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Sempre in tema di diritti, questa settimana vi proponiamo un testo universitario apparentemente difficile ma che, per come emerge dalla sua presentazione, non vuole lasciare indietro nessuno. Il filo conduttore è chiaro già dal titolo: “Introduzione al diritto penale europeo – Fonti, metodi, istituti, casi”. Gli autori sono due docenti ordinari di diritto penale presso l’Università di Bologna, Vittorio Manes e Michele Caianiello. L’obiettivo di questa pubblicazione è quello di, “mettere in campo un forte ed autorevole richiamo alle ragioni più profonde che impongono oramai agli Stati europei di sostenere un processo di integrazione totale, in cui ciascuno di essi è custode di garanzie e diritti comuni irrinunciabili”.

 

 

 

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Considerato il fatto che l’Unione europea ha posto tra le sue priorità per la programmazione futura la questione ambientale – e considerato l’aspetto essenziale del rispetto dello stato di diritto quale criterio per l’accesso ai fondi europei, che tutti gli Stati membri sono tenuti a rispettare – questa settimana ci sembra interessante richiamare alla Vostra attenzione una sentenza del 13 marzo 2019 relativa a tale ambito. È il risultato di una controversia tra la Repubblica di Polonia, sostenuta da Ungheria e Romania, da un lato, e dall’altro il Parlamento e il Consiglio, sostenuti dalla Commissione europea. Lo Stato membro ha impugnato infatti la direttiva n. (UE) 2016/2284 che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE, introducendo nuovi parametri sul tetto delle emissioni, contribuendo ad un futuro più sostenibile anche sotto il profilo dei costi sanitari che si dovrebbero sostenere qualora non si attuasse una strategia efficace di contrasto all’inquinamento atmosferico.

Sottolineiamo alcuni punti: “Durante la riunione del Consiglio del 17 ottobre 2016, la Repubblica di Polonia, l’Ungheria e la Romania hanno espresso le loro preoccupazioni in merito all’impatto economico degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni previsti dalla proposta di direttiva e alla metodologia utilizzata per stabilire tali impegni. Dopo la votazione in Parlamento, il 23 novembre 2016, la direttiva impugnata è stata votata dal Consiglio l’8 dicembre 2016 e adottata a Strasburgo il 14 dicembre 2016. Con decisione del 30 agosto 2017, l’Ungheria e la Romania sono state ammesse ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica di Polonia. Alla stessa data, la Commissione è stata ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio”.

Sono ben cinque i punti di contestazione da parte dello Stato ricorrente:

Con il primo e il secondo motivo, la Repubblica di Polonia sostiene che il Parlamento e il Consiglio hanno violato i principi di leale cooperazione, di trasparenza e di apertura nonché l’obbligo di motivare gli atti giuridici […];

A sostegno del suo terzo motivo, la Repubblica di Polonia fa sostanzialmente valere l’irregolarità della procedura di adozione della direttiva impugnata, dovuta alle lacune nella valutazione d’impatto, riguardanti segnatamente le conseguenze delle misure previste sull’economia degli Stati membri, in particolare sulla Repubblica di Polonia. […];

Con il suo quarto motivo, la Repubblica di Polonia sostiene che le misure necessarie per rispettare gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni previsti dalla direttiva impugnata possono comportare, a suo carico, conseguenze negative in determinati settori e costi socioeconomici particolarmente pesanti. Il legislatore dell’Unione non ne avrebbe tenuto conto e sarebbe quindi incorso in un errore manifesto adottando la direttiva impugnata, integrante una violazione del principio di proporzionalità, quale sancito dall’articolo 5, paragrafo 4, TUE. […];

Con il suo quinto motivo, la Repubblica di Polonia fa valere una violazione dei principi di uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e dello sviluppo equilibrato, sulla base del rilievo che gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni di cui alla direttiva impugnata sono stati fissati senza tenere conto della situazione economica e sociale, del progresso tecnologico e dei costi di attuazione di tali impegni nei diversi Stati membri e nelle diverse regioni dell’Unione.

Tutti e cinque i punti del ricorso sono stati ritenuti infondati e vi invitiamo perciò ad analizzare il testo questa controversia, in cui il ruolo della Repubblica di Polonia appare sotto molti aspetti più orientato alla contestazione che ad alimentare i presupposti di una leale collaborazione.

Per saperne di più, clicca qui.

 

 

 

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Dopo aver esaminato l’articolo 51 della Carta, veniamo a quello successivo, sempre ricompreso nelle disposizioni generali e dedicato alla portata dei diritti garantiti. Si tratta di un articolo che fissa sia alcuni principi, sia alcune modalità attraverso cui tutelare diritti altrui. Il primo comma afferma infatti che “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Si fa poi riferimento al modo in cui si esercitino i diritti della Carta, nel loro rapporto con i trattati: “I diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei trattati comunitari o nel trattato sull’Unione europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati stessi”. Si passa poi a citare il rapporto con la CEDU: “Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione”. E infine, questo terzo comma interviene sul fatto che, per quanto siano previste al suo interno delle notevoli tutele, “La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”.

L’articolo 52 afferma chiaramente, in tema di diritti, che sia necessario tutelarli con ogni mezzo legittimo, includendo anche modalità di tutela rafforzata. C’è da chiedersi se e come tale obiettivo possa conciliarsi con esigenze di natura differente, come quelle di carattere economico: oggi spiace constatare che esiste il rischio, in alcune aree dell’Unione - che abbiamo definito “zone d’ombra” - che le condizioni di vita siano incompatibili con i principi dello stato di diritto; ecco perché porre un freno alle ambizioni di un Consiglio europeo che, mentre corre alla ricerca di accordi, dimentica quanto la sua tutela sia essenziale. Si tratta di un aspetto imprescindibile per porre le condizioni di una società aperta e solidale – di cui ci siamo peraltro occupati spesso, nel corso di questa edizione della newsletter – e nell’Unione europea che oggi stringe accordi per porre le basi di una maggiore collaborazione futura ciò andrebbe sempre ricordato.

 
 

 

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