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L’ingranaggio europeo si è bloccato, chiediamo al Parlamento europeo di cambiare il motore dell’Unione

Mentre scriviamo è sorta la terza alba sul Palazzo d’Europa a Bruxelles dove sono riuniti – “in presenza” – i capi di Stato e di governo dei ventisette paesi membri dell’Unione europea sotto la presidenza del belga liberale Charles Michel e con la partecipazione istituzionalmente muta della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. I leader si sono dati un nuovo appuntamento – che qualcuno ha definito “con la Storia” alle 16h00.

Non sappiamo se alla fine si troverà un minimo comun denominatore fra i molti dilemmi di un negoziato esclusivamente intergovernativo incomprensibile per l’opinione pubblica europea: il rapporto fra sovvenzioni (grants) e prestiti (loans), l’ammontare globale del piano di rilancio europeo dopo la pandemia (European Recovery Fund ribattezzato Next Generation EU), le modalità di attribuzione delle sovvenzioni agli Stati membri, le condizionalità per la concessione dei prestiti, l’ammontare delle spese nel bilancio europeo pluriennale, i rimborsi (rebates) agli Stati che si sono autodefiniti contributori netti, la difesa dello stato di diritto.

Charles Michel, che ha mostrato evidenti limiti di leadership, ha affermato con una insostenibile leggerezza che “senza accordo l’Unione sarà debole” ignorando il fatto che se i capi di Stato e di governo usciranno dal Palazzo d’Europa senza accordo non ci sarà più Unione.

Giuseppe Conte, da parte sua, ha dovuto sperimentare due anni di frequentazione dei Consigli europei prima di capire che occorre rimuovere l’ostacolo del diritto di  veto (peraltro brandito come una minaccia più volte dall’Italia del governo Cinque Stelle-Lega) ed eliminare per conseguenza il voto all’unanimità. Nessuno ha probabilmente spiegato a Giuseppe Conte che per rimuovere l’ostacolo del diritto di veto ed eliminare il voto all’unanimità occorre modificare i trattati ma che, per modificarli, occorre scegliere una diversa modalità di revisione perché gli Stati (“i padroni dei trattati”) hanno voluto mantenere il principio perverso della revisione all’unanimità e delle unanimi ratifiche nazionali.

All’olandese Mark Rutte, liberale come Charles Michel, è mancato poi il senso dell’humor se non un sano pragmatismo quando ha affermato che una situazione eccezionale richiede una risposta eccezionale proponendo l’applicazione alla distribuzione delle sovvenzioni del voto all’unanimità nel Consiglio europeo.

Al Presidente francese Emmanuel Macron è mancato infine il senso del ridicolo quando ha annunciato alla stampa  “i motori del mio aereo sono accesi” per significare che, se non si fosse trovato rapidamente un accordo, sarebbe tornato all’Eliseo.

Come scrisse nella sua fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore”  Hans Christian Andersen: il re è nudo e cioè sono ormai messi a nudo davanti all’opinione pubblica europea i difetti essenziali di quello che Jacques Delors chiamava “il metodo dell’ingranaggio”.

Eppure quello stesso ingranaggio, revisionato nel tempo, ha mostrato la banalità di soluzioni istituzionali che hanno consentito – nella normalità dello stare insieme – lo sviluppo di politiche comuni: il potere di iniziativa della Commissione europea a cui si accompagna il ruolo complementare ed essenziale di mediazione come garante dei trattati e il metodo della “conciliazione fra Parlamento europeo a nome dei cittadini che lo hanno eletto e il Consiglio a nome dei governi nazionali con decisioni a maggioranza qualificata.

Un presidente del PE, che non aveva studiato il greco, lo battezzò “il trilogo” pensando che il dia-logo fosse tra due e che dunque il nuovo metodo con tre soggetti istituzionali dovesse essere appunto un tri-logo. Possiamo anche accettare questa innocente violazione della cultura greca a condizione di cambiare il motore del sistema istituzionale dell’Unione per sostituire un ingranaggio che si è inceppato davanti all’emergenza della pandemia.

