelte tecniche potrebbero non essere attuabili perché non accettate.  Il futuro governo, che dovrà adottare queste scelte coraggiose, dovrà necessariamente essere sostenuto e votato dal Parlamento. Ma le difficoltà di natura politica derivano dal fatto che le forze politiche da tempo hanno promesso ad un elettorato non completamente consapevole cose che non possono essere attuate o comunque anche se lo erano, dovevano essere accompagnate da altre riforme ed interventi che ne garantissero la sostenibilità per non avere un carattere esclusivamente assistenzialistico e quindi non sostenibile con il debito pubblico del nostro paese, debito ancora sostenibile fino al 2023 grazie all’intervento della BCE.  L’economia infatti resta debole, non vi è crescita della produttività e quindi del PIL. Le conseguenze di questo stato di fatto sono sotto i nostri occhi.

Tra i primi atti di cui Draghi dovrà occuparsi vi è una profonda revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) votato dal precedente governo e sul quale si è aperta la crisi, perché non adeguato alle sfide che il paese deve affrontare e sul quale si devono ancora dettagliare gli interventi previsti.

Quest’anno, la stesura del PNRR si inserisce, inoltre, in un particolare contesto. Oltre a quello abituale del Semestre europeo, è possibile (ed auspicabile) poter ricorrere alle risorse del Next Generation EU per potenziare le riforme e gli investimenti strategici per la crescita economica.

Nello scorso mese di novembre, la Commissione europea ha iniziato il consueto ciclo annuale di coordinamento e monitoraggio degli equilibri macroeconomici dell’area euro del Semestre europeo con la pubblicazione dell’Annual Growth Strategy (AGS), dove sono indicati gli obiettivi strategici di politica economica per l’anno successivo, vale a dire il 2021.

Oltre questo documento la Commissione ha come sempre pubblicato il Rapporto sul meccanismo di allerta. Questi due documenti sono tra loro collegati. Mentre nel primo si valuta il raggiungimento degli obiettivi strategici dell’anno trascorso, la situazione occupazionale, le tendenze macroeconomiche dell’area euro e sulla base di queste si indicano i nuovi obiettivi, con il secondo si individuano quei paesi che presentano squilibri macroeconomici (per esempio il calo della competitività) che potrebbero rivelarsi dannosi non solo per il singolo stato, ma per l’intera area euro.

Sulla base di questi due documenti, la Commissione analizzerà i Piani di ripresa e resilienza e i programmi di stabilità, che verranno sottoposti alla sua valutazione entro il prossimo 30 aprile dagli SM ed esprimerà specifiche raccomandazioni per ciascun paese (le c.d. country specific recommendations - CSR).

In base alla normale procedura del Semestre europeo, dopo un confronto bilaterale tra Commissione e Stati Membri, le CSR potranno essere integrate nei Piani nazionali, i quali – dopo l’approvazione dei Parlamenti nazionali - verranno inviati a Bruxelles e definitivamente approvati dal Consiglio europeo del prossimo giugno.

Quest’anno, dunque, i PNRR potranno prevedere interventi eccezionali grazie alle consistenti risorse messe a disposizione dal Next Generation EU. Questi interventi dovranno però  rispettare le CSR del 2019-20 ed essere coerenti con gli obiettivi strategici indicati dalla Commissione per i finanziamenti (transizione verso un’economia verde e digitale, riforme strutturali).

Il rapporto sul meccanismo di allerta per l’Italia 2020 sottolinea dunque la necessità  per il nostro paese di aumentare la produttività e la crescita per diminuire il rapporto debito/Pil e correggere gli squilibri macroeconomici e questo potrà essere realizzato solo attraverso ambiziose riforme esplicitamente indicate, quali quella della giustizia, della PA, Fiscale, dell’istruzione, del lavoro, ecc, oltre a politiche di bilancio prudenti e investimenti produttivi, i c.d. buoni investimenti, in grado di realizzare una transizione ecologica verso un’economia verde e sostenibile nonché una trasformazione digitale.

