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(infografiche di Erasmo Mancini)

                                  26.02.2001      26.02.2008               26.02.1984      
          

 

 

 

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Può un concorso pubblico europeo essere annullato perché organizzato in maniera da determinare una discriminazione fondata sulla lingua? Sì; lo afferma il Tribunale dell'Ue con una sentenza del 9 settembre 2020. La controversia ha riguardato la Repubblica italiana, sostenuta dal Regno di Spagna, da un lato, e dall'altro la Commissione europea; infatti, il 12 maggio 2016, in occasione della pubblicazione del bando di concorso generale EPSO/AD/322/16, per la costituzione di elenchi di riserva di amministratori nel settore dell’audit, la Commissione ha scelto di optare per la limitazione della scelta della seconda lingua dei candidati ad un concorso ad un numero ristretto di lingue, cioè il francese, l’inglese, o il tedesco, con esclusione delle altre lingue ufficiali.

L'Italia ha presentato il proprio ricorso il 5 agosto 2016 e, il 15 settembre dello stesso anno, il Tribunale dell'Ue ha annullato il concorso. Il 19 ottobre 2016, la Commissione ha presentato il proprio controricorso e ha successivamente impugnato anche la decisione dell'annullamento.

Sono sette i motivi fatti valere dall'Italia a sostegno del suo ricorso:

il primo, una violazione degli articoli 263, 264 e 266 TFUE;

il secondo, una violazione dell’articolo 342 TFUE e degli articoli 1 e 6 del regolamento n. 1 del Consiglio, del 15 aprile 1958, che stabilisce il regime linguistico della Comunità economica europea (GU 1958, 17, pag. 385), come modificato (in seguito: il «regolamento n. 1»);

il terzo, una violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, dell’articolo 18 TFUE, dell’articolo 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in seguito: la «Carta»), degli articoli 1 e 6 del regolamento n. 1, dell’articolo 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, dell’articolo 27, secondo comma, e dell’articolo 28, lettera f), dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), nonché dell’articolo 1, paragrafi 2 e 3, dell’allegato III dello Statuto;

il quarto, una violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE e del principio della tutela del legittimo affidamento;

il quinto, uno sviamento di potere nonché una violazione delle «norme sostanziali inerenti alla natura e finalità dei bandi di concorso», in particolare dell’articolo 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, dell’articolo 27, secondo comma, dell’articolo 28, lettera f), dell’articolo 34, paragrafo 3, e dell’articolo 45, paragrafo 1, dello Statuto, nonché del principio di proporzionalità;

il sesto, una violazione dell’articolo 18 e dell’articolo 24, quarto comma, TFUE, dell’articolo 22 della Carta, dell’articolo 2 del regolamento n. 1, nonché dell’articolo 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, dello Statuto;

e, il settimo, una violazione dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, degli articoli 1 e 6 del regolamento n. 1, dell’articolo 1 quinquies, paragrafi 1 e 6, e dell’articolo 28, lettera f), dello Statuto, dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera f), dell’allegato III dello Statuto e del principio di proporzionalità, nonché un «travisamento dei fatti»”.

L'iter del procedimento, il 21 febbraio 2017, è stato sospeso fino al 26 marzo 2019, per poi dare la possibilità alle parti in causa di presentare le proprie rispettive esposizioni difensive nonché le “loro risposte ai quesiti scritti e a quelli orali sottoposti dal Tribunale in occasione dell’udienza svoltasi il 5 dicembre 2019”.

La suddetta sentenza del settembre 2020 ha infine riconosciuto le ragioni della Repubblica italiana, confermando l'annullamento del relativo bando e condannando la Commissione europea al pagamento delle spese proprie e di quelle dell'Italia; quale ulteriore decisione, quella relativa al fatto che il Regno di Spagna avrebbe sopportato le proprie spese.

Clicca qui per leggere il testo integrale della sentenza.

 

 

 

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Continuando la panoramica relativa al tema della solidarietà, a cui è dedicata un titolo della Carta dei diritti fondamentali, dedichiamo la nostra attenzione all'articolo 33, consacrato alla vita familiare e professionale. Nella situazione attuale, in cui la chiusura delle attività, la riduzione del PIL e dei fatturati aziendali pone dei seri punti interrogativi sul futuro, è bene ricordare che l'Unione riconosce come diritto fondamentale quello alla protezione della famiglia. Nel primo comma si elencano gli ambiti in cui vada garantita questa tutela, cioè quello giuridico, ma anche quello economico e sociale. Come sempre, a partire dall'enunciazione dei principi in sé, si potrebbe poi dedicare ampio spazio alla dissertazione sullo stato dell'arte e sul modo in cui essi abbiano trovato attuazione nel diritto dell'Unione europea. Quello che però qui preme sottolineare è più che altro il fatto che i tre livelli di protezione trovano attuazione insieme: tutelare i diritti della sfera familiare significa anche tutelarne il benessere economico, quale finalità non solo limitata al perimetro del nucleo familiare, ma imprescindibile al fine affermare anche gli aspetti sociali di questo tipo di protezione. 

L'articolo 33 passa poi ad illustrare, al secondo comma, la modalità attraverso cui possa attuarsi la conciliazione tra sfera familiare e sfera professionale: “Ogni individuo”, afferma, “Ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio”. È un tema delicato, in cui si possono innescare controversie; per esempio, nella scorsa newsletter, si era riportato il caso di una causa risoltasi in sede di Corte di Giustizia dell'Ue relativa proprio alle modalità di calcolo dell'indennità di licenziamento e dell’indennità per congedo di riqualificazione spettanti a una lavoratrice francese licenziata per motivi economici, a causa della sua assenza dal lavoro per poter prestare le cure parentali ai suoi figli. Un caso del genere appare di particolare interesse per comprendere una situazione realmente verificatasi e che ha riguardato anche l'articolo 33 della Carta. Considerato il fatto che lo sviluppo della legislazione sociale europea, come afferma il Segretario Generale del Movimento europeo, Paolo Ponzano, sia “Manifestamente ridotto”, e considerato il fatto che, a tre anni dalla Dichiarazione tripartita di Göteborg, del 27 novembre 2017, per il Pilastro sociale europeo, molto rimanga ancora sulla carta, non c'è da augurarsi che nel prosieguo dei lavori delle istituzioni europee, magari a partire dall'emergenza in corso che sta cambiando le nostre vite, possano emergere nuovi livelli di tutela sociale, concretamente operanti e non solo dichiarati, per tutti i cittadini europei.

 

 

 

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