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Questa settimana parleremo di una recente sentenza attinente al settore delle politiche ambientali; ci sembra opportuno tenuto conto del vasto impegno che si prepara con il Next generation Eu per lo European Green Deal.

I fatti per cui si è svolta la causa si sono verificati nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012: le relazioni fornite dalla Repubblica italiana sull’evoluzione delle concentrazioni di PM10 nell’aria hanno indotto la Commissione europea a recapitare, l’11 luglio 2014, “una lettera di messa in mora riguardante la violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50”. Cosa affermano questi articoli?

L’articolo 13, intitolato «Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana», “al suo paragrafo 1 prevede quanto segue: «Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI”;

L’articolo 23, intitolato «Piani per la qualità dell’aria», dispone che ”Se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo qualsiasi, più qualunque margine di tolleranza eventualmente applicabile, gli Stati membri provvedono a predisporre piani per la qualità dell’aria […] In caso di superamento di tali valori limite dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, i piani per la qualità dell’aria stabiliscono misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile. I piani per la qualità dell’aria possono inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi i bambini. […] Detti piani sono comunicati alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento. Qualora occorra predisporre o attuare piani per la qualità dell’aria relativi a diversi inquinanti, gli Stati membri, se del caso, predispongono e attuano piani integrati per la qualità dell’aria riguardanti tutti gli inquinanti interessati”.

Ne è seguito uno scambio di lettere tra le parti: l'Italia inizialmente ha riconosciuto la violazione dell'articolo 13 e, in relazione all'articolo 23, ha risposto che “occorreva procedere ad una valutazione per ogni zona o agglomerato in questione”. Nella sua prima risposta, le autorità italiane hanno altresì richiesto “una proroga del termine di risposta a tale lettera di messa in mora, che è stata loro concessa”. Tuttavia, questa corrispondenza precedente all'avvio del contenzioso è andata avanti. Ogni volta, le richieste di chiarimento e i dati forniti non sono stati ritenuti sufficienti, fino a che “Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse ancora posto rimedio alle violazioni del diritto dell’Unione contestate, il 13 ottobre 2018 la Commissione ha deciso di proporre il ricorso per inadempimento di cui trattasi. La Repubblica italiana, in applicazione dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha chiesto alla Corte di riunirsi in Grande Sezione”.

L'esito della controversia è stato sfavorevole all'Italia; infatti, il 20 novembre scorso, la Corte di Giustizia Ue ha emesso una sentenza in cui si riconoscono le violazioni degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50 durante il periodo compreso tra il 2006 e il 2017. Nelle conclusioni della sentenza, si potrà notare come vengano riportate anche le specificità delle violazioni verificatesi in diverse regioni italiane. L'Italia è stata condannata anche al pagamento delle spese.

Per approfondire, clicca qui.

Clicca qui per leggere una sintesi ufficiale del testo della sentenza.

 

 

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L'articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali balza all'attenzione più per ciò che al suo interno non viene detto: afferma infatti semplicemente che “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”. Tutto ciò di cui non si parla nell'articolo è materia complessa; il diritto all'uguaglianza di fronte alla legge è un argomento così vasto che c'è ragione di ritenere che mai si smetterà di affrontarlo. Il fatto che si affermi tale diritto all'interno di un testo normativo valido su tutto il territorio dell'Unione europea consente alle cittadine e ai cittadini di poter veder tutelati i propri diritti all'interno dello spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Soffermiamo qui l'attenzione su un aspetto che appare essenziale, quello cioè dell'affermazione dell'Unione come “un’Unione di diritto, il che vuol dire che è fondata non solo sui principi di democrazia e rule of law ma anche di tutela dei diritti fondamentali”. Ruota attorno a questo tema il saggio “Fra interpretazione e dialogo. Il ruolo del giudice nazionale” [*] di Valeria Piccone, Consigliere della Corte di Cassazione, componente del Consiglio Consultivo dei Giudici europei.

Ciò che assume particolare rilievo ai fini del discorso è il fatto che sia riconosciuto alla Carta dei diritti fondamentali un valore determinante “nella ricerca della compatibilità fra il diritto interno e quello dell’Unione: il pregnante riconoscimento dei divieti di discriminazione come espressione di un principio generale di uguaglianza, quale sancito soprattutto dalla seconda decisione con il suo richiamo all’art.6 TUE e alla Carta di Nizza, dotata dello stesso valore giuridico dei Trattati, fa sì, secondo la Corte, che il principio di uguaglianza viva “di una vita propria” che prescinde dai comportamenti attuativi o omissivi degli Stati membri”.

 

[*] Cfr: Angela di Stasi, Lucia Serena Rossi, "Lo spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia a vent'anni dal Consiglio europeo di Tampere", Napoli, Editoriale Scientifica, 2020,pp. 97-138.

 

 

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