Il metodo necessario per passare dall’Unione sui generis al sistema federale
Il segretario di Stato francese agli affari europei nel governo Castex, Clément Beaune, ha annunciato alla riunione dei Consiglio affari generali (in sigla GAC) da lui presieduta che la Francia intende sottomettere agli altri governi due documenti sulla Conferenza per il futuro dell’Europa in tempo utile prima della sessione di chiusura del 9 maggio a Strasburgo sapendo che gli orientamenti emersi dalle tre P (quattro panel delle cittadine e dei cittadini estratti a sorte, piattaforma digitale e sessioni plenarie che si sono suddivise in gruppi di lavoro sui nove temi prioritari della Conferenza) saranno sintetizzati nelle plenarie del 25 e 26 marzo e dell’8 e 9 aprile.
Un documento riguarderà le conseguenze dei dibattiti di una Conferenza che è stata fortemente voluta da Emmanuel Macron nella sua lettera agli Europei del 9 marzo 2019 e che il presidente francese candidato alla sua rielezione intende usare politicamente alla vigilia delle presidenziali del 10 e 24 aprile.
Il secondo documento riguarderà delle proposte che il governo francese intende sottoporre agli altri governi e certamente alle istituzioni europee sul “metodo e l’agenda” del dibattito che farà seguito alle conclusioni della Conferenza.
Nonostante il lavoro svolto dalle organizzazioni della società civile, a cui partecipano i federalisti europei all’interno della delegazione del Movimento europeo internazionale, e all’impegno dei partner sociali è difficile affermare che la Conferenza sia stata finora un vero successo in termini di mobilitazione popolare e di dibattito fra le opinioni pubbliche nei paesi membri e fra i paesi membri.
Non sarà semplice selezionare dalle molte raccomandazioni delle proposte precise che consentano di definire il futuro percorso ma anche lo spazio in cui si dovrà muovere il destino dell’Unione europea per i prossimi anni.
Noi siamo convinti che questo lavoro di selezione dovrà essere avviato rapidamente dalla Commissione europea – e auspichiamo che ad esso sia dedicato il discorso della presidente Ursula von der Leyen di metà settembre sullo “stato dell’Unione” – e dal Parlamento europeo più che dal Consiglio o dal Consiglio europeo dove prevale per logica istituzionale la contrapposizione fra apparenti interessi nazionali e che questo lavoro si concluda entro la fine del 2022 perché le opinioni pubbliche attendono delle risposte sul loro futuro in Europa e nel mondo.
Per quel che è emerso dai panel transnazionali, sui quali bisogna dare atto a chi la ha organizzati di essere riuscito a far funzionare un complicato meccanismo di democrazia partecipativa inadeguatamente compensato da uno scarso dibattito fra cittadine e cittadini da una parte e rappresentanti delle istituzioni dall’altra, e per quel molto poco che è emerso dalla piattaforma digitale gli orientamenti maggioritari vanno nel senso della volontà – ci si passi la sintesi – di più sovranità europea in un mondo in cui gli Stati europei hanno già perso una buona parte della sovranità nazionale.
Nel gran numero di raccomandazioni è molto difficile attribuire alle cittadine e ai cittadini una chiara volontà di andare al di là dell’Unione attuale - che è ancora una organizzazione internazionale sui generis dove il Consiglio europeo ha occupato da Lisbona in poi una parte preponderante della scena europea – verso un sistema autenticamente federale ma ancor di più è apparsa estremamente minoritaria l’idea di chi ritiene che debba essere fatto un salto all’indietro verso la cosiddetta “Europa delle patrie”.
Come sanno le nostre lettrici e i nostri lettori noi siamo convinti che solo un sistema federale multilivello – mai sperimentato nella sua globalità in Europa anche se esso ha dato un’ottima prova di sé nelle tre istituzioni di natura federale: la Corte di Giustizia, in primo luogo, il Parlamento europeo e infine la BCE – può assicurare alle cittadine e ai cittadini beni pubblici che sfuggono al controllo dei governi nazionali:
- In primo luogo, la sicurezza e cioè la deterrenza verso i paesi vicini ad Est e nei confronti del Mediterraneo il che non vuol dire disporre di un unico esercito europeo ma del potere di influire con efficacia nella politica estera, della sicurezza e della difesa. Nonostante gli apparenti passi in avanti nel settore della difesa, l’inesistenza dell’Unione europea nella vicenda ucraina e prima nello scontro fra Polonia e Bielorussia per non parlare dei vari teatri medio-orientali e dell’Africa ha evidenziato il fatto che l’Europa non ha un potere deterrente. Creare un sistema federale vuol dire attribuire all’Unione europea una competenza esclusiva in materia di politica estera e di sicurezza con decisioni a maggioranza anche se per un lungo periodo di tempo il potere di decisione dovrà essere attribuito al Consiglio.
- In secondo luogo, l’autonomia strategica nel settore industriale ed energetico dove l’Unione europea è fortemente dipendente dall’estero se pensiamo all’intelligenza artificiale e all’approvvigionamento in materie prime. In questi settori bisogna passare dalla competenza cosiddetta di sostegno che copre tutta la politica industriale e impone forti vincoli all’azione dell’Unione in materia energetica ad una competenza concorrente in base a cui gli Stati possono legiferare nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria competenza.