Il re o meglio i re e le regine (che si sono auto-definiti “i padroni dei trattati”) sono ormai impudicamente nudi. Come abbiamo detto più volte, l’iniziativa spetta ora al Parlamento europeo che troverà – ne siamo certi – un buon alleato istituzionale nella Commissione europea e il sostegno della maggioranza delle cittadine e dei cittadini europei.

coccodrillo

 

 


 

Attiriamo la vostra attenzione

Quanto emerge a caldo, al vertice del Consiglio europeo ancora in corso - un appuntamento che ha suscitato numerose aspettative e che però si è mosso tra veti e disaccordi da ogni parte - è che l’Unione europea ha urgente necessità di riforme: di metodo. Se ci si trova in questa situazione e come sottolineiamo nell’editoriale, è a causa del prevalere del metodo intergovernativo rispetto al metodo comunitario. L’immagine ricorrente del Consiglio europeo è inoltre quella di un vertice senza solidarietà e, forse, senz’anima. Tirare ciascuno la corda per sé non è infatti ciò che di meglio possano esprimere i leader europei, specialmente in un momento tanto delicato. Ma il fatto che ciò si verifichi ci aiuta a comprendere fino in fondo la natura della crisi che l’Unione europea sta attraversando. Basti pensare alla figura più criticata di questo vertice, cioè il premier olandese Mark Rutte. Si tratta di un premier che ha mostrato il lato non solidale, “avaro” dell’Olanda; eppure, è un leader apparentemente europeista. Ha sconfitto nel 2017 l’avversario Geert Wilders, che avrebbe voluto l’Olanda fuori dalla Ue, proprio con le trattative appena avviate per la Brexit. Il rischio di implosione dell’Unione rimane la peggiore prospettiva, ma essa va presa in considerazione e studiata, naturalmente per correre ai ripari. Ce ne parla il Presidente del Movimento europeo - Italia Pier Virgilio Dastoli, che pone l’accento su un aspetto che, paradossalmente, per difendere un principio democratico quale l’unanimità, finisce per determinare una paralisi istituzionale: “Per eliminare il diritto di veto bisogna cambiare i trattati. Per eliminare la regola della unanimità nel Consiglio europeo e nel Consiglio bisogna cambiare i trattati. Bisogna dare più poteri alla Commissione europea che deve evolvere verso il ruolo di governo dell’Unione. Bisogna aumentare il potere di decisione legislativa e finanziaria del Parlamento europeo perché ogni passaggio al voto a maggioranza nel Consiglio è stato accompagnato dalla codecisione dell’assemblea europea. Bisogna far rispettare le regole del Trattato che attribuiscono al Consiglio europeo - e al suo Presidente - solo un ruolo di orientamento e non di decisione legislativa e finanziaria. Bisogna passare ad una sovranità condivisa europea nei settori in cui gli Stati nazionali hanno di fatto perso la loro sovranità in un mondo interdipendente e globalizzato. Per cambiare i trattati bisogna introdurre un metodo democratico che eviti il diritto di veto e elimini il voto all’unanimità.  Bisogna riconoscere che il potere costituente spetta al Parlamento europeo che discute, elabora e decide a nome delle cittadine e dei cittadini che lo hanno eletto e non ai governi nazionali”. E inoltre, come sostenuto dal Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, “Se noi non saremo all'altezza e non risponderemo con coraggio e senso della giustizia a questa moltitudine, che ha il diritto ad un futuro sereno, per sé e per i propri figli, non avremo soltanto un grande problema di costruzione europea, ma di vera e propria tenuta delle istituzioni democratiche”. È ricordando questo monito che si può cogliere la sfida di quest’epoca, non solo di questi giorni.

 


 

Le attività del Movimento europeo

  • Dialogo italo-tedesco: a causa del prolungamento del Consiglio europeo straordinario del 17 e 18 luglio, si è dovuto far slittare l'incontro online l'"EBD De-Briefing European Council" promosso dal Movimento europeo tedesco in collaborazione con il Movimento europeo italiano, come annunciato nella Newsletter precedente. Sarà nostra cura fornire, attraverso i nostri canali informativi (sito e pagina Facebook), nuovi aggiornamenti sulla riprogrammazione dell'evento non appena possibile. Restate dunque collegati !
  • Lunedì 20 luglio, riunione costitutiva del Coordinamento Giovanile Nazionale del Movimento Europeo Italia promossa dal Movimento europeo allo scopo di creare un gruppo di lavoro che riunisca ragazze e ragazzi rappresentanti delle principali associazioni giovanili per uno scambio di idee, proposte, interessi e informazioni comuni.
  • Resoconto della riunione della “Piattaforma italiana per la Conferenza sul futuro dell'Europa” (9 luglio 2020, quarantesimo anniversario del Club del Coccodrillo).

