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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee del maggio 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Ultime da Bruxelles

- Europa dei diritti

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

Cinque ipotesi per la pace in Ucraina

Volodymir Zelensky torna a Kiev dal suo viaggio a Roma, Berlino e Parigi con molte buone promesse ma con pochi passi in avanti non solo rispetto allo stato del conflitto militare che, al di là della propaganda da una parte e dall’altra, è di fatto congelato da mesi ma soprattutto rispetto alle prospettive di una interruzione di quella che fu definita da Vladimir Putin come una “operazione militare” e ancor di più al ritiro delle truppe russe e del Gruppo Wagner dai territori illegittimamente occupati dalla Federazione Russa dopo il 24 febbraio 2022 che coprono un quinto del paese ed una linea del fronte di 1500 km dalle regioni orientali di Luhans’k e Donetsk a Zaporizhzhya e Kherson a sud.

Nonostante il progressivo aumento degli aiuti militari a Kiev di decine di paesi nel mondo a cui si unisce l’addestramento dell’esercito e dell’aviazione nell’uso di armi di difesa e di attacco avviato da USA e Regno Unito già prima dell’attacco russo, le forze armate dell’Ucraina non sono in grado – contrariamente a quel che è stato da più parti dichiarato – di “vincere la guerra” e di costringere così la Russia ad una resa incondizionata.

Per evidenti ragioni sia tattiche che geopolitiche, l’Unione europea ed i suoi paesi membri non possono  rispondere positivamente ad alcune richieste di Volodymir Zelensky che secondo l’Ucraina  potrebbero contribuire ad una svolta decisiva nel conflitto come l’invio di missili, veicoli blindati, anti-droni, munizioni così come persiste l’ostilità dell’Occidente alla creazione di una “no-fly zone” e ancor di più il non possumus corale degli USA e della maggior parte degli Europei all’adesione dell’Ucraina alla NATO in tempo di guerra che Kiev vorrebbe ottenere come segnale politico al Vertice di Vilnius del 10 luglio insieme ai tempi lunghi dei negoziati per l’ingresso come membro di diritto nell’Unione europea sapendo che l’una e l’altro richiedono le ratifiche nazionali di tutti i paesi membri in alcuni casi per referendum.

E’ evidente alle autorità dell’Ucraina che il congelamento del conflitto militare giocherebbe a tutto vantaggio della Russia, che il rinvio della più volte preannunciata contro-offensiva ucraina rischierebbe di provocare una riduzione degli aiuti militari dell’Occidente e che potrebbero crescere in alcuni paesi europei le pressioni politiche di chi ritiene che debba essere riaperta la via di un dialogo con la Russia, una via respinta come un inaccettabile segnale di resa da Volodymir Zelensky nei suoi incontri a Roma, Berlino e Parigi e in particolare nel suo colloquio con Jorge Bergoglio.

Noi riteniamo che l’Unione europea, confermando il pieno sostegno all’Ucraina nella difesa della sua libertà e del diritto alla inviolabilità del suo territorio insieme all’impegno alla ricostruzione del paese, dovrebbe iniziare a riflettere sulle ipotesi per un avvio di un dialogo indispensabile al raggiungimento di un “cessate il fuoco” e poi dell’inizio di un processo che porti ad una pace duratura ai suoi confini essendo chiaro che la definizione delle condizioni per un accordo appartengono in primo luogo alle autorità  dell’Ucraina e cioè al suo governo e al suo parlamento che sarà rinnovato nelle elezioni legislative che avranno luogo entro l’estate del 2024.

A nostro avviso le ipotesi per l’avvio del dialogo dovrebbero essere basate sui seguenti cinque elementi che potrebbero costituire un embrione di un “piano di pace” dell’Unione europea inserito nel quadro di una visione complessiva della cooperazione e della sicurezza sul continente che potrebbe assumere la forma di un accordo o di un trattato che si ispiri al metodo dei negoziati che condussero nel 1975 alla Dichiarazione di Helsinki e poi nel 1990 alla Carta di Parigi:

  -   La garanzia della integrità territoriale e della inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina definite in occasione della sua indipendenza nel 1991 alla caduta dell’Unione Sovietica;

  -  L’attribuzione alle regioni di Donec’k, Luhans’k e della Crimea dell’autonomia secondo un modello federale e ispirandosi all’esempio degli accordi De Gasperi-Gruber applicati all’Alto Adige con l’Accordo di Parigi del 5 settembre 1946;

  -   L’adesione dell’Ucraina all’Unione europea al termine dei negoziati di adesione, sulla base delle condizioni stabilite dall’art. 49 del Trattato sull’Unione europea e nel quadro del processo di allargamento ai paesi candidati dei Balcani Occidentali e dell’Europa orientale (Moldavia e Georgia) che prevede:

  • l’accettazione piena e integrale dei principi contenuti nel preambolo del Trattato di Lisbona ivi compreso il processo di una unione sempre più stretta le cui basi dovranno essere gettate entro la prossima legislatura europea superando lo stesso Trattato di Lisbona secondo un metodo democratico costituente,
  • il rispetto dei valori comuni definiti nell’art. 2 e dello Stato di diritto insieme al primato del diritto dell’Unione,
  • il principio della cooperazione leale previsto dall’art. 4 del Trattato sull’Unione europea e della solidarietà previsto dagli articoli 80 e 222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
  • l’adesione alla Carta dei diritti fondamentali,
  • e l’applicazione dell’art. 42.7 che prevede l’aiuto e l’assistenza degli Stati membri ad uno Stato oggetto di una aggressione armata sul suo territorio conformemente all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.