Non vi è alcun dubbio che Mario Draghi saprà offrire il mix ottimale ed efficace di interventi per rilanciare questo paese. Il vero scoglio però sarà la capacità dei partiti di dare massima fiducia e collaborazione a Draghi nell’interesse del paese in Parlamento.

L’eccezionalità di un finanziamento così importante e l’indicazione di una professionalità di così alto livello da parte del Presidente Mattarella per la formazione di un nuovo governo non possono essere sprecate. Sono condizioni eccezionali che possono riportare il nostro paese finalmente a crescere e fare quel salto di qualità nelle condizioni di vita, ormai da troppo tempo richiesto da tutti. Non da ultimo, l’Italia ha anche un’altra responsabilità non meno importante: saper approfittare con risultati positivi di uno sforzo finanziario dell’Europa mai deciso precedentemente per fronteggiare la crisi causata dal Covid-19 per una crescita economica e una maggior resilienza difronte a nuove crisi, significa contribuire al processo di integrazione europea e far diventare in futuro simili strumenti, di accresciuta solidarietà tra Stati, non più eccezionali ma più accettabili e quindi accessibili, grazie ai risultati positivi che saremo in grado di ottenere  e che avranno positivi riflessi su tutta l’Europa.

 

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

La crisi pandemica ha posto seri interrogativi nel mondo del lavoro. Nello scenario attuale, alcuni settori stanno subendo le conseguenze della riduzione dei fatturati e altri stanno beneficiando dell'opportunità di un riposizionamento strategico. È però fuori discussione il fatto che, al di là degli accresciuti vantaggi limitati ad alcuni settori, la crisi in corso sta costringendo una vasta platea di lavoratori a ricollocarsi. Ecco perché questa settimana trattiamo il diritto di accesso ai servizi di collocamento gratuito. Come afferma l'articolo 29 della Carta dei diritti fondamentali, tale diritto vale per qualsiasi individuo; anche la versione inglese del testo della Carta pone la questione non in termini di scenario prospettico futuro, ma di concreta e attuale opzione, utilizzando l'indicativo presente.

I servizi di collocamento aiutano i lavoratori ad iniziare un percorso lavorativo oppure ad attuare modifiche nel corso della propria carriera. Vista con le lenti d'ingrandimento, la materia è tutt'altro che semplice, anzitutto per la differenziazione delle modalità attraverso cui operano tali servizi. In Italia, per esempio, possono essere strutture pubbliche (Centri per l'Impiego) o private (Agenzie per il lavoro) a gestire i servizi per l'impiego e anche le modalità di intervento sono differenziate: infatti, le Agenzie per il Lavoro si differenziano a seconda che si occupino di lavoro in somministrazione, di intermediazione nella ricerca di una occupazione, di ricerca e selezione del personale ovvero di supporto alla ricollocazione professionale. Sono numerosi gli interventi del legislatore che si sono susseguiti in tale ambito, già dagli anni '90, con dei graduali correttivi posti in essere. Nonostante le energie profuse, permane una debolezza in tali strutture: le difficoltà nel servizio da esse svolte sono oggettive, poiché hanno il compito da un lato di informare il prestatore di lavoro sui suoi obblighi e sui suoi diritti, rispondendo al contempo alla necessità di raggiungere l'obiettivo del suo impiego, dall'altro di interpretare le esigenze di un mondo del lavoro sempre più mutevole e soggetto a frequenti riposizionamenti delle imprese a livello non solo europeo, ma globale. Il mondo del lavoro presenta inoltre notevoli differenze tra gli Stati membri, perciò i risultati raggiunti dai servizi di collocamento si differenziano all'interno degli stessi. Non vi è però dubbio alcuno sul fatto che, a maggior ragione in uno scenario quale quello attuale, offrire sempre più risposte adeguate a chi cerca lavoro perché lo ha perduto, indipendentemente dalla propria volontà, diventa una priorità per la classe politica, anche avvalendosi dell'attività svolta dai servizi di collocamento e potenziandone gli strumenti a disposizione.

