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Nonostante la produzione normativa italiana sia assai complessa, tanto che secondo alcuni giuristi ci si trova di fronte ad una ipertrofia del diritto, vi sono alcuni aspetti che la giurisprudenza non ha regolamentato adeguatamente e sui quali è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Uno di essi è quello relativo all’indennizzo delle vittime di reati violenti e su di esso si è riscontrata una controversia tra Italia e Commissione europea risolta con un ricorso alla Corte: “La Repubblica italiana”, si legge nelle conclusioni dell’avvocato Yves Bot che lo ha ritenuto ammissibile in data 12 aprile 2016, “prevede, nel suo diritto nazionale, che un indennizzo siffatto sia possibile soltanto rispetto a determinati reati intenzionali violenti, come gli atti di terrorismo o i reati legati alla mafia”.

Ma veniamo ai fatti. Dopo una serie di scambi infruttuosi con la Repubblica italiana, “La Commissione ha inviato a quest’ultima, il 25 novembre 2011, una lettera di diffida nella quale contestava a tale Stato membro di non prevedere nella sua normativa un sistema generale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, contrariamente alle prescrizioni che derivano, secondo tale istituzione, dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, e la invitava a presentare le proprie osservazioni su tale punto.  Nella sua risposta del 14 maggio 2012, la Repubblica italiana ha presentato un progetto di interventi legislativi volti a creare un sistema generale di indennizzo. Non essendo stato presentato alcun calendario legislativo per l’attuazione di detto progetto, la Commissione ha dato seguito al procedimento precontenzioso. Con lettera del 12 luglio 2013, la Repubblica italiana ha informato la Commissione del fatto che il Tribunale ordinario di Firenze (Italia) aveva sottoposto alla Corte una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2004/80, e ha proposto di attendere la decisione della Corte nell’ambito di detta causa prima di dar seguito al procedimento da essa avviato. Il 18 ottobre 2013 la Commissione ha tuttavia notificato alla Repubblica italiana un parere motivato, con cui ha invitato le autorità italiane ad adottare le misure necessarie per conformarsi all’articolo 12 della direttiva 2004/80 entro due mesi da detta data. Nella sua risposta pervenuta alla Commissione il 18 dicembre 2013, la Repubblica italiana ha ribadito di ritenere opportuno attendere la risposta della Corte alla questione pregiudiziale posta dal Tribunale ordinario di Firenze. Con ordinanza del 30 gennaio 2014, C. (C‑122/13, EU:C:2014:59), la Corte si è tuttavia dichiarata manifestamente incompetente a rispondere a tale questione.  Alla luce di ciò, la Commissione ha deciso di adire la Corte con il presente ricorso per inadempimento in forza dell’articolo 258, secondo comma, TFUE.  Con decisione del presidente della Corte del 22 maggio 2015, il Consiglio dell’Unione europea è stato autorizzato ad intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione”.

In particolare, al centro della controversia è l’interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2004/80. Secondo la Commissione, “l’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva, pur non definendo la nozione di «reati intenzionali violenti», non lasci tuttavia alcun margine di discrezionalità agli Stati membri quanto all’ambito di copertura del sistema nazionale di indennizzo, il quale non può che corrispondere all’intera categoria dei reati intenzionali violenti, quale individuata dal diritto penale materiale di ciascuno Stato membro. Di conseguenza, gli Stati membri non avrebbero il diritto di sottrarre taluni reati di tale categoria all’ambito di applicazione della normativa nazionale destinata a trasporre la direttiva 2004/80. […] Secondo la Commissione, la Repubblica italiana si sarebbe limitata a trasporre le disposizioni del capo I della direttiva 2004/80, che riguardano l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere. Invece, per quanto riguarda il capo II di tale direttiva, tale Stato membro avrebbe previsto, mediante diverse leggi speciali, un sistema di indennizzo soltanto per le vittime di alcuni reati specifici, come le azioni di terrorismo o la criminalità organizzata, mentre nessun sistema di indennizzo sarebbe stato istituito per quanto riguarda i reati intenzionali violenti che non sono coperti da tali leggi speciali, in particolare lo stupro o altre gravi aggressioni di natura sessuale”.

