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VI SEGNALIAMO

  • 20 luglio 2021, ore 17:00-19:00, Seminario “L’economia globale a una svolta: il triangolo di rapporti tra Stati Uniti, Europa e Cina. Il ruolo dell’Italia”, seminario organizzato da CER e Il Mulino in occasione della pubblicazione del libro di Paolo Guerrieri “Partita a tre. Dove va l’economia del mondo”, edito da il Mulino. Per partecipare e ricevere il link per il collegamento online, inviare una conferma alla segreteria organizzativa: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
  • 20 luglio 2021, ore 17:30, evento “La lunga marcia dell’ordinamento cinese: dal “diritto proibito” al Codice Civile e le grandi riforme”, quinto appuntamento del ciclo di webinar «La geopolitica del 2021». Promosso dall’Associazione di cultura economica e politica Guido Carli. Per seguire l’evento in diretta è possibile collegarsi sui profili Facebook, Twitter e Youtube dell’Associazione.
  • 22-25 luglio 2021, Reggio Calabria, “The Last 20”. Manifestazione itinerante sulle periferie del mondo. L’appuntamento, sui temi dell’immigrazione, dell’accoglienza e della povertà, è previsto con mostre, spettacoli, testimonianze ed esperti. Il Comune e Città metropolitana di Reggio Calabria - grazie a Federazione delle diaspore africane in Italia, Fondazione Terres des Hommes, ITRIA, Mediterranean Hope, Re.Co.Sol, Rete azione TerraE, Fondazione Casa della Carità (Milano), Parco Ludico Tecnologico Ecolandia - ha intenzione di ospitare la manifestazione per accendere le luci su quei paesi che vivono in condizioni di povertà ed emarginazione. Nell’anno in cui l’Italia ha assunto il ruolo di presidente del G20, alle nazioni più ricche e potenti del pianeta si vuole, dunque, contrapporre una realtà diversa: quella delle periferie del mondo, quotidianamente alle prese con fame, impoverimento, problematiche legate ai cambiamenti climatici e guerre. COMUNICATO STAMPA.
  • 23 luglio 2021, ore 22:00, Isola di Ventotene. "L'Isola ritrovata" la storia del carcere di Santo Stefano, un documentario di Salvatore Braca, nell’ambito della ventiseiesima edizione del Ventotene Film Festival (23 luglio – 1 agosto).

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

CONSIGLI DI LETTURA 

 

 

 

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IL “WHISTLEBLOWING” ESISTE IN ITALIA E NELL’UNIONE EUROPEA.
PUO’ ESSERE UN PRESIDIO DI LEGALITA’ PER IL PNRR

1. Nei giorni scorsi il TAR del Lazio ha accertato - con sentenza 7183 del 16 giugno 2021 - che le sanzioni disciplinari irrogate da un ente pubblico nei confronti di un whistleblower hanno un illecito intento punitivo.

Ma chi è il whistleblower? ovvero chi fa whistleblowing?

Il nostro “protagonista” è chi significa segnalare (anche solo rischi di) condotte illecite o irregolarità di cui si sia venuti a conoscenza a motivo del proprio rapporto di lavoro.

In Italia la legge 179 del 2017 tutela il whistleblower quando, a motivo della segnalazione, venga fatto oggetto di misure discriminatorie o ritorsive. Siamo al di fuori degli specifici obblighi di denuncia che spettano alle persone che ricoprono determinate qualifiche pubbliche, nonché al di fuori dei limitati casi di obblighi di denuncia previsti dal Codice penale - ad es. art. 364 - a carico del comune cittadino.

La legge 179 è uno dei tanti sviluppi della cosiddetta “legge Severino” (190/2012), approvata per dare adempimento a obblighi internazionali dell’Italia, fra cui la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 2003. In questo trattato vi è infatti la previsione (artt. 8.4 e 33) dell’impegno degli Stati contraenti a valutare l’utilità di introdurre misure di protezione del segnalante. Un altro trattato, la Convenzione civile sulla corruzione del 1999 elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa, prevede (art. 9) in modo più significativo l’obbligo per gli Stati contraenti di elaborare norme a tutela del segnalante, cioè di colui che, stando alla locuzione inglese, “soffia nel fischietto” per richiamare l’attenzione su situazioni per lo meno anomale.

La legge, intestata all’allora Ministra della giustizia del Governo Monti, dispose (art. 1, comma 51) l’obbligo per la pubblica amministrazione italiana di non discriminare tali segnalanti. Ebbe il merito di introdurre nell’ordinamento nazionale un istituto – straniero, a cominciare dal nome – il cui recepimento ci era stato per anni richiesto da istituzioni intergovernative competenti a valutare l’adempimento italiano rispetto a vincoli internazionali per il contrasto alla corruzione. In particolare, così si era espresso il Working Group on Bribery dell’OCSE e il Group of States against Corruption-GRECO del Consiglio d’Europa. I limiti di questa prima attuazione in Italia sono stati peraltro di due tipi: l’aver disposto una tutela soltanto in ambito lavorativo pubblico (e non anche privato, essendo la legge destinata al solo contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione), e avervi comunque provveduto con una forma di tutela assai poco significativa.