  -   L’applicazione all’Ucraina delle stesse condizioni di neutralità adottate al tempo dell’adesione dell’Austria all’Unione europea nel 1995.

  -   In questo spirito e in questa logica la decisione di escludere l’adesione dell’Ucraina alla Organizzazione dell’Atlantico del Nord e alle sue strutture militari.

Questi elementi dovrebbero essere presentati dall’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite secondo l’art. 34.2 del Trattato sull’Unione europea, al Vertice della Nato di Vilnius e al Vertice dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa associandoli alla richiesta di convocare una Conferenza ispirata agli Accordi di Helsinki del 1975 e alla Carta di Parigi del 1990.

Roma, 15 maggio 2023

coccodrillo

 

 

 

 


ULTIME DA BRUXELLES

Un nuovo inizio per le finanze dell’UE, un nuovo inizio per l’Europa

1.   Il 10 maggio scorso il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che porta lo stesso titolo di questo articolo: essa si occupa di risorse proprie e si salda strettamente con tutte le misure finanziarie che sono state assunte nel dicembre del 2020 per consentire all’Unione di mettere a regime tutte le conseguenze derivanti dall’adozione di quell’iniziativa che porta il nome di Next Generation EU (NGEU).

Lo sforzo di allora è stato imponente: le istituzioni europee, nell’arco di pochi giorni (fra il 14 e il 17 del mese), hanno costruito un intervento finanziario che:

  • collega il NGEU a nuove risorse proprie, una eccezionale (i prestiti sui mercati finanziari), l’altra messa a regime (la plastic tax), altre ancora solo programmate (Decisione 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020);
  • inserisce il NGEU entro il “Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027-QFP” (Regolamento UE, Euratom 2020/2093 del Consiglio, del 17 dicembre 2020), ragguardevole tanto per dimensioni che per azioni: il QFP 2021-2027 ammonta a 2081,5 miliardi di euro;
  • fonda la disciplina di bilancio su un Accordo interistituzionale tra Parlamento, Consiglio e Commissione europei (16 dicembre 2020) per rafforzare la cooperazione in materia di bilancio e la sana gestione finanziaria;
  • protegge tutte tali risorse con una disciplina che detta un regime generale di condizionalità legato ai valori che nell’Unione e nei Paesi membri sostanziano lo Stato di diritto (Regolamento UE, Euratom 2020/2092 del 16 dicembre 2020).

Queste iniziative hanno consentito l’approvazione nel 2021 del Dispositivo di Ripresa e Resilienza (Regolamento UE 2021/241), il cui precipitato sono 27 Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza e il “Technical Support Instrument – TSI a sostegno degli Stati per accompagnarli nell’adempimento delle raccomandazioni adottate nel quadro del “Semestre europeo” (Regolamento UE 2021/240).

Sembrerebbe dunque inutile tornare sul tema, visto lo sforzo dispiegato.

Non è così invece, perché il disegno è stato soltanto abbozzato e iniziato, richiede manutenzione e perfezionamenti importanti. Proprio di questo tratta la risoluzione del Parlamento europeo di cui qui oggi si tratta.

2. Anzitutto vale la pena di chiarire il quadro concettuale: Le risorse proprie sono quei cespiti finanziari che ai sensi dei Trattati (art. 311.1 TFUE) rappresentano per l’Unione i «mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche».

Sempre secondo i Trattati (art. 311.2 TFUE), il bilancio dell’Unione, «fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie».

Così oggi non è: il bilancio dell’Unione è finanziato per la massima parte da contributi basati sul reddito nazionale lordo (RNL) i quali rappresentano pressappoco il 70% del totale delle entrate europee ( ttps://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/27/entrate-dell-unione). 

Inoltre, la ricordata Decisione del Consiglio del 14 dicembre 2020, n. 2020/2053, ha avviato un processo che deve essere perfezionato: essa, infatti, ha autorizzato la Commissione europea a raccogliere risorse in via eccezionale, per le sole esigenze del NGEU, sul mercato dei capitali indebitandosi tramite l’emissione di obbligazioni garantite dal bilancio europeo e da restituire integralmente nel periodo compreso fra il 2028 e il 2058. E ha aperto alla possibilità di istituire nuove risorse proprie.

Il Parlamento ricorda con questa risoluzione una serie di conseguenze derivanti da questa Decisione.

Anzitutto «l’assenza di riforme [ovvero se non si darà seguito ai progettati sviluppi] avrà effetti estremamente negativi sul futuro dell’Unione europea e sulle sue politiche» (punto 1); e in secondo luogo – ma non meno importante – le nuove risorse da creare sono necessarie «per evitare che la prossima generazione di europei paghi il prezzo per il rimborso del capitale e degli interessi dei fondi presi a prestito nell’ambito di NextGenerationEU, attraverso un aumento degli oneri a carico dei contribuenti o tagli ai normali programmi dell’Unione che incidono direttamente sui beneficiari e sui titolari dei progetti» (punto 8).