 


 

Documenti chiave

 


 

Testi della settimana

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

Con riferimento al tema della settimana, riteniamo importante soffermarci sul Capo IV della Carta, dedicata alla solidarietà. C’è da dire che anche nel suo preambolo si trova un riferimento a questo valore europeo, riportato tra quelli di fondamentale rilevanza: “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto”.

Abbiamo già trattato nel corso delle precedenti uscite alcuni articoli di questa parte della Carta. I temi attorno a cui ruota sono quelli più legati alla possibilità per l’individuo di realizzarsi e di preservare ciò che gli è più caro. Si parla cioè di diritti e tutele nel mondo del lavoro e – temi anche questi già affrontati – di tutela della salute, dei consumatori e dell’ambiente. Gli articoli dal 27 al 33, poi, trattano gli aspetti legati al mondo del lavoro e ai diritti connessi, per esempio quello alla protezione della famiglia. L’articolo 31, in particolare, è dedicato alle condizioni di lavoro giuste ed eque a cui il lavoratore ha diritto; il comma 1 aggiunge anche l’aggettivo “dignitose”. La materia è assai complessa poiché assai frequentemente, a quanto riconosciuto sulla carta non corrisponde nella realtà una piena e completa possibilità di affermazione dei diritti dei lavoratori, soprattutto in periodi di crisi; anche gli accordi di questo Consiglio europeo avranno, tra l’altro, il delicato compito di conciliare la sopravvenuta crisi causata dal coronavirus con il rispetto dei diritti di ogni lavoratore. Il comma 2, secondo cui “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite” trova una concreta difficoltà di trovare applicazione specialmente nel settore delle piccole e medie imprese attualmente in difficoltà, per non parlare dei problemi legati alla cassa integrazione. Il conflitto capitale-lavoro rende difficile di questi tempi conciliare in pieno il diritto al lavoro con le forze in gioco, tuttavia c’è ragione di ritenere che le tutele sociali previste dalla Carta – a cui corrisponde una legislazione del lavoro molto ampia e che tiene conto di lotte sindacali portate avanti già partire dall‘800 – siano adeguate a garantire nel complesso ai lavoratori europei la possibilità di una vita dignitosa, nonostante tutto.

 


 

L’Europa dei diritti

Per quanto riguarda il comportamento dei Paesi Bassi all’interno dell’Ue, questa settimana ci soffermiamo su una sentenza del 31 ottobre 2019 che ha accertato l’esistenza di alcune irregolarità compiute dallo Stato membro.