2. L’istituto ha un’origine assai datata. Nel 1777 (soltanto pochi mesi dopo la Dichiarazione di indipendenza delle ex colonie inglesi) dieci marinai ottennero la protezione da pratiche improprie (assimilate addirittura a trattamenti inumani e degradanti) riservate loro dal comandante della Continental Navy. Alla sentenza che riconobbe il diritto alla segnalazione e alla conseguente protezione da misure discriminatorie seguì il primo provvedimento normativo, via via rafforzato (nel 1863, nel 1912, nel 1989, nel 2009 e infine nel 2012) con regole sempre indirizzate a incentivare l’emersione di abusi di potere, frodi, atti di corruzione nell’amministrazione federale statunitense. Sulla stessa lunghezza d’onda si situano i provvedimenti adottati in altri ordinamenti, per esempio nel Regno Unito con il Public Interest Disclosure Act del 1989 (integrato nel 2013 dall’Enterprise and Regulatory Reform Act).

Anche l’ordinamento italiano ha sviluppato questo approccio - definito government oriented (cioè di politica pubblica) perché indirizzato a far emergere irregolarità o illegalità - adottando la legge 179/2017, che detta una più compiuta disciplina di protezione del segnalante (dipendente tanto pubblico quanto, pur ammettendo molti limiti, privato).

Per l’ambito pubblico la legge dispone in tema di canali istituzionali per procedere a segnalazioni (il Responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza presente in ogni ente pubblico, l’Autorità Nazionale Anticorruzione-ANAC) o a denunce (le Procure, tanto penali che della Corte dei conti), stabilendo inoltre l’obbligo di tutela del segnalante motivato dall’esigenza di preservare l’interesse collettivo e non solo un proprio diritto che egli pretenda negato. La tutela è assai articolata. Al divieto di misure demansionanti o discriminatorie conseguenti alla segnalazione si aggiungono: la previsione della loro nullità; l’inversione dell’onere della prova ponendo a carico del datore di lavoro la dimostrazione della portata non discriminatoria delle misure in questione; la protezione della riservatezza della segnalazione (tanto sul contenuto della segnalazione che sull’identità del segnalante, ivi compreso il divieto di accesso al dossier relativo), giacché le segnalazioni anonime non sono oggetto della normativa sul whistleblower. Manca – a differenza di quanto avviene nell’ordinamento statunitense – un qualche incentivo economico che spinga la persona a segnalare e che lo indennizzi in moneta dei danni diretti o indiretti che discendano dall’aver segnalato.

Per l’ambito privato la tutela è riservata al solo dipendente di un ente che si sia dotato di un proprio modello di organizzazione, gestione e controllo come stabilito dalla disciplina contemplata dal decreto legislativo 231 del 2001, che disciplina la responsabilità amministrativa di società, associazioni, ecc. Nella prassi la tutela che la legge predispone è assai fragile, limitata al solo dipendente che segnali tramite un canale interno e non anche esterno rispetto all’ente di appartenenza. Al proposito è indicativa la sentenza del Tribunale di Milano, sezione lavoro, del 10 marzo 2021, la quale ricava dai principi dell’ordinamento (e non puntualmente dalla legge 179/2017) la tutela del dipendente che segnala con denuncia all’autorità giudiziaria.

L’approccio normativo cosiddetto government oriented di cui si parlava è sostenuto dalla convinzione, confermata dalla prassi, che un whistleblower ricopra entro l’ente per il quale lavora un ruolo cruciale, essendo in astratto il naturale alleato del proprio datore di lavoro nello scoraggiare e nel far emergere condotte illegali e irregolari.

3. Al di là della disciplina prevista occorre tuttavia aggiungere che l’istituto fatica a essere praticato in modo appropriato nell’ordinamento italiano. Esso sconta alcuni pregiudizi culturali che premiano in generale la cultura dell’omertà rispetto a quella della trasparenza: una cultura che determina la tendenza all’irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti del dipendente che, segnalando, è piuttosto ritenuto mettere a rischio la reputazione, oltre che di singole posizioni lavorative interne, anche complessivamente dell’ente implicato. Insomma, la legalità in Italia non sembra essere considerata abitualmente faccenda che riguardi i singoli cittadini, ma piuttosto questione spettante alle autorità preposte all’attività pubblica o a quella imprenditoriale: sono queste a doversela cavare per conto proprio … mentre il cittadino che segnala assume piuttosto la fisionomia del delatore, della spia!