L’indebitamento miliardario che l’Unione si è assunto obbliga a trovare un nuovo equilibrio tra le entrate (punti 11-14) e dunque a dar seguito al progetto di istituire forme di tassazione basate sul sistema di scambio di quote di emissione (ETS), sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), sulla tassazione delle imprese (BEFIT: punto 15), sulle transazioni finanziarie (punto 18), sulle criptovalute (punto 19), nonché a deliberare che qualunque entrata derivante da politiche dell’Unione (ivi compreso il gettito che proviene dalle sanzioni pecuniarie) deve essere conferita al bilancio comune.

Il Parlamento conclude icasticamente che «l’attuale finanziamento del bilancio dell’Unione è in contrasto con quanto inteso dai padri fondatori e con lo spirito dei trattati» (punto 38): conclusione con la quale non si può non essere d’accordo.

Su queste conclusioni vale la pena di ricordare le proposte avanzate più volte dal Movimento europeo in collaborazione con il Centro Studi sul federalismo (in allegato), con il Centro per l’Economia Reale (in allegato) e a seguito delle iniziative della Commissione europea per la revisione del Patto di Stabilità e Crescita (in allegato).

3. Ma perché la questione è importante anche di più di quanto fin qui espresso?

Il sistema di finanziamento di un ente (interno o internazionale che sia, la distinzione è irrilevante) determina la misura dell’ente stesso di autodeterminarsi. L’organizzazione internazionale (anche l’Unione europea appartiene a questa categoria) è un ente derivato dalla volontà degli Stati, i quali non cessano di ricordare che essi sono i padroni dei trattati!!!, e dunque non potrà – se conserverà la forma attuale – autodeterminarsi totalmente.

Ma godere di risorse che derivano dalle competenze che essa esercita valorizza la sua capacità di fare scelte politiche indipendenti da spinte eccentriche impresse da uno Stato e da un gruppo minoritario di Stati membri. Dà autorevolezza alle proposte strategiche della Commissione, come peraltro la prassi si è incaricata di dimostrare proprio nell’occasione della pandemia e, ancora, a proposito delle conseguenze della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, con le conseguenze che si sono prodotte sul mercato delle materie prime e delle fonti energetiche.

Inoltre, il fatto che l’Unione goda di risorse proprie manifesta in concreto l’esistenza di un rapporto di governo che corre direttamente fra l’Organizzazione con i propri cittadini e con le imprese che lavorano nel «mercato interno».

Dunque, l’auspicio è che il Consiglio prenda sul serio la risoluzione del Parlamento ed eserciti la competenza normativa che il Trattato gli conferisce nella materia del sistema delle risorse proprie (art. 311.3-4 TFUE).

Nicoletta Parisi

Vicepresidente Movimento europeo

15 maggio 2023

 

 


EUROPA DEI DIRITTI

Lo stato di diritto nell’ultima giurisprudenza della Corte di giustizia sul caso rumeno e su quello polacco

