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Per comprendere quali valutazioni entrino in gioco quando si tratta di bilanciare il diritto alla libertà di espressione con altri diritti, come quello alla riservatezza, questa settimana vi proponiamo il caso di una sentenza della CGUE del 14 febbraio 2019 che affronta aspetti interessanti di questo rapporto. I fatti vedono coinvolto un cittadino lettone, Sergejs Buivids, il quale, “Mentre si trovava presso i locali di un commissariato della polizia nazionale, ha filmato le operazioni di raccolta della sua deposizione nell’ambito di un procedimento per illecito amministrativo. Il sig. Buivids ha pubblicato il video così registrato (in prosieguo: il «video in questione»), che mostrava taluni agenti di polizia e le attività da essi esercitate all’interno del commissariato, sul sito Internet www.youtube.com. […] In seguito a tale pubblicazione, l’Agenzia nazionale per la protezione dei dati ha dichiarato, in una decisione del 30 agosto 2013, che il sig. Buivids aveva violato l’articolo 8, paragrafo 1, della legge sulla protezione dei dati, poiché non aveva comunicato agli agenti di polizia, nella loro qualità di interessati, le informazioni previste in detta disposizione relative alla finalità del trattamento dei dati personali che li riguardavano. Il sig. Buivids non aveva neppure comunicato all’Agenzia nazionale per la protezione dei dati le informazioni relative alla finalità della registrazione del video in questione e della sua pubblicazione su un sito Internet idonee a dimostrare che l’obiettivo perseguito fosse conforme alla legge sulla protezione dei dati. L’Agenzia nazionale per la protezione dei dati ha pertanto chiesto al sig. Buivids di provvedere affinché il suddetto video fosse rimosso dal sito Internet www.youtube.com e da altri siti Internet”.

A seguito di tale decisione, il sig. Buivids ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo distrettuale lettone, contestando l’illegittimità di tale decisione e chiedendo anche il risarcimento del danno, sostenendo che, “con la pubblicazione del video in questione, aveva cercato di attirare l’attenzione della società su una condotta a suo avviso illecita delle forze di polizia”. Ma il suddetto tribunale ha respinto il ricorso. Similmente, la Corte amministrativa regionale lettone, successivamente invocata da Buivids, ha rigettato le sue istanze, sottolineando peraltro che i video in questione non avessero finalità giornalistica e non riprendessero fatti di attualità o scorrettezze del personale di polizia e che con il suo comportamento l’autore dei video avesse violato la legge sulla protezione dei dati.

Buivids ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte suprema lettone, contestando le decisioni dei due tribunali precedentemente invocati, poiché i video erano stati girati in luogo pubblico e quindi ritenendo che non sussistessero i motivi per la rimozione da Youtube. La Corte Suprema, nutrendo dubbi sul fatto se il comportamento dell’autore dei video rientrasse nei dettami previsti dalla direttiva n. 95/46 CE, in particolare dell’articolo 9 che definisce la sfera di applicazione di “un trattamento di dati personali a scopi giornalistici”, si è rivolta alla CGUE. Un ulteriore dubbio della Corte suprema lettone era se la registrazione stessa svolta dal sig. Buivids rientrasse nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.

Per conoscere le decisioni della Corte di Giustizia Ue, il testo della sentenza completo è disponibile cliccando qui.

 
 

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In coerenza con i contenuti di questo numero, questa settimana ci occupiamo dell’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali, che fissa una serie di principi da tener presente ed anche reinterpretare alla luce dell’innovazione tecnologica. Rispetto ai vent’anni trascorsi dalla proclamazione della Carta, il 7 dicembre 2000, ed anche rispetto al suo successivo riadattamento del 12 dicembre 2007, oggi viviamo in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione sono più rapidi, a più alto impatto; molte più persone vi hanno liberamente accesso e ciò si può considerare un passo in avanti. Ci sono anche più soggetti in competizione tra loro per ottenere visibilità sui media, considerata l’ampia diffusione di Facebook per esempio, che non esisteva ancora nel 2000 e che nel 2007 iniziava a diffondersi ma si era ancora agli inizi, in Italia. Ed è necessario riflettere sul fatto che, se da un lato mezzi del genere incrementano le opportunità di farsi conoscere, diffondere messaggi ad un determinato pubblico, essere autori di se stessi, dall’altro rappresentano un rischio di accresciuta diffusione di informazioni non verificate, poco autorevoli se non proprio volutamente false e denigratorie. È necessario considerare che il sacrosanto diritto alla libertà di espressione, intesa non solo come libertà di pensiero e di parola, ma di manifestazione di un sentire, della propria arte, del proprio credo e delle proprie convinzioni politiche, religiose, di tutti gli orientamenti che rientrano nella sfera personale, trova un limite etico nel fatto di non compromettere la dignità, la libertà, l’esistenza altrui. Purtroppo spesso si trascurano questi principi sul web e il risultato è un flusso incontrollato di comunicazione, rispetto al quale si può fare fatica a mettere in atto delle difese intellettuali. Lo stesso concetto di democrazia può finire così per essere travisato, poiché la supposta libertà, possibile grazie al mezzo informatico, di “dire ciò che si vuole” si rivela un boomerang. Senza controllo delle fonti, senza il giusto filtro, una tecnologia ricca di potenzialità positive come internet si trasforma in un mare tempestoso in cui si rischia di essere travolti. D’altro canto, nel primo comma dell’articolo 11 in esame, si pone l’accento anche su ciò che le istituzioni di uno Stato membro non devono fare, cioè porre in atto quelle che, in via generale, sono definite “ingerenze” delle autorità sulla libertà di espressione, oppure stabilire dei limiti alla circolazione di informazioni o idee all’interno dell’Unione europea. Si tratta di aspetti di altrettanta importanza e, anche in questo caso, l’approccio di ciascuno Stato membro nei confronti del principio posto dovrebbe anche in questo caso essere rispettoso di questa libertà. Una politica di comunicazione efficace dovrebbe sì incrementare le opportunità del pluralismo e della libertà dei media, come afferma il secondo comma, ma anche sviluppare una cultura civica della fruizione responsabile dell’informazione. Chi si occupa di comunicazione, ricorre spesso alla metafora della dieta mediatica: se correttamente applicata, porta il soggetto a “nutrirsi” in maniera corretta e bilanciata di informazioni. Secondo i principi che guidano tale approccio – e sarà capitato senz’altro agli studenti di Comunicazione o di una scuola di giornalismo di confrontarsi con questo problema dell’informazione – una dieta equilibrata prevede di ascoltare più fonti al giorno, o quantomeno i principali mezzi di comunicazione, cioè la radio, la lettura di almeno un quotidiano, i telegiornali e internet.

 

 

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Vi ricordiamo, per orientarsi nell’ambito delle istituzioni europee, questa guida del cittadinoScaricabile su tutti i numeri della newsletter, è stata realizzata all’interno di un programma di formazione promosso dalla DG Comunicazione della Commissione Europea. Tramite questo strumento, è possibile risalire al ruolo delle istituzioni e degli organi dell’Unione e ricostruire il cammino svolto in questi settant’anni, attraverso i principali cenni storici.

Indicata sia per neofiti che per addetti ai lavori.

 

 

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