DOPO IL 9 GIUGNO: LA VERA ALTERNATIVA EUROPEA
Dopo le elezioni europee un dato politico apparirebbe quasi incontrovertibile: la nave dell’Unione europea virerebbe a destra ed anzi verso l’estrema destra e gli emicicli di Strasburgo e di Bruxelles si tingerebbero di tre sfumature di colore bruno più o meno forte invadendo il rosso delle sinistre, il rosa dei socialisti, il verde degli ecologisti, il giallo dei liberali e il blu dei popolari.
Immaginiamo che la presentazione colorata degli emicicli di Strasburgo e Bruxelles da sinistra a destra non alluda ad un legame fra le destre e le estreme destre del ventunesimo secolo - che attraversano ormai politicamente quasi tutti i paesi membri dell’Unione europea - e le squadre paramilitari (Sturmabteilungen) nate nella Repubblica di Weimar con le camicie brune a protezione del nazismo anche se fra i nuovi movimenti ci sono frange con evidenti nostalgie fasciste come è stato dimostrato dalle dichiarazioni dello Spitzenkandidat e europarlamentare AFD Maximilian Krah secondo cui “chi aveva l’uniforme SS non era automaticamente un criminale”.
In Austria, Francia e Germania i risultati delle elezioni europee hanno sorriso in effetti ai movimenti di destra e di estrema destra perché l’austriaco FPO (erede di Jorg Haider) ha raddoppiato i deputati da 3 a 6 (su 20 seggi in totale), il Rassemblement National francese di Marine Le Pen è passato da 18 a 30 deputati a cui si devono aggiungere quelli di La France Fière di Marion Marechal e dunque 35 parlamentari su un totale di 81 francesi e l’AFD tedesca è passata da 9 a 15 parlamentari sui 96 seggi assegnati alla Germania.
Questi risultati hanno evidenti effetti nazionali che hanno terremotato il panorama politico in questi tre paesi fino al punto di spingere Emmanuel Macron all’azzardo ad altissimo rischio, per la Francia e per l’Unione europea, di convocare elezioni legislative anticipate il 30 giugno e il 7 luglio.
Poiché le elezioni dal 6 al 9 giugno erano europee e non nazionali, vediamo se la nave dell’Unione europea – già scossa da un susseguirsi di tempeste che hanno attraversato la nona legislatura europea dal 2019 al 2024 – abbia effettivamente virato a destra o, meglio, verso l’estrema destra e se Giorgia Meloni e Marine Le Pen saranno in grado di “dare le carte” per il rinnovo delle prossime leadership europee, come hanno affrettatamente scritto The Economist ed Euractiv.
I colori bruni nell’Assemblea europea, eletta nel maggio 2019, riguardavano il gruppo di Identità e Democrazia guidato in particolare da Marine Le Pen e Matteo Salvini insieme all’AFD tedesca con 58 parlamentari e il Gruppo dei Conservatori a prevalenza polacca e spagnola con una partecipazione ancora relativamente marginale di Fratelli d’Italia con 67 parlamentari a cui si dovevano aggiungere 25 parlamentari di diverse destre per un totale di 150 deputati ed una percentuale del 21,5% dell’intero Parlamento europeo.
Gli stessi colori bruni nell’Assemblea europea, eletta dal 6 al 9 giugno, riguardano oggi il gruppo dei Conservatori ora guidati da Fratelli d’Italia insieme agli spagnoli di Vox e ai polacchi del PiS fortemente indeboliti nei loro paesi con 73 parlamentari e il gruppo di Identità e Democrazia ancora una volta guidato dal Rassemblement National insieme alla Lega crollata al di sotto del 10% con 58 parlamentari a cui si aggiungono fra gli altri i 15 deputati dell’AFD espulsa dal gruppo ID, gli 11 dell’ungherese Fidesz ed altre destre per un totale di circa 170 deputati pari al 22,7 % dell’intero Parlamento europeo.
