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13 giugno

  • Dibattito “Il Conflitto della Transnistria e il processo di adesione della Repubblica di Moldova all’UE” (Ambasciata della Repubblica di Moldova in Italia in collaborazione con l’Istituto Luigi Sturzo)

 

14 giugno

  • Riunione Centro regionale Movimento europeo Calabria

 

15 giugno

  • Roma, Seminario di geopolitica "La pace in Ucraina: a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali:Russia, Cina Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea e Italia" (Democrazia Futura in collaborazione con Key4biz)
  • Roma, evento "Memorie di un (anti) Divo" (Formiche e Società italiana per l'organizzazione internazionale - SIOI)

 

16 giugno

  • Bruxelles, European Movement International, Members Council

 

 

 

 

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 Dalla giurisprudenza garantista della Corte di giustizia alle nuove, necessarie, politiche sull’immigrazione

         1. Premessa. In questo articolo intendiamo  innanzitutto segnalare una recente sentenza della Corte di giustizia  dall’impronta fortemente garantista e che valorizza in pieno  le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali in favore dei cittadini di paesi terzi (con particolare riferimento ai titolari di permesso di lungo- soggiorno). Questa decisione del 5.6.2023 adottata dalla Grande Sezione C-700/2021, OG dimostra come nelle mani sapienti della Corte del Lussemburgo il materiale legislativo sovranazionale, anche quello che vuole introdurre meri spazi di cooperazione giudiziaria tra stati membri sulla base del “mutuo riconoscimento” dei rispettivi ordinamenti nazionali, come nel caso del mandato di arresto europeo, dopo la conferita obbligatorietà della Carta di Nizza, finisce con l’assicurare ai cittadini residenti nei territori dell’UE- anche quelli dei paesi terzi, un insieme di importanti tutele e protezioni comuni che danno concretezza ed esigibilità all’idea di un’Europa dei diritti, fondata sull’intangibilità della dignità essenziale delle persone, oltre i confini nazionali. La sentenza è particolarmente importante perché frutto di una stretta e lungimirante cooperazione tra la Corte costituzionale italiana e la Corte del Lussemburgo nel precisare il rilievo della Carta rispetto agli ordinamenti interni, dimostrando come, dopo anni di polemiche e tensioni, il clima sia di efficace  interazione.  

        2. La sentenza della Corte di giustizia. Va assicurata la  parità di trattamento di trattamento tra cittadini comunitari e cittadini di paesi terzi quando la situazione dei due gruppi è comparabile rispetto alla finalità della normativa in questione.

Si tratta di un caso “italiano”. Un Tribunale rumeno spiccava un mandato di arresto nei confronti di un cittadino moldavo per scontare una pena detentiva; la Corte di appello di Bologna (competente perché il cittadino moldavo risiedeva in Italia)  autorizzava la consegna ma la Cassazione annullava il provvedimento con rinvio alla stessa Corte bolognese perché valutasse se sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa italiana che, mentre dispone la possibilità di non consegnare o il cittadino italiano o un cittadino di altro paese membro disponendo che la pena sia eseguita in Italia se si tratta di residenti stabili nel nostro paese, esclude tale possibilità per i cittadini di paesi terzi. La Corte di appello sollevava quindi incidente di costituzionalità prospettando un contrasto della normativa italiana con la finalità rieducativa della pena (favorita dalla possibilità di risocializzazione del soggetto condannato, alla fine del periodo di detenzione, nel paese in cui si risiede stabilmente e nel quale si sono cementati rapporti duraturi) e con l’art. 7 della Carta dei diritti UE sul rispetto della vita privata e familiare. La Corte costituzionale, prima ancora di esaminare l’eventuale contrasto della normativa interna con la nostra Carta costituzionale, rilevava che questa normativa era di trasposizione della decisione quadro 2002/584 e che quindi  fosse preliminare stabilire la coerenza con il diritto dell’Unione, come interpretato alla luce della Carta di Nizza. Ricordava fra l’altro  che l’interesse di un cittadino di un paese terzo legittimamente dimorante o residente in uno Stato membro a non essere sradicato dal suo ambiente familiare e sociale è tutelato dal diritto dell’Unione, nonché dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Disponeva quindi un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia chiedendo

“Se l’articolo 4, punto 6, della [decisione quadro 2002/584], interpretato alla luce dell’articolo 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell’articolo 7 [della Carta], osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest’ultimo; in caso di risposta affermativa alla prima questione, sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna».

Nella sentenza del 5 giugno la Corte di giustizia ricorda che si controverte su motivi facoltativi (non obbligatori) di non consegna di un cittadino e che quindi (punti 31-35) gli stati godono di una certa discrezionalità; sono liberi di trasporre o meno tali motivi “facoltativi” nel loro diritto interno, come nel caso di un soggetto che risieda in altro stato membro e che quest’ultimo si impegni ad eseguire la pena nel suo territorio.

Ma questo margine di discrezionalità non è assoluto; gli stati sono obbligati in sede di trasposizione e di scelta dei motivi “ facoltativi” di non consegna a rispettare i diritti ed i principi fondamentali di cui all’art. 6 TUE;

“tra tali principi fondamentali figura il principio di uguaglianza davanti alla legge, garantito dall’articolo 20 della Carta. Il rispetto di quest’ultima disposizione si impone agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, il che avviene quando essi traspongono il motivo di non esecuzione facoltativa di un mandato d’arresto europeo previsto all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584”.

Questo è un punto “tecnico” ma rilevantissimo: la Corte non applica il principio di  non discriminazione per ragioni di nazionalità (art. 21) o il correlato art. 18 TFUE perché questo vale solo in relazione alla nazionalità degli stati membri ma invece passa attraverso la parità di trattamento (l’architrave del costituzionalismo continentale), l’uguaglianza formale di cui all’art. 20 della Carta che ricorda la Corte:

“contrariamente all’articolo 18, primo comma, TFUE, che non è destinato ad essere applicato nel caso di un’eventuale disparità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e quelli dei paesi terzi, l’articolo 20 della Carta non prevede nessuna limitazione del suo campo d’applicazione e pertanto si applica a tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione” (punto n. 41)

Che cosa esige l’art. 20 della Carta (che in realtà la Corte ha utilizzato poche volte, forse anche per le sue  drastiche i conseguenze ([1])).  Si afferma che

 “secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’uguaglianza davanti alla legge, sancita dall’articolo 20 della Carta, è un principio generale del diritto dell’Unione, il quale esige che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo, a meno che un siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato [……   Il requisito relativo alla comparabilità delle situazioni, al fine di determinare l’esistenza di una violazione del principio di parità di trattamento, deve esser valutato alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano e, in particolare, alla luce dell’oggetto e dello scopo perseguito dall’atto che istituisce la distinzione di cui trattasi, fermo restando che devono essere presi in considerazione, a tal fine, i principi e gli obiettivi del settore in cui rientra tale atto. Nei limiti in cui le situazioni non sono comparabili, una differenza di trattamento delle situazioni in questione non viola l’uguaglianza davanti alla legge sancita dall’articolo 20 della Carta” (punto 42-43).

