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Segnaliamo l’approvazione degli aiuti regionali alle aziende, da parte dell’Antitrust europeo; si tratta di un piano del valore di 9 miliardi di aiuti pubblici attraverso le regioni, gli enti locali e le camere di commercio. Sulla Gazzetta Ufficiale di martedì 19 maggio, sono reperibili le norme che traducono il cosiddetto “Temporary Framework”; si tratta del D.L. 19 maggio 2020, n. 34  e, in particolare, i suoi articoli da tener presente sono quelli dal 54 al 63. Gli strumenti previsti per intervenire sono sia in forma di sussidi a fondo perduto, sia di garanzie sui prestiti, sugli interessi legati ai prestiti, sia anche di aiuti diretti ad evitare licenziamenti. Tale sostegno potrà essere utilizzato per attività direttamente connesse all’emergenza, per esempio la produzione di dispositivi medici o la ricerca sul vaccino.

Riteniamo altresì segnalare che si è avuto, il 20 maggio, l’insediamento del nuovo Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi e, naturalmente, ci si è chiesti quale sarà la sua linea e i giornali hanno riportato numerose affermazioni del neo eletto connesse alla notizia. Per sintesi, richiamiamo qui il punto di vista di Bonomi sul ruolo di Confindustria che, ha affermato, «non è né maggioranza, né opposizione, sta sui temi economici e quindi sull’industria, che è un tema di tutto il paese. È qui che non sento nessuno che abbia il piacere di sedersi con me ad un tavolo e confrontarsi». Il neo Presidente ha poi posto l’accento sulle riforme strutturali che sono necessarie all’Italia, nei settori del fisco e della burocrazia. E ha posto all’attenzione tra l’altro un tema di contabilità pubblica, sostenendo che sia necessario un grande piano di rientro dal debito pubblico per l’Italia, sia per attirare investimenti sia perché «Il giorno che la Bce sarà costretta a rallentare i suoi acquisti ci troveremo in grande crisi sui mercati internazionali».

 

 

 

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Ci può essere un rapporto tra la libertà di manifestare la propria convinzione religiosa e lo svolgimento di una prestazione lavorativa? Naturalmente sì. Si tratta di un rapporto delicato, peraltro, che riguarda il diritto della persona a poter realizzare la propria personalità. Questa settimana poniamo all’attenzione due sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue che hanno fornito interpretazioni in merito all’applicazione della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Nel primo caso, si è trattato di fornire chiarimenti in merito alla presente controversia: un datore di lavoro tiene conto del desiderio di un cliente che i servizi di tale datore di lavoro non siano più assicurati da una dipendente che indossa un velo islamico. Questa circostanza può essere considerata come un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa? La risposta della Corte a tale quesito è stata negativa. Clicca qui per leggere il testo integrale della sentenza.

Nel secondo caso, si è dovuto fornire interpretazioni in merito ad una situazione leggermente differente. All’interno di un’azienda privata, una lavoratrice è tenuta a rispettare una regola non scritta in base al quale le è impedito di indossare il velo durante lo svolgimento della sua prestazione, che consiste nel fornire ricevimento e accoglienza alla clientela. Dopo tre anni di servizio, decide di comunicare al datore di lavoro che non intende più rispettare tale regola; viene avvertita che ciò non sarebbe stato tollerato. La dipendente decide comunque di indossare il velo; il comitato aziendale approva quindi una modifica del regolamento interno in forza della quale «è fatto divieto ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose e/o manifestare qualsiasi rituale che ne derivi». Ciò porta, a causa del perdurare del comportamento contrario della dipendente, al suo licenziamento. Si apre un procedimento prima presso la Corte belga, per stabilire se il licenziamento fosse o meno discriminatorio. Si arriva a consultare quindi la CGUE, che in sentenza stabilisce che  “il divieto di indossare un velo islamico, derivante da una norma interna di un’impresa privata che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso sul luogo di lavoro, non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali ai sensi di tale direttiva”, tuttavia può costituire discriminazione indiretta, “qualora venga dimostrato che l’obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia, a meno che esso sia oggettivamente giustificato da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti, e che i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari, circostanza, questa, che spetta al giudice del rinvio verificare”.

