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23 giugno, ore 10:00-15:00, Roma. "Together Stronger: an EU macro-regional civil strategy in the making". Presso lo Spazio Europa di Via IV Novembre 149 a Roma, si svolgerà un evento preparatorio per gli stakeholder della Strategia dell’Unione europea per la Macroregione Adriatico-Ionica (EUSAIR), promosso dalla European House di Budapest e dal Movimento europeo in Italia. Un momento di formazione sul tema della strategia delle Macroregioni europee, sul loro funzionamento, benefici, opportunità e criticità. Contestualmente l’evento ha l’obiettivo di creare una serie di spazi di confronto costruttivo (workshop e dibattiti) fra esperti, rappresentanti istituzionali (nazionali ed internazionali) ed i partecipanti. L’incontro sarà dedicato, prevalentemente, all’analisi degli aspetti legati alla dimensione giovanile della strategia macroregionale europea. Saranno presenti giovani rappresentanti dei 10 paesi EUSAIR (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro, Macedonia del Nord, San Marino, Serbia e Slovenia). L’evento si svolgerà in lingua inglese. Tuttavia, al fine di rendere l’evento fruibile a tutti gli interessati a livello locale, i membri del Movimento europeo Italia si metteranno a disposizione per eventuali chiarimenti (in lingua italiana) sui passaggi cruciali del dibattito. Invitiamo a prendere parte all’evento sollecitando, in modo particolare, la partecipazione dei membri under 30 e la diffusione dell’invito tra i vostri contatti. Le iscrizioni verranno chiuse il 16 giugno. Tutti gli interessati potranno registrarsi attraverso l’apposito FORM ONLINE. L’evento è cofinanziato dall’Unione europea con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea e dall'Ufficio del Parlamento europeo in Italia. PROGRAMMA.
COME PROTEGGERE IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA ITALIANO
DAL “CATTIVO” USO DELLE RISORSE FINANZIARIE EUROPEE
1. NextGenerationEU (NGEU) rappresenta un disegno senza precedenti nella storia dell’integrazione europea anzitutto per la consistenza degli obiettivi predicati, Lo «strumento» (così denominato nell’atto che lo istituisce) nasce per iniziativa della Commissione e per decisione del Consiglio, con il regolamento 2094 del 2020, fondato non sull’art. 122 TFUE (come ci si sarebbe potuti aspettare data la situazione di emergenza che ancora allora si viveva: era il mese di dicembre del 2020!), ma sull’art. 175 TFUE. Il messaggio nemmeno tanto implicito è dunque che NGEU rappresenta il superamento della fase emergenziale, la via fisiologica per la ripresa economica dell’Unione. Viene con esso istituita una linea di finanziamento – pur come «risposta eccezionale a circostanze temporanee ma estreme», dunque con carattere di temporaneità - per «attuare un programma eccezionale e coordinato di sostegno economico e sociale, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, in particolare verso quegli Stati membri che sono stati colpiti in modo particolarmente grave»: così ci dice il preambolo del regolamento europeo.
NGEU, infine, implica una strategia che porta molto distanti – si auspica non in modo episodico – dall’approccio e dalle soluzioni che avevano guidato l’Unione e i suoi Stati membri dal 2008 al 2013 per superare la crisi finanziaria globale importata dagli Stati Uniti dopo il fallimento della banca Lehman Brothers. La metodologia dell’azione comunitaria è sostanziata da una stringente programmazione delle azioni mirate a rispettare parametri di pertinenza, efficacia, efficienza e coerenza di esse con gli obiettivi predicati da NGEU e dunque, assiomaticamente, con quelle che per la Commissione europea sono le esigenze che si impongono se si vuole avviare una ripresa economica sostenibile e resiliente.
2. Proprio in quest’ultimo aspetto sta il grande problema che il nostro Paese si trova ad affrontare: è di questi giorni, nuovamente e persino ritualmente, l’allarme sui rischi di dispersione a motivo del pericolo di infiltrazioni criminali tramite condotte anche corruttive, ovvero di impossibilità dell’utilizzo delle risorse finanziarie europee a causa dell’inesperienza o dell’incapacità del livello amministrativo locale massicciamente coinvolto nell’attuazione dei progetti di investimento previsti dal nostro PNRR.