        1. L’enforcement del valore  (art. 2 TUE) della rule of law prosegue nella giurisprudenza della Corte di giustizia; si tratta di una catena narrativa dispiegatasi ormai da alcuni anni che origina dalla decisione del 2018 (24 febbraio, C-64/2016, Associação Sindical dos Juízes Portugueses) con la quale la Corte ha ritenuto che i sistemi giudiziari nazionali, in quanto deputati ad applicare il diritto dell’Unione (ex art. 19 del TFUE) siano suscettibili di una verifica del rispetto della norma che, nel sistema della Carta, garantisce la protezione giudiziaria dei diritti fondamentali e cioè il suo art. 47, che a sua volta presuppone meccanismi istituzionali adeguati a presidio dell’autonomia ed indipendenza della magistratura. La Corte ha chiarificato esplicitamente che  << l’articolo 2 TUE, l’Unione si fonda su valori, come lo Stato di diritto, che sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata, in particolare, dalla giustizia. Va rilevato, al riguardo, che la fiducia reciproca tra gli Stati membri e, segnatamente, i loro giudici si basa sulla premessa fondamentale secondo cui gli Stati membri condividono una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, come precisato nel suddetto articolo 2 TUE …L’Unione è un’Unione di diritto in cui i singoli hanno il diritto di contestare in sede giurisdizionale la legittimità di qualsiasi decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all’applicazione nei loro confronti di un atto dell’Unione.. L’articolo 19 TUE, che concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE, affida l’onere di garantire il controllo giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione non soltanto alla Corte, ma anche agli organi giurisdizionali nazionali>> (punti 30-32). Pertanto si è stabilito un collegamento diretto tra la salvaguardia del “valore” della rule of the law , l’art. 19 del TFUE(che potremmo indicare come un “norma ponte” tra l’elenco dei valori e i diritti della Carta) e il fundamental right di cui all’art. 47 sicché per garantire lo stato di diritto in tutti gli stati membri non è più imprescindibile utilizzare l’”arma nucleare” dell’art. 7; anzi l’esistenza di sentenze che accertano la violazione della Carta toglierebbe all’art. 7 quell’ombra di indeterminatezza ed eccessiva discrezionalità ancorando tale procedura a precisi riscontri giudiziari. Su questa base la Corte di giustizia ha giudicato contrarie al diritto dell’Unione il complesso di riforme disposte dal Governo polacco nel campo giudiziario, così come tutte le omissioni strutturali dei paesi che rendono impossibile l’operatività dello spazio giudiziario europeo non assicurando un trattamento umano e dignitoso dei detenuti. Da ultimo la sentenza di altissimo respiro della Grande Chambre del 20 aprile 2021, C-896/2019, Repubblika, ha affermato il principio per cui l’art. 2 TUE stabilisce un principio di non regresso nei valori fondanti l’Unione, nel caso esaminato il rispetto dello stato di diritto,  sicché <<gli stati membri sono tenuti a provvedere affinché sia evitata qualsiasi regressione, riguardo ai detti valori, della loro legislazione in materia di organizzazione della giustizia, astenendosi dall’adottare qualsiasi misura che possa pregiudicare l’indipendenza dei giudici>> (punto 64) a meno di  violare sia l’art. 19 TUE sia l’art. 47 della Carta. Tuttavia questi principi non riguardano le sole Polonia ed Ungheria ma disgraziatamente anche altri stati come, in particolare la Romania, oggetto di altre condanne da parte dei Giudici del Lussemburgo verso cui si è anche ribellato il supremo Organo giudiziario di quel paese ([1]). Con la sentenza dell’11 maggio 2023 R.I. c. Inspectia Judiciar, C-871/21 la Corte si occupa dell’indipendenza e dell’imparzialità dell’Ispettorato giudiziario rumeno deputato ad accertare eventuali violazioni disciplinari dei giudici di quel paese in quanto i poteri dell’Ispettore capo sembrerebbero in tensione con i principi prima indicati (art. 19.2 TUE) per il sistema di nomina dello stesso, per la sua possibile interferenza nei confronti dell’operato dei vari ispettori giudiziari,  per la scelta o la possibilità  carriera di quest’ultimi ed infine per la difficile sindacabilità delle stesse decisioni adottate. Il caso deriva da una serie di esposti disciplinari proposti da un cittadino rumeno nei confronti di alcuni giudici con decisioni tutte di archiviazione da parte dell’Ispettorato, l’ultima delle quali annullata dai giudici ordinari e poi riproposta dallo stesso organo ispettivo. Il cittadino alla fine adiva nuovamente il giudice esponendo che il sistema non gli consentiva di poter fare accertare gli illeciti disciplinari (in quanto nessuna indagine ispettiva era stata svolta) e che l’Ispettore capo aveva in sostanza coperto alcuni magistrati confidando sui poteri di cui godeva: il ricorrente prospettava quindi una carenza di indipendenza e imparzialità relativamente al sistema ispettivo  rumeno alla luce dell’art. 19.2 del TUE le cui modalità organizzative e decisionali portavano ad una totale inerzia degli organi deputati alla verifica della veridicità degli esposti.

La Corte rammenta (punto 40) che

“l’esistenza stessa di un controllo giurisdizionale effettivo destinato ad assicurare il rispetto del diritto dell’Unione è intrinseca ad uno Stato di diritto. A questo titolo, e come previsto dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, spetta agli Stati membri prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che garantisca ai singoli il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. Il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, cui fa riferimento l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

La normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione della decisione 2006/928 (che riguarda la lotta alla corruzione) e quindi deve rispettare le prescrizioni derivanti dal diritto dell’Unione, in particolare dall’articolo 2 TUE e dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE visto che disciplina l’organizzazione e il funzionamento di un organo che, come l’Ispettorato giudiziario, è competente a condurre le indagini e ad esercitare l’azione disciplinare nei confronti di tutti i giudici rumeni e, quindi, dei giudici ordinari chiamati a pronunciarsi su questioni connesse all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione. Qui la Corte ribadisce i principi già sviluppati nelle precedenti sentenze e chiama in gioco d’ufficio (in quanto non richiamata nelle questioni sollevate nell’ordinanza di rinvio) il  rispetto dell’art. 47 della Carta dei diritti (punti 45 e 46)

“Ebbene, per garantire che organi che possono essere chiamati a statuire su questioni connesse all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione siano in grado di garantire la tutela giurisdizionale effettiva richiesta da tale disposizione, è di primaria importanza preservare l’indipendenza dei medesimi, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, che menziona l’accesso a un giudice «indipendente» tra i requisiti connessi al diritto fondamentale a un ricorso effettivo; Il requisito dell’indipendenza degli organi giurisdizionali, che deriva dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, presenta due aspetti. Il primo aspetto, di carattere esterno, richiede che l’organo interessato eserciti le sue funzioni in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo gerarchico o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, con la conseguenza di essere quindi tutelato dagli interventi o dalle pressioni esterni idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e a influenzare le loro decisioni. Il secondo aspetto, di carattere interno, si ricollega alla nozione di «imparzialità» e riguarda l’equidistanza dalle parti della controversia e dai loro rispettivi interessi riguardo all’oggetto di quest’ultima. L’aspetto appena descritto impone il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsivoglia interesse nella soluzione da dare alla controversia all’infuori della stretta applicazione della norma giuridica”.

