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L’Unione europea è, come si sa, una comunità di diritto e fra i diritti che vengono garantiti con maggiore intensità ci sono quella legati alla protezione dei consumatori a cui il Trattato di Lisbona dedica non solo l’art. 169 ma un nuovo articolo 12 secondo cui tale protezione deve essere considerata una “clausola orizzontale” da prendere in considerazione nella definizione e nella realizzazione di tutte le politiche e le azioni dell’Unione.

Una delle maggiori difficoltà per la protezione dei consumatori nel mercato interno – che dovrebbe essere uno spazio senza frontiere in cui la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali è garantita – è la frammentazione delle disposizioni nazionali.

Nonostante questa frammentazione, l’Unione europea rappresenta un modello internazionale di protezione dei consumatori al suo interno e nei confronti dei paesi terzi.

Fra le misure per ridurre e progressivamente eliminare la frammentazione del mercato interno vi è il diritto dei consumatori di avviare delle azioni collettive (in inglese class action) nei confronti di enti economici pubblici o privati per tutelare degli interessi omogenei.

Come sa chi si occupa di questa materia, il principio dell’azione collettiva fu introdotto per la prima volta in Inghilterra nel 1200 sotto il nome di Group Litigation ma divenne una regola della procedura civile solo con una legge federale negli USA del 1938.

Soltanto negli anni ’90 l’azione collettiva è diventata una parte della legge civile in molti Stati europei ed una direttiva è stata introdotta dall’Unione una prima volta nel 1998 mentre l’Italia ha riformato la sua legge nel 2019 trasferendo l’azione collettiva dal Codice dei Consumatori al Codice Civile.

Tenendo conto delle difficoltà di applicazione delle azioni collettive nell’Unione, sia all’interno dei paesi membri che nelle controversie transfrontaliere, si è recentemente conclusa una procedura di conciliazione fra PE e Consiglio sul testo di revisione delle diretttive europee proposto dalla Commissione.

Quando il documento concordato nella procedura di conciliazione sarà formalmente adottato in sessione plenaria dal PE e dai ministri nel Consiglio gli Stati membri avranno due anni per trasporre la nuova direttiva nelle legislazioni nazionali e l’Italia dovrà verificare se la legge adottata nel 2019 sia conforme alla nuova direttiva europea.

In vista del dibattito sulle novità europee relative all’azione collettiva, il Movimento europeo organizzerà in autunno un dibattito online per mettere a confronti magistrati, avvocati, organizzazioni dei consumatori e rappresentanti di enti economici pubblici e privati.

 coccodrillo

 

 

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Class action: promuovere il dibattito pubblico

L’Unione europea è, come si sa, una comunità di diritto e fra i diritti che vengono garantiti con maggiore intensità ci sono quella legati alla protezione dei consumatori a cui il Trattato di Lisbona dedica non solo l’art. 169 ma un nuovo articolo 12 secondo cui tale protezione deve essere considerata una “clausola orizzontale” da prendere in considerazione nella definizione e nella realizzazione di tutte le politiche e le azioni dell’Unione.

Una delle maggiori difficoltà per la protezione dei consumatori nel mercato interno – che dovrebbe essere uno spazio senza frontiere in cui la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali è garantita – è la frammentazione delle disposizioni nazionali.

Nonostante questa frammentazione, l’Unione europea rappresenta un modello internazionale di protezione dei consumatori al suo interno e nei confronti dei paesi terzi.

Fra le misure per ridurre e progressivamente eliminare la frammentazione del mercato interno vi è il diritto dei consumatori di avviare delle azioni collettive (in inglese class action) nei confronti di enti economici pubblici o privati per tutelare degli interessi omogenei.

Come sa chi si occupa di questa materia, il principio dell’azione collettiva fu introdotto per la prima volta in Inghilterra nel 1200 sotto il nome di Group Litigation ma divenne una regola della procedura civile solo con una legge federale negli USA del 1938.

Soltanto negli anni ’90 l’azione collettiva è diventata una parte della legge civile in molti Stati europei ed una direttiva è stata introdotta dall’Unione una prima volta nel 1998 mentre l’Italia ha riformato la sua legge nel 2019 trasferendo l’azione collettiva dal Codice dei Consumatori al Codice Civile.