Questo è il cuore motivazionale della sentenza:  se la finalità della normativa sono quella di consentire a chi ha stabili legami con un paese membro di scontare la pena in quel paese perché questa favorirebbe il reinserimento, una volta finita la detenzione, allora i migranti cittadini di paesi terzi (soprattutto coloro che già fruiscono di un permesso di lungo- soggiorno) versano in una situazione del tutto comparabile con quella dei cittadini dei paesi membri:

“ne consegue che una normativa nazionale volta a trasporre l’articolo 4, punto 6, di tale decisione quadro non può essere considerata conforme al principio di uguaglianza davanti alla legge sancito all’articolo 20 della Carta se tratta in maniera diversa, da un lato, i propri cittadini e gli altri cittadini dell’Unione e, dall’altro, i cittadini di paesi terzi, negando a questi ultimi, in maniera assoluta e automatica, il beneficio del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo previsto da tale disposizione, anche qualora essi dimorino o risiedano nel territorio di tale Stato membro e senza che si tenga conto del loro grado di integrazione nella società di detto Stato. Infatti, non si può ritenere che una tale differenza di trattamento possa essere obiettivamente giustificata, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 42 della presente sentenza” punto 52).

 Naturalmente il giudice che rifiuta la consegna del soggetto deve procedere  

“ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione di tale cittadino, idonei a indicare se esistano, tra quest’ultimo e lo Stato membro di esecuzione, legami che dimostrino che egli è sufficientemente integrato in tale Stato e che, pertanto, l’esecuzione, in detto Stato membro, della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue possibilità di reinserimento sociale dopo che tale pena o misura di sicurezza sia stata eseguita. Tra tali elementi vanno annoverati i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro” (punto 68).

La conclusione è pertanto che

“L’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in combinato disposto con il principio di uguaglianza davanti alla legge sancito all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,dev’essere interpretato nel senso che:esso osta a una normativa di uno Stato membro volta a trasporre tale articolo 4, punto 6, che esclude in maniera assoluta e automatica dal beneficio del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo previsto da tale disposizione qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro”.

Va quindi sottolineato come il “borghese” principio di uguaglianza porti direttamente a conclusioni così nette e che la declinazione di questo principio sia piuttosto simile all’uso che fa la Corte costituzionale del nostro art. 3 Cost. stigmatizzando ogni trattamento differenziato privo di ragionevolezza, tenuto conto degli obiettivi sostanziali delle norme esaminate. Il secondo punto è che la Corte di giustizia valorizza l’obiettivo primario di ogni pena detentiva che è quella della risocializzazione del cittadino (nelle parole della Corte di giustizia “reinserimento sociale“) che nel sistema del mandato di arresto europeo è certamente di non particolarmente evidenza ( e neppure nella Carta dei diritti) visto che quel sistema tende in linea generale  a rendere più facile l’esecuzione di pene tra stati membri: sembra che enfatizzando la norma che facoltizza (ma non obbliga) gli stati a far eseguire nel paese di radicamento del soggetto la pena si sia voluto istituire un comune “ valore europeo” come cornice dei sistemi di detenzione nazionale. Infine, dopo contrasti molto forti (e quasi esplosivi) tra la Consulta e la Corte del Lussemburgo, soprattutto dopo l’ordinanza 269 del 2017 che privilegiava il dato costituzionale interno su quello sovranazionale (rendendo assai difficile il rinvio pregiudiziale o la disapplicazione diretta ad opera del giudice della norma interna  nel caso di violazione della Carta dei diritti), la Consulta ha saputo mostrare una via esemplare di collaborazione multilivello  indicando con estrema precisione le questioni da approfondire e recuperando in sede europea un valore tipico dell’ordinamento nazionale come quello della finalità rieducativa ( e quindi risocializzante) delle pene. Da ultimo va notato il carattere di “sistema” delle norme che compongono la Carta dei diritti secondo una visione non formalistica ma d’insieme delle tutele fondamentali: la Consulta aveva- come detto-evocato l’art. 7 della Carta, la Corte di giustizia ha invece applicato l’art. 20 in una logica anche in questo caso non formalistica perché la comparabilità tra i “salvati” ed i “protetti” dalla norma è stata connessa alle finalità sociali del provvedimento sovranazionale che tuttavia nasce, più che altro per consentire l’esecuzione di atti giudiziari in altri stati membri, non per condizionarne la natura. Infine va notato come, attraverso la Carta, si riavvicinino le tradizioni costituzionali degli stati membri; quella italiana centrata sulla rieducazione dei condannati alle pene detentive (si sente l’eredità di Beccaria) diverta un punto comune per tutti gli stati  attraverso la mediazione della Corte di giustizia: Beccaria vola in Lussemburgo e ne ridiscende nei tanti rivoli delle giurisdizioni nazionali.

