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Vi ricordiamo, per orientarsi nell’ambito delle istituzioni europee, questa guida del cittadinoScaricabile su tutti i numeri della newsletter, è stata realizzata all’interno di un programma di formazione promosso dalla DG Comunicazione della Commissione Europea. Tramite questo strumento, è possibile risalire al ruolo delle istituzioni e degli organi dell’Unione e ricostruire il cammino svolto in questi settant’anni, attraverso i principali cenni storici.

Indicata sia per neofiti che per addetti ai lavori.

 

 

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Quando si parla di informazione, in relazione alle istituzioni europee il discorso diventa al contempo complesso e affascinante, ma anche difficile e con alcune tortuosità. A ben vedere, ci si trova di fronte ad un tema su cui si può constatare la presenza di prospettive assai distanti: uno dei principali elementi divisivi è quello relativo proprio alla comunicazione istituzionale. Se infatti, in termini generali, l’informazione (e la disinformazione) sull’Unione europea è abbondantemente diffusa sui media, d’altro canto si avverte l’esistenza di una serie di criticità rispetto al flusso centro – periferia delle informazioni chiave sulle posizioni ufficiali e sulle politiche europee. È ciò che porta a ritenere gli esperti che non venga prodotta informazione europea di qualità adeguata. Ecco perché occuparsene. Le possibili distorsioni possono essere generate da cause differenti: può esservi una lettura politica e partitica di quanto viene deciso a Bruxelles, oppure può verificarsi quella che i massmediologi chiamano “distorsione involontaria” e che avviene all’interno delle redazioni giornalistiche tutte le volte che i responsabili di un determinato organo di informazione, senza saperlo, costruiscono una rappresentazione della realtà difforme da quella effettiva. Può poi esservi una causa spesso sottovalutata alla base dell’alterazione della realtà: la sottovalutazione del ruolo del contesto in cui vengono apprese le notizie. Fin dall’inizio della diffusione dei mezzi di comunicazione di massa si è riscontrato questo fenomeno ed oggi, in epoca di web sempre più avanzato, appare ancora più complesso indagare il contesto entro cui avviene la percezione dell’informazione.

Su un fatto si può essere certi: è compito delle politiche europee intervenire su un ambito in cui i rischi di una cattiva informazione si sono ampliati e, proprio in relazione a ciò, riportiamo la notizia che il prossimo 10 giugno si avrà la presentazione dell’Action plan sulla disinformazione da parte della Commissione europea. Rispetto a questa iniziativa, il Movimento Europeo si dichiara favorevole ad un intervento più incisivo e giuridicamente vincolante a confronto con quelli finora effettuati. Il rischio che si avverte è quello di un risvolto preoccupante per le sorti della democrazia: quello cioè che, proprio in nome della libertà di espressione, si diffondano idee fuorvianti, soprattutto perché trainate dai social network, mezzi dalle grandi potenzialità, ma anche in cui può trovare legittimazione l’antipolitica, con tutto ciò che questo comporta. Diffondere inesattezze con un megafono quale quello degli annunci telematici a pagamento genera degli effetti sulle persone ed è bene che la collettività disponga di un vaccino basato su una corretta cultura civica dei media, ambito in cui sembra di trovarsi di fronte ad una grande area di miglioramento della propria attività da parte dei soggetti politici. Per quanto riguarda poi i soggetti non istituzionali che possono effettuare azioni di disinformazione, è bene ricordare che esistono e che, non da oggi, il Parlamento europeo ne ha consapevolezza. Per esempio, sui grandi temi che coinvolgono la collettività, come il coronavirus, un dossier redatto dal Servizio europeo per l’azione esterna datato 16 marzo sostiene che vi sarebbe stato un tentativo russo di manipolare l’emotività generata nei cittadini europei dalla pandemia: “L’obiettivo globale del Cremlino”, si afferma, “è quello di aggravare la crisi nei Paesi occidentali minando la fiducia nel sistema sanitario nazionale e ostacolando così una risposta efficace all’emergenza”. E anche in occasione della Brexit si manifestò tale intento, non solo da parte russa. Una risposta incoraggiante al fenomeno è la notizia della nascita, a Firenze, all’interno dell’Istituto Universitario Europeo, il 1° giugno, di un osservatorio europeo sulle fakenews finanziato dall’Unione europea. Per l’occasione, si è riscontrato l’intervento della Vicepresidente della Commissione europea con delega ai valori democratici e alla trasparenza Vera Jourova, secondo cui la nascita dell’osservatorio rappresenta “un elemento importante del nostro approccio, promuove il controllo dei fatti e migliora la nostra capacità di comprendere meglio la diffusione della disinformazione online”. Per maggiori informazioni, clicca qui.