Tenendo conto delle difficoltà di applicazione delle azioni collettive nell’Unione, sia all’interno dei paesi membri che nelle controversie transfrontaliere, si è recentemente conclusa una procedura di conciliazione fra PE e Consiglio sul testo di revisione delle diretttive europee proposto dalla Commissione.

Quando il documento concordato nella procedura di conciliazione sarà formalmente adottato in sessione plenaria dal PE e dai ministri nel Consiglio gli Stati membri avranno due anni per trasporre la nuova direttiva nelle legislazioni nazionali e l’Italia dovrà verificare se la legge adottata nel 2019 sia conforme alla nuova direttiva europea.

In vista del dibattito sulle novità europee relative all’azione collettiva, il Movimento europeo organizzerà in autunno un dibattito online per mettere a confronti magistrati, avvocati, organizzazioni dei consumatori e rappresentanti di enti economici pubblici e privati.

 coccodrillo

 


 

Iniziative della settimana

Quella della class action è una modalità di azione che rinforza nei cittadini la consapevolezza del fatto che, a partire da processi di conoscenza, partecipazione e condivisione, sia possibile innescare cambiamenti sociali. È per questo che richiamiamo all’attenzione ancora una volta il tema della democrazia partecipativa al centro del dibattito pubblico posto all’attenzione dalla rete Eumans, che il 25 giugno scorso ha svolto il suo quarto Meeting, introdotto dallo slogan “knowledge is (civic) power”. Ne parliamo, considerata la sintonia con lo spirito delle iniziative del Movimento europeo, perché riteniamo che un tale messaggio possa ben rappresentare anche il tema in discussione in questa settimana: quello della class action europea è infatti un istituto che può generare effetti positivi nel settore dei servizi offerti dalle imprese, ma vi si può anche ricorrere per contribuire al miglioramento dell’azione delle istituzioni, a tutti i livelli. Per questo motivo, appare indispensabile che i cittadini siano coinvolti e che sia rispettato il criterio guida della trasparenza, a maggior ragione in questi mesi, in cui l’Unione europea sta delineando gli assi portanti delle politiche future, con un nuovo, ambizioso bilancio, con la discussione in plenaria su numerosi aspetti riguardanti le sfide in gioco nei rapporti con i Paesi terzi, a cominciare dal Regno Unito, con il rilancio della Conferenza sul futuro dell’Europa – che la presidenza semestrale tedesca intende perseguire.

Suggeriamo quindi, questa settimana, di soffermarsi sull’importanza della partecipazione civica, che è anche impegno per una informazione corretta e completa, che contribuisca a indirizzare positivamente le persone verso soluzioni e riduca l’incertezza sui grandi temi in discussione, quali la sostenibilità ambientale, la digitalizzazione, la web tax e la border carbon tax, elementi chiave del nuovo bilancio europeo. Ricordiamo anche che di tutela dei consumatori si occupa, con numerose attività messe in campo, l’associazione Consumers' Forum, che confluisce anche nel crogiuolo delle iniziative del Movimento europeo per diffondere consapevolezza, impegno e promuovere la tutela dei consumatori, certi che si tratti di un fattore di progresso e di crescita.

Fra le iniziative che desideriamo portare alla vostra attenzione questa settimana ci sono:

 


 

Documenti chiave

 


 

Testi della settimana

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

Nonostante non vi sia nella Carta un articolo esplicitamente dedicato alla class action, quello che più vi si avvicina è l’articolo 38, che, brevemente, afferma che “Nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori”. Si può notare che la versione inglese della Carta utilizza il tempo futuro per esprimere l’affermazione del medesimo diritto, volendo intendere che questo è un ambito sul quale, al momento della stesura del testo, vi erano ancora lavori in corso. In effetti, anche oggi questo si configura come un campo sul quale confrontarsi ulteriormente e apportare delle modifiche in senso migliorativo per la tutela dei consumatori. Per questo diritto si possono trovare dei riferimenti anche nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, che ne parla agli articoli 12 e 169: nel primo, si riconosce che le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori sono tenute in considerazione per definire e attuare le politiche dell’Unione. Ciò porta a chiarire il fatto che la tutela dei consumatori non ha semplicemente un valore in sé in quanto fatto privato, legato al soddisfacimento di interessi personali, ma ha un valore di sistema: la soddisfazione del consumatore diventa un elemento imprescindibile per generare fiducia del sistema nel suo complesso e garantire l’assunzione della responsabilità sociale delle imprese. Nel secondo, si fa riferimento alle modalità di azione attraverso cui l’Unione per “tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi”. Sono il “Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale”, ad adottare le “misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli Stati membri”. Non si esclude inoltre che gli Stati membri mantengano o introducano “misure di protezione più rigorose. Tali misure devono essere compatibili con i trattati. Esse sono notificate alla Commissione” . L’articolo 169, infine, rimanda all’articolo 114, che a sua volta cita anche l’art. 26: entrambi si occupano anche delle misure da adottare per il funzionamento del mercato interno.