La valutazione deve essere particolarmente severa perché si deve escludere che vi siano anche solo dubbi tra i cittadini sull’imparzialità e l’indipendenza degli organi giudicanti. Sentenza dopo sentenza la Corte costruisce così gli obblighi di un efficace sistema giudiziario in tutti i suoi profili (punto 48-50) alla luce di un’articolazione dei diritti della Carta:

“Per quanto riguarda, più in particolare, le norme che regolano il regime disciplinare, il requisito dell’indipendenza impone, conformemente a giurisprudenza costante, che tale regime presenti le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio di utilizzo di un siffatto regime quale sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie. A tale riguardo, l’emanazione di norme che definiscano, segnatamente, sia i comportamenti che integrano illeciti disciplinari sia le sanzioni concretamente applicabili, che prevedano l’intervento di un organo indipendente conformemente a una procedura che garantisca appieno i diritti consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa, e che sanciscano la possibilità di contestare in sede giurisdizionale le decisioni degli organi disciplinari costituisce un insieme di garanzie essenziali ai fini della salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario. Inoltre, poiché la prospettiva dell’avvio di un’indagine disciplinare può, in quanto tale, esercitare una pressione su coloro che hanno il compito di giudicare, è essenziale che l’organo competente a condurre le indagini e ad esercitare l’azione disciplinare agisca nell’esercizio delle sue funzioni in modo obiettivo e imparziale e che esso sia, a tal fine, al riparo da qualsiasi influenza esterna. Pertanto, e dal momento che le persone che occupano i posti dirigenziali all’interno di un organo del genere possono esercitare un’influenza determinante sull’attività di quest’ultimo, le norme che disciplinano la procedura di nomina a tali posti devono essere concepite in modo tale da non poter far sorgere alcun legittimo dubbio, nei singoli, quanto all’utilizzo delle prerogative e delle funzioni di detto organo come strumento di pressione sull’attività giudiziaria o di controllo politico di tale attività; Un siffatto requisito si applica non solo alle norme che disciplinano la procedura di nomina ai posti direttivi in seno a un organo competente a condurre le indagini e ad esercitare l’azione disciplinare, ma anche, più in generale, all’insieme delle norme che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento di tale organo. Infatti, queste ultime norme possono, in generale, incidere direttamente sulla prassi di detto organo e quindi prevenire o, al contrario, favorire l’esercizio di azioni disciplinari aventi lo scopo o l’effetto di esercitare una pressione su coloro che hanno il compito di giudicare o di garantire un controllo politico della loro attività. A tal riguardo, la concentrazione, nelle mani del direttore di un organo siffatto, di poteri che gli consentano di disciplinare l’organizzazione e il funzionamento di tale organo nonché di adottare decisioni individuali riguardanti la carriera dei suoi agenti e le questioni che questi ultimi trattano è idonea a garantire a tale direttore un controllo effettivo su tutte le azioni di detto organo, in quanto il direttore in parola potrà non solo incidere sulla scelta degli agenti del medesimo organo, compresi i membri della sua direzione, ma anche sull’evoluzione della loro carriera nonché sul senso e sul contenuto delle decisioni concretamente adottate da tali agenti nelle azioni disciplinari contro i giudici.”

Alla luce di quanto emerge dagli atti, dopo aver ricordato che i poteri dell’ispettore capo sono stati rafforzati nel contesto più globale delle riforme dell’organizzazione del potere giudiziario rumeno avente per oggetto o per effetto di ridurre le garanzie di imparzialità e indipendenza dei giudici rumeni, afferma la Corte sembrerebbe che il detto ispettore capo sia strettamente legato ai poteri esecutivo e legislativo e che siano riscontrate le prassi segnalate in giudizio che evidenzierebbero la possibilità di un uso politico del potere ispettivo. la Corte conclude nel senso che

“l’articolo 2 e l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in combinato disposto con la decisione 2006/928/CE della Commissione, del 13 dicembre 2006, che istituisce un meccanismo di cooperazione e verifica dei progressi compiuti dalla Romania per rispettare i parametri di riferimento in materia di riforma giudiziaria e di lotta contro la corruzione,devono essere interpretati nel senso che: essi ostano a una normativa nazionale –  che conferisce al direttore di un organo competente a condurre le indagini e ad esercitare l’azione disciplinare nei confronti dei giudici e dei procuratori il potere di adottare atti regolamentari e individuali, relativi, in particolare, all’organizzazione di tale organo, alla selezione dei suoi agenti, alla loro valutazione, allo svolgimento delle loro attività o, ancora, alla nomina di un vice direttore, allorché, in primo luogo, tali agenti e tale vice direttore sono gli unici competenti a condurre un’indagine disciplinare nei confronti di tale direttore, in secondo luogo, la loro carriera dipende, in larga misura, dalle decisioni di detto direttore e, in terzo luogo, il mandato di detto vice direttore terminerà contemporaneamente a quello dello stesso direttore, qualora tale normativa non sia concepita in modo tale da non poter far sorgere alcun legittimo dubbio, nei singoli, quanto all’utilizzo delle prerogative e delle funzioni di tale organo come strumento di pressione sull’attività di detti giudici e di detti procuratori o di controllo politico di tale attività”.