- In terzo luogo, il controllo delle frontiere esterne con particolare riferimento alle politiche migratorie e ai richiedenti asilo dove in un sistema federale la competenza deve essere attribuita in via esclusiva all’Unione europea togliendo agli Stati il potere di governare sul loro territorio i flussi migratori.
- In quarto luogo la dimensione sociale dove per un lunghissimo periodo di tempo i trattati di Roma non fecero propria la logica della CECA secondo cui le misure europee in materia delle politiche del mercato dell’acciaio e del carbone dovevano farsi carico delle conseguenze sociali delle misure europee. Nonostante i passi in avanti fatti da Maastricht in poi, resta ancora forte la discrasia fra la politica economica e politica sociale ed è sostanzialmente inapplicata la “clausola sociale orizzontale” in cui l’obiettivo della piena occupazione dell’art. 2 è stato peraltro sostituito da quello più limitato della “promozione di un livello più elevato di occupazione” con l’aggiunta del divieto di armonizzare i sistemi nazionali e il mantenimento del voto all’unanimità nella protezione sociale dei lavoratori e nella difesa collettiva dei lavoratori su cui ci si era scontrati del resto al momento della redazione della Carta dei diritti. Nel caso della politica sociale si tratta di superare i limiti del Trattato che attribuisce all’Unione europea in molti settori una competenza di sostegno e di incoraggiamento “alla cooperazione fra gli Stati membri” trasferendo queste competenze nella lista di quelle concorrenti.
- Più in generale e in quinto luogo appare necessario dotare l’Unione europea di quelle che Willy Brandt da cancelliere federale aveva chiamato una “politica della società” (Gesellschaftpolitik) che comprenda fra le competenze concorrenti la salute, la cultura, l’educazione e la formazione, la protezione civile e che invece nel trattato sono relegate fra le competenze di sostegno.
- In sesto luogo e per quanto riguarda l’unione economica e monetaria si deve ancora superare la schizofrenia avvertita da Tommaso Padoa-Schioppa fra decisioni economiche europee e poteri nazionali e la zoppia di Carlo Azeglio Ciampi fra politica economica e politica monetaria in una dimensione sovranazionale mettendo queste questioni al centro della riforma della governance
- Last but not least l’autonomia strategica è strettamente legata ad una vera capacità fiscale dell’Unione europea autonoma dagli Stati membri in termini di risorse proprie insieme ad un potere costituzionalmente sancito di creare debito pubblico europeo anche attraverso titoli permanenti europei come fu proposto dal governo spagnolo destinati a creare un azionariato pubblico europeo.
Ci sono tre vie apparentemente alternative per creare un sistema federale multilivello: le prime due sono state sperimentate più volte nella storia dell’integrazione europea e la terza fu tentata dal Parlamento europeo nella sua prima legislatura.
La prima via è quella del gradualismo immaginato da Jean Monnet e chiamato successivamente da Jacques Delors “il metodo dell’ingranaggio”. È la via di chi ritiene che i progressi dell’Unione europea possano essere garantiti a trattato costante o sperando che Il Consiglio europeo applichi la clausola “della passarella” per il passaggio dal voto all’unanimità o usando le cooperazioni rafforzate o strutturate a cui si associano con una evidente forzatura il trattato di Schengen e la creazione dell’Eurozona. Appare evidente che se si volessero raggiungere i sette obiettivi sopra indicati non si possa seguire questa via sostanzialmente immobilista.
La seconda via è sostenuta da chi ritiene che si possano innestare nei trattati attuali elementi di federalismo - che fino al 2009 richiedevano una conferenza intergovernativa come è avvenuto cinque volte senza un passaggio sostanziale ad un sistema federale - attraverso la convenzione prevista dall’articolo 48 del Trattato di Lisbona e fino ad ora mai applicata. Anche se questa convenzione fosse battezzata “costituente” le sue raccomandazioni - decise secondo il principio del consenso – dovranno essere comunque sottomesse ad un negoziato intergovernativo, ad una decisione unanime dei governi e all’unanimità delle ratifiche nazionali.
Noi continuiamo a ritenere che la strada più efficace e democraticamente più solida è quella di riconoscere nel Parlamento europeo che sarà eletto nel 2024 un ruolo sostanzialmente costituente sottoponendo il progetto che esso avrà elaborato direttamente alle ratifiche nazionali o per via parlamentare o per via di un referendum paneuropeo.
In ogni caso, sarà necessario prevedere forme innovative di integrazione differenziata nel caso in cui alcuni parlamenti decidano di non ratificare o di posticipare sine die la proposta del Parlamento europeo o se in alcuni paesi il risultato del referendum europeo fosse negativo.
Al fine di garantire la formazione di una coscienza politica europea (favorevole o contraria ad una maggiore integrazione) e l’espressione collettiva della volontà dell’insieme delle cittadine e dei cittadini europei sarà necessario prevedere che le ratifiche nazionali o il referendum paneuropeo avvengano – come le elezioni europee – durante la stessa settimana.
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