 

 


 

La giurisprudenza europea

Considerato il momento attuale, sia in Italia che in Europa, di avvio delle manovre economiche per il rilancio degli Stati membri e per concertare una modalità di uscita dalla crisi, vi proponiamo una sentenza del Tribunale dell'Ue del 24 settembre 2019 relativa alla controversia tra il noto gruppo bancario Hsbcche esercita tra le sue attività quella di banca di investimenti, banca di affari e banca commerciale” e la Commissione europea. La sentenza è interessante perché ha fornito chiarimenti sulle decisioni della Commissione in relazione a un mercato quale quello dei titoli derivati; anche senza disperderci in questioni per gli addetti ai lavori, è possibile fare alcune considerazioni sugli effetti generali provocati dalla compravendita di titoli derivati sui mercati finanziari. Proprio perché si tratta di attività ad alto livello di complessità effettuate dagli attori principali di questo mercato, è interessante approfondire questi meccanismi: nel loro insieme, contribuiscono a delineare il quadro in cui gli esperti si troveranno ad operare e ad effettuare scelte di politica economica. Come si può apprendere consultando la Consob, il mercato dei titoli derivati è quello in cui il valore degli stessi “Deriva dall'andamento del valore di una attività ovvero dal verificarsi nel futuro di un evento osservabile oggettivamente”, ragion per cui “Il problema più complesso dei derivati è, da sempre, quello della determinazione del loro valore o, meglio della sua stima. È un aspetto particolarmente importante e, nello stesso tempo, critico, in quanto richiede complesse attività di analisi”.

Il caso in questione, nello specifico, parte dall'infrazione riscontrata da parte della Commissione europea in relazione ad attività effettuate da tre società del gruppo Hsbc dal 12 febbraio al 27 marzo 2007: “avevano violato l’articolo 101 TFUE e l’articolo 53 dell’accordo SEE partecipando […] ad un’infrazione unica e continuata avente ad oggetto l’alterazione del corso normale di fissazione dei prezzi sul mercato dei derivati sui tassi di interesse in euro (Euro Interest Rate Derivatives; in prosieguo: gli «EIRD») legati all’«Euro Interbank Offered Rate» (Euribor) e/o all’Euro Over‑Night Index Average (EONIA) [articolo 1, lettera b), della decisione impugnata]".

Come si potrà notare leggendo il testo del provvedimento, ci si trova di fronte ad una complessa serie di operazioni effettuate da Hsbc, rispetto alle quali sarebbe emersa la “manipolazione dello «spread» tra due prodotti derivati”. Il gruppo bancario ha presentato ricorso contro la decisione della Commissione contestandola nei suoi vari punti e, in particolare, sostenendo che “i traders di HSBC hanno ricevuto dal trader di Barclays soltanto un’informazione molto frammentaria, limitata a quanto era strettamente necessario per la sua partecipazione alla sola manipolazione del 19 marzo 2007, e successivamente alla sua reiterazione. Non si può pertanto concludere che i traders di HSBC avrebbero dovuto, essi stessi, estrapolare dai frammenti di informazioni comunicati loro nell’ambito di un determinato comportamento – la manipolazione del 19 marzo 2007 – che un gruppo stabile di traders, la cui identità non è stata loro rivelata, partecipava ad altri comportamenti restrittivi della concorrenza nel mercato degli EIRD. […] Le motivazioni della decisione impugnata […] non consentono di dimostrare che HSBC fosse a conoscenza dei comportamenti costituenti un’infrazione delle altre imprese o potesse ragionevolmente prevederli”.

