DIFESA COMUNE E SICUREZZA IN EUROPA
QUALI VIE PER LA COSTRUZIONE DELLA PACE
Eve of Destruction fu, a metà degli anni ’60, la canzone-simbolo di Barry McGuire contro l’inutilità della guerra, di qualunque guerra, della denuncia dell’esplosione del mondo nelle mani delle potenze nucleari e dell’assurdità di sistemi che mandavano a combattere ragazzi di diciotto anni “abbastanza grandi per uccidere ma non abbastanza grandi per votare”.
Quasi sessanta anni dopo, il mondo rischia nuovamente di esplodere nelle mani delle stesse potenze nucleari che le possedevano allora, di Stati con armi nucleari non dichiarate o in via di costruzione e di Stati che aderiscono alla condivisione di armi nucleari, nonostante il Trattato sulla non proliferazione nucleare (TNP) firmato nel 1968 ed entrato in vigore nel 1970.
Si calcola che nel mondo ci siano oggi oltre quindicimila ordigni nucleari la cui esplosione contemporanea causerebbe la distruzione dell’umanità se organizzata in modo da colpire tutte le aree del pianeta.
Nonostante questi imponenti arsenali, l’opinione diffusa nelle capitali degli Stati che governano – o pensano di governare – il mondo è che le armi nucleari non saranno usate per vincere un conflitto sul terreno; che USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito non rinunciano all’arma nucleare come uno degli strumenti per mantenere il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite attribuito loro come potenze vincitrici e che il possesso o la condivisione delle armi nucleari abbiano invece una funzione di deterrenza per conservare il ruolo di attori geopolitici in aree di permanenti tensioni nel mondo (India e Pakistan, Corea del Nord, Israele, Iran, Turchia).
Ciò non vuol dire che il mondo non rischi di essere alla vigilia della sua distruzione perché il gran numero di conflitti che hanno insanguinato il mondo dal 1945 ad oggi e che nella maggior parte dei casi sono apparse come guerre civili o sono rimasti chiusi all’interno di una ben delimita area regionale possono improvvisamente espandersi e coinvolgere direttamente potenze con ambizioni extra-regionali o mondiali.
Di fronte a questa situazione di una possibile esplosione di ulteriori conflitti armati sul continente europeo e nel mondo, si pone con urgente drammaticità la questione del ruolo planetario che può essere svolto dall’Unione europea (Ue) nell’ambito della sua autonomia strategica per costruire e mantenere la pace già a trattato costante mettendo a disposizione gli strumenti militari e civili di cui l’Ue dispone o che potrebbero essere dispiegati in tempi rapidi rafforzando nello stesso tempo lo strumento europeo per la pace (European Peace Facility) che dovrà essere dotato a termine di vere risorse proprie e di titoli di debito pubblico europeo – come è stato già proposto dal Movimento europeo nel suo piano sulla capacità fiscale dell’Ue - al fine di rendere le cittadine e i cittadini europei pienamente consapevoli della missione di pace e di sicurezza dell’Ue.
Affinché tutto questo avvenga nel rispetto del Trattato e di decisioni che siano fondate su un sostegno democratico incontestabile, il Parlamento europeo dovrebbe dedicare a queste questioni i due dibattiti pubblici annuali previsti dall’art. 35 del Trattato sull’Unione europea invitando a partecipare i membri delle commissioni affari esteri e della difesa dei parlamenti nazionali al fine di controllare i progressi realizzati dall’Ue sulla via della difesa e della sicurezza comune.
1. Il conflitto in Ucraina
Il primo scenario è naturalmente quello provocato dall’aggressione della Russia all’Ucraina in cui l’estensione del confitto al di fuori del territorio ucraino fa parte della evoluzione possibile se non probabile della guerra in atto sia perché sul terreno abbiamo assistito fin dall’inizio o anche prima del 24 febbraio ad una situazione militare di co-belligeranza da una parte e dall’altra sia perché resta immutata la volontà di Vladimir Putin di ricostruire pezzo dopo pezzo la “grande Russia”.
