PIU’ EUROPA: E’ NECESSARIA UNA DIVERSA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE
Noi riteniamo che il cantiere europeo debba essere riaperto durante questa legislatura mettendo al suo centro un progetto che consenta di passare da una unione sui generis in cui prevale da tempo il metodo intergovernativo ad una comunità fondata su un modello costituzionale multilivello, adottando un metodo che eviti il rischio di un compromesso inadeguato frutto di un accordo unanime, fissando come agenda le elezioni europee nel maggio 2024.
Già in occasione dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (dicembre 2009) era apparso chiaro che il compromesso intergovernativo che aveva sostituito il trattato-costituzionale non era adeguato per consentire all’UE di rispondere alle sfide del nuovo secolo rese più pesanti dalla doppia recessione provocata dalla crisi finanziaria globale e da quella dei debiti sovrani nell’area dell’euro.
Del resto il Trattato di Lisbona aveva rappresentato il quinto, insoddisfacente tentativo di completare il processo di integrazione europea dopo l’Atto Unico, il Trattato di ;Maastricht, il Trattato di Amsterdam e il Trattato di Nizza lasciando ogni volta un sistema incompleto dal punto di vista politico, economico e sociale.
Con il Trattato di Nizza, l’Unione europea era del resto entrata nel nuovo secolo senza essere attrezzata per far fronte a due imminenti stress test: l’entrata in funzione dell’euro nel 2002 e l’allargamento ai paesi dell’Europa centrale e orientale nel 2004.
Si è concluso con il Trattato di Lisbona un ciclo durato venti anni, iniziato con il Trattato di Maastricht, segnato da una globalizzazione caratterizzata da politiche liberiste senza regole e sfociato nella crisi economica più lunga e profonda che abbia mai attraversato il mondo.
La crisi ha poi prodotto disuguaglianze sia orizzontali che verticali. Orizzontali tra i ceti sociali in conseguenza di un processo redistributivo della ricchezza a scapito del lavoro, del ceto medio e dei giovani e verticale tra i popoli, in cui con la stessa logica non i ceti ma le economie più forti hanno prodotto un ulteriore impoverimento all’interno dell’Unione europea.
Durante i primi anni del ventunesimo secolo, le sfide per l’Unione europea sono apparse così rilevanti e il silenzio dell’Unione europea è apparso spesso così assordante si sono appesantite a tal punto da far considerare possibile la sua disaggregazione come effetto emulativo della Brexit nel 2016.
Il Trattato di Lisbona assegna all’Unione il compito di realizzare una lunga serie di obiettivi (art. 3 TUE) ma – prigioniera del metodo intergovernativo di attribuzione delle competenze - lascia all’apparente sovranità degli Stati il potere di portarle a compimento.
Cosicché l’Unione europea emersa dal minimo comun denominatore del Trattato di Lisbona
- è apparsa inerme negli anni della crisi finanziaria che è esplosa contemporaneamente alla firma del Trattato di Lisbona e al conseguente aumento delle diseguaglianze,
- era ed è priva di strumenti politici per gestire il passaggio dalla terza alla quarta rivoluzione industriale e poi alla società 5.0.,
- è stata incapace di reagire alle primavere arabe,
- era ed è inerme di fronte alla crescita dei flussi migratori provocati dalle molte guerre nei paesi vicini e agli assalti del terrorismo internazionale insieme alla diffusione della criminalità organizzata,
- è impreparata ad aggiornare le sue politiche per renderle coerenti nella lotta al cambiamento climatico e agli obiettivi dello sviluppo sostenibile,
- è sottomessa ad egemonie esterne nella società dell’informazione, nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e nell’organizzazione della cybersecurity,
- è priva di autonomia strategica nei rapporti con il Mediterraneo e con il Medio Oriente in continua ebollizione ma ancor di più di fronte alla crescita impetuosa di nuovi attori politici ed economici in un sistema internazionale caratterizzato dalla fine del multilateralismo, dall’evaporazione di temporanei regimi democratici in tutti i continenti ed anche in Europa e dall’affermazione di forme aggressive di sovranità assolute,
- è inerte di fronte al caos geopolitico provocato dalla fuga dell’Occidente dall’Afghanistan.
- PIU’ EUROPA: UNA DIVERSA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE
In questo quadro noi riteniamo che la prima questione che deve essere posta al centro del dibattito sul futuro dell’Europa è quella della ripartizione delle competenze fra i livelli di governo: locale, regionale, nazionale, europeo.
La suddivisione delle competenze contrasta sia con gli obiettivi che sono stati assegnati nell’art. 3 che con la situazione geopolitica emersa in Europa e nel mondo in questi venti anni.
Ciò avviene secondo una interpretazione restrittiva del principio di sussidiarietà e applicando il metodo che attribuisce ai governi nazionali – e solo ai governi nazionali - la signoria sui rapporti fra Stati e Unione arrivando fino al punto di attribuire loro il potere di riprendersi delle competenze attribuite all’Unione.
L’inadeguatezza dell’Unione non si risolve eliminando il voto all’unanimità laddove è stato mantenuto nei trattati ma rivedendo la ripartizione fra competenze esclusive, condivise o di sostegno adeguandole al raggiungimento degli obiettivi che esigono un’azione comune e lasciando agli Stati o ai livelli di governo regionale o locale la competenza nei settori non attribuiti all’Unione.
In questo quadro la politica estera e di sicurezza dell’Unione, ivi compresa la dimensione della difesa, deve diventare a termine una competenza esclusiva dell’Unione.
Un primo passo potrebbe essere compiuto affidando all’Unione e solo all’Unione l’aiuto umanitario e la cooperazione finanziaria con i paesi in via di sviluppo così come avviene oggi nella politica commerciale.
Si tratta di un tema tornato drammaticamente tornato di attualità dopo gli sconvolgimenti provocati dalle vicende drammatiche dell’Afghanistan e l’apertura del dibattito sul ruolo della NATO a sessantacinque anni dalla caduta della CED.
Secondo la stessa logica devono diventare competenze esclusive dell’Unione la lotta contro i crimini transnazionali (terrorismo e criminalità organizzata) attraverso un ampliamento dei poteri della Procura Europea, la gestione pubblica dell’intelligenza artificiale e della cybersecurity, il controllo delle frontiere esterne dell’Unione e dunque dei flussi migratori, gli investimenti nelle reti transeuropee ivi compresa l’energia, la lotta contro le pandemie e le epidemie ivi comprese le regole concernenti la ricerca, le proprietà attive e la fabbricazione dei prodotti farmaceutici.
Infine deve diventare competenza esclusiva dell’Unione la difesa dello stato di diritto su tutto il suo territorio e l’attribuzione della cittadinanza europea (ius soli europeo) così come avviene nei sistemi federali invertendo il sistema attuale secondo cui si è cittadini dell’Unione se si è cittadini di uno Stato membro.
Per far fronte alle sfide del nuovo secolo, noi siamo parimenti convinti che occorra rafforzare la lista delle competenze condivise trasferendo a questo ambito la politica industriale che è oggi una competenza di sostegno così come alcune azioni in materia sociale che sono oggi di esclusiva competenza degli Stati membri quali la rappresentazione e la difesa collettiva degli interessi dei lavoratori ivi compresa la cogestione, le condizioni di occupazione dei cittadini dei paesi terzi con soggiorno regolare nell’Unione, la parità di genere e la lotta contro l’esclusione sociale.
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