Le argomentazioni addotte da Hsbc sono state respinte, tuttavia con la sentenza del Tribunale dell'Ue è stato annullato l'articolo 2, lettera b) della decisione che, come si potrà leggere, prevedeva per il gruppo bancario una sanzione pari al non trascurabile importo di € 33.606.000! Entrambe le parti sono state condannate al pagamento delle spese processuali.

Il testo della sentenza è consultabile integralmente cliccando qui.

 

 


 

Consigli di lettura

In occasione del suo ottantacinquesimo anniversario, il Movimento Europeo ha realizzato un testo in onore di José María Gil-Robles Gil-Delgado. La sua figura è legata strettamente alla costruzione europea contemporanea e alla rappresentanza della Spagna all'interno dell'Unione, dapprima attraverso la militanza all'interno dell'Associazione spagnola per la cooperazione europea (AECE) e, per passi successivi, fino all'incarico di Presidente del Parlamento europeo, dal 1997 al 1999. Anche in tempi più recenti, Gil-Robles Gil-Delgado ha continuato ad offrire un contributo importante: è stato Presidente del Consiglio federale spagnolo del Movimento europeo (CFEME) tra il 1996 e il 2005 e del Movimento europeo internazionale (MEI) tra il 1999 e il 2005.

All'intero del testo “José Marìa Gil-Robles Gil-Delgado – Su aportación al pensamiento y a la construcción europea con motivo de su octagésimo quinto aniversario” si ritrovano i contributi di numerosi autori – tra cui anche quella del Presidente Dastoli con il suo “Homenaje a José Marìa Gil-Robles” – che consentono di delineare la figura di un esponente così importante dell'europeismo attraverso parole, immagini e interpretazioni dense di significato.

 

 


 

 Agenda della settimana

 

08-14 February 2021

 

Monday 8 February

Tuesday 9 February

Wednesday 10 February

Thursday 11 February

Friday 12 February

Sunday 14 February

 

 

 


Campagna di informazione sull’Europa

  Mario Draghi

 

 

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Questa settimana poniamo alla vostra attenzione il testo di un giovane studioso, Erasmo Mancini. Neolaureato in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Lateranense con una tesi dedicata al contesto normativo in cui opera Frontex. Mancini sta svolgendo il servizio volontario europeo – occupandosi di perfezionare e innovare i meccanismi di comunicazione sui social – presso la sede del Movimento europeo. Con il suo studio, Mancini ha ragionato anche sui possibili meccanismi di riforma di Frontex e dell'approccio stesso dell'Unione europea al fenomeno migratorio, viste e considerate le notevoli criticità evidenziatesi in questi ultimi anni. Motu proprio, ha voluto dedicare questo suo scritto alla Giornata della Memoria 2021, raccontando la sua esperienza di adolescente in viaggio di istruzione presso l'ex campo di concentramento di Auschwitz e Birkenau.

 

Lo stupore per il male altrui

Sono passati ormai oltre dieci anni dalla mia esperienza di viaggio nel complesso di campi di concentramento di Auschwitz, a pochi chilometri dalla bellissima città polacca di Cracovia. Ero poco più di un bambino, avevo appena compiuto tredici anni; era il gennaio del 2010 ed insieme ai miei compagni di classe ho preso parte ad un viaggio formativo di oltre una settimana incentrato sulla sensibilizzazione al tema dell’olocausto degli studenti delle scuole medie della provincia di Latina.

Partimmo in autobus, da Gaeta a Cracovia, oltre 1700 chilometri coperti in circa 23 ore di viaggio. Difficile dire se sin dall’inizio qualcuno di noi avesse realmente preso coscienza di quello che avremmo incontrato nel corso del nostro viaggio. Qualcuno di noi era meno bambino di altri, nascevano le prime relazioni, le prime esperienze, ricordo bene che per i primi giorni del viaggio metà dei miei pensieri erano dominati dalla ragazza per cui, al tempo, avevo una piccola cotta, un pensiero che tuttavia non tornò a casa con me quella settimana, non c’era più spazio nella mia mente al ritorno.