Certamente l’accertamento finale è demandato al Giudice del rinvio che potrebbe, dopo severe (quanto improbabili) indagini, anche stabilire che nella prassi la realtà dell’istituto rumeno consente verifiche rigorose degli esposti disciplinari e la non interferenza dell’ispettore capo su questi approfondimenti nonché l’esistenza di mezzi di impugnazione idonei presso organi giudiziari conformi al modello della Carta dei diritti (anzi che sia fugato il solo sospetto che ciò non sia rispettato) ma è già evidente che si tratta di una solenne messa in mora della Romania e del suo sistema di garanzie giudiziarie. Al contempo si scrive un catalogo del buon governo giurisdizionale proteggendo la rule of the law sovranazionale e l’affidabilità della cooperazione giudiziaria; un modello unitario di garanzie sostanziali e processuali di tipo federale.

       2. Che la giurisprudenza promossa nel 2018 dalla Corte di giustizia attraverso l’applicabilità immediata in correlazione con la Carta dei diritti  dell’art. 19 Tue sia efficace ce lo dimostra proprio la stessa Corte di giustizia nell’ordinanza del 21.4.2023 nella causa C-204/21 Polonia Commissione. Va premesso che la Commissione nel 2021 promuoveva un ricorso per inadempimento nei confronti della Polonia per far dichiarare illegittime alcune modifiche legislative all’organizzazione della giustizia polacca  per violazione del diritto UE sotto molteplici profili (il più rilevante che si impediva a tutti i giudici nazionali di verificare il rispetto dei requisiti posti dall’UE relativi all’indipendenza ed imparzialità dei giudici). Durante il procedimento in corso con ordinanza del vice presidente della Corte il 27.10.2021 si intimava alla Polonia di pagare un importo di un milione di euro al giorno per non aver disposto misure provvisorie (come specificate dalla stessa Corte il 14.7.2021). Il 10.3.2023 la Polonia chiedeva di revocare o modificare l’ordinanza sulle penalità a seguito di alcune riforme introdotte per adeguare l’ordinamento interno al diritto UE.

L’ordinanza del 21.4 riduce della metà l’importo della sanzione giornaliera in quanto non tutte le indicazioni erano state soddisfatte. Si rileva che

 “gli effetti delle decisioni adottate dalla Sezione disciplinare della Corte suprema che autorizzano l’avvio di un procedimento penale nei confronti di un giudice o l’arresto dello stesso non sono stati sospesi, in ogni caso, in modo immediato. Per di più, contrariamente agli obblighi derivanti dai provvedimenti provvisori, la Polonia non ha dimostrato la sospensione integrale ed effettiva delle disposizioni che precludono agli organi giurisdizionali nazionali di verificare il rispetto dei requisiti dell’Unione relativi a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, né di quelle che consentono lo svolgimento di procedure disciplinari nei confronti di un giudice che ha effettuato una siffatta verifica. A parere del vicepresidente, la Polonia ha dimostrato solo parzialmente di aver sospeso l’applicazione delle disposizioni che hanno attribuito alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema la competenza esclusiva relativa all’esame delle censure concernenti la mancanza di indipendenza di un giudice o di un organo giurisdizionale. Nondimeno, il vicepresidente ritiene che le misure adottate dalla Polonia dopo la firma dell’ordinanza che ha imposto la penalità giornaliera siano tali da garantire, in misura considerevole, l’attuazione dei provvedimenti provvisori enunciati nell’ordinanza del 14 luglio 2021. In particolare, egli osserva che la Polonia ha abrogato le disposizioni che conferivano alla Sezione disciplinare talune competenze relative allo status dei giudici e che tale Sezione è stata soppressa. Il vicepresidente evidenzia, altresì, che diverse misure adottate dalla Polonia hanno avuto come effetto di rafforzare i rimedi giuridici a disposizione dei giudici che sono stati oggetto di decisioni della Sezione disciplinare o di agevolare, in determinate ipotesi, la verifica del rispetto dei requisiti relativi a un giudice indipendente e imparziale, costituito per legge”.

Non c’è chi non veda comunque un percorso di parziale riavvicinamento alla legalità UE  di un paese ribelle come la Polonia che, dopo una iniziale frontale contrapposizione ai giudici del Lussemburgo, ha avviato un confronto con la Corte (ancora non sufficiente ci avverte la Corte o quanto meno inconcluso) sulle scelte liberticide intraprese. Anche l’Ungheria, dopo l’avvio di alcune riforme, ha chiesto la corresponsione di alcuni fondi europei sospesi allegando un riavvicinamento alla legalità sovranazionale che la Commissione deve ancora verificare.

In conclusione la strada intrapresa dalla Corte è molto lenta ma sembra che abbia una certa efficacia di medio periodo ed inoltre è da sottolineare come ci offra un continua aggiornamento del modello di garantismo continentale, uno dei più grandiosi prodotti di quell’”effetto Bruxelles” che, soprattutto gli organi genuinamente sovranazionali, UE sanno offrire in chiave planetaria.           

 

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo

 

[1] Per una trattazione organica di questa catena narrativa giudiziaria cfr. G. Bronzini La giurisprudenza della Corte di giustizia e la protezione “anticipata” dello stato di diritto. Il ruolo delle norme dei Trattati e della Carta dei diritti, in La cittadinanza europea n. 1/2022 p. 57 ss.