       3. Costruire l’egemonia della Carta dei diritti e del suo articolo 4 nelle politiche migratorie. Le indicazioni offerte dalla Corte di giustizia andrebbero seguite per quanto riguarda il trattamento dei migranti. Non vi è dubbio che troppo poche ed anche confuse sono le competenze dell’Unione europea che riguardano più che altro la materia dei rimpatri e dei trattenimenti per l’esame delle domande di asilo o in vista dell’espulsione e che, con l’esternalizzazione dei confini attraverso accordi con i paesi terzi che non rispettano i diritti umani, gravissime violazioni dei fundamental rights vengano quotidianamente commessi sotto gli occhi di agenzie europee come Frontex ed attraverso la delega a stati nei quali gli standard internazionali di legalità sono sistematicamente ignorati. Occorrerebbero iniziative legislative che consentano ai valori e principi di civiltà giuridica  espressi nella Carta di dominare prassi e dinamiche  insensibili ai criteri di umanità e di inviolabilità della dignità delle persone (a cominciare dall’omissione dei dovuti soccorsi) che si sprigionano ai confini dell’Unione o nei territori di stati limitrofi che hanno stipulato accordi con l’Unione o i suoi stati membri o persino  all’interno di quest’ultimi con detenzioni di fatto di richiedenti asilo in condizioni degradanti, respingimenti in massa, cancellazione del diritto ad ottenere in tempi rapidi un esame obiettivo e motivato di una richiesta di asilo o di altre protezioni internazionali. Occorre una spinta dell’opinione pubblica perché ci si muova in questa direzione seguendo la rotta giuridica che ci indica la Carta di Nizza e le sentenze della Corte di giustizia.

Per questo, anche in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo, il Movimento Europeo ha deciso di appoggiare una ICE (iniziativa dei cittadini europei come prevista all’art. 11 del TUE) promossa da svariate associazioni (in forte crescita negli ultimi giorni) che si ispira in primis all’art.4 della Carta sulla proibizione di trattamenti inumani e degradanti (il cui rispetto è vincolante per tutti gli organi o organismi dell’Unione quando intraprendono qualsiasi tipo di attività ivi compreso la negoziazioni di accordi con paesi terzi, come quelli sottoscritti con la Turchia proprio per la gestione dei flussi migratori). Nell’ICE (simile ad un’altra promossa dalla città di Rennes dopo una consultazione molto partecipata con l’intera cittadinanza che ha deciso di far propria l’idea di ulteriori interventi legislativi dell’Unione) si propone in sostanza ([2])

We are asking the European Union first and foremost:

to undertake concrete action, aimed at ensuring full compliance by its members with Article 4 of the EU Charter of Fundamental Rights, which imposes an obligation not only to suppress but also to prevent torture, inhuman and degrading treatment against ALL persons.

We demand the protection of migrants or asylum seekers by:

  • the establishment of monitoring mechanisms to detect and stop violations of fundamental rights and acts that violate human dignity, both at the borders and within the common European area;
  • the withdrawal from international agreements on the control of migration flows with third countries guilty of serious human rights violations, and NOT to conclude such agreements in the future;
  • the establishment of minimum standards of reception applicable to all Member States and for the entire period of residence of people in their territory;
  • the possibility of specific sanctions in the event of a breach of EU rules.

Tre sono i pilastri dell’ICE: l’introduzione di meccanismi e nuovi strumenti legali ed istituzionali per evitare violenze ai confini dell’UE e nello stesso ambito territoriale dell’Unione, con sanzioni ad hoc per la violazione delle regole sovranazionali; ritiro degli accordi con stati (ad esempio Turchia o Libia) che non rispettano i diritti fondamentali; un regime sovranazionale e quindi obbligatorio per tutti gli stati  per il trattamento dei migranti che richiedono asilo: si tratta di misure minime  che certamente la Commissione potrebbe sviluppare (secondo lo spirito dell’art. 11 Tue che demanda alla Commissione l’implementazione giuridica in concreto delle proposte di una ICE) con proposte adeguate e  compatibili con l’attuale formulazione dei Trattati che, però, esprimono bene l’esigenza assoluta di evitare la violenza o comportamenti inumani ai danni di persone che sono costrette per varie ragioni a lasciare i loro paesi d’origine. Una forma di pressione su questioni così drammaticamente attuali nella prospettiva di una riforma delle politiche migratorie ispirata ai valori e principi della Carta e non orientata alla sola  difesa delle frontiere ed ai respingimenti come sembra avere, ancora una volta, scelto il Consiglio europeo nell’ultima riunione dell’8 giugno nella quale si è persino deciso per una “monetizzazione” dei migranti non accolti in sede di ricollocazione ed ad altre opzioni certamente discutibili per quanto riguarda il rispetto del diritto di asilo (art. 18 Carta dei diritti) e di essere ospitati in luoghi sicuri (art. 4 Carta dei diritti)  nel tempo opportuno per l’esame individuale e motivato della propria posizione.

La raccolta di firme inizierà il 10 luglio; il Movimento Europeo informerà le associazioni che aderiscono al Movimento sul merito dell’ICE di cui si è detto (e di quella - sostanzialmente simile - della città di Rennes), contatterà gli altri Movimenti Europei in ordine al contenuto delle due ICE, organizzerà dibattiti con la società civile sui temi sollevati dalle due ICE, informerà costantemente sulle attività previste nelle varie città italiane coinvolte ed anche in altri stati per raccogliere le firme necessarie.                   

Giuseppe Bronzini

Segretario generale  

 

[1] Soprattutto in campo sociale l’art. 20 sembra sottutilizzato o utilizzato unitamente all’art. 21 sulla discriminazione anche se nella importante sentenza del 17.4.2018, C-414/16 Egenberger  sembra averne affermato l’ applicabilità diretta della norma. Per un’applicazione recente in campo lavoristico dell’art. 20 cfr. Corte di giustizia 4 maggio 2023, C-529/021, OP. Sul punto e sull’applicabilità diretta degli artt. 20 e 21 della Carta cfr. G. Bronzini Il lungo viaggio della Carta dei diritti fondamentali nell’ordinamento europeo, in RGL n. 3/2021 p.465 ss.

[2] Per leggere il testo dell’ICE e tutte le informazioni connesse cfr. Stop Border Violence

 

 

 

 

 

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L’accordo di Lussemburgo è anti-storico e un pessimo segnale per l’Europa

Il cosiddetto accordo raggiunto a Lussemburgo dai ministri degli interni dei ventisette paesi membri dell’Unione europea con l’imprimatur della Commissione europea non è “storico”, come è stato giudicato da alcuni ministri e da una parte della stampa, ed è un pessimo segnale per la realizzazione di una politica migratoria europea che sia finalmente adottata nell’interesse dell’Unione europea e delle decine migliaia di persone che sono sospinte (push factor) al di fuori dei loro paesi da guerre, carestie, disastri ambientali ed espropriazione delle terre.