 


 

L’Europa dei diritti

La convenzione di Aarhus, reperibile tra i documenti di questa newsletter, si occupa di accesso alle informazioni, della partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale; così anche i considerando 2 e 15 del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo. In particolare, questi testi normativi riprendono il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, al cui interno si sottolinea “l’importanza di fornire adeguate informazioni sull’ambiente e di offrire al pubblico effettive possibilità di partecipare al processo decisionale in materia ambientale, in modo da accrescere la responsabilità e la trasparenza del processo decisionale e contribuire a rafforzare la consapevolezza e il sostegno del pubblico nei confronti delle decisioni adottate”. Inoltre, l’accesso o meno a tali informazioni dovrebbe essere concesso “tenendo conto dell’interesse pubblico che la rivelazione di dette informazioni persegue e valutando se le informazioni richieste riguardano le emissioni nell’ambiente”.  In relazione al rispetto di queste norme, riteniamo opportuno trattare il caso di una sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 settembre 2018 relativa ad una controversia tra ClientEarth, un’organizzazione senza scopo di lucro con finalità di tutela dell’ambiente, sostenuta dalla Repubblica di Finlandia e dal Regno di Svezia, e la Commissione europea.

ClientEarth, il 20 gennaio 2014, aveva presentato alla Commissione europea due domande di accesso a documenti detenuti da tale istituzione, sulla base del regolamento n. 1049/2001; il 13 e 17 febbraio 2014, la Commissione aveva respinto tali domande. Come si riporta nel testo della sentenza, “secondo la Commissione, la divulgazione, in questa fase, dei documenti controversi avrebbe pregiudicato gravemente i suoi processi decisionali in corso”. Ecco quindi che l’11 giugno 2014 ClientEarth ha presentato ricorso dinnanzi al Tribunale dell’Ue, ponendo obiezioni su tre punti: in primo luogo, in merito all’inapplicabilità di tale disposizione, in secondo luogo, in merito all’assenza di un rischio di grave pregiudizio per i processi decisionali della Commissione e, in terzo luogo, sull’esistenza di un interesse pubblico prevalente alla divulgazione dei documenti controversi. Inoltre, “ClientEarth ha asserito che la Commissione aveva violato l’obbligo di motivazione”. Tuttavia, “il Tribunale ha ritenuto che nessuno degli argomenti addotti da ClientEarth fosse tale da rimettere in discussione la valutazione compiuta dalla Commissione”, con sentenza del 13 novembre 2015. Ma l’organizzazione è andata avanti, invocando la CGUE per l’annullamento della sentenza impugnata e citando la Convenzione di Aarrhus e il regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo di cui sopra.

La sentenza della Corte di Giustizia europea ha ribaltato la situazione precedente, perché ha riconosciuto che il Tribunale fosse incorso in errori di diritto nell’affermare che “La Commissione poteva legittimamente presumere che, fino a quando essa non avesse adottato una decisione in merito ad un’eventuale proposta, la divulgazione dei documenti formati nell’ambito di una valutazione d’impatto avrebbe, in linea di principio, pregiudicato gravemente il suo processo decisionale in corso di elaborazione di tale proposta”. Nel testo della sentenza si può rinvenire le motivazioni in base alle quali la CGUE ha annullato tutte le decisioni precedenti. Il testo integrale della sentenza è disponibile cliccando qui.

 


 

Consigli di lettura

La legge n. 31 del 12 aprile 2019 ha introdotto nuove disposizioni sulla class action in Italia; poiché è di questi giorni la notizia dell’istituzione del raggiungimento di un accordo tra Parlamento europeo e Consiglio per le cause collettive a livello europeo, riteniamo interessante riportare il saggio del prof. Giuliano Scarselli, docente ordinario di Diritto processuale civile all’Università di Siena, nonché avvocato con studi legali sia a Roma che a Milano.

