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Questa settimana proponiamo alla vostra attenzione l’ultimo lavoro pubblicato da un giovane studioso, Gennaro Costantino, che ha trattato nel suo volume “Il difficile rapporto tra l’ordinamento italiano e quello europeo” alcuni aspetti che qui riprendiamo. Primo fra tutti, quello delle procedure di infrazione aperte in sede europea che hanno riguardato l’Italia; sono circa un centinaio e rappresentano sicuramente uno degli elementi tra i più difficili nel rapporto tra le parti. Uno dei casi che balza all’attenzione dell’autore è quello della sentenza Francovich del 19 novembre 1991, secondo cui uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987/CEE. Un ulteriore importante aspetto analizzato è anche quello del rapporto tra i principali organi delle istituzioni europee e, in tale contesto, dell’elemento di freno alle attività di Parlamento e Commissione oggi rappresentato dal Consiglio. Il testo di Costantino, seppur qui brevemente presentato, appare da questo punto di vista meritevole di attenzione proprio perché offre un contributo alla definizione di quello che il Movimento europeo ha individuato, non da oggi, quale la principale causa delle criticità dei meccanismi decisionali europei, cioè il metodo intergovernativo. È appena il caso di ricordare come tale ostacolo non sia solo alla base del rallentamento dell’attività delle istituzioni europee, ma rappresenti la principale causa della mancata realizzazione della Federazione europea. Rispetto a ciò, non c’è che da augurarsi che l’Italia, in qualità di Stato membro fondatore, risolvendo le sue criticità nel rapporto con l’ordinamento europeo possa anche contribuire al superamento dei problemi suesposti; una fase che, se oltrepassata, rappresenterebbe un chiaro momento di svolta e testimonierebbe la piena legittimazione dell’Unione europea rispetto a grandi questioni in cui ad oggi si evidenziano – tema già trattato in particolare nella newsletter n. 28 – debolezze e silenzi.

 

 

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Considerato il momento decisivo che stiamo attraversando per gli accordi sul bilancio che coinvolgono le istituzioni europee, questa settimana ci sembra opportuno ritornare sul tema delle controversie interistituzionali che coinvolgono la Corte di Giustizia Ue. Passiamo in disamina infatti un caso che ha visto, da un lato, Parlamento e Consiglio e, dall’altro, la Commissione, chiamata in causa a seguito dell’emanazione del regolamento delegato n. 275/2014, “che modifica l’allegato I del regolamento (UE) n. 1316/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il meccanismo per collegare l’Europa”. La questione trattata entra nei dettagli delle competenze della Commissione; secondo il Parlamento, infatti, il regolamento del 2014 sarebbe da annullare in quanto la Commissione “avrebbe violato il potere conferitole in forza dell’articolo 21, paragrafo 3, del regolamento n. 1316/2013, giacché quest’ultima, attraverso l’articolo 1 del regolamento impugnato, ha aggiunto una parte VI all’allegato I del regolamento n. 1316/2013 anziché adottare un atto delegato distinto”. Il ricorso è stato presentato dal Parlamento europeo  il 7 gennaio 2014 e il 22 ottobre del medesimo anno il Consiglio è stato autorizzato ad intervenire a sostegno delle conclusioni del ricorrente.

La sentenza del 17 marzo 2016 ha fatto chiarezza. Per quanto il testo della stessa sia complesso, riteniamo che vi siano due punti chiave per comprendere, in sintesi, le motivazioni di tale decisione, e sono i seguenti:

  1. occorre constatare, da un lato, che per ragioni di chiarezza normativa e di trasparenza del processo legislativo, la Commissione non può, nell’ambito dell’esercizio di un potere di «integrare» un atto legislativo, aggiungere un elemento al testo stesso di tale atto. Un simile inserimento, infatti, rischierebbe di creare confusione sulla base giuridica di tale elemento, giacché il testo stesso di un atto legislativo conterrebbe un elemento derivante dall’esercizio, da parte della Commissione, di un potere delegato che non le consente di emendare o abrogare tale atto”;
  2. un elemento adottato dalla Commissione nell’esercizio di un potere conferitole di «integrare» un atto legislativo, ma che forma parte integrante di tale atto, non può, di conseguenza, essere sostituito o eliminato nell’esercizio di tale potere che ha portato alla sua adozione, atteso che tali interventi richiedono un potere di «modificare» detto atto. Spetterebbe quindi al legislatore intervenire ove divenga necessario sostituire o eliminare l’elemento aggiunto, o dettando esso stesso un atto legislativo o conferendo alla Commissione un potere delegato di «modificare» l’atto in questione. L’inserimento, nell’ambito dell’esercizio di un potere di «integrare» un atto legislativo, di un elemento nel testo stesso di tale atto osterebbe infatti a un’applicazione effettiva di un tale potere”.