In particolare, quella della corruzione e del rischio di infiltrazioni criminali non sono problemi che riguardano esclusivamente il nostro Paese. Lo dimostra l’attenzione che l’Unione europea ha posto su di essi: il regolamento europeo che istituisce il Dispositivo di Ripresa e Resilienza (n. 2021/241) richiede che ciascuno Stato membro si doti di modalità di attuazione dei PNRR nazionali tali da prevenire, individuare, contrastare anche, ma non solo, sul piano penale la corruzione, le frodi e i conflitti di interesse nell’utilizzo dei fondi europei. Questa previsione è sostenuta da un denso impianto normativo posto in generale a protezione dell’integrità dei cosiddetti “interessi finanziari” dell’Unione (del suo bilancio, insomma), che si avvale di strumenti assai incisivi: fra questi spicca la direttiva PIF (appunto sulla protezione degli interessi finanziari europei tramite il diritto penale) 2017/1371 e il regolamento (2017/1939) che ha istituito la Procura europea, atti adempiuti in Italia con decreti legislativi assai efficaci (rispettivamente n. 75/2020 e n. 9/2021).
In Italia come all’estero vi è la consapevolezza che non sia possibile abbassare la guardia a fronte dei rischi di infiltrazioni criminali (organizzate e non) nell’uso dell’ingentissimo ammontare di risorse finanziarie impegnare a disegnare una società europea sostenibile e resiliente.
3. Ora, a fronte di questi rischi, nell’attuazione del PNRR si dovrebbe fare affidamento su istituzioni forti e integre, su “servitori dello Stato” che svolgano le proprie funzioni «con disciplina ed onore» (art. 54 Cost.) nell’ambito di un’amministrazione organizzata sulla base dei principi di «buon andamento e imparzialità», con chiara determinazione delle sfere di competenza, (del)le attribuzioni e (del)le responsabilità» di ciascuno degli enti che compone la pubblica amministrazione nazionale (art. 97 Cost.).
I tanti decreti-legge (regolarmente convertiti in legge) che si sono succeduti per disegnare la governance del PNRR italiano stanno ancora cercando di individuare le migliori modalità di attuazione del PNRR. La volontà delle amministrazioni pubbliche di far fronte alle necessità non è da mettere in dubbio. L’utilizzo degli strumenti e dei meccanismi per scongiurare il cattivo uso delle risorse sono ormai di uso diffuso. Penso ai patti di integrità (di cui all’art. 1-17 della legge n. 190/2012); ai protocolli di legalità che vengono stipulati dagli enti attuatori delle misure del PNRR con Prefetture e Guardia di Finanza per uno scambio efficace e tempestivo di informazioni; ai canali di segnalazioni messi a disposizione di potenziali whistleblowers per far emergere condotte non integre (come dal recentissimo decreto legislativo n. 24/2923); alle procedure per assicurare la trasparenza nell’affidamento delle risorse (decreto legislativo n. 33/2013) anche attraverso modalità di digitalizzazione dei contratti pubblici (nuovo codice in materia adottato con decreto legislativo n. 36/2023); al registro del titolare effettivo di cui al decreto ministeriale MEF/MISE n. 55/2022).
Spiace osservare che si sta tentando da parte del Governo di mettere nel nulla un presidio importante contro il cattivo uso delle risorse finanziarie anche del PNRR, com’è il controllo concomitante (che vuol dire in itinere, non a posteriori!!!!) assegnato alla Corte dei Conti per garantire un’accelerazione degli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale da una legge precedente all’adozione del PNRR, ma utile anche per questo imponente Piano (art. 22 legge 120/2020). E spiace osservare che all’eliminazione di questo controllo si vuole anche aggiungere la proroga dello “scudo erariale”. E’ vero che tanti sono i presidi interni posti a protezione del nostro PNRR, ma si rischia di ampliare troppo l’area della possibile impunità in costanza di condotte che potrebbero determinare una dispersione delle risorse europee.
Da ultimo, per superare le strettoie dovute all’assenza di liquidità degli enti locali territoriali (in specie dei Comuni) tenuti ad anticipare le risorse per l’attuazione dei progetti di investimento del PNRR, penso all’interessante proposta avanzata dal Presidente di Banca Intesa San Paolo (La Repubblica, 27.5.2023, p. 5) di introdurre un sistema di prestiti alle imprese implicate in questi progetti, sulla base di solide garanzie di restituzione di essi.