Non è storico perché – contrariamente alla narrazione diffusa dal governo italiano - il tema delle politiche migratorie è sui tavoli delle istituzioni europee da quasi dieci anni ed i governi nazionali, la Commissione europea insieme al Parlamento europeo ne parlano in continuazione senza giungere a delle conclusioni adeguate ad affrontare una questione che non è emergenziale ma strutturale.

Negli ultimi anni è prevalso un approccio che si è sempre più concentrato sull’obiettivo di difendere le nostre frontiere esterne, facilitare i rimpatri nei paesi di provenienza e ostacolare le partenze non solo con la giusta lotta ai trafficanti di essere umani ma con una crescente ostilità verso le organizzazioni non governative che operano in mare o nei paesi di origine.

Dall’accordo di Lussemburgo è giunto dunque un pessimo segnale che conferma la linea adottata dal Consiglio europeo del 9 febbraio e che è sostanzialmente condivisa dalla Commissione europea schierata dalla parte dei governi che sfruttano per ragioni elettorali le paure ancestrali di molte popolazioni europee verso inesistenti rischi di essere sopraffatte dai flussi migratori ignorando il fatto che la grande maggioranza dei richiedenti asilo emigrano in primo luogo nei paesi vicini dell’Africa e poi nel resto del mondo soprattutto nei paesi in via di sviluppo con una percentuale molto limitata in Europa.

L’accordo ha suscitato riserve, dubbi e reazioni negative innanzitutto in Germania dove nella stessa SDP si sono levate voci critiche nei confronti della ministra (SPD) degli interni Nancy Faeser, nel Parlamento europeo dove i Verdi lo hanno giudicato “disumano” ma anche in Italia dove nella migliore delle ipotesi si è scritto che è stato un “mezzo accordo” ma si sono sottolineati anche i rischi che tutto evapori per l’ostilità di chi ha votato contro (Polonia e Ungheria) o si è astenuto (Malta, Bulgaria, Lituania e Slovacchia) dato che molti punti dell’accordo poggiano sul carattere volontario della sua attuazione.

Delle reazioni in Italia vale la pena di citare l’editoriale di Innocenzo Cipolletta (“L’accordo sui migranti è solo un palliativo”, Domani 10 giugno) e l’intervista di Mario Morcone su La Stampa (“I rimpatri sono una soluzione illusoria: questa politica non parla mai di integrazione”) oltre ai molti commenti quando si è posata la polvere del trionfalismo in cui si dice che “l’accordo già vacilla”.

Noi ci aspettiamo che la maggioranza del Parlamento europeo usi fino in fondo il suo potere legislativo di codecisione per impedire che l’Unione compia un inaccettabile salto all’indietro in aperta violazione dell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali consacrato alla difesa della dignità umana.

Roma, 10 giugno 2023

coccodrillo

 

 

 

 

 

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Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

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 L'EDITORIALE

L’accordo di Lussemburgo è anti-storico e un pessimo segnale per l’Europa

Il cosiddetto accordo raggiunto a Lussemburgo dai ministri degli interni dei ventisette paesi membri dell’Unione europea con l’imprimatur della Commissione europea non è “storico”, come è stato giudicato da alcuni ministri e da una parte della stampa, ed è un pessimo segnale per la realizzazione di una politica migratoria europea che sia finalmente adottata nell’interesse dell’Unione europea e delle decine migliaia di persone che sono sospinte (push factor) al di fuori dei loro paesi da guerre, carestie, disastri ambientali ed espropriazione delle terre.

Non è storico perché – contrariamente alla narrazione diffusa dal governo italiano - il tema delle politiche migratorie è sui tavoli delle istituzioni europee da quasi dieci anni ed i governi nazionali, la Commissione europea insieme al Parlamento europeo ne parlano in continuazione senza giungere a delle conclusioni adeguate ad affrontare una questione che non è emergenziale ma strutturale.

Negli ultimi anni è prevalso un approccio che si è sempre più concentrato sull’obiettivo di difendere le nostre frontiere esterne, facilitare i rimpatri nei paesi di provenienza e ostacolare le partenze non solo con la giusta lotta ai trafficanti di essere umani ma con una crescente ostilità verso le organizzazioni non governative che operano in mare o nei paesi di origine.

Dall’accordo di Lussemburgo è giunto dunque un pessimo segnale che conferma la linea adottata dal Consiglio europeo del 9 febbraio e che è sostanzialmente condivisa dalla Commissione europea schierata dalla parte dei governi che sfruttano per ragioni elettorali le paure ancestrali di molte popolazioni europee verso inesistenti rischi di essere sopraffatte dai flussi migratori ignorando il fatto che la grande maggioranza dei richiedenti asilo emigrano in primo luogo nei paesi vicini dell’Africa e poi nel resto del mondo soprattutto nei paesi in via di sviluppo con una percentuale molto limitata in Europa.

L’accordo ha suscitato riserve, dubbi e reazioni negative innanzitutto in Germania dove nella stessa SDP si sono levate voci critiche nei confronti della ministra (SPD) degli interni Nancy Faeser, nel Parlamento europeo dove i Verdi lo hanno giudicato “disumano” ma anche in Italia dove nella migliore delle ipotesi si è scritto che è stato un “mezzo accordo” ma si sono sottolineati anche i rischi che tutto evapori per l’ostilità di chi ha votato contro (Polonia e Ungheria) o si è astenuto (Malta, Bulgaria, Lituania e Slovacchia) dato che molti punti dell’accordo poggiano sul carattere volontario della sua attuazione.

Delle reazioni in Italia vale la pena di citare l’editoriale di Innocenzo Cipolletta (“L’accordo sui migranti è solo un palliativo”, Domani 10 giugno) e l’intervista di Mario Morcone su La Stampa (“I rimpatri sono una soluzione illusoria: questa politica non parla mai di integrazione”) oltre ai molti commenti quando si è posata la polvere del trionfalismo in cui si dice che “l’accordo già vacilla”.

Noi ci aspettiamo che la maggioranza del Parlamento europeo usi fino in fondo il suo potere legislativo di codecisione per impedire che l’Unione compia un inaccettabile salto all’indietro in aperta violazione dell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali consacrato alla difesa della dignità umana.