Questa settimana segnaliamo inoltre:

In passato, la mancanza di unità europea ha limitato i progressi compiuti in direzione di una politica fiscale comune e una decisa lotta contro la criminalità finanziaria. Considerata l'entità della crisi causata dal coronavirus e l'aumento dell’indebitamento sovrano, chiediamo una politica globale di tolleranza zero verso il riciclaggio di denaro sporco, la frode fiscale e il dumping fiscale in Europa. In questo webinar presenteremo e discuteremo con voi e le nostre cinque misure chiave per una tale politica. Presenteremo anche una strategia per far valere le nostre richieste nonostante il principio di unanimità sulle questioni fiscali in vigore al Consiglio Europeo”

Ricordiamo che nella settimana dal 15 al 19 giugno si riuniranno il Parlamento europeo in sessione plenaria (16-17 giugno) per discutere fra l’altro della Conferenza sul futuro dell’Europa e il Consiglio europeo (18-19 giugno) per discutere del piano “l’Unione di nuova generazione” (Next Generation EU – NGEU) e del Quadro Finanziario Pluriennale (tutte le riunioni a distanza).

Il 16 giugno dalle 21 alle 23 il Movimento Europeo in Italia promuoverà una serata online per ricordare l’assassinio della deputata laburista inglese Jo Cox avvenuto il 16 giugno 2016 alla vigilia del referendum sul Brexit.

 

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Il 7 giugno 2000 entrava in vigore la Legge 150/2000 sulla comunicazione istituzionale che concludeva un decennio di rinnovamento normativo fissando l’importanza strategica della comunicazione, definendo le regole fondamentali per una sua gestione efficace, individuandone gli ambiti di applicazione e dando una legittimazione professionale agli operatori dell’informazione.

Agendo ultra vires e in assenza di un approfondito dibattito nel Parlamento e all’interno del governo, la Ministra Fabiana Dadone ha frettolosamente creato un Gruppo di Lavoro, ha unito la questione delle riforma della comunicazione pubblica – ritenendo la legge 150/2000 “in gran parte inadeguata alla nuova PA trasparente e digitale” - all’obbiettivo giuridicamente ultroneo di un’indeterminata “social media policy nazionale” che non rientra nelle sue competenze né in quelle dei soggetti che sono stati chiamati a far parte del Gruppo di Lavoro e ne ha affidato il coordinamento al di fuori della PA a un soggetto di parte.

Sfruttando il tempo sospeso a causa del COVID19, il Gruppo di Lavoro ha esaurito –  in poche riunioni e con una rapidità degna di ben altra causa (dal 9 gennaio al 20 aprile) – un dibattito che venti anni fa era durato un decennio partorendo “dieci proposte operative” (!) che dovranno ora passare al vaglio dei tecnici della pubblica amministrazione e del legislatore.

Il risultato del consenso raggiunto fra i membri del Gruppo di Lavoro sarà presentato dalla Ministra Dadone il prossimo 16 giugno. La Ministra compirà così un altro atto ultra vires considerando che le proposte sono indirizzate al governo nel suo insieme e poi al Parlamento e che la Ministra dovrebbe limitarsi a prenderne atto per rispetto dei colleghi di governo.

Si dovrebbe evitare il pericolo che il tema della riforma della comunicazione pubblica e ancor di più quello di una social media policy nazionale (vaste programme, avrebbe detto il Generale De Gaulle) sia manipolato garantendo che le scelte di indirizzo siano espressione di una volontà la più ampia possibile delle associazioni rappresentative e della società civile e non solo di una parte del tavolo dell’open government partnership ed evitando di mutuare metodi di consultazione molto vicini alle scelte che il movimento, a cui appartiene la Ministra, ha affidato ad un numero ristretto di cittadini attraverso la Piattaforma Rousseau.

Stupisce in primo luogo che il Gruppo di Lavoro non abbia sentito la necessità o avuto la possibilità e l’opportunità di riflettere sulle esperienze di quattro mesi della pandemia per tener conto del fatto che l’emergenza sanitaria abbia significativamente alterato i modelli comunicativi, partecipativi e informativi creando confusione e spesso disinformazione e accompagnando alla mancanza di verità (fake news) l’assenza della verificabilità delle informazioni.  L’autorevolezza delle fonti è stata piegata alla necessità di “riempimento”, la quantità a discapito della qualità lasciando spazio al “consumismo “ dell’informazione. 

Colpisce in secondo luogo il fatto che sia stato ignorato il  mutamento avvenuto nei nostri sistemi di democrazia occidentale a causa dell’influenza dei social media e dell’eccesso di informazione che si può tramutare in disinformazione provocando quella che si chiama infodemia che altera i rapporti tra i cittadini e le istituzioni creando le condizioni di una democrazia populista e sovranista (demoicrazia e cioè il potere ai popoli) e non una forma nuova di democrazia partecipativa (politeicrazia e cioè il potere ai cittadini).

Vorremmo in terzo luogo denunciare il fatto che in quel Gruppo di Lavoro non c’era un’adeguata rappresentanza delle organizzazioni della società civile che sono o dovrebbero essere i primi fruitori della comunicazione pubblica e coloro a cui occorre garantire l’uso del bene pubblico della rete affinché essi siano in grado di effettuare liberamente le loro scelte. Non sono stati invitati i rappresentanti del Terzo Settore, i promotori del Festival della partecipazione civica, la neo-costituita Consulta Giovanile, la rete delle Fondazioni culturali, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, le organizzazioni dei consumatori e il Forum delle diseguaglianze oltre ai partner sociali per citare solo alcuni soggetti collettivi.