Il prof. Scarselli si è occupato di illustrare la legge nel suo insieme e di spiegare come funziona il procedimento di ammissibilità / inammissibilità di una class action. Inoltre, il testo illustra altri aspetti importanti, quali le modalità di impugnazione delle sentenze relative alle class action, l’iter relativo alla procedura di liquidazione dei danni ai soggetti promotori della stessa. Si spiega inoltre come il diritto alla class action non precluda la possibilità di rinunciarvi, per intraprendere azioni individuali. È possibile leggere il saggio, consultabile liberamente, cliccando qui.

 


 

 Agenda della settimana

29 June – 5 July 2020

 

Monday 29 June

Tuesday 30 June

Wednesday 1 July

Thursday 2 July

Friday 3 July

 

 

 

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Una comunità può dirsi tale se i diritti sanciti per i cittadini sono rispettati e possono valere nel territorio di competenza; ciò vale per il sistema europeo e, negli ultimi dieci anni, sono avvenute alcune modifiche sostanziali del quadro normativo, per migliorare il funzionamento del diritto europeo. Ecco perché questa settimana consigliamo la lettura di questo testo: “Attuare il diritto dell'Unione Europea in Italia. Un bilancio a 5 anni dall'entrata in vigore della legge n. 234 del 2012”. Ripercorre infatti alcuni passaggi significativi in merito al nuovo contesto politico – istituzionale disegnato a seguito delle riforme dei trattati, soprattutto quello di Lisbona, a cui però mancava, fino alla legge sopracitata, un seguito nel nostro ordinamento. Compito di questo testo normativo è delineare il nuovo quadro, rilanciando la centralità del ruolo del Parlamento, e non è un caso che uno dei curatori sia Enzo Moavero Milanesi, Ministro degli affari europei dal novembre 2011, nel governo tecnico Monti, al febbraio 2014. È lui stesso ad affermare nel testo che, con la legge n. 234/2012, si sono voluti realizzare dei passi in avanti in termini di maggiore possibilità di informazione per il Parlamento e di una accresciuta trasparenza dei procedimenti che coinvolgono Italia ed Europa: “Questo riassetto risulta comprovato dal riconoscimento dell’opportunità di assicurare la più ampia informazione al Parlamento. Da quella affidata al Governo, in particolare attraverso il confronto strutturato, preventivo e successivo, prima e dopo le riunioni periodiche del Consiglio UE e del Consiglio Europeo; fino a quella che discende dall’obbligo di inviare direttamente al Parlamento ogni atto europeo, anche se di natura meramente preparatoria o interlocutoria.

Al riguardo, la legge n. 234 è estremamente aperta. Prevede unicamente la possibilità per il Governo di limitare la diffusione di alcuni tipi di informazioni, specie quelle che riguardano procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso (art. 14, comma 5). Da un siffatto impianto, discende un forte aumento della trasparenza sui procedimenti UE e della qualità di informazione a disposizione attraverso la presa di conoscenza della medesima da parte del Parlamento.

Un’impostazione che, a ben vedere, estende il perimetro delle informazioni trasmesse addirittura al di fuori del classico raccordo tra livello nazionale e istituzioni dell’Unione Europea. Si riconosce, infatti, la necessità di una costante informazione al Parlamento anche in relazione ad accordi chiamati ‘intergovernativi’, perché conclusi fra Stati membri dell’Unione (art. 4, comma 4, lettera c) al di fuori del quadro istituzionale UE, in senso stretto”.

 

 