D’altra parte, l’istituto è spesso utilizzato in modo improprio dal dipendente che consideri di poter tutelare, tramite la segnalazione, proprie posizioni soggettive individuali, non essendo consapevole che il whistleblowing è funzionale alla tutela anzitutto dell’interesse collettivo.

Le difficoltà in cui versa l’istituto in Italia emergono molto bene dal monitoraggio che annualmente compie ANAC sulla propria attività di vigilanza in materia e sulla prassi di un certo numero di pubbliche amministrazioni italiane su cui ANAC stessa vigila: dalla prassi emerge con chiarezza che - al di là del dato distonico del 2020, dovuto probabilmente al “lavoro a distanza” conseguente alla pandemia - le segnalazioni fatte all’esterno degli enti di appartenenza aumentano, mentre diminuiscono quelle interne, che tendono contemporaneamente a diventare sempre più spesso anonime, senza quindi rientrare nell’istituto di cui stiamo parlando. Ciò significa che la fiducia sull’utilità di una segnalazione interna “in chiaro”, firmata, diminuisce, accompagnandosi anche alla consapevolezza dei rischi che questa attività di trasparenza comporta per il proprio autore.

La cronaca conferma questa conclusione: oltre al sopra ricordato caso risolto con sentenza del TAR del Lazio, si possono rammentare le difficili vicende del segnalante nella vicenda di Stefano Cucchi, oggetto di pestaggio da parte di carabinieri, e del dipendente di Trenord Andrea Franzoso, costretto a licenziarsi per le vessazioni subite dopo una segnalazione.

4. Anche l’Unione europea interviene sul piano normativo: nel 2019 ha adottato la direttiva 1937 che dispone in tema di tutela del segnalante per condotte irregolari o illecite specificamente ai danni del mercato interno europeo.

La disciplina italiana sul whistleblower dovrà dunque ben essere rivista al fine di adeguarsi alla direttiva entro i termini di adempimento previsti, cioè il 17 dicembre prossimo per l’ambito pubblicistico e il 17 dicembre 2023 per l’ambito privatistico.

La questione assume una grandissima attualità se si pensa all’attuazione dei Piani Nazioni di Ripresa e Resilienza da parte di ciascuno degli ordinamenti dei 27 Stati membri. Infatti, ai fini di contrastare sprechi di risorse finanziarie che l’UE mette a disposizione nell’ambito del NextGeneration EU, condotte di cattiva amministrazione, ma anche di frode e di corruzione. 

In materia di contrasto alla corruzione, e in relazione al Piano Nazionale italiano di Ripresa e Resilienza (PNRR), va infine ricordato che le riforme previste nel Piano sono addirittura più di cinquanta ma non si trova menzione di un intervento in tema di tutela del whistleblower l’art. 5.4 del regolamento UE 2092 del 2020 prevede la tutela anche per chi segnali direttamente alla Commissione, considerando applicabile la disciplina contenuta nella direttiva in questione.

Ne deriva che la direttiva 1937 è strettamente implicata nelle procedure che presidiano l’attuazione dei PNRR nazionali.

Peraltro, l’adempimento della direttiva in Italia non è di facile soluzione. Esso è previsto nella legge di delegazione europea 53 del 2021, il cui art. 23 detta principi e criteri direttivi proprio per adeguare l’ordinamento nazionale ai contenuti della direttiva.

Così, fra le tante, una questione assai delicata al proposito emerge dal fatto che la direttiva accoglie una diversa dimensione del whistleblowing: non più soltanto strumento per far emergere condotte di illegalità o irregolarità, ma anche strumento human right oriented, ovvero di promozione del diritto alla libertà di espressione e del diritto all’informazione. La direttiva dell’Unione considera insomma che il whistleblower “serve” al rafforzamento della democrazia perché valorizza la trasparenza e l’integrità dell’agire tanto pubblico che privato nei 27 Stati membri. Sulla stessa linea è la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (ad es. casi Guja c. Moldova del febbraio 2008 e Halet c. Lussemburgo del maggio 2021), nell’interpretare l’omologa Convenzione europea elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa e applicabile ai suoi 47 Paesi contraenti.

Questo è un lungo “pezzo” …. per chi sia riuscito ad arrivare a leggerci fino ad ora, esso potrebbe essere considerato un viatico per la lunga sospensione estiva della nostra Newsletter.

 

Dino Rinoldi e Nicoletta Parisi

 

 

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CONTRO CORRENTE
PER UNA POLONIA E UN’UNGHERIA EUROPEE

La Commissione europea ha avviato in questi giorni la prima fase della procedura di infrazione al diritto europeo contro i governi polacco e ungherese in entrambi i casi per violazione del principio di non-discriminazione e dunque a difesa della libertà dell’orientamento sessuale sancita sia nell’art. 19 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che nell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali oltre che nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa di cui Polonia e Ungheria sono membri.