Il Gruppo di Lavoro ha in quarto luogo ignorato tutta la questione della tutela dei diritti sui social network su cui hanno legiferato in Germania e in Francia e su cui esiste la “Dichiarazione dei diritti in Internetelaborata nel 2015 per la Camera dei Deputati dalla Commissione presieduta da Stefano Rodotà e che attende da anni di essere tramutata in legge, diritti che sono collegati alla lotta alle fake news, agli hate speeches e alla manipolazione dell’informazione su cui esistono direttive europee, atti del Consiglio d’Europa e proposte del Parlamento europeo e della Commissione europea (che saranno tradotte il prossimo 10 giugno in un Action Plan) e un Osservatorio dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze oltre che l’Unità di monitoraggio (task force) contro le fake news del governo italiano priva tuttavia di competenze sanzionatorie.  

Infine il Gruppo ha ignorato le possibilità offerte dall’Unione europea per quanto riguarda la  cooperazione amministrativa. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed in modo particolare degli articoli 197 e 298 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e degli articoli 41 e 42 della Carta dei diritti fondamentali sono state assegnate nuove competenze all'Unione europea nel campo della pubblica amministrazione e delle relazioni fra amministratori e amministrati. L'articolo 197 TFUE fa dell'applicazione effettiva del diritto dell'Unione europea da parte degli Stati membri una “questione di interesse comune” (par. 1). L'articolo 298 TFUE ha lo scopo di garantire, attraverso l'adozione di un regolamento europeo, il carattere “aperto, efficace ed indipendente” dell’amministrazione europea che dovrebbe essere adottato da tutte le amministrazioni nazionali. L'esigenza della apertura si accompagna a quella della trasparenza, l'efficacia corrisponde ad una gestione rigorosa e ad un uso appropriato dei soldi dei contribuenti mentre l'indipendenza si esercita sia nei confronti delle amministrazioni nazionali che dei gruppi di interesse. 

Conviene collegare questa nuova disposizione all'articolo 41 della Carta dei diritti senza dimenticare gli articoli dedicati dal Trattato e dalla Carta all'accesso ai documenti ed alla trasparenza. Da questo punto di vista, l'evoluzione del diritto europeo è in linea sia con gli orientamenti del Consiglio d'Europa e con l'OCSE sia con il gran numero di misure legislative e di riforme adottate dagli Stati membri dell'Unione europea nel settore della trasparenza amministrativa come diritto fondamentale del cittadino e come componente essenziale della democrazia. Attraverso tale diritto, i cittadini possono partecipare attivamente al processo decisionale, controllare il governo – o meglio le istituzioni che fanno parte della multilevel governance – prevenire la corruzione e le forme della cattiva amministrazione.

Noi chiederemo al governo e al Parlamento italiani di promuovere un ampio Forum sulla riforma della comunicazione pubblica nel quadro di una visione dinamica ed europea della democrazia rappresentativa, partecipativa e di prossimità che vada ben al di là dell’approccio tecnocratico del Gruppo di Lavoro istituito dalla Ministra Dadone e che punti all’obbiettivo di cambiare per migliorare e non cambiare pur di cambiare.

coccodrillo

 

 

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DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA E COMUNICAZIONE PUBBLICA
A PROPOSITO DELLA LEGGE 150/2000 E
DI UN GRUPPO DI LAVORO DELLA MINISTRA DADONE

Il 7 giugno 2000 entrava in vigore la Legge 150/2000 sulla comunicazione istituzionale che concludeva un decennio di rinnovamento normativo fissando l’importanza strategica della comunicazione, definendo le regole fondamentali per una sua gestione efficace, individuandone gli ambiti di applicazione e dando una legittimazione professionale agli operatori dell’informazione.

Agendo ultra vires e in assenza di un approfondito dibattito nel Parlamento e all’interno del governo, la Ministra Fabiana Dadone ha frettolosamente creato un Gruppo di Lavoro, ha unito la questione delle riforma della comunicazione pubblica – ritenendo la legge 150/2000 “in gran parte inadeguata alla nuova PA trasparente e digitale” - all’obbiettivo giuridicamente ultroneo di un’indeterminata “social media policy nazionale” che non rientra nelle sue competenze né in quelle dei soggetti che sono stati chiamati a far parte del Gruppo di Lavoro e ne ha affidato il coordinamento al di fuori della PA a un soggetto di parte.

Sfruttando il tempo sospeso a causa del COVID19, il Gruppo di Lavoro ha esaurito –  in poche riunioni e con una rapidità degna di ben altra causa (dal 9 gennaio al 20 aprile) – un dibattito che venti anni fa era durato un decennio partorendo “dieci proposte operative” (!) che dovranno ora passare al vaglio dei tecnici della pubblica amministrazione e del legislatore.

Il risultato del consenso raggiunto fra i membri del Gruppo di Lavoro sarà presentato dalla Ministra Dadone il prossimo 16 giugno. La Ministra compirà così un altro atto ultra vires considerando che le proposte sono indirizzate al governo nel suo insieme e poi al Parlamento e che la Ministra dovrebbe limitarsi a prenderne atto per rispetto dei colleghi di governo.