I fatti sono i seguenti: “Negli anni dal 1997 al 2000, sono stati importati in Germania latte in polvere e riso provenienti da Curaçao, mentre, negli anni 2002 e 2003, semola e semolino provenienti da Aruba sono stati importati nei Paesi Bassi.  Le autorità di Curaçao e Aruba avevano rilasciato certificati di circolazione delle merci EUR. 1 (in prosieguo: i «certificati EUR. 1») per tali merci, sebbene queste ultime non soddisfacessero i requisiti richiesti per essere considerate prodotti di origine preferenziale in forza dell’articolo 101, paragrafo 1, della decisione PTOM del 1991 e dell’articolo 35, paragrafo 1, della decisione PTOM del 2001. Il rilascio dei certificati EUR. 1 da parte delle autorità di Curaçao e di Aruba è stato oggetto di indagini da parte dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). Quest’ultimo ha pubblicato le sue relazioni di missione riguardanti Curaçao e Aruba rispettivamente il 24 ottobre 2000 e il 23 dicembre 2004. A seguito di tali indagini, la Commissione ha informato le autorità olandesi e tedesche dell’irregolarità di tali certificati EUR. 1 e le ha invitate a riscuotere i dazi doganali relativi alle importazioni corrispondenti. Le autorità olandesi e tedesche hanno accertato soltanto una parte di tali dazi doganali, mentre la parte rimanente è incorsa in prescrizione. Con lettere datate rispettivamente 27 gennaio e 31 maggio 2012, la Commissione ha ritenuto il Regno dei Paesi Bassi responsabile dell’errore commesso dalle autorità di Curaçao e di Aruba. Essa ha chiesto al Regno dei Paesi Bassi di compensare, rispettivamente entro il 20 marzo e il 20 luglio 2012, la perdita di risorse proprie che ne derivava. Poiché il Regno dei Paesi Bassi non si è conformato a tale richiesta, il 21 novembre 2013 la Commissione ha inviato a quest’ultimo una lettera di diffida, alla quale le autorità olandesi hanno risposto il 20 febbraio 2014, declinando ogni responsabilità per gli atti dei Paesi e territori d’oltremare (PTOM) all’Unione europea.  Il 17 ottobre 2014, la Commissione ha inviato un parere motivato al Regno dei Paesi Bassi, nel quale ha confermato la posizione già espressa nella lettera di diffida. Il termine per adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato è scaduto il 17 dicembre 2014. Con lettera del 19 novembre 2015, il Regno dei Paesi Bassi ha risposto al parere motivato, continuando a declinare ogni responsabilità. La Commissione ha allora deciso di presentare il presente ricorso”. L’Olanda, secondo la Commissione, sarebbe venuta meno agli obblighi incombenti ai sensi dell’articolo 5 del Trattato CE (divenuto articolo 10 CE, poi articolo 4, paragrafo 3, TUE), secondo cui “In virtù del principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati”.

Secondo la sentenza della Corte, effettivamente il Regno dei Paesi Bassi “non avendo compensato la perdita di risorse proprie derivante dal rilascio irregolare, alla luce della decisione 91/482/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1991, relativa all’associazione dei paesi e territori d’oltremare alla Comunità economica europea e, in seguito, della decisione 2001/822/CE del Consiglio, del 27 novembre 2001, relativa all’associazione dei paesi e territori d’oltremare alla Comunità europea, da parte delle autorità di Curaçao e di Aruba, di certificati di circolazione delle merci EUR. 1 per quanto riguarda, rispettivamente, importazioni di latte in polvere e di riso da Curaçao nel periodo 1997/2000 e importazioni di semola e semolino da Aruba nel periodo 2002/2003, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE”.

Il testo completo della sentenza è disponibile cliccando qui.

 


 