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L’inabilità, anche temporanea, di un lavoratore, può ingenerare delle controversie sull’intepretazione dei suoi diritti fondamentali. Questa settimana, perciò, riteniamo opportuno trattare un caso che riassume in sé alcuni aspetti trattati nella rubrica settimanale dedicata alla Carta dei diritti. Esso verte attorno alla vicenda del sig. Mohamed Daouidi, assunto dalla Bootes Plus come aiuto cuoco in un ristorante di Barcellona. Dopo un periodo di prova di trenta giorni, l’azienda aveva stipulato con il sig. Daouidi un contratto a tempo pieno della durata di nove mesi, dal 15 luglio 2014 al 16 aprile 2015. Tuttavia, il 3 ottobre 2014, il lavoratore “è scivolato sul pavimento della cucina del ristorante in cui lavorava, con conseguente lussazione del gomito sinistro, che ha dovuto essere ingessato. Lo stesso giorno il sig. Daouidi ha avviato la procedura volta ad ottenere il riconoscimento della sua invalidità temporanea. Due settimane dopo detto infortunio sul lavoro il capocuoco della cucina ha contattato il sig. Daouidi per informarsi sulle sue condizioni di salute e comunicargli la sua preoccupazione riguardo alla durata della sua situazione. Il sig. Daouidi gli ha risposto che la ripresa del lavoro non sarebbe stata immediata. Il 26 novembre 2014, benché si trovasse ancora in stato di invalidità temporanea, il sig. Daouidi ha ricevuto dalla Bootes Plus una lettera di licenziamento disciplinare del seguente tenore: «Siamo spiacenti di informarLa che abbiamo deciso di porre termine al suo rapporto di lavoro con la nostra impresa e di procedere al suo licenziamento in data odierna con effetto immediato. Tale decisione è motivata dalla considerazione che Lei non ha soddisfatto le aspettative dell’impresa né ha raggiunto il rendimento che quest’ultima considera adeguato allo svolgimento dei compiti corrispondenti al suo posto di lavoro. I fatti appena esposti sono punibili con il licenziamento, ai sensi [dello statuto dei lavoratori]». Il 23 dicembre 2014 il sig. Daouidi ha presentato dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 33 de Barcelona (Tribunale del lavoro n. 33 di Barcellona, Spagna) un ricorso inteso a far dichiarare, in via principale, la nullità del suo licenziamento ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, della legge n. 36/2011”.

Numerosi sono stati i punti interrogativi aperti dall’istanza dell’interessato, in quanto il tribunale del lavoro di Barcellona ha rinviato la vicenda all’analisi della CGUE su ben cinque questioni interpretative concernenti i diritti del sig. Daouidi:

“«1)      Se il divieto generale di discriminazione sancito dall’articolo 21, paragrafo 1, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che il divieto e la tutela ivi contemplati si estendono alla decisione del datore di lavoro di licenziare un lavoratore, fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro, mentre sta ricevendo prestazioni di assistenza sanitaria e previdenziali.

2)      Se l’articolo 30 della [Carta] debba essere interpretato nel senso che la tutela da erogare ad un lavoratore, oggetto di un licenziamento palesemente arbitrario e privo di giustificato motivo, debba essere analoga a quella prevista dalla legislazione nazionale per ogni forma di licenziamento che violi un diritto fondamentale.

3)      Se la decisione di un datore di lavoro di licenziare un lavoratore, fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro, mentre sta ricevendo prestazioni di assistenza sanitaria e previdenziali, rientri nell’ambito di applicazione e/o di tutela di cui agli articoli 3, 15, 31, 34, paragrafo 1, e 35, paragrafo 1, della [Carta] (uno, alcuni o tutti i suddetti articoli).

4)      Qualora le prime tre questioni (o una di esse) ricevano una risposta affermativa e si ritenga che la decisione di licenziare un lavoratore, fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro, mentre sta ricevendo prestazioni di assistenza sanitaria e previdenziali, rientri nell’ambito di applicazione e/o di tutela di uno o più articoli della [Carta], se il giudice nazionale possa applicare tali disposizioni per risolvere una controversia tra privati, vuoi perché – a seconda che si tratti di un “diritto” o di un “principio” – sia loro riconosciuta efficacia orizzontale, vuoi in virtù del principio dell’“interpretazione conforme”.

5)      Per il caso in cui le questioni anteriori ricevano una risposta negativa, si formula una quinta questione: “Se la nozione di “discriminazione diretta fondata sull’handicap” come uno dei motivi di discriminazione contemplati dagli articoli 1, 2 e 3 della direttiva 2000/78 possa comprendere la decisione di un datore di lavoro di licenziare un lavoratore fino a quel momento apprezzato professionalmente, per il solo fatto che si trova in una situazione di invalidità temporanea – la cui durata è incerta – a causa di un infortunio sul lavoro»”.

Per conoscere i fatti nel dettaglio, il testo della sentenza è disponibile cliccando qui.

 

 

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