Si dovrebbe evitare il pericolo che il tema della riforma della comunicazione pubblica e ancor di più quello di una social media policy nazionale (vaste programme, avrebbe detto il Generale De Gaulle) sia manipolato garantendo che le scelte di indirizzo siano espressione di una volontà la più ampia possibile delle associazioni rappresentative e della società civile e non solo di una parte del tavolo dell’open government partnership ed evitando di mutuare metodi di consultazione molto vicini alle scelte che il movimento, a cui appartiene la Ministra, ha affidato ad un numero ristretto di cittadini attraverso la Piattaforma Rousseau.

Stupisce in primo luogo che il Gruppo di Lavoro non abbia sentito la necessità o avuto la possibilità e l’opportunità di riflettere sulle esperienze di quattro mesi della pandemia per tener conto del fatto che l’emergenza sanitaria abbia significativamente alterato i modelli comunicativi, partecipativi e informativi creando confusione e spesso disinformazione e accompagnando alla mancanza di verità (fake news) l’assenza della verificabilità delle informazioni.  L’autorevolezza delle fonti è stata piegata alla necessità di “riempimento”, la quantità a discapito della qualità lasciando spazio al “consumismo “ dell’informazione. 

Colpisce in secondo luogo il fatto che sia stato ignorato il  mutamento avvenuto nei nostri sistemi di democrazia occidentale a causa dell’influenza dei social media e dell’eccesso di informazione che si può tramutare in disinformazione provocando quella che si chiama infodemia che altera i rapporti tra i cittadini e le istituzioni creando le condizioni di una democrazia populista e sovranista (demoicrazia e cioè il potere ai popoli) e non una forma nuova di democrazia partecipativa (politeicrazia e cioè il potere ai cittadini).

Vorremmo in terzo luogo denunciare il fatto che in quel Gruppo di Lavoro non c’era un’adeguata rappresentanza delle organizzazioni della società civile che sono o dovrebbero essere i primi fruitori della comunicazione pubblica e coloro a cui occorre garantire l’uso del bene pubblico della rete affinché essi siano in grado di effettuare liberamente le loro scelte. Non sono stati invitati i rappresentanti del Terzo Settore, i promotori del Festival della partecipazione civica, la neo-costituita Consulta Giovanile, la rete delle Fondazioni culturali, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, le organizzazioni dei consumatori e il Forum delle diseguaglianze oltre ai partner sociali per citare solo alcuni soggetti collettivi.

Il Gruppo di Lavoro ha in quarto luogo ignorato tutta la questione della tutela dei diritti sui social network su cui hanno legiferato in Germania e in Francia e su cui esiste la “Dichiarazione dei diritti in Internetelaborata nel 2015 per la Camera dei Deputati dalla Commissione presieduta da Stefano Rodotà e che attende da anni di essere tramutata in legge, diritti che sono collegati alla lotta alle fake news, agli hate speeches e alla manipolazione dell’informazione su cui esistono direttive europee, atti del Consiglio d’Europa e proposte del Parlamento europeo e della Commissione europea (che saranno tradotte il prossimo 10 giugno in un Action Plan) e un Osservatorio dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze oltre che l’Unità di monitoraggio (task force) contro le fake news del governo italiano priva tuttavia di competenze sanzionatorie.  

Infine il Gruppo ha ignorato le possibilità offerte dall’Unione europea per quanto riguarda la  cooperazione amministrativa. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed in modo particolare degli articoli 197 e 298 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e degli articoli 41 e 42 della Carta dei diritti fondamentali sono state assegnate nuove competenze all'Unione europea nel campo della pubblica amministrazione e delle relazioni fra amministratori e amministrati. L'articolo 197 TFUE fa dell'applicazione effettiva del diritto dell'Unione europea da parte degli Stati membri una “questione di interesse comune” (par. 1). L'articolo 298 TFUE ha lo scopo di garantire, attraverso l'adozione di un regolamento europeo, il carattere “aperto, efficace ed indipendente” dell’amministrazione europea che dovrebbe essere adottato da tutte le amministrazioni nazionali. L'esigenza della apertura si accompagna a quella della trasparenza, l'efficacia corrisponde ad una gestione rigorosa e ad un uso appropriato dei soldi dei contribuenti mentre l'indipendenza si esercita sia nei confronti delle amministrazioni nazionali che dei gruppi di interesse. 

Conviene collegare questa nuova disposizione all'articolo 41 della Carta dei diritti senza dimenticare gli articoli dedicati dal Trattato e dalla Carta all'accesso ai documenti ed alla trasparenza. Da questo punto di vista, l'evoluzione del diritto europeo è in linea sia con gli orientamenti del Consiglio d'Europa e con l'OCSE sia con il gran numero di misure legislative e di riforme adottate dagli Stati membri dell'Unione europea nel settore della trasparenza amministrativa come diritto fondamentale del cittadino e come componente essenziale della democrazia. Attraverso tale diritto, i cittadini possono partecipare attivamente al processo decisionale, controllare il governo – o meglio le istituzioni che fanno parte della multilevel governance – prevenire la corruzione e le forme della cattiva amministrazione.