Consigli di lettura

Anche questa settimana, il testo scelto consente di sintetizzare in un’unica sezione la parte dedicata ai libri e gli argomenti economici. Ci concentriamo infatti sul libro “Disuguaglianze: Come ridurle, nel mercato e tra i consumatori” del giornalista Roberto Sommella, Direttore di “Affari e Finanza”, fondatore de “La nuova Europa” nonché membro eletto del Consiglio di presidenza del Movimento europeo - Italia. I temi trattati all’interno del testo, pubblicato da Rubbettino editore nel 2018, ci sembrano particolarmente indicati per il delicato momento vissuto dall’Unione europea: il vertice più lungo e complesso, probabilmente, della sua storia, è l’occasione per riflettere sul senso autentico delle politiche che dovrebbero essere perseguite. Afferma infatti Sommella che “L'età del cambiamento sta trasformando tutti i rapporti di forza nella società e nell'economia. Si può essere ricchi, ricchissimi, più di un intero piccolo stato, come accade ormai alla fortuna personale dei padroni delle grandi multinazionali digitali, ma certo avere un patrimonio superiore a quanto prodotto da tutti i paesi è un unicum. Eppure questo limite è prossimo dall'essere oltrepassato. La ricchezza mondiale degli High Net Worth Individual (HNWI), ovvero coloro che possiedono investimenti superiori a un milione di dollari (esclusa la prima casa), insomma quelli che un tempo si dicevano Paperoni, ha superato nel 2017 per la prima volta la soglia dei 70 mila miliardi di dollari, con un aumento del 10,6% sul 2016 (era di 42,7 mila miliardi nel 2010), sesto anno consecutivo di boom. Esattamente, dollaro più dollaro meno, quanto vale l'intero Pil mondiale. E analogo fenomeno si registra in Italia, dove i nuovi ricchi sono aumentati del 9% in un anno e i poveri sono raddoppiati in un decennio.Uno spread sociale enorme, quello che fa più male e che i governi faticano a ridurre”. Le politiche dell’Unione, mosse dal principio della solidarietà, dovrebbero essere in grado di individuare soluzioni che possano riequilibrare la situazione e il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, nel suo discorso al Consiglio del 17 luglio scorso (lo si può trovare tra i documenti chiave di questa settimana) ha anche posto l’accento sulla necessità di ovviare al disagio dei molti che si trovano in questa situazione e che affrontano il fardello delle disuguaglianze: “Noi rappresentiamo tutti i cittadini europei e la grande maggioranza è composta da quelli che non ce la fanno. Se noi non saremo all'altezza e non risponderemo con coraggio e senso della giustizia a questa moltitudine, che ha il diritto ad un futuro sereno, per sé e per i propri figli, non avremo soltanto un grande problema di costruzione europea, ma di vera e propria tenuta delle istituzioni democratiche”. In questa dinamica, possiamo comprendere anche quali siano i rischi per il nostro Paese che, come ha affermato il Direttore di “Repubblica”, Maurizio Molinari, domenica 19 luglio nel suo editoriale “L’Europa rischia un salto all’indietro”, “all’interno di questa lacerazione europea spicca l’intento dei “frugali”, appoggiati dai “sovranisti” Polonia e Ungheria, di rafforzare la dimensione intergovernativa dell’Unione a scapito di quella comunitaria: affidare la gestione del “Recovery Fund” ai governi — garantiti dal diritto di veto — significa indebolire Commissione Ue e Parlamento europeo, pregiudicando le fondamenta stesse della casa comune. A rischiare di fare le spese di tali divisioni è il nostro Paese”. Un’evoluzione simile rappresenta l’esatto contrario di quanto ci si augura che si raggiunga, cioè una riforma dell’Unione che rinforzi invece i poteri di Commissione e Parlamento. Le parole degli esperti vanno dunque correttamente inquadrate e viste come un monito affinché lo scenario peggiore possa essere scongiurato con ogni mezzo e l’Unione europea esca da questa crisi rinforzata nelle sue prerogative, nella sua legittimazione agli occhi dei cittadini e possa fornire risposte efficaci al tema delle disuguaglianze.

 


 

 Agenda della settimana

20-26 July 2020

 

Monday 20 July

 

Tuesday 21 July

 

Wednesday 22 July

 

Thursday 23 July

 

 

 

 

 

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L’Europa unita è quella in cui avviene la libera circolazione di merci, persone, beni e capitali. Accanto all’esercizio di questi diritti per i cittadini europei, è necessario affermare lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Ecco perché questa settimana proponiamo la lettura di un testo che, anche se un po’ datato, aveva analizzato le caratteristiche del quadro normativo esistente tra fine 2004 e inizi 2005, nel momento in cui cioè, dopo che, il 29 ottobre 2004, si era svolta a Roma la cerimonia trasmessa in eurovisione della firma del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, doveva avvenire la sua ratifica in tutti gli Stati membri. Oggi come ieri, perseguire l’obiettivo di affermare lo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia è un’attività complessa e lo si è evidenziato anche in numerose altre pubblicazioni. Tuttavia, quello richiamato, è un volume particolarmente interessante e ancora attuale per comprendere i nodi critici di allora e la loro successiva evoluzione, con la bocciatura da parte di Francia e Olanda del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e la successiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona. È una lettura interessante anche tenuto conto della particolare esperienza in ambito giuridico dei suoi curatori, cioè Elena Paciotti, magistrato dal 1967 al 1999 ed europarlamentare dal 1999 al 2004, con incarichi specifici presso la Commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni e Giuliano Amato, che non ha bisogno di presentazioni, ma di cui di cui ricordiamo il suo ruolo vicepresidente della Convenzione europea tra il 2002 e il 2003, e attualmente, dal 2013, giudice costituzionale.

 

In relazione all'esigenza di una maggiore armonizzazione nel percorso di uscita dalla crisi - tema parallelo, ma con dei punti di connessione con il testo sopracitato, specialmente rispetto all'obiettivo di una maggiore integrazione politica europea - segnaliamo altresì in questa sezione l'analisi del dott. Marco Buti, Capo di Gabinetto del Commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni, sull'attuale crisi finanziaria dovuta al Covid-19: "A tale of two crises: Lessons from the financial crisis to prevent the Great Fragmentation".