Ricordo come l’idea di dormire in autobus non fosse un problema per nessuno di noi. Era un lussuoso e comodo autobus a due piani pieno di televisori in alta definizione, dove per tutto il corso della lunga traversata venivano proiettati film sull’Olocausto. Tuttavia, nonostante possa apparire paradossale, quei film non costituivano un peso per noi ragazzi, erano la principale fonte di distrazione dalla monotonia del tragitto.  Nulla poteva scalfire i nostri animi infantili, nulla che riguardasse l’olocausto almeno.

Arrivati a Cracovia, trovammo la neve, una chimera per ragazzini di una cittadina di provincia del centro sud Italia, questa divenne il principale argomento di conversazione per i primi giorni di visita alla città. Anche durante la visita al ghetto ebraico di Cracovia, di fatto, la neve affollava i nostri pensieri, non si faceva altro che valutare il livello di sporcizia presente in un cumulo e una volta ritenuto lo stesso accettabile, cominciare a lanciare la neve meno scura sui pesanti e goffi giubbotti dei nostri compagni.

Anche i professori apparivano molto rilassati, i benefici derivanti dal notevole potere di acquisto che ai tempi noi italiani possedevamo in Polonia ed il lusso dell’hotel li aveva resi molto calmi e pacati, ci lasciavano molta libertà, tanto da rendersi irriconoscibili ai nostri occhi.

Questo clima ci accompagnò fino alla mattina del 26 gennaio.

Il 26 Gennaio fu il giorno in cui io, i miei compagni ed i miei professori, mettemmo per la prima volta piede nel campo di sterminio nazista di Birkenau.

Eravamo tutti molto incuriositi da quel luogo, di fatto quando entri dal grande portone principale ed osservi i lunghi binari che portano al centro del campo il primo pensiero che ti viene in mente è di trovarti in una struttura militare, direi anche non troppo antica, vista l’estrema modernità della struttura stessa rispetto anche alle abitazioni che circondano i campi.

Ma questa concezione di Auschwitz come “semplice” campo militare, come museo, variava molto rapidamente con il passare delle ore.

Ricordo che, avanzando nella neve alta, le nostre guide ci mostrarono prima di tutto le latrine comuni, poi i dormitori comuni ed ancora il resto dei campi. Passammo da Birkenau I e II ad Auschwitz I, gli edifici in mattoni erano quasi gradevoli alla vista, di fatto non sembravano un mattatoio di anime. Alcune strutture sembravano simili a scuole, altre addirittura simili a case a schiera. Nonostante la vista dall’esterno delle strutture non fosse poi cosi sorprendente, ricordo il silenzio di quei momenti, nessuno voleva parlare, nonostante fosse pieno di neve bianca e pulita da lanciarsi addosso.

Come ho detto, le cose possono cambiare molto rapidamente durante una visita nel complesso di campi di Auschwitz: nel corso del pomeriggio e del giorno successivo ci mostrarono gli interni di quelle strutture cosi anonime.

Porta dopo porta, si aprivano mondi paralleli fatti di profondo degrado e solitudine. Ricordo molto bene i magazzini, oggi riempiti di oggetti personali dei detenuti dei campi, migliaia di scarpe, migliaia di parrucche e centinaia di protesi, qualcuna ancora annerita dai lembi di carne ormai putrefatti e rimossi solo successivamente dalle stesse. In particolare, le protesi ci colpirono molto: normalmente quando oggi si osserva una protesi separata dal corpo di un essere umano si pensa ad un manichino o ad una bambola, quelle protesi invece sembravano veri e propri arti umani separati da corpi viventi. Gli aloni e gli schizzi di sangue presenti su quelle forme lignee raccontavano una storia di dolore, di umiliazioni e, nel riflesso del vetro che ci separava dalle stesse, ognuno di noi poteva quasi sentire il puzzo della morte, un odore acre che ancora oggi avvolge le strutture.