Di segno opposto la posizione dell’Italia, secondo cui il ricorso presentato dalla Commissione non sarebbe stato “in linea con le contestazioni contenute nel parere motivato del 18 ottobre 2013 (v. sopra, ndr). Infatti, detto parere motivato riguarderebbe unicamente i «reati di omicidio e lesioni personali gravi che non rientrano nei casi previsti dalle “leggi speciali”», nonché lo «stupro e altre gravi aggressioni di natura sessuale». Ebbene, nel presente ricorso, la Commissione contesterebbe alla Repubblica italiana di non aver introdotto un sistema generale di indennizzo per le vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi nel proprio territorio, ampliando in tal modo l’oggetto del ricorso per inadempimento. Quest’ultimo sarebbe, pertanto, irricevibile. In via subordinata, la Repubblica italiana rammenta che la direttiva 2004/80 è stata adottata sulla base dell’articolo 308 CE. Ebbene, l’Unione non sarebbe competente a legiferare, in materia di repressione dei reati di violenza comune di ciascuno Stato membro, né sotto il profilo processuale né sotto quello sostanziale, e non sarebbe neppure competente a disciplinare le conseguenze di tali azioni sul piano civile. Tenuto conto della base giuridica di detta direttiva, quest’ultima si limiterebbe ad imporre agli Stati membri di consentire ai cittadini dell’Unione residenti in un altro Stato membro di avere accesso ai sistemi di indennizzo già previsti dalle rispettive norme nazionali in favore dei loro cittadini vittime di reati intenzionali violenti. Ebbene, la Repubblica italiana avrebbe adempiuto a tale obbligo mediante le disposizioni procedurali del decreto legislativo n. 204/2007 e del decreto ministeriale del 23 dicembre 2008, n. 222. In via ulteriormente subordinata, la Repubblica italiana sostiene che gli Stati membri mantengono un ampio potere discrezionale nell’individuazione delle singole ipotesi di «reati intenzionali violenti» rispetto ai quali prevedere forme di indennizzo”.

La Corte, valutati gli elementi delle due parti, ha ritenuto anzitutto ricevibile il ricorso e, a proposito della posizione dell’Italia, ha chiarito che “uno Stato membro non può utilmente eccepire l’illegittimità di una direttiva di cui sia destinatario come argomento difensivo contro un ricorso per inadempimento basato sulla mancata esecuzione di tale direttiva”. Ha quindi riconosciuto che “non tutti i reati intenzionali violenti, quali precisati dal diritto italiano, sono coperti dal sistema di indennizzo vigente in Italia”, la quale “è venuta meno all’obbligo ad essa incombente in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato”. L’Italia è stata quindi condannata a sopportare le spese di giudizio proprie e della Commissione europea. Per conoscere meglio i fatti, clicca qui.

 

 

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Ci siamo già occupati di giustizia europea in numerose occasioni e la nostra rubrica dedicata alle sentenze della Corte di Lussemburgo ha proprio la funzione di divulgare la conoscenza e stimolare il dibattito sulle attività del più alto organo giudiziario europeo, assieme alla Cedu. Questa settimana ci concentriamo sul capo VI della Carta, dedicato per l’appunto alla giustizia, ricordando che sull’argomento abbiamo già trattato l’articolo 49 nella newsletter n. 23, pubblicata il 13 luglio scorso. Adesso parliamo dell’articolo 47, che afferma un diritto fondamentale per l’affermazione della giustizia, quello cioè a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale; al suo interno, si delinea in che modo e con quali garanzie sia previsto l’accesso alla giustizia per il cittadino: “Ogni individuo”, recita il primo comma,”i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo”. In che modo quindi si svolge tale ricorso? “Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.

Anche i meccanismi interni ai singoli Stati membri, a prescindere dall’esistenza della Carta, prevedono una serie di istituti che consentono al cittadino di far valere i propri diritti e far esaminare una controversia che lo riguarda in maniera imparziale. Sembrerebbe anzi inevitabile che sia così. Eppure, nell’Unione europea di oggi, rispetto a tale assunto si sottolineano perlomeno due aree di criticità. La prima è quella riguardante il rispetto dello stato di diritto, un tema scottante per gli Stati membri dell’Europa centrale e che può avere ripercussioni anche su altri aspetti, quali gli accordi per il Recovery fund. Da questo punto di vista, sono già più d’uno i casi trattati nelle precedenti newsletter che hanno riguardato controversie aperte in sede di Corte di Giustizia Ue e che vedono coinvolti Stati membri come l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca: un capitolo, quello del rispetto dello stato di diritto, che nella situazione attuale desta non poche preoccupazioni. La seconda area di criticità riguarda la cooperazione giudiziaria nello Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. A tal proposito, vogliamo ricordare l’evento organizzato il 30 settembre scorso dall’europarlamentare Sven Giegold, dal titolo "Zero tolleranza verso il dumping fiscale e il riciclaggio di denaro" (è il secondo sul tema) che ha visto tra l’altro la partecipazione dei Ministri delle Finanze italiano e tedesco. A seguito di una domanda del giornalista Massimiliano Nespola, responsabile di questa newsletter, si è aperta una riflessione su un obiettivo che l’Unione europea dovrà perseguire. Infatti, al Ministro Olaf Scholz è stato chiesto se si trovi d’accordo sul fatto che le differenti tradizioni giuridiche degli Stati membri siano un terreno in cui occorra collaborare di più e meglio; per esempio, bisogna ricordare che l’Italia è il solo paese a prevedere nel suo ordinamento il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il Ministro Scholz si è detto d’accordo, affermando che “un ulteriore progresso sia necessario, se vogliamo avere la fiducia dei cittadini”. Volendoci ricollegare al tema dello stato di diritto, tale evento è stata l’occasione per rammentare che, anche su questo punto, occorre un progresso rispetto alla situazione attuale. 

 

 

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Ecco una serie di iniziative importanti che partono in questa settimana:

 

 

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