L’ipotesi vagheggiata da Marine Le Pen dii unire in un unico gruppo “tutti i patrioti” è un puro e irraggiungibile miraggio politico considerando le divisioni che separano tutti i nazionalisti a cominciare dalla politica estera e il fatto che alcuni come Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e ODS di Petr Fiala a Praga sono al governo e altri come il Rassemblement National francese e il PiS polacco sono attualmente all’opposizione.
Nelle complesse alchimie politiche europee e nazionali che dovranno portare in successione all’elezione del Presidente della Commissione, all’approvazione di tutta la Commissione europea, alla nomina dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e all’elezione del Presidente del Consiglio europeo le “carte” saranno date nel quadro di un accordo inter-istituzionale fra governi nazionali e Parlamento europeo dove – dopo le schermaglie pre-elettorali – dovrebbe prevalere un’intesa “europeista” fra Popolari, Socialisti e Liberali i cui gruppi rappresentano nella nuova assemblea il 57% dell’intero Parlamento europeo con un possibile ampliamento ai Verdi - avendo i socialisti e i liberali escluso la possibilità di unire il loro voto a quello dell’ECR (e dunque di Fratelli d’Italia) e ancor di più a quello di Identità e Democrazia - all’interno di un ampio patto istituzionale sulle cariche europee.
Non basterà certo questo patto europeista per estirpare le radici delle proteste che hanno spinto in avanti i movimenti di destra e di estrema destra pronti ad usare e a soffiare sulle paure legate alle politiche migratorie, alle conseguenze economiche e sociali della conversione ecologica, alle insicurezze interne ed esterne e alla crescita delle diseguaglianze sociali perché l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di difendere l’avvenire delle nostre democrazie in un continente scosso dalle guerre, dai rischi delle devastazioni provocate dai cambiamenti climatici e dalla insostenibilità delle politiche nazionali.
Un primo importante segnale per manifestare con forza la volontà di difendere concretamente l’avvenire delle nostre democrazie dovrebbe essere la decisione di cambiare l’ordine delle presidenze del Consiglio dell’Unione europea impedendo al governo ungherese di gestire dal 1° luglio al 31 dicembre 2024 tutte le attività intergovernative e le relazioni istituzionali con il Parlamento europeo.
Di fronte a queste sfide dirompenti le culture politiche europeiste sono apparse negli ultimi anni divise, incerte e balbettanti nel rispondere alle proteste, essendo attirate talvolta dalle pulsioni populiste ed essendo incapaci di andare al di là di soluzioni provvisorie ed emergenziali.
Per evitare il rischio che la nave dell’Unione europea possa virare effettivamente a destra e cioè verso un indebolimento delle regole democratiche, è necessario un patto fra il Parlamento europeo e la nuova Commissione per tutta la legislatura gettando le basi di una vera alternativa europea articolata sulle priorità di uno sviluppo socialmente sostenibile (l’Agenda 2030), di un bilancio ambizioso per garantire beni pubblici attraverso vere risorse proprie, del completamento della conversione ecologica e delle transizioni digitale ed energetica, della convergenza delle nostre economie come condizione per la competitività europea e dell’autonomia strategica europea - con particolare riferimento alla politica estera e alla dimensione della difesa - in un mondo multipolare.
L’obiettivo finale di questo patto dovrebbe essere l’approvazione di una riforma costituzionale prima dell’allargamento ai Balcani e all’Europa orientale evitando il labirinto istituzionale della “convenzione” - la cui apertura appare bloccata dall’ostilità dei governi - e l’ostacolo di un negoziato intergovernativo usando un metodo che coinvolga tutte le forze politiche nel Parlamento europeo e nei parlamenti nazionali attraverso delle assise interparlamentari insieme alla democrazia partecipativa applicando lo strumento innovativo delle “convenzioni di cittadini europei”.
Roma, 11 giugno 2024
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