 
 
 

LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

15 maggio

  • Torino, dibattito "L’attualità del Manifesto di Ventotene di A. Spinelli e E. Rossi” (Centro Einstein di Studi Internazionali)

 

16 maggio

  • Cosenza, Festa dell’Europa – Giovani e cittadinanza europea (Comune di Cosenza)
  • Roma, presentazione del libro "Europa Ucraina: voltiamo pagina" di Stefania Schipani

 

17 maggio

  • Torino, Conferenza “BLOCKCHAIN & EUROPE’s GOVERNANCE TRANSFORMATION FROM GLOBAL TO LOCAL (Movimento europeo in Italia e rete europea dello European Partners for Environment The-EPE)

 

18 maggio

  • Torino, presentazione del libro “De Illyrico et Moesia - Percorsi Europei nei Balcani” (Associazione Culturale Diàlexis, CNA di Torino e Movimento Europeo Italia)

 

 

 


IN EVIDENZA

VI SEGNALIAMO

  • 15 maggio, ore 17:30, Torino. Dibattito "L’attualità del Manifesto di Ventotene di A. Spinelli e E. Rossi”, promosso dal Centro Einstein di Studi Internazionali. Nel 1941 Altiero Spinelli e Ernesto Rossi seppero immaginare una via d’uscita dalla seconda guerra mondiale mentre il nostro continente era sotto i bombardamenti nazisti. Oggi, dopo settant’anni di pace, l’Europa è tornata indietro al tempo della guerra e questo ci deve far riflettere. PROGRAMMA. Sarà possibile partecipare anche a distanza tramite questo link.
  • 16 maggio, ore 10:00, Cosenza. Si svolgerà a Cosenza la “Festa dell’Europa – Giovani e cittadinanza europea”. L’iniziativa, ospitata nella sala del BoCs Museum, si svolgerà anche con il supporto del Movimento europeo. LOCANDINA.
  • 16 maggio, ore 10:00-13:00, Roma. Presentazione del libro "Europa Ucraina: voltiamo pagina" di Stefania Schipani. L'incontro avrà luogo presso la Sala Giacomo Matteotti della Camera dei Deputati. Interverrà, fra gli altri, il Presidente del Movimento europeo Pier Virgilio Dastoli. LOCANDINA.
  • 17 maggio, ore 14:00-18:45, Torino. Il Movimento europeo in Italia e la rete europea dello European Partners for Environment (The EPE), promuove la ConferenzaBLOCKCHAIN & EUROPE’s GOVERNANCE TRANSFORMATION FROM GLOBAL TO LOCAL” sul tema dello Sviluppo sostenibile con particolare riferimento alla Blockchain come strumento di democrazia partecipativa, sotto l'alto patrocinio del Presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L’evento, che è realizzato anche con la collaborazione dello European Blockchain Observatory and Forum e con il sostegno dell’Università di Torino e del Centro Studi sul Federalismo, si svolgerà presso il Campus Einaudi dell’Università di Torino, nell’ambito del Festival dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, in formato ibrido. L’incontro fa parte di un progetto che si svilupperà nei prossimi mesi con iniziative presso le Nazioni Unite a New York, a Dubai in vista della COP 28 e nel 2024 in vista del Vertice sul futuro pianeta promosso dal Segretario generale delle Nazioni Unite. L’evento di Torino, inoltre, si svolgerà in preparazione di una iniziativa italiana che avrà luogo a Roma nell’autunno 2023. Attraverso il seguente form online, sarà possibile effettuare l’iscrizione in presenza - i posti in presenza presso il Campus Einaudi sono limitati - oppure a distanza. L’incontro si svolgerà in lingua inglese, ma sarà garantita la traduzione simultanea in italiano. PROGRAMMA e CONSULTATION PAPER.
  • 21 maggio, ore 9:00-16:30, Perugia. Domenica 21 maggio si svolgerà la Marcia PerugiAssisi della pace e della fraternità. Per scaricare l'appello e conoscere le modalità di partecipazione, visitare il sito: https://www.perugiassisi.org/marcia-2023/
  • 22 maggio, ore 10:00-12:30, Sondrio. “ESSERE CITTADINANZA IN SALUTE E ATTIVA" è l'evento promosso dalla Rubrica Associativa Globale Europa Mondo del Contattato APS ente del terzo settore della Provincia di Sondrio. L’iniziativa si inserisce nel quadro del progetto socio-culturale 2023 "Quali riposte alla mancanza di benessere attuale e la necessità di promuovere una cittadinanza in salute, attiva e consapevole". Il Movimento europeo Italia ha concesso, tra gli altri, il proprio patrocinio. LOCANDINA.
  • Fino al 24 maggio. Settima edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da ASviS. Un ricco calendario di oltre 800 eventi - spettacoli, conferenze, workshop, mostre e molto altro - che da Nord a Sud animeranno l'Italia intera durante il mese di maggio. Per maggiori informazioni, scaricare il calendario completo delle iniziative e registrasi agli eventi, visitare il sito dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 8-24 maggio. Si apre oggi la settima edizione del Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso da ASviS. Un ricco calendario di oltre 800 eventi - spettacoli, conferenze, workshop, mostre e molto altro - che da Nord a Sud animeranno l'Italia intera durante il mese di maggio. Per maggiori informazioni, scaricare il calendario completo delle iniziative e registrasi agli eventi, visitare il sito dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile.