Roma, 10 giugno 2023

coccodrillo

 

 

 


 

ULTIME DA BRUXELLES

 Dalla giurisprudenza garantista della Corte di giustizia alle nuove, necessarie, politiche sull’immigrazione

         1. Premessa. In questo articolo intendiamo  innanzitutto segnalare una recente sentenza della Corte di giustizia  dall’impronta fortemente garantista e che valorizza in pieno  le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali in favore dei cittadini di paesi terzi (con particolare riferimento ai titolari di permesso di lungo- soggiorno). Questa decisione del 5.6.2023 adottata dalla Grande Sezione C-700/2021, OG dimostra come nelle mani sapienti della Corte del Lussemburgo il materiale legislativo sovranazionale, anche quello che vuole introdurre meri spazi di cooperazione giudiziaria tra stati membri sulla base del “mutuo riconoscimento” dei rispettivi ordinamenti nazionali, come nel caso del mandato di arresto europeo, dopo la conferita obbligatorietà della Carta di Nizza, finisce con l’assicurare ai cittadini residenti nei territori dell’UE- anche quelli dei paesi terzi, un insieme di importanti tutele e protezioni comuni che danno concretezza ed esigibilità all’idea di un’Europa dei diritti, fondata sull’intangibilità della dignità essenziale delle persone, oltre i confini nazionali. La sentenza è particolarmente importante perché frutto di una stretta e lungimirante cooperazione tra la Corte costituzionale italiana e la Corte del Lussemburgo nel precisare il rilievo della Carta rispetto agli ordinamenti interni, dimostrando come, dopo anni di polemiche e tensioni, il clima sia di efficace  interazione.  

        2. La sentenza della Corte di giustizia. Va assicurata la  parità di trattamento di trattamento tra cittadini comunitari e cittadini di paesi terzi quando la situazione dei due gruppi è comparabile rispetto alla finalità della normativa in questione.

Si tratta di un caso “italiano”. Un Tribunale rumeno spiccava un mandato di arresto nei confronti di un cittadino moldavo per scontare una pena detentiva; la Corte di appello di Bologna (competente perché il cittadino moldavo risiedeva in Italia)  autorizzava la consegna ma la Cassazione annullava il provvedimento con rinvio alla stessa Corte bolognese perché valutasse se sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa italiana che, mentre dispone la possibilità di non consegnare o il cittadino italiano o un cittadino di altro paese membro disponendo che la pena sia eseguita in Italia se si tratta di residenti stabili nel nostro paese, esclude tale possibilità per i cittadini di paesi terzi. La Corte di appello sollevava quindi incidente di costituzionalità prospettando un contrasto della normativa italiana con la finalità rieducativa della pena (favorita dalla possibilità di risocializzazione del soggetto condannato, alla fine del periodo di detenzione, nel paese in cui si risiede stabilmente e nel quale si sono cementati rapporti duraturi) e con l’art. 7 della Carta dei diritti UE sul rispetto della vita privata e familiare. La Corte costituzionale, prima ancora di esaminare l’eventuale contrasto della normativa interna con la nostra Carta costituzionale, rilevava che questa normativa era di trasposizione della decisione quadro 2002/584 e che quindi  fosse preliminare stabilire la coerenza con il diritto dell’Unione, come interpretato alla luce della Carta di Nizza. Ricordava fra l’altro  che l’interesse di un cittadino di un paese terzo legittimamente dimorante o residente in uno Stato membro a non essere sradicato dal suo ambiente familiare e sociale è tutelato dal diritto dell’Unione, nonché dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Disponeva quindi un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia chiedendo

“Se l’articolo 4, punto 6, della [decisione quadro 2002/584], interpretato alla luce dell’articolo 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell’articolo 7 [della Carta], osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest’ultimo; in caso di risposta affermativa alla prima questione, sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna».

Nella sentenza del 5 giugno la Corte di giustizia ricorda che si controverte su motivi facoltativi (non obbligatori) di non consegna di un cittadino e che quindi (punti 31-35) gli stati godono di una certa discrezionalità; sono liberi di trasporre o meno tali motivi “facoltativi” nel loro diritto interno, come nel caso di un soggetto che risieda in altro stato membro e che quest’ultimo si impegni ad eseguire la pena nel suo territorio.

Ma questo margine di discrezionalità non è assoluto; gli stati sono obbligati in sede di trasposizione e di scelta dei motivi “ facoltativi” di non consegna a rispettare i diritti ed i principi fondamentali di cui all’art. 6 TUE;

“tra tali principi fondamentali figura il principio di uguaglianza davanti alla legge, garantito dall’articolo 20 della Carta. Il rispetto di quest’ultima disposizione si impone agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, il che avviene quando essi traspongono il motivo di non esecuzione facoltativa di un mandato d’arresto europeo previsto all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584”.

Questo è un punto “tecnico” ma rilevantissimo: la Corte non applica il principio di  non discriminazione per ragioni di nazionalità (art. 21) o il correlato art. 18 TFUE perché questo vale solo in relazione alla nazionalità degli stati membri ma invece passa attraverso la parità di trattamento (l’architrave del costituzionalismo continentale), l’uguaglianza formale di cui all’art. 20 della Carta che ricorda la Corte:

“contrariamente all’articolo 18, primo comma, TFUE, che non è destinato ad essere applicato nel caso di un’eventuale disparità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e quelli dei paesi terzi, l’articolo 20 della Carta non prevede nessuna limitazione del suo campo d’applicazione e pertanto si applica a tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione” (punto n. 41)

Che cosa esige l’art. 20 della Carta (che in realtà la Corte ha utilizzato poche volte, forse anche per le sue  drastiche i conseguenze ([1])).  Si afferma che

 “secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’uguaglianza davanti alla legge, sancita dall’articolo 20 della Carta, è un principio generale del diritto dell’Unione, il quale esige che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate allo stesso modo, a meno che un siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato [……   Il requisito relativo alla comparabilità delle situazioni, al fine di determinare l’esistenza di una violazione del principio di parità di trattamento, deve esser valutato alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano e, in particolare, alla luce dell’oggetto e dello scopo perseguito dall’atto che istituisce la distinzione di cui trattasi, fermo restando che devono essere presi in considerazione, a tal fine, i principi e gli obiettivi del settore in cui rientra tale atto. Nei limiti in cui le situazioni non sono comparabili, una differenza di trattamento delle situazioni in questione non viola l’uguaglianza davanti alla legge sancita dall’articolo 20 della Carta” (punto 42-43).