Quello stesso odore acre, simile alla muffa ma meno dolce, meno naturale, avvolgeva le stanze delle ultime camere a gas rimaste nei campi. I sovietici fecero saltare i forni crematori, di cui oggi restano solo poche rovine, ma non riuscirono in ogni caso a far bruciare quel puzzo dalle fondamenta delle stesse e dalle ultime strutture di sterminio rimaste in piedi.

Era gennaio, in Polonia in quelle settimane si andava diversi gradi sotto lo zero, noi ragazzi camminavamo goffi sui sentieri in silenzio, ma non credo fosse il freddo a farci desistere dal parlare.

C’è un momento della visita che sono riuscito a comprendere a fondo solo molti anni dopo, e che tutt’oggi mi fa commuovere. La sera del 26 gennaio ci recammo tutti insieme al muro del pianto al tramonto, le nostre guide ci invitarono ad affrontare un momento di preghiera dinnanzi a quel simbolo sacro al popolo ebraico, rappresentazione della sofferenza di tutti gli individui passati per quel campo, non ebrei inclusi. Come molti italiani che visitano il campo fanno, ormai per consuetudine, cominciammo a cantare il brano “Auschwitz” di Guccini, non conoscevamo le parole ma le imparammo quasi subito dopo le prime strofe e soprattutto, piangemmo. Tutt’oggi non ho mai più visto molte di quelle persone piangere, ma quella sera di gennaio piangemmo tutti e piangemmo tanto, tantissimo, tanto da tornare in albergo con occhiali e sciarpe ancora bagnati dalle lacrime. Il giorno dopo, il 27 gennaio, terminata la visita mattutina alle fabbriche ci recammo a Birkenau per assistere al discorso dall’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, discorso a cui non assistemmo mai, poiché l’enorme tenda allestita per l’evento era ormai satura di autorità e studenti provenienti da tutto il mondo. In ogni caso, non me ne rammarico, sono abbastanza convinto che di quel discorso, oggi, non avrei ricordato neanche una parola.

Nella mia memoria sono piuttosto impressi i volti nelle foto scattate dagli scienziati nazisti ed esposte nei laboratori di Auschwitz I, ci sono i soffioni circolari delle camere a gas, c’è il significato della parola polacca Birkenau, betulla, dalla foresta di betulle che i nazisti abbatterono per costruire il campo, c’è il freddo pungente e soprattutto, c’è lo stupore del male altrui che li è stato commesso in modo consapevole e sereno.

Nonostante oggi esistano innumerevoli strumenti di sensibilizzazione al tema della Shoah e dello sterminio del diverso in ogni sua forma umana penso al cinema – penso alle testimonianze dei sopravvissuti, penso all’educazione civica stessa – sono convinto che nulla sia più efficace di una visita al complesso dei campi di concentramento di Auschwitz per instaurare in un individuo una sana e corretta memoria.

Parlo ancora con molte delle persone che parteciparono a quel viaggio; capita spesso, anche quando ci si incontra dopo molto tempo, di ricordare quei momenti e soprattutto capita spesso di raccontarli a persone che quei momenti non li hanno vissuti, invitandoli a recarsi li.

La memoria è un fenomeno umano collettivo, è necessario che si alimenti a vicenda, che la si coltivi come un orto comune da cui trarre frutti. Citando le parole della senatrice a vita Liliana Segre nel suo discorso al Parlamento europeo, “Il razzismo strutturale c’è sempre stato, non c’era il momento politico per tirare fuori il razzismo e l’antisemitismo che sono insiti nell’animo dei poveri di spirito” e questi momenti possono tornare, vi saranno sempre individui che tenteranno di trovare il terreno adatto per farsi avanti e alimentare di nuovo la non memoria, il sentimento negativo verso il proprio vicino, il proprio fratello.