Clicca qui per leggere il testo integrale della sentenza.

 

 

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Libertà di pensiero, di coscienza e di religione: questi tre aspetti della manifestazione di libertà dell’individuo sono condensate nell’articolo 10. Al comma 2 dell’articolo, vi si aggiunge anche il diritto all’obiezione di coscienza, da intendersi quale possibilità di rifiutare l’adempimento di un proprio dovere qualora entri in contrasto con le proprie convinzioni etiche, morali o religiose. Poniamo un attimo l’aspetto su questo secondo comma: occorre subito notare come la Carta delinei il perimetro entro cui l’obiezione di coscienza possa manifestarsi. Si deve motivare il proprio rifiuto, condizione che prefigura la non possibilità di ricorrere ad esso per qualunque causa. Ma non solo. La Carta, in maniera sottile, ricorre alla parola “possibilità”, che meglio di altre viene incontro nel comprendere i confini di questa libertà. D’altro canto, nel limitarla, al tempo stesso la afferma: si dà quindi per l’individuo la possibilità di un pensiero attivo e consapevole, responsabile, rispetto all’adempimento di un proprio dovere, perché si riconosce che gli effetti di un obbligo istituzionale debbano anch’essi trovare un limite, altrimenti si sconfinerebbe nell’autoritarismo, che non può certo conciliarsi con i principi ispiratori dell’unità europea.

Sempre a partire dal diritto alla libertà di pensiero, sembra inoltre che la Carta si concentri maggiormente sul diritto a cambiare religione o convinzione. Il comma 1 vi è dedicato, perché fa riferimento a questi aspetti della libertà e li contestualizza: “individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”. Considerando che si tratta di aspetti su cui è possibile reperire studi, ricerche in testi e saggi universitari, qui poniamo l’attenzione sul fatto che, a partire da situazioni che fanno riferimento a scelte individuali, è poi la società europea nel suo insieme a confrontarsi con l’esistenza di tali diritti. Pensiamo al diritto di famiglia su scala europea, già trattato nella newsletter n. 15, e a come oggi ci si trovi a confrontarsi anche in situazioni in cui le scelte in ambito religioso producano effetti giuridici sul proprio contesto familiare. Pensiamo poi al fenomeno migratorio e al contatto sempre più frequente che genera tra persone con convinzioni religiose diverse e all’affermazione di una coesistenza pacifica. A complemento dell’articolo 10 della Carta, troviamo anche l’articolo 9 della CEDU, che fissa in maniera più esplicita i principi che determinano la possibilità di esercitare il diritto a manifestare la propria religione, che “non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui”.

 

 

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Immagine tratta da: salvisjuribus.it

All’indomani del ricordo della strage di Capaci, ricordiamo che l’Europa è uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia da tutelare. A tal fine, è necessario portare avanti una collaborazione istituzionale europea sempre più efficiente e tempestiva, ma è necessaria  anche la partecipazione dei cittadini, con la segnalazione di attività ritenute illecite.

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Settimana conclusiva dell’Evento della Gioventù europea 2020. Iniziato il 7 aprile, a pandemia in corso, vedrà la sua ultima settimana da lunedì 25 a venerdì 29. Per seguire i prossimi eventi, clicca qui.

 

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Vi ricordiamo, per orientarsi nell’ambito delle istituzioni europee, questa guida del cittadinoScaricabile su tutti i numeri della newsletter, è stata realizzata all’interno di un programma di formazione promosso dalla DG Comunicazione della Commissione Europea. Tramite questo strumento, è possibile risalire al ruolo delle istituzioni e degli organi dell’Unione e ricostruire il cammino svolto in questi settant’anni, attraverso i principali cenni storici.

Indicata sia per neofiti che per addetti ai lavori.

 

 

 

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