 

 

 

 

 

 

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Questa settimana, poniamo alla vostra attenzione il caso di un ricorso presentato dalla Commissione europea nei confronti delll’Ungheria; la scelta è motivata dal fatto che, non da oggi, si lamentano le carenze di tale Stato membro rispetto al tema del rispetto dello stato di diritto. Abbiamo già dedicato al tema la newsletter n. 10 di questa serie, alla quale vi rimandiamo per poter leggere anche le dichiarazioni dell’eurodeputato ungherese Sandor Ronai, che traccia il quadro della situazione nel suo Stato; il testo integrale dell’intervista è reperibile cliccando qui. A intervenire nel procedimento, anche il Regno di Svezia, che ha chiesto di intervenire nella controversia, a sostegno delle conclusioni della Commissione. L’iter è partito il 14 luglio 2017, quando la Commissione “ha inviato all’Ungheria una lettera di diffida […] nella quale si è affermato che tale Stato membro, avendo adottato la legge sulla trasparenza, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE nonché degli articoli 7, 8 e 12 della Carta, e gli ha impartito un termine di un mese per presentare osservazioni. Il 17 luglio 2017, l’Ungheria ha chiesto una proroga di tale termine, che la Commissione le ha negato.  Il 14 agosto e il 7 settembre 2017, l’Ungheria ha inviato alla Commissione due serie di osservazioni relative alla lettera di diffida, contestando la fondatezza degli addebiti ivi contenuti. Il 5 ottobre 2017, la Commissione ha emesso un parere motivato […] nel quale ha dichiarato che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE e degli articoli 7, 8 e 12 della Carta, avendo introdotto restrizioni discriminatorie, ingiustificate e non necessarie in relazione alle donazioni estere a favore delle organizzazioni della società civile mediante le disposizioni della legge sulla trasparenza che impongono obblighi di registrazione, di dichiarazione e di pubblicità a determinate categorie di organizzazioni della società che beneficiano direttamente o indirettamente di un sostegno estero di importo superiore a una certa soglia, e che prevedono la possibilità di applicare sanzioni alle organizzazioni che non rispettano gli obblighi in questione. La Commissione ha altresì impartito all’Ungheria un termine di un mese per adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato o per presentarle osservazioni.  Il 12 ottobre 2017, l’Ungheria ha chiesto una proroga di tale termine, che la Commissione le ha negato. Il 5 dicembre 2017, l’Ungheria ha inviato alla Commissione osservazioni relative al parere motivato, contestando la fondatezza degli addebiti ivi contenuti.  Non persuasa da dette osservazioni, la Commissione ha deciso, il 7 dicembre 2017, di proporre il ricorso di cui trattasi”. Il 2 agosto 2018, il Regno di Svezia ha chiesto di intervenire nella controversia, a sostegno delle conclusioni della Commissione.

L’Ungheria ha anzitutto contestato la ricevibilità del ricorso: la Commissione avrebbe infatti ”imposto di presentare le proprie osservazioni sulla lettera di diffida e poi sul parere motivato entro il termine di un mese, anziché quello di due mesi che viene abitualmente applicato nell’ambito dei procedimenti precontenziosi; in secondo luogo, ha respinto le sue domande di proroga del medesimo termine con spiegazioni sommarie e stereotipate che non giustificavano la sussistenza di una particolare urgenza e, in terzo luogo, ha deciso di proporre il ricorso di cui trattasi soltanto due giorni dopo aver ricevuto le sue osservazioni sul parere motivato”. Su questo punto, la Corte ha respinto l’istanza dello Stato membro: “l’Ungheria non fornisce la prova del fatto che il comportamento della Commissione abbia reso più difficile la confutazione degli addebiti di tale istituzione. Del resto, dall’esame dello svolgimento del procedimento precontenzioso, quale ricordato ai punti da 15 a 20 della presente sentenza, consta, anzitutto, che, dopo aver presentato osservazioni relative alla lettera di diffida entro il termine di un mese impartitole dalla Commissione, l’Ungheria ha presentato, tre settimane dopo, nuove osservazioni al riguardo, che sono state accettate dalla stessa istituzione. Detto Stato membro ha poi presentato osservazioni relative al parere motivato in un termine di due mesi, corrispondente a quello abitualmente applicato nell’ambito dei procedimenti precontenziosi, sebbene gli fosse stato imposto un termine di un mese a tal fine, e tali osservazioni sono state anch’esse accettate dalla Commissione. Infine, dall’analisi dei documenti scambiati durante il procedimento precontenzioso e dall’atto introduttivo del giudizio emerge che la Commissione ha preso in debita considerazione l’insieme delle osservazioni formulate dall’Ungheria nelle diverse fasi del procedimento in questione. Pertanto, non è dimostrato che il comportamento della Commissione abbia reso più difficile la confutazione degli addebiti di tale istituzione da parte dell’Ungheria, violando in tal modo i diritti della difesa. Di conseguenza, il ricorso è ricevibile”. E anche il giudizio della Corte è stato sfavorevole allo stato ungherese. Essa ha infatti constatato la Corte ha constatato che “la legge sulla trasparenza non può essere giustificata né da una ragione imperativa di interesse generale relativa all’aumento della trasparenza del finanziamento associativo né dai motivi di ordine pubblico e di sicurezza pubblica menzionati all’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE. […] Si deve concludere che l’Ungheria, avendo adottato le disposizioni della legge sulla trasparenza di cui al punto 65 della presente sentenza, è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi dell’articolo 63 TFUE”.

