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Il discorso sullo stato dell’Unione della Presidente Ursula Von der Leyen ha trattato anche, pur senza menzionare espressamente la parola, il tema della Brexit. La Presidente si è soffermata sulle notevoli difficoltà riscontrate nei negoziati e oggi, a più di quattro anni dal referendum del 23 giugno 2016, rimane sul tavolo un accordo ancora difficile da raggiungere e da esaminare parola per parola. Per chi volesse approfondire la questione attraverso gli occhi di un profondo conoscitore della politica del Regno Unito, questa settimana i testi suggeriti sono più d’uno, del medesimo autore. Si tratta di un ex parlamentare laburista inglese e ministro per i rapporti con l’Europa durante il premierato Blair, Denis MacShane, che ha dedicato al tema della Brexit una serie di volumi. Inizialmente, l’autore si è soffermato sull’opzione dell’uscita del Regno Unito dalla Ue, pubblicando, nel gennaio 2015, “Brexit: How Britain Left Europe”, testo poi riproposto in una seconda edizione, poco dopo l’esito referendario. Ponendo l’attenzione sulle organizzazioni politiche avverse alla presenza del Regno Unito nella Ue, da esperto, Denis MacShane ha voluto delineare ilnuovo quadro politico – economico britannico e nella sua analisi erano state individuate, anche prima della sconfitta dei remainers, le ragioni che avrebbero portato all’uscita. Similmente, nel 2017, l’autore ha dato alle stampe, nel giugno 2017, il testo “Brexit, No Exit: Why (in the End) Britain Won't Leave Europe”; al suo interno, sostiene che la Brexit non porterà ad una rottura totale con l’Europa e che, sebbene attraverso un percorso tortuoso e pieno di incertezze, i rapporti con l’Unione europea continueranno a rappresentare una peculiarità della politica inglese anche in futuro. L’autore ha poi continuato in altri testi ad occuparsi della questione, considerato l’alto livello di incertezza tuttora presente, ma questi due suoi spunti, poiché guardano al futuro prossimo e a quello a lungo termine, possono essere tenuti in considerazione per poter disporre di un quadro chiaro sulla vicenda Brexit in sé.
Sono del 5 marzo scorso le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Ue, Juliane Kokott, in merito al ricorso della Commissione europea, proposto dinanzi alla Corte il 1° febbraio 2018, nei confronti dell’Ungheria, dopo l’approvazione in tale Stato membro, il 4 aprile 2017, di due modifiche della legge sull’istruzione superiore: “Ai sensi di tale legge, per gli istituti d’insegnamento superiore di paesi non membri del SEE, l’accesso ad un’attività in Ungheria o l’esercizio della medesima sono subordinati alla dimostrazione della conclusione di un accordo internazionale tra l’Ungheria e il loro paese d’origine; nel caso di Stati federali, tale accordo deve obbligatoriamente essere concluso dal governo centrale. Inoltre, l’attività di tutti gli istituti di insegnamento superiore esteri è subordinata alla condizione che la formazione di insegnamento superiore sia fornita anche nel rispettivo paese d’origine”. Tali modifiche hanno fatto sorgere la convinzione che si trattasse di disposizioni volte tra l’altro ad impedire all’Università dell’Europa centrale (CEU) di avere sedi in Ungheria. La CEU vede tra i suoi principali finanziatori le fondazioni “Open Society”, di proprietà di George Soros; forse non tutti sanno che Soros, pur avendo la principale sede dei suoi affari negli Stati Uniti d’America, ha origini ungheresi e che, a seguito dell’operare di questi precetti legislativi, ha dovuto cessare l’attività in Ungheria e trasferirsi a Vienna nel novembre 2019.
Come si può leggere nella parte introduttiva delle conclusioni dell’Avv. Kokott, “In questo contesto, la Commissione considera le nuove disposizioni non solo come una restrizione alla libera circolazione dei servizi, ma anche, in particolare, come una violazione della libertà delle scienze, sancita dalla Carta europea dei diritti fondamentali. Inoltre, poiché uno dei due nuovi requisiti è applicabile solo agli istituti di insegnamento superiore di paesi non membri del SEE, il procedimento assume un’ulteriore dimensione specifica. In effetti, la Commissione contesta in sostanza all’Ungheria una violazione della normativa dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, in prosieguo: l’«OMC»), segnatamente del GATS. Nel presente procedimento la Corte è chiamata quindi a decidere anche in quale misura il procedimento per inadempimento possa fungere da strumento per assicurare l’attuazione del diritto commerciale internazionale e aumentarne l’efficacia”.
