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30 August – 5 September 2021

Monday 30 August

Tuesday 31 August

Wednesday 1 September

Thursday 2 September

Friday 3 September

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 29 agosto-3 settembre 2021. Dal 29 agosto al 3 settembre 2021 si svolge la quarantesima edizione del Seminario di Ventotene sotto il titolo "IL FEDERALISMO IN EUROPA E NEL MONDO – Dall’Unione Monetaria agli Stati Uniti d’Europa", organizzato dall'Istituto di Studi Federalisti "Altiero Spinelli". Nato nel 1982 su proposta di Altiero Spinelli che in quell’isola scrisse assieme ad Ernesto Rossi il “Manifesto di Ventotene” (di cui quest'anno ricorre l'80° anniversario), il Seminario è diventato uno dei più importanti momenti di riflessione sul futuro dell’Europa e del mondo al quale hanno partecipato importanti personalità europee del panorama politico e culturale. 150 giovani europei. 60 ore di formazione e dibattito. 30 relatori. La cerimonia di apertura del Seminario ha avuto luogo domenica 29 agosto alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e si concluderà nel pomeriggio di venerdì 3 settembre. PROGRAMMA Seminario Nazionale "IL FEDERALISMO IN EUROPA E NEL MONDO. Dall’Unione Monetaria agli Stati Uniti d’Europa". PROGRAMMA Seminario Internazionale "FEDERALISM IN EUROPE AND THE WORLD. From the Monetary Union to the United States of Europe".
  • 2 settembre 2021, ore 22:00, Ventotene. Nell’ambito del Seminario di formazione federalista, a cura dell'Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli con la Libreria editrice Ultima Spiaggia "Collana Granelli di Sabbia" presentazione nuove pubblicazioni "L’ABC dell’Europa di Ventotene. Piccolo dizionario illustrato" e tre edizioni bilingue de "Il Manifesto di Ventotene” con le prefazioni in inglese di Josep Borrell, francese di Enrico Letta e arabo di Emma Bonino. LOCANDINA.

 

ARTICOLI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

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I CORRIDOI UMANITARI:
UN PRIMO PASSO EUROPEO, NECESSARIO MA NON SUFFICIENTE, PER ACCOGLIERE E INCLUDERE

Quel che sta avvenendo in Afghanistan ha colto di sorpresa i governi e le istituzioni internazionali per l’apparente rapidità della decisione statunitense e per la ancora più rapida conquista del potere da parte dei talebani ma ha colto molto meno di sorpresa le numerose organizzazioni non governative che operano da anni sul terreno e che sono state essenziali per l’efficacia e la diffusione degli aiuti umanitari come è apparso evidente nell’ultimo articolo scritto da Gino Strada.

Tali aiuti non potevano essere affidati solo ai governi della coalizione ISAF costituita – vale la pena di ribadirlo – il 20 dicembre del 2001 sulla base di una decisione unanime del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non su un’occupazione occidentale del territorio afghano fino ad allora controllato dagli stessi talebani con il sostegno del movimento islamista sunnita Al Qaida radicato nel Pakistan con la complicità dello stesso Pakistan oltre che dell’Arabia Saudita.

Come sappiamo, il movimento dei talebani fu inizialmente sostenuto (e armato) dagli Stati Uniti in funzione antisovietica nel quadro di alleanze trasversali in tutta la regione in cui l’obiettivo della stabilità dei regimi autoritari al potere (con l’eccezione rilevante dell’Iraq di Saddam e poi della Libia di Gheddafi) si univa agli interessi economici legati al petrolio e con il perdurante conflitto non solo religioso fra i sunniti da una parte e gli sciiti dall’altra.

Sappiamo anche che il mondo islamico non coincide con tutte le società arabe e che non tutti gli arabi appartengono alla religione islamica o alle sue derive fondamentaliste, che il panislamismo nella storia non ha coinciso con il panarabismo e che dunque è immaginabile, urgente e necessario ad esempio che l’Unione europea, nella definizione della sua autonomia strategica, includa nella “nuova agenda mediterranea” un rinnovato dialogo con il mondo arabo nella prospettiva di una comunità euro-mediterranea sul modello della CECA.

Fatte queste premesse, le due questioni più urgenti che si pongono di fronte alla ormai inevitabile costituzione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan con una forma di stato teocratico sotto una dittatura totalitaria sono da una parte legate alla garanzia nella diffusione degli aiuti umanitari alla popolazione afghana e d’altra parte ai modi e ai tempi per assicurare il diritto di asilo a tutti coloro che saranno costretti ad abbandonare la loro terra e il loro paese per difendere la loro dignità e, in definitiva, proteggere le loro vite in pericolo.

Per quanto riguarda gli aiuti umanitari si tratta di misure irrinunciabili che non hanno nulla a che fare con la cooperazione finanziaria con i paesi in via di sviluppo  che è parte essenziale delle relazioni dell’Unione europea (e dei suoi Stati membri) con molti paesi terzi e che dovrebbe essere sottoposta dall’Unione europea alle stesse condizioni del rispetto dei diritti umani che noi richiediamo all’interno dell’Unione nella logica della coerenza fra politiche interne e politiche esterne.