È una proposta interessante, che tuttavia mette a nudo la difficoltà dell’apparato pubblico di far fronte ad un’esigenza di liquidità obiettiva, esigenza derivante da progetti la cui attuazione (e dunque spesa) è garantita dal PNRR.
4. Insomma, è l’intero Paese che dovrebbe mobilitarsi per rendere possibile che il NGEU sia un successo, per l’Italia e, di conseguenza, anche per il processo di integrazione europea.
Manca solo – come si ripete da tanto - dare uno spazio non formale alla società civile, associando i cittadini tramite gli strumenti del controllo sociale diffuso di cui l’ordinamento italiano è pure dotato (decreto legislativo 33/2013), così da affiancare e sostenere la pubblica amministrazione in questa difficilissima ma importante impresa. Gli strumenti della trasparenza amministrativa assolvono almeno a tre funzioni: migliorare l’attuazione delle politiche pubbliche; aumentare la reputazione dell’ente pubblico che si rende conoscibile in quello che fa; aiutare i cittadini a farsi carico delle proprie responsabilità civiche che discendo dall’esercizio dei diritti fondamentali di cui tutti noi, come cittadini europei e contemporaneamente del nostro Stato di appartenenza, godiamo (Carta dei diritti fondamentali dell’UE, preambolo, ultimo capoverso).
Ci siamo già occupati (“Dal liberum vetum confederale all’Europa federale”, 8 maggio 2023) della creazione di un gruppo di dieci “amici” del voto a maggioranza qualificata nel Consiglio sulle decisioni in materia di politica estera e di sicurezza con l’uso della cosiddetta “clausola della passerella”, una iniziativa lanciata dalla ministra tedesca Baerbock con il sostegno del governo francese nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione europea ai sei paesi dei Balcani Occidentali (Serbia, Macedonia del Nord, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Albania e Kosovo) e ai paesi candidati o candidabili dell’Europa orientale (Ucraina, Moldova e Georgia).
I dieci “amici” si sono riuniti con gli altri diciassette colleghi ministri degli affari europei in un incontro informale che si è svolto il 29 maggio al Sofitel di Bruxelles ed hanno deciso di incontrarsi una volta al mese per constatare se possono essere fatti dei passi in avanti nella logica o nella speranza di rafforzare la dimensione geopolitica dell’Unione europea sconvolta dalla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina.
Le reazioni dei diciassette sono state tiepide o addirittura ostili come è il caso della Polonia, dell’Ungheria ma anche dell’Austria e chi è stato tiepido ha evocato il “compromesso di Ioannina” adottato nel 1994 alla vigilia della adesione di Finlandia, Austria e Svezia che fu considerato un secondo “compromesso di Lussemburgo” allo scopo di rafforzare l’influenza delle minoranze e imporre al Consiglio di rinviare decisioni su cui si fosse raccolta una maggioranza qualificata per riunire un consenso più ampio di quello che, pur sufficiente, poteva essere considerato politicamente esiguo.
Quel che è apparso chiaro dall’incontro del Sofitel è la mancanza unanime di volontà di avviare un processo di revisione del Trattato di Lisbona sia attraverso una convenzione che attraverso una conferenza intergovernativa almeno prima delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024 anche se l’eventuale inizio e l’accelerazione dei negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova renderebbero necessaria e urgente una riflessione sul sistema europeo di una Unione che potrebbe accogliere in futuro fino a trentasei paesi membri.
L’iniziativa intergovernativa franco-tedesca, che è stata affiancata dalla costituzione di un gruppo di esperti, ha avuto certamente il merito di mettere sul tavolo del Consiglio la questione della dimensione geopolitica dell’Unione europea che era stata evocata da Ursula von der Leyen all’inizio del suo mandato nel 2019 ma che era stata sotterrata dall’arrivo della pandemia.