L’Avv. Kokott ha analizzato quindi il caso e le sue conclusioni, come è noto, assumono per la Corte la valenza di una proposta di decisione, non vincolante, ma basata su un esame indipendente ed imparziale di questioni di diritto sollevate. Anzitutto, l’Avv. Kokott ha valutato se ciascuno dei vari aspetti della questione rientri entro la sfera di competenza della Corte. Una volta risolto positivamente tale quesito, ha formulato le seguenti proposte di conclusione: “l’Ungheria ha violato l’articolo XVII dell’accordo generale sugli scambi di servizi, in combinato disposto con l’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, nonché l’articolo 13, seconda frase, e l’articolo 14, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. […] l’Ungheria ha violato l’articolo 16 della direttiva 2006/123/CE, l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, l’articolo XVII dell’accordo generale sugli scambi di servizi, in combinato disposto con l’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, nonché l’articolo 13, seconda frase, e l’articolo 14, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. […] L’Ungheria è condannata alle spese”.
L’articolo 13 della Carta si sofferma su alcuni principi alla base della ricerca scientifica insieme alla dimensione artistica e delle condizioni nelle quali è possibile svolgerla. Suo presupposto essenziale è che possa essere svolta in libertà e infatti il primo comma afferma che “Le arti e la ricerca scientifica sono libere”. A ben vedere, la traduzione in italiano dell’articolo è stata effettuata all’indicativo presente, mentre in lingua inglese la forma utilizzata è quella dell’indicativo futuro. Sappiamo che, quando un testo normativo si esprime così, inquadra il tema in termini programmatici futuri, considerando perciò la possibilità che, nel momento in cui il testo viene redatto, l’affermazione del diritto di cui si sta parlando non sia piena. E in effetti, quella della effettiva e piena libertà delle arti e della ricerca scientifica, è una questione che solleva alcuni interrogativi. Se ne è occupato anche il prof. Gabriel Toggenburg, docente di diritto dell'Unione europea e diritti umani presso l'Università di Graz, sollevando per esempio il problema relativo alla sussistenza di tali diritti in uno Stato membro quale l’Ungheria. Spiega infatti il docente che “Secondo la Carta, la libertà accademica è più della libertà di avere opinioni in un contesto universitario, perché include non solo la ricerca e l'insegnamento sostanzialmente autonomi e liberi da interferenze statali, ma anche il suo quadro istituzionale e organizzativo. Pertanto, non è stata una sorpresa che l'Ungheria sia stata portata dinanzi alla Corte dell'UE in Lussemburgo”. Infatti, nel 2017, l’Ungheria ha introdotto una legislazione per cui, al fine di poter aprire un’università straniera in questo Stato membro, debba essere stipulato un accordo internazionale tra Budapest e il Paese d’origine degli atenei e, inoltre, questi ultimi siano tenuti a fornire gli stessi servizi anche nel proprio Paese d’origine. Tali precetti legislativi hanno posto all’attenzione l‘esistenza di una limitazione del diritto alla libertà di insegnamento in Ungheria, evidenziata dalla Commissione europea e in fase di valutazione da parte della Corte di Giustizia Ue. Non solo. Considerata la difficile situazione di tale Stato membro per quanto attiene al rispetto dello stato di diritto, sempre ricollegandoci al prof. Toggenburg, è bene ricordare come esista un rapporto tra l’affermazione del diritto alla libertà di ricerca e di insegnamento in uno Stato e i rispetto dei principi democratici.
Avendo finora citato solo il primo comma dell’articolo 13, ricordiamo qui anche il secondo: “La libertà accademica è rispettata”. Anche in questo caso, il modo utilizzato in lingua inglese è quello dell’indicativo futuro, a voler intendere che tale libertà sussista realmente se esercitata all’interno di un contesto democratico e che investe sul proprio futuro. Nello scenario attuale, in cui una enorme quantità di risorse è stata stanziata nel quadro del Next Generation EU, a cui si aggiunge la programmazione prevista con il prossimo bilancio europeo, è bene ricordarsene: i Paesi che avvieranno programmi quanto più possibile avanzati di ricerca scientifica e formazione sono quelli che riusciranno a rispondere meglio alla crisi, con effetti imprevedibilmente positivi sullo sviluppo futuro della comunità, oltre che sul livello di democraticità della stessa.