Il Movimento europeo sostiene da tempo – e lo sostenne anche Emma Bonino quando, come commissaria europea, ebbe questa delega – che aiuti umanitari e cooperazione finanziaria con i paesi in via di sviluppo debbano diventare progressivamente competenze esclusive dell’Unione europea come lo sono oggi la politica commerciale, l’unione doganale, la politica monetaria, le regole della concorrenza e la conservazione delle risorse biologiche del mare ivi compresi gli accordi internazionali all’interno di un bilancio europeo finanziato da risorse proprie che garantisca un livello di spese almeno pari a quello su cui oggi sono impegnati l’Unione europea e l’insieme degli Stati membri.

Si tratterebbe di un importante passo in avanti sulla via di una vera politica estera comune (unica?) e di un elemento integrante dell’autonomia strategica europea poiché nei settori della difesa e dell’intelligenza artificiale vivremo a lungo in una situazione di interdipendenza se non di dipendenza dagli Stati Uniti.

La questione del diritto di asilo, secondo le convenzioni internazionali (in primo luogo Ginevra, che dovrebbe essere aggiornata per tener conto che il concetto di “rifugiato” è considerevolmente mutato dalla fine della metà del ventesimo secolo ai primi anni di questo nuovo secolo) - da riconoscere agli afghani così come l’abbiamo riconosciuto ai siriani e, in parte, agli iracheni ma che dovremmo riconoscere agli africani sub-sahariani che fuggono dalle guerre, dai disastri ambientali e dall’espropriazione delle terre sapendo che il tasso di respingimento delle domande e quello dei rimpatri è molto, troppo elevato – non si può limitare all’idea del sostegno ai paesi vicini come il Pakistan (dove c’è una forte presenza di fondamentalisti sunniti) o la Turchia che si è per ora rifiutata di accogliere i nuovi rifugiati afghani o l’Iran dove prevalgono gli sciiti o il Tagikistan o ad alcuni paesi africani come l’Uganda.

Già oggi seicentomila afghani di cui quasi la metà in Germania risiedono nell’Unione europea ma anche nel Regno Unito, in Norvegia e in Svizzera e l’apertura dell’Unione europea ai nuovi richiedenti asilo dovrebbe tener conto fra l’altro degli obiettivi del ricongiungimento familiare o di efficaci modalità di politiche di inclusione e di integrazione che sono più facili laddove ci sono comunità provenienti dallo stesso paese.

L’urgenza provocata dal rapido cambiamento di regime richiede misure urgenti per garantire la possibilità per migliaia di  afghani di lasciare il paese, percorsi privilegiati per esaminare in una situazione di sicurezza reciproca le domande di asilo e modalità di ricollocazione nella logica detta nel paragrafo precedente dei ricongiungimenti familiari e delle politiche di inclusioni, equa ripartizione dei flussi migratori insieme al blocco dei rimpatri e ritorni di cittadini afghani nel loro paese.

La strada privilegiata deve essere quella dei corridoi umanitari, che è stata sperimentata con successo in Italia a partire dal 2015 sulla base di un accordo fra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche d’Italia, la Tavola Valdese e il governo italiano – seppure per gruppi più limitati di persone – e successivamente anche in Francia e in Belgio, sulla base di un partenariato fra le organizzazioni non governative insieme al volontariato e ai funzionari dell’UNHCR e il settore pubblico (istituzioni europee e nazionali).

La prima selezione deve essere fatta dalle ONG che operano sul terreno e che devono ricevere un più forte sostegno dai loro paesi di provenienza e/o dalla Commissione europea sulla base di progetti di trasferimento in Europa e di accoglienza, in secondo luogo dalla delegazione dell’Unione europea a Kabul che deve agire come un “consolato” dell’Unione europea in cooperazione con i ministeri degli interni dei paesi membri rilasciando dei “visti umanitari con validità territoriale limitata” e in terzo luogo dalle organizzazione non governative secondo il modello della “accoglienza diffusa” che offre ai richiedenti asilo possibilità di integrazione nel tessuto sociale e culturale, la scolarizzazione e infine l’inserimento nel mondo del lavoro per persone spesso di buon livello di studi ma in cerca di prima occupazione.

L’Unione europea dovrebbe mettere a disposizione di quest’azione urgente oltre alla delegazione del Servizio di Azione Esterna a Kabul la struttura dell’Agenzia Frontex e i volontari del Corpo europeo di solidarietà.

Nel modello di “accoglienza diffusa” un ruolo fondamentale può essere svolto dalle comunità locali e dalle città come è stato dimostrato negli ultimi giorni dalla disponibilità effettiva dell’ANCI e della Lega delle Autonomie locali.

Il “modello afghano” dei corridoi umanitari potrebbe servire da esempio per l’attuazione più ampia del progetto di trasferimento e di accoglienza dei richiedenti asilo – così come proposto dalla Commissione e dal Parlamento europeo – rivolto alle persone che provengono dall’Africa sub-sahariana per creare una via sicura e legale di ingresso in Europa evitando i viaggi della morte e le reti dei trafficanti di esseri umani.

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