Noi chiederemo al governo e al Parlamento italiani di promuovere un ampio Forum sulla riforma della comunicazione pubblica nel quadro di una visione dinamica ed europea della democrazia rappresentativa, partecipativa e di prossimità che vada ben al di là dell’approccio tecnocratico del Gruppo di Lavoro istituito dalla Ministra Dadone e che punti all’obbiettivo di cambiare per migliorare e non cambiare pur di cambiare.

 coccodrillo

 


 

Iniziative della settimana

Quando si parla di informazione, in relazione alle istituzioni europee il discorso diventa al contempo complesso e affascinante, ma anche difficile e con alcune tortuosità. A ben vedere, ci si trova di fronte ad un tema su cui si può constatare la presenza di prospettive assai distanti: uno dei principali elementi divisivi è quello relativo proprio alla comunicazione istituzionale. Se infatti, in termini generali, l’informazione (e la disinformazione) sull’Unione europea è abbondantemente diffusa sui media, d’altro canto si avverte l’esistenza di una serie di criticità rispetto al flusso centro – periferia delle informazioni chiave sulle posizioni ufficiali e sulle politiche europee. È ciò che porta a ritenere gli esperti che non venga prodotta informazione europea di qualità adeguata. Ecco perché occuparsene. Le possibili distorsioni possono essere generate da cause differenti: può esservi una lettura politica e partitica di quanto viene deciso a Bruxelles, oppure può verificarsi quella che i massmediologi chiamano “distorsione involontaria” e che avviene all’interno delle redazioni giornalistiche tutte le volte che i responsabili di un determinato organo di informazione, senza saperlo, costruiscono una rappresentazione della realtà difforme da quella effettiva. Può poi esservi una causa spesso sottovalutata alla base dell’alterazione della realtà: la sottovalutazione del ruolo del contesto in cui vengono apprese le notizie. Fin dall’inizio della diffusione dei mezzi di comunicazione di massa si è riscontrato questo fenomeno ed oggi, in epoca di web sempre più avanzato, appare ancora più complesso indagare il contesto entro cui avviene la percezione dell’informazione.

Su un fatto si può essere certi: è compito delle politiche europee intervenire su un ambito in cui i rischi di una cattiva informazione si sono ampliati e, proprio in relazione a ciò, riportiamo la notizia che il prossimo 10 giugno si avrà la presentazione dell’Action plan sulla disinformazione da parte della Commissione europea. Rispetto a questa iniziativa, il Movimento Europeo si dichiara favorevole ad un intervento più incisivo e giuridicamente vincolante a confronto con quelli finora effettuati. Il rischio che si avverte è quello di un risvolto preoccupante per le sorti della democrazia: quello cioè che, proprio in nome della libertà di espressione, si diffondano idee fuorvianti, soprattutto perché trainate dai social network, mezzi dalle grandi potenzialità, ma anche in cui può trovare legittimazione l’antipolitica, con tutto ciò che questo comporta. Diffondere inesattezze con un megafono quale quello degli annunci telematici a pagamento genera degli effetti sulle persone ed è bene che la collettività disponga di un vaccino basato su una corretta cultura civica dei media, ambito in cui sembra di trovarsi di fronte ad una grande area di miglioramento della propria attività da parte dei soggetti politici. Per quanto riguarda poi i soggetti non istituzionali che possono effettuare azioni di disinformazione, è bene ricordare che esistono e che, non da oggi, il Parlamento europeo ne ha consapevolezza. Per esempio, sui grandi temi che coinvolgono la collettività, come il coronavirus, un dossier redatto dal Servizio europeo per l’azione esterna datato 16 marzo sostiene che vi sarebbe stato un tentativo russo di manipolare l’emotività generata nei cittadini europei dalla pandemia: “L’obiettivo globale del Cremlino”, si afferma, “è quello di aggravare la crisi nei Paesi occidentali minando la fiducia nel sistema sanitario nazionale e ostacolando così una risposta efficace all’emergenza”. E anche in occasione della Brexit si manifestò tale intento, non solo da parte russa. Una risposta incoraggiante al fenomeno è la notizia della nascita, a Firenze, all’interno dell’Istituto Universitario Europeo, il 1° giugno, di un osservatorio europeo sulle fakenews finanziato dall’Unione europea. Per l’occasione, si è riscontrato l’intervento della Vicepresidente della Commissione europea con delega ai valori democratici e alla trasparenza Vera Jourova, secondo cui la nascita dell’osservatorio rappresenta “un elemento importante del nostro approccio, promuove il controllo dei fatti e migliora la nostra capacità di comprendere meglio la diffusione della disinformazione online”. Per maggiori informazioni, clicca qui.

Questa settimana segnaliamo inoltre:

In passato, la mancanza di unità europea ha limitato i progressi compiuti in direzione di una politica fiscale comune e una decisa lotta contro la criminalità finanziaria. Considerata l'entità della crisi causata dal coronavirus e l'aumento dell’indebitamento sovrano, chiediamo una politica globale di tolleranza zero verso il riciclaggio di denaro sporco, la frode fiscale e il dumping fiscale in Europa. In questo webinar presenteremo e discuteremo con voi e le nostre cinque misure chiave per una tale politica. Presenteremo anche una strategia per far valere le nostre richieste nonostante il principio di unanimità sulle questioni fiscali in vigore al Consiglio Europeo”

Ricordiamo che nella settimana dal 15 al 19 giugno si riuniranno il Parlamento europeo in sessione plenaria (16-17 giugno) per discutere fra l’altro della Conferenza sul futuro dell’Europa e il Consiglio europeo (18-19 giugno) per discutere del piano “l’Unione di nuova generazione” (Next Generation EU – NGEU) e del Quadro Finanziario Pluriennale (tutte le riunioni a distanza).