Questo è il cuore motivazionale della sentenza:  se la finalità della normativa sono quella di consentire a chi ha stabili legami con un paese membro di scontare la pena in quel paese perché questa favorirebbe il reinserimento, una volta finita la detenzione, allora i migranti cittadini di paesi terzi (soprattutto coloro che già fruiscono di un permesso di lungo- soggiorno) versano in una situazione del tutto comparabile con quella dei cittadini dei paesi membri:

“ne consegue che una normativa nazionale volta a trasporre l’articolo 4, punto 6, di tale decisione quadro non può essere considerata conforme al principio di uguaglianza davanti alla legge sancito all’articolo 20 della Carta se tratta in maniera diversa, da un lato, i propri cittadini e gli altri cittadini dell’Unione e, dall’altro, i cittadini di paesi terzi, negando a questi ultimi, in maniera assoluta e automatica, il beneficio del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo previsto da tale disposizione, anche qualora essi dimorino o risiedano nel territorio di tale Stato membro e senza che si tenga conto del loro grado di integrazione nella società di detto Stato. Infatti, non si può ritenere che una tale differenza di trattamento possa essere obiettivamente giustificata, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 42 della presente sentenza” punto 52).

 Naturalmente il giudice che rifiuta la consegna del soggetto deve procedere  

“ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi concreti caratterizzanti la situazione di tale cittadino, idonei a indicare se esistano, tra quest’ultimo e lo Stato membro di esecuzione, legami che dimostrino che egli è sufficientemente integrato in tale Stato e che, pertanto, l’esecuzione, in detto Stato membro, della pena o della misura di sicurezza privative della libertà pronunciata nei suoi confronti nello Stato membro emittente contribuirà ad aumentare le sue possibilità di reinserimento sociale dopo che tale pena o misura di sicurezza sia stata eseguita. Tra tali elementi vanno annoverati i legami familiari, linguistici, culturali, sociali o economici che il cittadino del paese terzo intrattiene con lo Stato membro di esecuzione, nonché la natura, la durata e le condizioni del suo soggiorno in tale Stato membro” (punto 68).

La conclusione è pertanto che

“L’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in combinato disposto con il principio di uguaglianza davanti alla legge sancito all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,dev’essere interpretato nel senso che:esso osta a una normativa di uno Stato membro volta a trasporre tale articolo 4, punto 6, che esclude in maniera assoluta e automatica dal beneficio del motivo di non esecuzione facoltativa del mandato d’arresto europeo previsto da tale disposizione qualsiasi cittadino di un paese terzo che dimori o risieda nel territorio di tale Stato membro, senza che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione possa valutare i legami di tale cittadino con detto Stato membro”.

Va quindi sottolineato come il “borghese” principio di uguaglianza porti direttamente a conclusioni così nette e che la declinazione di questo principio sia piuttosto simile all’uso che fa la Corte costituzionale del nostro art. 3 Cost. stigmatizzando ogni trattamento differenziato privo di ragionevolezza, tenuto conto degli obiettivi sostanziali delle norme esaminate. Il secondo punto è che la Corte di giustizia valorizza l’obiettivo primario di ogni pena detentiva che è quella della risocializzazione del cittadino (nelle parole della Corte di giustizia “reinserimento sociale“) che nel sistema del mandato di arresto europeo è certamente di non particolarmente evidenza ( e neppure nella Carta dei diritti) visto che quel sistema tende in linea generale  a rendere più facile l’esecuzione di pene tra stati membri: sembra che enfatizzando la norma che facoltizza (ma non obbliga) gli stati a far eseguire nel paese di radicamento del soggetto la pena si sia voluto istituire un comune “ valore europeo” come cornice dei sistemi di detenzione nazionale. Infine, dopo contrasti molto forti (e quasi esplosivi) tra la Consulta e la Corte del Lussemburgo, soprattutto dopo l’ordinanza 269 del 2017 che privilegiava il dato costituzionale interno su quello sovranazionale (rendendo assai difficile il rinvio pregiudiziale o la disapplicazione diretta ad opera del giudice della norma interna  nel caso di violazione della Carta dei diritti), la Consulta ha saputo mostrare una via esemplare di collaborazione multilivello  indicando con estrema precisione le questioni da approfondire e recuperando in sede europea un valore tipico dell’ordinamento nazionale come quello della finalità rieducativa ( e quindi risocializzante) delle pene. Da ultimo va notato il carattere di “sistema” delle norme che compongono la Carta dei diritti secondo una visione non formalistica ma d’insieme delle tutele fondamentali: la Consulta aveva- come detto-evocato l’art. 7 della Carta, la Corte di giustizia ha invece applicato l’art. 20 in una logica anche in questo caso non formalistica perché la comparabilità tra i “salvati” ed i “protetti” dalla norma è stata connessa alle finalità sociali del provvedimento sovranazionale che tuttavia nasce, più che altro per consentire l’esecuzione di atti giudiziari in altri stati membri, non per condizionarne la natura. Infine va notato come, attraverso la Carta, si riavvicinino le tradizioni costituzionali degli stati membri; quella italiana centrata sulla rieducazione dei condannati alle pene detentive (si sente l’eredità di Beccaria) diverta un punto comune per tutti gli stati  attraverso la mediazione della Corte di giustizia: Beccaria vola in Lussemburgo e ne ridiscende nei tanti rivoli delle giurisdizioni nazionali.

       3. Costruire l’egemonia della Carta dei diritti e del suo articolo 4 nelle politiche migratorie. Le indicazioni offerte dalla Corte di giustizia andrebbero seguite per quanto riguarda il trattamento dei migranti. Non vi è dubbio che troppo poche ed anche confuse sono le competenze dell’Unione europea che riguardano più che altro la materia dei rimpatri e dei trattenimenti per l’esame delle domande di asilo o in vista dell’espulsione e che, con l’esternalizzazione dei confini attraverso accordi con i paesi terzi che non rispettano i diritti umani, gravissime violazioni dei fundamental rights vengano quotidianamente commessi sotto gli occhi di agenzie europee come Frontex ed attraverso la delega a stati nei quali gli standard internazionali di legalità sono sistematicamente ignorati. Occorrerebbero iniziative legislative che consentano ai valori e principi di civiltà giuridica  espressi nella Carta di dominare prassi e dinamiche  insensibili ai criteri di umanità e di inviolabilità della dignità delle persone (a cominciare dall’omissione dei dovuti soccorsi) che si sprigionano ai confini dell’Unione o nei territori di stati limitrofi che hanno stipulato accordi con l’Unione o i suoi stati membri o persino  all’interno di quest’ultimi con detenzioni di fatto di richiedenti asilo in condizioni degradanti, respingimenti in massa, cancellazione del diritto ad ottenere in tempi rapidi un esame obiettivo e motivato di una richiesta di asilo o di altre protezioni internazionali. Occorre una spinta dell’opinione pubblica perché ci si muova in questa direzione seguendo la rotta giuridica che ci indica la Carta di Nizza e le sentenze della Corte di giustizia.

