Il 5 novembre 2019 è stata emessa una sentenza da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea che riconosce che la Repubblica di Polonia è venuta meno ai propri obblighi di rispetto del diritto dell’Unione. Anche se non è direttamente richiamato nella parte del testo relativa al giudizio della Corte, l’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali, trattato questa settimana, secondo cui anche gli Stati membri ne “rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze”, è presente nella sentenza e viene citato nella parte del contesto normativo di riferimento.
L’oggetto del ricorso proposto dalla Commissione europea è una legge polacca di modifica di alcune disposizioni della legge relativa al pubblico ministero, che, il 12 luglio 2017, ha introdotto “in particolare riferimenti ai nuovi limiti di età per il pensionamento dei magistrati del pubblico ministero, vale a dire 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini”. La Commissione ha ritenuto che con tali modifiche la Repubblica di Polonia fosse venuta meno ai propri obblighi “ai sensi, da un lato, dell’articolo 157 TFUE nonché dell’articolo 5, lettera a), e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54, e, dall’altro, del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta”.
Perciò, “la Commissione ha inviato a tale Stato membro, il 28 luglio 2017, una lettera di diffida. Quest’ultimo ha risposto con lettera del 31 agosto 2017, nella quale ha negato qualsiasi violazione del diritto dell’Unione. Il 12 settembre 2017 la Commissione ha emesso un parere motivato, nel quale ha ribadito che le norme nazionali menzionate al punto precedente violavano le suddette disposizioni del diritto dell’Unione. Di conseguenza, tale istituzione ha invitato la Repubblica di Polonia ad adottare le misure necessarie per conformarsi a detto parere motivato entro il termine di un mese a decorrere dalla sua ricezione. Tale Stato membro ha risposto con lettera del 12 ottobre 2017, in cui concludeva per l’inesistenza delle asserite infrazioni. In tale contesto, la Commissione ha deciso di proporre il ricorso in esame”.
Il testo di questa sentenza è assai consistente e richiede una lettura attenta, ma sembrano qui interessanti prevalentemente due punti da porre all’attenzione per comprendere meglio le motivazioni della stessa. Nella parte dedicata al giudizio della Corte, si legge infatti che “sia l’articolo 157 TFUE sia l’articolo 5, lettera a), e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54 osterebbero alla fissazione di condizioni di età diverse a seconda del sesso per la concessione di tali pensioni”.
E inoltre: “dette disposizioni (quelle introdotte dalla legge polacca del 12 luglio 2017, ndr) introducono nei regimi pensionistici interessati condizioni direttamente discriminatorie fondate sul sesso, in particolare per quanto riguarda il momento in cui gli interessati possono godere di un accesso effettivo ai benefici previsti da tali regimi, cosicché esse violano sia l’articolo 157 TFUE sia l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, in particolare il suo punto a), in combinato disposto con l’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della medesima direttiva”.
Perciò, la Corte ha accolto il ricorso della Commissione, riconoscendo che la Polonia è venuta meno a tali disposizioni e, inoltre, anche all’articolo 19 paragrafo 1, secondo comma del TUE, “conferendo al Ministro della Giustizia (Polonia) […] il potere di autorizzare o meno la proroga dell’esercizio delle funzioni dei magistrati giudicanti dei tribunali ordinari polacchi al di là della nuova età per il pensionamento dei suddetti magistrati”.
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- Sabrina Lupi
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