Il 16 giugno dalle 21 alle 23 il Movimento Europeo in Italia promuoverà una serata online per ricordare l’assassinio della deputata laburista inglese Jo Cox avvenuto il 16 giugno 2016 alla vigilia del referendum sul Brexit.

 


 

Un glossario per l'Europa

Vi ricordiamo, per orientarsi nell’ambito delle istituzioni europee, questa guida del cittadinoScaricabile su tutti i numeri della newsletter, è stata realizzata all’interno di un programma di formazione promosso dalla DG Comunicazione della Commissione Europea. Tramite questo strumento, è possibile risalire al ruolo delle istituzioni e degli organi dell’Unione e ricostruire il cammino svolto in questi settant’anni, attraverso i principali cenni storici.

Indicata sia per neofiti che per addetti ai lavori.

 


 

Documenti chiave

 


 

Testi della settimana

 


 

Carta dei diritti fondamentali

In coerenza con i contenuti di questo numero, questa settimana ci occupiamo dell’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali, che fissa una serie di principi da tener presente ed anche reinterpretare alla luce dell’innovazione tecnologica. Rispetto ai vent’anni trascorsi dalla proclamazione della Carta, il 7 dicembre 2000, ed anche rispetto al suo successivo riadattamento del 12 dicembre 2007, oggi viviamo in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione sono più rapidi, a più alto impatto; molte più persone vi hanno liberamente accesso e ciò si può considerare un passo in avanti. Ci sono anche più soggetti in competizione tra loro per ottenere visibilità sui media, considerata l’ampia diffusione di Facebook per esempio, che non esisteva ancora nel 2000 e che nel 2007 iniziava a diffondersi ma si era ancora agli inizi, in Italia. Ed è necessario riflettere sul fatto che, se da un lato mezzi del genere incrementano le opportunità di farsi conoscere, diffondere messaggi ad un determinato pubblico, essere autori di se stessi, dall’altro rappresentano un rischio di accresciuta diffusione di informazioni non verificate, poco autorevoli se non proprio volutamente false e denigratorie. È necessario considerare che il sacrosanto diritto alla libertà di espressione, intesa non solo come libertà di pensiero e di parola, ma di manifestazione di un sentire, della propria arte, del proprio credo e delle proprie convinzioni politiche, religiose, di tutti gli orientamenti che rientrano nella sfera personale, trova un limite etico nel fatto di non compromettere la dignità, la libertà, l’esistenza altrui. Purtroppo spesso si trascurano questi principi sul web e il risultato è un flusso incontrollato di comunicazione, rispetto al quale si può fare fatica a mettere in atto delle difese intellettuali. Lo stesso concetto di democrazia può finire così per essere travisato, poiché la supposta libertà, possibile grazie al mezzo informatico, di “dire ciò che si vuole” si rivela un boomerang. Senza controllo delle fonti, senza il giusto filtro, una tecnologia ricca di potenzialità positive come internet si trasforma in un mare tempestoso in cui si rischia di essere travolti. D’altro canto, nel primo comma dell’articolo 11 in esame, si pone l’accento anche su ciò che le istituzioni di uno Stato membro non devono fare, cioè porre in atto quelle che, in via generale, sono definite “ingerenze” delle autorità sulla libertà di espressione, oppure stabilire dei limiti alla circolazione di informazioni o idee all’interno dell’Unione europea. Si tratta di aspetti di altrettanta importanza e, anche in questo caso, l’approccio di ciascuno Stato membro nei confronti del principio posto dovrebbe anche in questo caso essere rispettoso di questa libertà. Una politica di comunicazione efficace dovrebbe sì incrementare le opportunità del pluralismo e della libertà dei media, come afferma il secondo comma, ma anche sviluppare una cultura civica della fruizione responsabile dell’informazione. Chi si occupa di comunicazione, ricorre spesso alla metafora della dieta mediatica: se correttamente applicata, porta il soggetto a “nutrirsi” in maniera corretta e bilanciata di informazioni. Secondo i principi che guidano tale approccio – e sarà capitato senz’altro agli studenti di Comunicazione o di una scuola di giornalismo di confrontarsi con questo problema dell’informazione – una dieta equilibrata prevede di ascoltare più fonti al giorno, o quantomeno i principali mezzi di comunicazione, cioè la radio, la lettura di almeno un quotidiano, i telegiornali e internet.