Per questo, anche in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo, il Movimento Europeo ha deciso di appoggiare una ICE (iniziativa dei cittadini europei come prevista all’art. 11 del TUE) promossa da svariate associazioni (in forte crescita negli ultimi giorni) che si ispira in primis all’art.4 della Carta sulla proibizione di trattamenti inumani e degradanti (il cui rispetto è vincolante per tutti gli organi o organismi dell’Unione quando intraprendono qualsiasi tipo di attività ivi compreso la negoziazioni di accordi con paesi terzi, come quelli sottoscritti con la Turchia proprio per la gestione dei flussi migratori). Nell’ICE (simile ad un’altra promossa dalla città di Rennes dopo una consultazione molto partecipata con l’intera cittadinanza che ha deciso di far propria l’idea di ulteriori interventi legislativi dell’Unione) si propone in sostanza ([2])

We are asking the European Union first and foremost:

to undertake concrete action, aimed at ensuring full compliance by its members with Article 4 of the EU Charter of Fundamental Rights, which imposes an obligation not only to suppress but also to prevent torture, inhuman and degrading treatment against ALL persons.

We demand the protection of migrants or asylum seekers by:

  • the establishment of monitoring mechanisms to detect and stop violations of fundamental rights and acts that violate human dignity, both at the borders and within the common European area;
  • the withdrawal from international agreements on the control of migration flows with third countries guilty of serious human rights violations, and NOT to conclude such agreements in the future;
  • the establishment of minimum standards of reception applicable to all Member States and for the entire period of residence of people in their territory;
  • the possibility of specific sanctions in the event of a breach of EU rules.

Tre sono i pilastri dell’ICE: l’introduzione di meccanismi e nuovi strumenti legali ed istituzionali per evitare violenze ai confini dell’UE e nello stesso ambito territoriale dell’Unione, con sanzioni ad hoc per la violazione delle regole sovranazionali; ritiro degli accordi con stati (ad esempio Turchia o Libia) che non rispettano i diritti fondamentali; un regime sovranazionale e quindi obbligatorio per tutti gli stati  per il trattamento dei migranti che richiedono asilo: si tratta di misure minime  che certamente la Commissione potrebbe sviluppare (secondo lo spirito dell’art. 11 Tue che demanda alla Commissione l’implementazione giuridica in concreto delle proposte di una ICE) con proposte adeguate e  compatibili con l’attuale formulazione dei Trattati che, però, esprimono bene l’esigenza assoluta di evitare la violenza o comportamenti inumani ai danni di persone che sono costrette per varie ragioni a lasciare i loro paesi d’origine. Una forma di pressione su questioni così drammaticamente attuali nella prospettiva di una riforma delle politiche migratorie ispirata ai valori e principi della Carta e non orientata alla sola  difesa delle frontiere ed ai respingimenti come sembra avere, ancora una volta, scelto il Consiglio europeo nell’ultima riunione dell’8 giugno nella quale si è persino deciso per una “monetizzazione” dei migranti non accolti in sede di ricollocazione ed ad altre opzioni certamente discutibili per quanto riguarda il rispetto del diritto di asilo (art. 18 Carta dei diritti) e di essere ospitati in luoghi sicuri (art. 4 Carta dei diritti)  nel tempo opportuno per l’esame individuale e motivato della propria posizione.

La raccolta di firme inizierà il 10 luglio; il Movimento Europeo informerà le associazioni che aderiscono al Movimento sul merito dell’ICE di cui si è detto (e di quella - sostanzialmente simile - della città di Rennes), contatterà gli altri Movimenti Europei in ordine al contenuto delle due ICE, organizzerà dibattiti con la società civile sui temi sollevati dalle due ICE, informerà costantemente sulle attività previste nelle varie città italiane coinvolte ed anche in altri stati per raccogliere le firme necessarie.                   

Giuseppe Bronzini

Segretario generale  

 

[1] Soprattutto in campo sociale l’art. 20 sembra sottutilizzato o utilizzato unitamente all’art. 21 sulla discriminazione anche se nella importante sentenza del 17.4.2018, C-414/16 Egenberger  sembra averne affermato l’ applicabilità diretta della norma. Per un’applicazione recente in campo lavoristico dell’art. 20 cfr. Corte di giustizia 4 maggio 2023, C-529/021, OP. Sul punto e sull’applicabilità diretta degli artt. 20 e 21 della Carta cfr. G. Bronzini Il lungo viaggio della Carta dei diritti fondamentali nell’ordinamento europeo, in RGL n. 3/2021 p.465 ss.

[2] Per leggere il testo dell’ICE e tutte le informazioni connesse cfr. Stop Border Violence

 

 

 


LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

13 giugno

  • Dibattito “Il Conflitto della Transnistria e il processo di adesione della Repubblica di Moldova all’UE” (Ambasciata della Repubblica di Moldova in Italia in collaborazione con l’Istituto Luigi Sturzo)

 

14 giugno

  • Riunione Centro regionale Movimento europeo Calabria

 

15 giugno

  • Roma, Seminario di geopolitica "La pace in Ucraina: a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali:Russia, Cina Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea e Italia" (Democrazia Futura in collaborazione con Key4biz)
  • Roma, evento "Memorie di un (anti) Divo" (Formiche e Società italiana per l'organizzazione internazionale - SIOI)

 

16 giugno

  • Bruxelles, European Movement International, Members Council

 

 