La Corte ha quindi annullato il regolamento delegato n. 275/2014, mantenendone gli effetti, “fino all’entrata in vigore, entro un termine ragionevole che non può eccedere i sei mesi a decorrere dalla data della pronuncia della presente sentenza, di un nuovo atto sostitutivo del regolamento suddetto”. Inoltre, la Commissione europea è stata condannata al pagamento delle spese; il Consiglio ha sostenuto le proprie spese. Per approfondire, clicca qui.

 

 

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L’articolo 12 della Carta dei diritti fondamentali è dedicato ad alcune libertà essenziali perché una società possa dirsi democratica e, a maggior ragione nella configurazione attuale dell’Unione europea, in cui assistiamo, soprattutto nell’area dei nuovi Stati membri, ad una preoccupante riduzione degli spazi di libertà, che vede nel mancato rispetto dello stato di diritto la sua principale manifestazione. Si tratta della libertà di riunione e di associazione, una sfera dei diritti che mette in chiaro il fatto che l’Unione europea non sia solo un mercato, ma rappresenti uno spazio in cui è possibile per i cittadini manifestare le proprie prerogative e dar voce alle proprie istanze, anche condizionando la libera circolazione di merci, persone, beni e capitali, come ricorda il prof. Gabriel Toggenburg, docente di diritto dell’Unione europea e diritti umani presso l'Università di Graz. Vi è infatti un caso che rappresenta, secondo Toggeburg, tale opposta dinamica, vedendo contrapposti da un lato gli interessi del mercato comune europeo e dall’altro quelli delle popolazioni locali. Lungo il passo del Brennero, nel 2003 vi furono manifestazioni contro l’inquinamento acustico e ambientale, che bloccarono per circa quattro giorni il transito degli autocarri – si parla di circa 6.000 veicoli che quotidianamente attraversano il valico – e che hanno rappresentato una battuta d’arresto per il mercato comune.

Oltre alla libertà di riunione e di associazione, l’articolo 12 tratta anche aspetti relativi alla volontà politica dei cittadini dell’Unione, che i partiti politici europei come esso afferma, “contribuiscono a esprimere”. Si tratta di un comma che ricorda che spetta anche ad essi agire anche per la tutela dei diritti dei cittadini, specialmente con riferimento ai diritti fondamentali. Il prof. Toggeburg ricorda un dato particolarmente interessante e attuale da approfondire sia con ricerche universitarie che inchieste giornalistiche, cioè che il regolamento n. 1141/2014 relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee[1

Al suo interno, si definisce partito politico “un'alleanza politica che persegue obiettivi politici ed è registrata presso l'Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee di cui all'articolo 6, alle condizioni e secondo le procedure dicui al presente regolamento”. Se viene meno ai valori su cui si fonda l’Unione, enunciati all’articolo 2 TUE, è possibile questa Autorità, di cui esiste anche un sito ufficiale, che valuta in particolar modo se si sia violato il rispetto della Carta dei diritti fondamentali, revocare la sua registrazione. Finora – ci ricorda il prof. Toggenburg – un tale provvedimento non è mai stato adottato.

 

[1Come riporta la ricercatrice Maria Romana Allegri, che insegna Diritto dell’Unione europea presso la Facoltà di Scienze politiche, sociali e della Comunicazione della Sapienza Università di Roma nel suo saggio dal titolo “Ancora sui partiti politici europei: cosa c’è di nuovo in vista delle elezioni europee 2019”, pubblicato fu “Federalismi” n. 9/2019, il regolamento n. 1141/2014 è stato poi modificato dal n. 2018/673.

 

 

 

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