 


 

L’Europa dei diritti

Per comprendere quali valutazioni entrino in gioco quando si tratta di bilanciare il diritto alla libertà di espressione con altri diritti, come quello alla riservatezza, questa settimana vi proponiamo il caso di una sentenza della CGUE del 14 febbraio 2019 che affronta aspetti interessanti di questo rapporto. I fatti vedono coinvolto un cittadino lettone, Sergejs Buivids, il quale, “Mentre si trovava presso i locali di un commissariato della polizia nazionale, ha filmato le operazioni di raccolta della sua deposizione nell’ambito di un procedimento per illecito amministrativo. Il sig. Buivids ha pubblicato il video così registrato (in prosieguo: il «video in questione»), che mostrava taluni agenti di polizia e le attività da essi esercitate all’interno del commissariato, sul sito Internet www.youtube.com. […] In seguito a tale pubblicazione, l’Agenzia nazionale per la protezione dei dati ha dichiarato, in una decisione del 30 agosto 2013, che il sig. Buivids aveva violato l’articolo 8, paragrafo 1, della legge sulla protezione dei dati, poiché non aveva comunicato agli agenti di polizia, nella loro qualità di interessati, le informazioni previste in detta disposizione relative alla finalità del trattamento dei dati personali che li riguardavano. Il sig. Buivids non aveva neppure comunicato all’Agenzia nazionale per la protezione dei dati le informazioni relative alla finalità della registrazione del video in questione e della sua pubblicazione su un sito Internet idonee a dimostrare che l’obiettivo perseguito fosse conforme alla legge sulla protezione dei dati. L’Agenzia nazionale per la protezione dei dati ha pertanto chiesto al sig. Buivids di provvedere affinché il suddetto video fosse rimosso dal sito Internet www.youtube.com e da altri siti Internet”.

A seguito di tale decisione, il sig. Buivids ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo distrettuale lettone, contestando l’illegittimità di tale decisione e chiedendo anche il risarcimento del danno, sostenendo che, “con la pubblicazione del video in questione, aveva cercato di attirare l’attenzione della società su una condotta a suo avviso illecita delle forze di polizia”. Ma il suddetto tribunale ha respinto il ricorso. Similmente, la Corte amministrativa regionale lettone, successivamente invocata da Buivids, ha rigettato le sue istanze, sottolineando peraltro che i video in questione non avessero finalità giornalistica e non riprendessero fatti di attualità o scorrettezze del personale di polizia e che con il suo comportamento l’autore dei video avesse violato la legge sulla protezione dei dati.

Buivids ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte suprema lettone, contestando le decisioni dei due tribunali precedentemente invocati, poiché i video erano stati girati in luogo pubblico e quindi ritenendo che non sussistessero i motivi per la rimozione da Youtube. La Corte Suprema, nutrendo dubbi sul fatto se il comportamento dell’autore dei video rientrasse nei dettami previsti dalla direttiva n. 95/46 CE, in particolare dell’articolo 9 che definisce la sfera di applicazione di “un trattamento di dati personali a scopi giornalistici”, si è rivolta alla CGUE. Un ulteriore dubbio della Corte suprema lettone era se la registrazione stessa svolta dal sig. Buivids rientrasse nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.

Per conoscere le decisioni della Corte di Giustizia Ue, il testo della sentenza completo è disponibile cliccando qui.

 


 

Consigli di lettura

A breve, probabilmente nella quarta settimana di questo mese, uscirà il nuovo monitor aggiornato al 2020 del Centro per la libertà e il pluralismo dei media di Firenze, attivo dal 2012. Per l’occasione – e per poter consultare tutte le ricerche già elaborate sul tema –  vi invitiamo a visitare il sito dell’iniziativa, cliccando su questo link. Per saperne di più su queste ricerche, abbiamo parlato con lo studioso Giovanni Melogli che, oltre a collaborare con il Centro, si occupa di educazione ai media europei per la Commissione europea e per l’Alliance internationale de journalistes. Inoltre, si è resto disponibile per un colloquio anche Arturo Di Corinto, giornalista, psicologo cognitivo  ed esperto di comunicazione mediata dai computer. Il colloquio con lui è stato lo spunto per poter individuare un ulteriore spunto di lettura: è il testo “Il valore della Carta dei diritti di Internet”, recentemente pubblicato da Editoriale Scientifica, a cura degli studiosi Laura Abba e Angelo Alù, con prefazione di Di Corinto. Poiché gli spunti derivanti dai colloqui con gli esperti trattano anche aspetti economici, questa settimana la sezione “Consigli di lettura” include anche riferimenti relativi al consueto spazio “Economia in pillole”.

In relazione agli studi svolti sul tema della tutela della libertà dei media e del pluralismo, Melogli sostiene che sia necessario, per salvaguardare le nostre democrazie, “Sviluppare un senso critico nei confronti dei messaggi che riceviamo da questi strumenti”. Si tratta di una capacità purtroppo poco diffusa nel pubblico di massa, quotidianamente esposto ai messaggi pubblicitari e spesso non consapevole degli interessi sottostanti al confezionamento di determinate notizie seguendo una particolare strategia enunciativa. Sarebbe opportuno, anche per migliorare la propria percezione della realtà, poter disporre delle opportune “lenti”. Tuttavia, è difficile poter trovare elementi a supporto di una convenienza di ciò per le aziende editoriali. Infatti, abbiamo posto a Melogli questa specifica domanda: “Ci sono evidenze empiriche della fake news come ostacolo allo sviluppo economico, ai processi produttivi?”.