IN EVIDENZA

VI SEGNALIAMO

  • 13 giugno, ore 10:30-13:00, Roma. Dibattito “Il Conflitto della Transnistria e il processo di adesione della Repubblica di Moldova all’UE” promosso dall’Ambasciata della Repubblica di Moldova in Italia in collaborazione con l’Istituto Luigi Sturzo. Quali prospettive per l’integrazione europea della Moldova? Come si inserisce in tale contesto il conflitto congelato della Transnistria? Quali le aspettative e i risultati della Comunità politica europea che si è appena riunita per la seconda volta proprio a Chisinau? Questi gli interrogativi che guideranno il dibattito promosso dall’Ambasciata di Moldavia e l’Istituto Luigi Sturzo con la partecipazione di un ospite d’eccezione: il vice primo ministro moldavo Oleg Serebrian. PROGRAMMA. Per partecipare: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
  • 13 giugno, ore 18:30, Roma. Incontro “I simboli de L'IDENTITA' EUROPEA”. Il Movimento Federalista europeo Sezione di Roma e la Fondazione Roma Europea promuovono un incontro pubblico per riflettere insieme (su) e valorizzare luoghi, personaggi, avvenimenti storici, testi, discorsi, conquiste civili e giuridiche che, accanto ai simboli "ufficiali" come la bandiera e l'inno, possano essere considerati dai cittadini come rappresentativi dell'integrazione e delle istituzioni europee. PROGRAMMA. Per segnalare la partecipazione: https://www.facebook.com/events/960026445199822/
  • 15 giugno, ore 14:30-16:30. Dialogo web parlamentare "IMPLEMENTATION OF THE UN SECURITY COUNCIL RESOLUTION 2250 AND YOUTH, PEACE AND SECURITY AGENDA: ROLE OF PARLIAMENTARIANS". L'Assemblea Parlamentare dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE PA) promuove un dialogo parlamentare online. Esperti e professionisti discuteranno in merito all'agenda delle Nazioni Unite per i giovani, la pace e la sicurezza e del ruolo dei parlamentari nell'attuazione dell'UN SCR 2250. L'evento presenterà anche una proposta di istituire un gruppo di lavoro informale su Gioventù, Pace e Sicurezza tra i parlamentari interessati con l'obiettivo di continuare l'apprendimento e lo scambio delle migliori pratiche in materia di Gioventù, Pace e Sicurezza, intensificare il lavoro dell'Assemblea sull'impegno dei giovani e promuovere l'attuazione dell'UNSCR 2250. Marjus Ceveli, membro dell'Assemblea del Movimento europeo Italia, interverrà in qualità di esperto come Presidente e co-fondatore di Sustainable Cooperation for Peace & Security. PROGRAMMA.
  • 15 giugno, ore 15:00-17:00, Roma. Seminario di geopolitica "La pace in Ucraina: a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali: Russia, Cina Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea e Italia" promosso da Democrazia Futura in collaborazione con Key4biz. Presentazione e PROGRAMMA. Sarà possibile seguire l'incontro live sulla pagina YouTube di Key4biz: https://www.youtube.com/watch?v=hTj6XEbkMAA
  • 15 giugno, ore 17:00, Roma. Formiche e SIOI organizzano l'evento "Memorie di un (anti) Divo". Riflessioni di Barbara Palombelli, Serena Andreotti, Riccardo Sessa, Giorgio Silli, Paolo Cirino Pomicino, Flavia Giacobbe. PROGRAMMA.
  • 19 giugno, ore 11:00-13:30, Roma. PER COSTRUIRE UN’EUROPA NEL MEDITERRANEO. Presentazione della nuova Edizione del Master UNINETTUNO "EUROPEAN UNION STUDIES: CULTURES AND HISTORY, POLICIES AND GLOBAL PERSPECTIVES" presso il Parlamento europeo - Centro Esperienza Europa - David Sassoli. Parteciperanno, fra gli altri, il Prof. Romano Prodi, il Prof. Guido Fabiani, Maurizio Martina, gli Ambasciatori di Egitto, Iraq, Marocco, l'europarlamentare On. Beatrice Covassi, l'Amb. Rocco CANGELOSI, il Prof. Paolo GUERRIERI PALEOTTI, l'Amb. Ferdinando NELLI FEROCI. PROGRAMMA.
  • 23 giugno, ore 10:00-15:00, Roma. "Together Stronger: an EU macro-regional civil strategy in the making". Presso lo Spazio Europa di Via IV Novembre 149 a Roma, si svolgerà un evento preparatorio per gli stakeholder della Strategia dell’Unione europea per la Macroregione Adriatico-Ionica (EUSAIR), promosso dalla European House di Budapest e dal Movimento europeo in Italia. Un momento di formazione sul tema della strategia delle Macroregioni europee, sul loro funzionamento, benefici, opportunità e criticità. Contestualmente l’evento ha l’obiettivo di creare una serie di spazi di confronto costruttivo (workshop e dibattiti) fra esperti, rappresentanti istituzionali (nazionali ed internazionali) ed i partecipanti. L’incontro sarà dedicato, prevalentemente, all’analisi degli aspetti legati alla dimensione giovanile della strategia macroregionale europea. Saranno presenti giovani rappresentanti dei 10 paesi EUSAIR (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro, Macedonia del Nord, San Marino, Serbia e Slovenia). L’evento si svolgerà in lingua inglese. Tuttavia, al fine di rendere l’evento fruibile a tutti gli interessati a livello locale, i membri del Movimento europeo Italia si metteranno a disposizione per eventuali chiarimenti (in lingua italiana) sui passaggi cruciali del dibattito. Invitiamo a prendere parte all’evento sollecitando, in modo particolare, la partecipazione dei membri under 30 e la diffusione dell’invito tra i vostri contatti. Le iscrizioni verranno chiuse il 16 giugno. Tutti gli interessati potranno registrarsi attraverso l’apposito FORM ONLINE. L’evento è cofinanziato dall’Unione europea con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea e dall'Ufficio del Parlamento europeo in Italia. PROGRAMMA.
  • 23 giugno, ore 15:30, Roma. Nuovo appuntamento con il Ciclo di seminari di discussione "Scegliere direttamente il capo? Il premierato"  promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, il Movimento europeo e Salviamo la Costituzione. L'incontro si svolgerà presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università La Sapienza. Il coordinamento sarà affidato al segretario generale del Movimento europeo, Giuseppe Bronzini. PROGRAMMA

 

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