Per approfondire, clicca qui.

 

 

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Al tema della Giustizia nell’Unione europea, è dedicato, all’interno della Carta, il Capo VI, con gli articoli dal 47 al 50. L’articolo 49, in particolare, si occupa dei principi di legalità e proporzionalità dei reati e delle pene. Il primo comma afferma infatti che “Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale”: si pone quindi attenzione non solo ai comportamenti attivi dell’individuo, ma anche alle conseguenze del venir meno ad un obbligo, attraverso omissioni. Vengono menzionati, in riferimento a ciò, sia il diritto di ciascuno Stato membro che il diritto internazionale e non quindi, il diritto dell’Unione europea, volendo con ciò riconoscere a tali diritti una portata globale e non solo legata all’appartenenza in qualità di membro dell’Ue.

Si fissano poi i principi a garanzia della persona riconosciuta responsabile di un reato, affermando che “Non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. E inoltre, “Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima”. D’altro canto, si riconosce, al secondo comma, che “Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni”. Anche in questo caso, si fa riferimento, più che all’Unione europea, alla comunità internazionale di cui essa fa parte e nei confronti della quale si ha l’impegno a cooperare per attuare soluzioni diplomatiche, pacifiche e volte al progresso reciproco.

Infine, il terzo comma della Carta parla del principio di proporzionalità, secondo cui “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato” e ciò deve poter valere sia in senso sia positivo che negativo. Ci troviamo di fronte all’affermazione di principi di portata molto ampia; in concreto, per comprendere in che misura essi siano rispettati nei vari Stati, c’è da considerare ciascuno di essi applica il proprio codice penale – ciascuno è il frutto di tradizioni giuridiche diverse nel  tempo e nella Storia – ragion per cui tale principio di proporzionalità trova applicazione differente in base al contesto e poter cooperare per una armonizzazione del diritto tra i vari Stati appare un lavoro molto complesso. Come afferma il Presidente di sezione della Corte di Cassazione Giovanni Diotallevi nel suo saggio “Dalle rogatorie all’ordine di indagine europeo”, la cooperazione giudiziaria a livello europeo è ritenuta dallo stesso “uno dei passaggi più delicati delle nostre riflessioni; vengono infatti in rilievo due dei suoi cardini fondamentali: il principio del mutuo riconoscimento e quello della reciproca fiducia tra Stati, dove il ruolo della giurisdizione è portato a muoversi su quel crinale delicatissimo tra le scelte legislative di politica giudiziaria, l’efficacia e l’efficienza del servizio giustizia e le aspettative della società civile con ricadute sensibili che impegnano l’attività del giudice in una perdurante fase di rivisitazione della qualità e delle caratteristiche dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”[1].

 

[1] Cfr: “Lo Spazio Europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia a vent’anni dal Consiglio europeo di Tampere”, a cura di Angela di Stasi, Lucia Serena Rossi, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, pp. 367 – 380.

 

 

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