A mio parere dovremmo tutti passare attraverso Auschwitz, sono convinto che se vogliamo davvero fermare qualsiasi forma di deriva, di negazionismo o anche semplicemente di “ignoranza” sui fatti storici, questo sia l’unico modo per farlo.

Il mio auspicio è che, in futuro, non solo classi di meritevoli di qualche istituto scolastico sparso per l’Europa, ma tutti i cittadini europei, giovani e non giovani, passino almeno una volta per Auschwitz, e ritrovino la memoria.

Erasmo Mancini

 

 

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Il settore delle tecnologie digitali presenta numerosi aspetti di interesse in merito alle possibili ricadute in termini di controversie relative all'applicazione del diritto europeo. Questa settimana, vi proponiamo due sentenze che hanno riguardato casi specifici relativi a direttive in cui si regolamentano le procedure che operatori commerciali, professionisti, aziende sono tenuti a rispettare.

Il primo caso verte su una controversia tra un cittadino e un'azienda fornitrice di mobili presso il quale lo stesso aveva acquistato una cucina integrata in occasione di una fiera commerciale. Gli elementi della cucina sarebbero stati assemblati da un'altra impresa secondo uno schema di perforazione su reti di produzione digitali. Successivamente, sarebbero stati montati in loco dall'azienda fornitrice; il cliente avrebbe poi esercitato il diritto di recesso. Ecco quindi l'insorgere della controversia: l'azienda fornitrice ha avviato un’azione di risarcimento danni a causa dell’inadempimento del contratto da parte del cliente. La direttiva su cui la Corte ha fornito i suoi chiarimenti, con sentenza del 21 ottobre 2020, è la n.2011/83. In particolare, è stato necessario chiarire l'articolo 16 della stessa, intitolato «Eccezioni al diritto di recesso». Secondo la Corte, il diritto di recesso non può essere esercitato dal consumatore che ha concluso un contratto negoziato fuori dei locali commerciali relativo alla vendita di un bene che dovrà essere confezionato secondo le sue specifiche, indipendentemente dal fatto che il professionista abbia iniziato la produzione di detto bene. Il testo della sentenza è consultabile cliccando qui.

Un ulteriore caso interessante riguarda l'Italia in relazione al recepimento della direttiva 2011/7, dedicata alle transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni, ideata per contrastare il ritardo nei pagamenti delle seconde verso le prime. Recepita nell’ordinamento giuridico italiano con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192, la direttiva ha portato all'adozione di alcuni provvedimenti, quali lo stanziamento di risorse finanziarie aggiuntive per il pagamento dei crediti certi, liquidi ed esigibili delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni, come le leggi del 6 giugno 2013, n. 64 e quella del 23 giugno 2014, n. 89. Inoltre, è stato previsto un sistema di compensazione tra i propri debiti tributari e i crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni; a tal fine si è ritenuto opportuno favorire anche la digitalizzazione delle imprese e dei sistemi di pagamento per perseguire l'obiettivo di una maggiore efficienza in queste transazioni. Tuttavia, a seguito di una serie di denunce presentate da operatori economici e associazioni di operatori economici italiani, la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana, il 19 giugno 2014, una lettera di messa in mora, contestandole l’inadempimento degli obblighi ad essa incombenti. Ne è seguita una corrispondenza tra le due parti, che non ha portato però a risultati significativi, ragion per cui la Commissione europea ha presentato ricorso presso la Corte di Giustizia dell'Ue il 14 febbraio 2018. Con sentenza del 28 gennaio 2020, sono state riconosciute dalla Corte le ragioni della Commissione: l'Italia si è resa inadempiente rispetto agli obblighi previsti nella suddetta direttiva ed è stata anche condannata al pagamento delle spese legali. Il testo della sentenza è consultabile cliccando qui.

 

 

 

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