Poiché non è né militarmente né politicamente immaginabile una vittoria totale della Russia ed una sua conquista dell’intera Ucraina e poiché la Russia ha ribadito che non accetterà mai che la regione del Donbass si trasformi in un enclave autonomo all’interno dell’Ucraina secondo il modello italiano dell’Alto Adige o Sud-Tirolo, la strada del compromesso potrebbe passare teoricamente dal modello applicato nel 1953 con l’accordo di armistizio coreano all’altezza del 38mo parallelo sapendo tuttavia che da allora in poi non è stato mai firmato un trattato di pace e che la guerra fredda in quella regione non è mai finita.
Al contrario della Corea del Nord e della Corea del Sud, Stati totalmente indipendenti, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina all’Ue renderebbe invece inevitabile l’attribuzione alla stessa Ue del ruolo di controllo sulla smilitarizzazione del confine fra l’Ucraina e il Donbass mettendo sotto la responsabilità della difesa e della sicurezza europea la frontiera fra l’Ucraina e la Russia e il transito della Russia verso Kaliningrad ma riconoscendo alla Russia il pieno controllo della Crimea.
2. La sicurezza dell’Ue ai confini con la Federazione Russa
La stessa questione si pone in tempi più immediati per quanto riguarda la protezione di tutta la frontiera dell’Ue verso la Federazione Russa ai confini della Finlandia, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania e, un domani, della Georgia così come del controllo nel Mar Nero avviando se necessario una cooperazione strutturata permanente per assicurare la difesa di quei confini anche dal punto di vista della lotta alla criminalità organizzata, del governo dei flussi migratori e commerciali facendo evolvere la “bussola strategica” adottata dal Consiglio europeo verso una dimensione sovranazionale/federale con il potere di comando militare e di decisione politica attribuito all’Ue anche attraverso l’integrazione dell’Eurocorpo - rafforzato da unità non solo di terra ma anche della marina e dell’aviazione – nella stessa “bussola strategica”.
3. La sicurezza e la pace nei Balcani occidentali
Last but not least si porrà a breve la questione dell’integrità territoriale e della inviolabilità della Bosnia Erzegovina (lasciando per ora ma solo provvisoriamente da parte il Kosovo) di fronte alla minaccia di secessione della regione serbo-bosniaca che coincide non casualmente con la fine del mandato dei Caschi Blu e con l’annuncio del diritto di veto della Russia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un diritto fondato sulla forza e non sulla legalità che si accompagna alla crescente vendita di armamenti della Federazione Russa alla Serbia.
Anche nei Balcani occidentali si pone dunque la questione del ruolo della “bussola strategica” dell’Ue se dovranno essere fatti concreti e ulteriori passi in avanti sulla via di una vera difesa europea comune partendo dalle strutture già esistenti con il Trattato di Lisbona nel quadro di una ripresa delle prospettive di allargamento verso quella regione (ora aperte anche verso l’Albania e la Macedonia del Nord) che non debbono essere schiacciate dall’accelerazione del dialogo con i paesi dell’Europa orientale in tempo di guerra e avviando contemporaneamente a soluzione la divisione de facto di Cipro fra la zona turco-cipriota su cui il governo di Nicosia non esercita un effettivo controllo e la parte principale nonostante il fatto che tutta l’isola sia territorio Ue.
4. Helsinki-II, la Comunità geopolitica europea e il processo costituente
Tutte queste questioni dovranno far parte delle priorità strategiche che l’Ue dovrà mettere sul tavolo di una Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Helsinki-II), sollecitata più volte dal Movimento europeo insieme al rilancio della cooperazione fra l’Ue e i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) ed al partenariato con l’Unione africana (Ua) e far parte dell’agenda della futura Comunità geopolitica europea nella prospettiva di un processo di integrazione europea differenziata i cui contorni emergeranno durante la fase costituente da avviare con la prossima legislatura europea.
Roma, 18 luglio 2022
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