Lo studioso ha risposto che, pur essendo d’accordo ,“Trovare indicatori per provare ciò è un po’ difficile. In termini generici, l’ecosistema mediatico porta in modo chiaro ad una sensazionalizzazione di tutti i contenuti: maggiore è il sensazionalismo, maggiore l’attrattiva, maggiori gli incassi. Viceversa avviene aumentando il livello di razionalità dei contenuti. Questa è una tendenza chiara e netta, con effetti distruttivi sulle menti delle persone esposte a questi messaggi. Si ha poi il fenomeno della polarizzazione: più si è netti, schierati sulle proprie posizioni, più si attrae pubblico. È un circolo vizioso dal quale non si esce”. Arturo Di Corinto, in risposta a questa domanda, sostiene che “È molto difficile. Dipende dalla complessità della psicologia del giudizio e delle decisioni. Ma soprattutto, dalla difficoltà di isolare la disinformazione dalla cattiva informazione. Paradossalmente, sono più facili da trovare esempi di quest’ultima piuttosto che di disinformazione, per esempio quelli di un giornale che adotta posizioni ideologiche e, in funzione di ciò, compie determinate scelte editoriali, proponendo determinate ricette economiche, per esempio quella a supporto delle politiche di austerità. Ad ogni modo è difficile verificare un rapporto tra disinformazione e sviluppo economico; inoltre, è molto complicato dare una risposta esauriente nelle democrazie mature, ad alto livello di complessità, in cui la formazione delle opinioni coinvolge molti soggetti e molti contesti. In ogni caso, la disinformazione in democrazie avanzate non può bastare a spiegare gli errori commessi dai singoli; ciò può invece verificarsi quando ad essa si accompagna un programma di cattiva informazione deciso dalle scelte politiche di un governo”.

Il quadro tracciato quindi presenta delle criticità; c’è poca tendenza a verificare le informazioni. Anche la tecnica del fact checking si rivela uno strumento utile più che altro ai giornalisti ma, sostiene Melogli, “la fruizione di questi strumenti da parte del pubblico è pari allo zero. Pochi fruitori razionali si fermano e vanno a cercare se l’informazione è vera o falsa. Il modo in cui se ne fruisce fa riferimento a meccanismi basati sull’emotività”. Gli strumenti oggi utilizzabili con il web hanno ampliato le possibilità di disinformare grazie ai social, ai blog e a tutti gli strumenti utilizzabili anche dai non addetti ai lavori. Un caso empirico è il seguente: “In Macedonia, durante la campagna elettorale USA del 2016, un gruppo di giovani utenti della rete ha portato avanti una campagna di disinformazione, basata su dati falsi, contro Hillary Clinton. Si è riscontrato che non lo facevano perché pagati da Trump, ma perché l’informazione costruita in quel modo veniva vista da tantissime persone e quindi incassavano i soldi della pubblicità: era solo un meccanismo economico. A questi soggetti non interessava nulla degli effetti sulle persone e sulla democrazia americana, ma solo di poter guadagnare dei soldi. Basta questo a capire in che tipo di ecosistema mediatico ci stiamo muovendo”.

E quindi, “Senza una profonda educazione ai media, senza un profondo senso critico, ci ritroviamo persi in un ecosistema senza alcun punto di riferimento”. Le conclusioni del dott. Melogli testimoniano anche come le logiche mediatiche correnti siano praticamente in antitesi con la scienza: “Ogni giorno si sente il bisogno di sentire qualcosa, sui media e ogni giorno si può dire qualsiasi cosa, non importa se scientificamente fondata”. Questi argomenti sono spunti con cui ritornare anche al testo presentato, questa settimana, sul valore della Carta dei diritti di Internet, per la cui applicazione effettiva c’è ancora un grande lavoro da fare. Chiudiamo qui con un ricordo di uno studioso del calibro di Stefano Rodotà, che se n’è a lungo occupato, fino all’approvazione del testo da parte del Parlamento, attraverso le parole di Arturo Di Corinto, che fa anche un collegamento tra l’impegno del politico per il nostro Paese e il dibattito sui diritti della Rete. Riportiamo una parte del testo completo, che si può leggere per intero cliccando qui: “Tra i lasciti di Stefano Rodotà c’è la Carta dei diritti per Internet. Non fu esattamente una sua idea, ma fu lui a realizzarla. L’idea di una Carta dei diritti di Internet nasce nel 2005 in Tunisia e fu proposta al mondo delle telecomunicazioni, ai governi e all’associazionismo proprio da un gruppo di nostri connazionali riuniti nella Casa Italia di Tunisi. Io c’ero. L’occasione per farlo era il World Summit on Information Society voluto dall’Onu per realizzare i “Millennium goals”. L’Organizzazione per le Nazioni Unite aveva finalmente realizzato che non ci potevano essere pace, democrazia e sviluppo senza garantire a tutti l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione che stavano progressivamente e inesorabilmente convergendo in Internet”.

 


 

 Agenda della settimana

 08-14 June 2020

 

Monday 8 June

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Thursday 11 June

Friday 12 June

 

 

 

 


                                      

 

 

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