Se i governi polacco e ungherese non daranno delle risposte conformi al diritto europeo, la Commissione può rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e il ricorso della Commissione può essere sostenuto ad adiuvandum da qualunque Stato membro.

Tenuto conto delle precedenti decisioni della Corte è certo che, di fronte all’eventuale rifiuto dei governi polacco e ungherese di conformarsi al diritto europeo, i giudici di Lussemburgo emetteranno una sentenza nella quale quei governi saranno condannati a pagare una multa ma non possono imporre a quei governi l’annullamento delle leggi che contrastano con il diritto europeo.

Un giudice polacco o un giudice ungherese possono invece chiedere alla Corte di interpretare il diritto europeo in relazione ad una legge nazionale e disapplicare quella legge in casi specifici se la Corte la consideri non conforme al diritto europeo.

Sappiamo tuttavia che è crescente l’influenza dei governi ungherese e polacco sui giudici ed anche sulle Corti costituzionali di quei paesi e che saranno sempre meno i giudici nazionali pronti a rivolgersi ai giudici di Lussemburgo.

Come sappiamo, la Commissione può (e deve) seguire ora anche la via della sospensione dell’erogazione dei fondi europei alla Polonia e all’Ungheria – ivi compreso il NGEU - applicando le regole sulla condizionalità introdotte nello scorso dicembre e legate al rispetto dello stato di diritto d cui il principio di non-discriminazione è parte essenziale.

La via della sospensione dei diritti della Polonia e dell’Ungheria in applicazione dell’art. 7 del Trattato sull’Unione europea è invece sbarrata dal fatto che il Consiglio europeo può constatare l’esistenza della violazione dello stato di diritto solo con una decisione unanime lasciando così al governo polacco il potere di bloccare la decisione contro l’Ungheria e al governo ungherese il potere di bloccare la decisione contro la Polonia.

Il complicato sistema europeo, che esclude fra l’altro la possibilità di sospendere la partecipazione di uno Stato all’Unione al contrario degli statuti del Consiglio d’Europa e delle Nazioni Unite e di quel che proponeva il progetto Spinelli nel 1984, non impedisce dunque che un governo – disponendo delle maggioranze necessarie in parlamento – avvii il proprio paese sulla strada dell’ossimoro di una “democrazia illiberale” come è stato definito dal premier Viktor Orban il sistema ungherese.

Noi riteniamo che, contrariamente a quel che è avvenuto nel 2016 quando gli europei (partiti europei, Commissione e Parlamento, Comitato delle Regioni e Comitato Economico e Sociale, sindacati e imprenditori europei, reti della società civile, mondo della cultura e della scienza, mondo della comunicazione con particolare riferimento alla disinformazione che ha contraddistinto la campagna referendaria) hanno lasciato i britannici da soli a decidere il loro destino nell’Unione europea nel referendum del 23 giugno sulla Brexit o sul Remain, l’intera Unione europea non può accettare che la Polonia e l’Ungheria si avviino o siano costrette ad avviarsi sulla strada dell’uscita dalla famiglia europea.

Ricordiamoci che nel 2003 il 77,45 % degli ungheresi e l’83,76% dei polacchi votarono a favore dell’adesione dei loro paesi all’Unione europea e che importanti città della Polonia e dell’Ungheria hanno eletto sindaci che appartengono a forze politiche e a maggioranze all’opposizione dei governi dei loro paesi.

Monitoriamo le idee, i commenti, le condivisioni e gli eventi polacchi e ungheresi iscritti sulla piattaforma digitale della Conferenza sul futuro dell’Europa per verificare quanti di essi appartengono alla Polonia europea e all’Ungheria europea che uscirono dal voto referendario del 2003 e quanti di essi sono ispirati dai governi attualmente e provvisoriamente al potere.

Usiamo lo strumento della Conferenza sul futuro dell’Europa per discutere con i polacchi e con gli ungheresi sul loro e sul nostro futuro nella casa comune europea.

La via della democrazia liberale a Budapest e a Varsavia non può essere (solo) giudiziaria ma deve essere essenzialmente politica per sostenere come europei la Polonia e l’Ungheria europee.

È un nostro diritto ma è anche un nostro dovere!

Riproduciamo nella newsletter, in occasione dell’ottantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene, il “progetto per un’Europa libera e unita” in polacco e ungherese.

coccodrillo

 

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità,

Speciale PNRR, a cura di Nicoletta Parisi e Dino Rinoldi

Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale

- La Conferenza sul futuro dell'Europa

Next Generation EU a cura di Euractiv

- Europa dei diritti

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

Nell’augurarvi buone vacanze, vi diamo appuntamento al 30 agosto per la ripresa dei lavori.

 

 

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