E’ tuttavia evidente che i problemi dell’Unione europea allargata in questo secolo all’Europa centrale saranno ingigantiti quando dovremo accogliere gli attuali candidati e i paesi candidabili essendo chiaro che non sarà sufficiente né decidere di far funzionare la clausola della passerella per autorizzare il Consiglio ad adottare delle decisioni in materia di politica estera e della sicurezza a maggioranza qualificata né modificare gli articoli del Trattato di Lisbona che impongono il voto all’unanimità.
Limitandosi agli aspetti del funzionamento delle istituzioni, come si può immaginare l’efficacia e l’efficienza di una Commissione europea - all’interno della quale fu già un rompicapo distribuire i “portafogli” fra ventisette commissari pur con il correttivo dei vicepresidenti con funzioni di supervisione e di coordinamento - in un collegio che, secondo il cattivo compromesso raggiunto dopo il referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, dovrebbe essere composto di trentasei commissari?
E come si potranno organizzare le relazioni fra i trentasei commissari e le direzioni generali ed i servizi della futura Commissione europea nell’Unione europea dopo il big bang del suo allargamento?
Come si può immaginare la composizione del Parlamento europeo, il suo funzionamento a cominciare dai servizi di traduzione simultanea fino agli aspetti politici dell’organizzazione dei gruppi ed i rapporti tra i gruppi e i partiti politici europei?
Si può ragionevolmente pensare di lasciare inalterato il sistema di voto all’interno del Consiglio (per non parlare del Consiglio europeo) come fu immaginato prima a Nizza e poi a Lisbona?
Poiché l’euro è la moneta dell’Unione europea, quali saranno i rapporti fra l’eurozona e l’eurogruppo da una parte e i paesi in attesa di farne parte, la BCE e le Banche Centrali insieme al funzionamento dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali in una unione in cui sarà prioritaria la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata?
Le funzioni e i poteri della Procura Europea, nata nel quadro di una cooperazione rafforzata e rinchiusa nei limiti della lotta alle frodi a danno del bilancio europeo, non dovranno essere estesi a tutti i reati transfrontalieri o, se si vuole essere precisi, federali nella prospettiva di un diritto penale europeo?
E poiché abbiamo parlato del bilancio, si può immaginare una unione in cui l’adesione di paesi con un livello di prodotto interno lordo molto inferiore alla media europea con conseguenze finanziarie elevate nella politica di coesione economica, sociale e territoriale avrebbe l’effetto di aumentare il numero dei paesi che - dal punto di vista puramente contabile e in un sistema di entrate fondato essenzialmente sui contributi nazionali – passerebbero dallo stato di beneficiari a quello di contributori netti?
E poiché il bilancio è l’immagine finanziaria delle politiche comuni, si può pensare di mantenere inalterate le regole della politica agricola dopo le tensioni nate sulla questione del grano?
Quale sarà la politica del benessere europeo (che ha posto al suo centro il tema del salario minimo) nell’Unione allargata?
E come saranno gestite le regole relative alle quattro libertà essenziali nel mercato unico della circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali?
In una dimensione geopolitica e di fronte alle sfide a cui l’Unione europea sarà chiamata a rispondere, potrà essere mantenuta la ripartizione decisa a Lisbona fra competenze esclusive (a cominciare dalla politica della concorrenza e dal commercio internazionale), concorrenti o condivise e di sostegno (fra cui la salute e l’industria)?
Last but not least, quali saranno le regole per garantire il rispetto dello stato di diritto e la protezione dei diritti fondamentali per tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione a cominciare da tutte le minoranze?
Si può ragionevolmente pensare che la sfida dell’allargamento da ventisette a trentasei paesi possa essere affrontata e vinta limitandosi all’applicazione della clausola della passerella nel settore della politica estera e della sicurezza che comprende anche la dimensione della difesa comune?
Hic Rhodus hic salta, si dovrebbe dire sollecitando il gruppo di esperti franco-tedesco ad offrire ai loro governi un quadro dei problemi che dovranno essere affrontati dalla futura Unione suggerendo un piano più ambizioso di riforma europea che comprenda il contenuto di un progetto (federale), di un metodo (costituente) e di un’agenda (nei limiti temporali della prossima legislatura europea).
Si tratta di un piano che dovrebbe essere posto al centro delle priorità dei partiti politici europei che vorranno indicare ai loro elettori e alle loro elettrici la loro visione del futuro dell’Europa.
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