  • 9 maggio, ore 9:00, Roma. EU Dialogues / dialoghi sull'Unione Europea. In occasione della Giornata dell’Europa, presso l’Università Link Campus di Roma, studiose e studiosi di diversi ambiti disciplinari si confronteranno in una serie di dibattiti incentrati sull’analisi dell’Unione europea dal punto di vista ambientale, religioso, politico, storico e sociale all’interno dell’evento “Dialoghi sull’Unione europea”. PROGRAMMA.
  • 9 maggio, ore 10:00-13:00, Pavia. Evento dal titolo “Donne d’Europa. Radici femminili per l’Europa che verrà” promosso da Stati Generali delle Donne, Città delle Donne, Alleanza delle Donne, New European Bauhaus, Movimento Europeo, Fenco – Federazione nazionale dei diplomatici e consoli esteri. PROGRAMMA E MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE.
  • 9 maggio, ore 11:00, Salerno. EUROPA DAY IX Edizione a cura del Center for European Studies (CES). Il Segretario generale del Movimento europeo – Italia, Giuseppe Bronzini, già Presidente della sezione lavoro Corte di Cassazione, discuterà su “La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ambito di applicazione, efficacia, ruolo direttivo nel processo di integrazione". PROGRAMMA.
  • 9 maggio, ore 17:30, Roma. In occasione della Festa dell’Europa, associazioni e movimenti europeisti e liberali si riuniranno a Piazza Santi Apostoli per parlare di Europa e ricordare l'ineguagliabile opportunità del PNRR per le prossime generazioni. LOCANDINA.
  • 9 maggio, ore 19:00, Roma. Volt festeggia il 9 maggio con un aperitivo presso Anima Mundi, in Via del Velabro, 1. LOCANDINA.
  • 12 maggio, ore 10:00-11:15, Camaldoli (AR). Tavola rotonda dal titolo “Federalismo differenziato e autonomia territoriale per la Pubblica Amministrazione” nell’ambito dell’iniziativa “forum Civica - Uno sguardo ai valori etici, morali e civici che guidano la Pubblica Amministrazione”. Forum Civica si svolgerà tra il 10 e il 12 maggio 2023 presso il Monastero di Camaldoli (AR) e vedrà l’avvicendarsi di interventi di studiosi, esperti e figure istituzionali che costituiranno occasioni di confronto che si incardinano nel macro-tema di quali siano i valori che guidano o dovrebbero guidare l’operato della Pubblica Amministrazione. PROGRAMMA.
  • 13 maggio, ore 10:00, Viareggio. In occasione dei festeggiamenti per i 60 anni dell'istituzione dell'Ordine dei giornalisti "Corso per giornalisti" sotto il titolo “L’Unione Europea: competenze, valori, economia, politica estera, opportunità. Come comunicare la nuova Europa ai tempi del PNRR”. Organizzato da Casa Europa Viareggio,  il Parco Nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema e Gruppo Stampa Versilia in collaborazione con il Rotary Club Versilia Viareggio. LOCANDINA.
  • 17 maggio, ore 14:00-18:45, Torino. Il Movimento europeo in Italia e la rete europea dello European Partners for Environment (The EPE), promuove la ConferenzaBLOCKCHAIN & EUROPE’s GOVERNANCE TRANSFORMATION FROM GLOBAL TO LOCAL” sul tema dello Sviluppo sostenibile con particolare riferimento alla Blockchain come strumento di democrazia partecipativa, sotto l'alto patrocinio del Presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L’evento, che è realizzato anche con la collaborazione dello European Blockchain Observatory and Forum e con il sostegno dell’Università di Torino e del Centro Studi sul Federalismo, si svolgerà presso il Campus Einaudi dell’Università di Torino, nell’ambito del Festival dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, in formato ibrido. L’incontro fa parte di un progetto che si svilupperà nei prossimi mesi con iniziative presso le Nazioni Unite a New York, a Dubai in vista della COP 28 e nel 2024 in vista del Vertice sul futuro pianeta promosso dal Segretario generale delle Nazioni Unite. L’evento di Torino, inoltre, si svolgerà in preparazione di una iniziativa italiana che avrà luogo a Roma nell’autunno 2023. Attraverso il seguente form online, sarà possibile effettuare l’iscrizione in presenza - i posti in presenza presso il Campus Einaudi sono limitati – oppure a distanza. L’incontro si svolgerà in lingua inglese, ma sarà garantita la traduzione simultanea in italiano. PROGRAMMA e CONSULTATION PAPER.  

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

 

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8 maggio

  • Tavola Rotonda “La promozione della Cultura digitale” (Associazione Internazionale DiCultHer)

 

9 maggio

  • Salerno, EUROPA DAY IX Edizione
  • Pavia, evento “Donne d’Europa. Radici femminili per l’Europa che verrà”

 

12 maggio

  • Camaldoli (AR), Tavola rotonda dal titolo “Federalismo differenziato e autonomia territoriale per la Pubblica Amministrazione”

 

13 maggio

  • Viareggio, "Corso per giornalisti" sotto il titolo “L’Unione Europea: competenze, valori, economia, politica estera, opportunità. Come comunicare la nuova Europa ai tempi del PNRR” (Casa Europa Viareggio)

 

 

 

 

 

 

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Nel ricordare il sessantatreesimo anniversario della dichiarazione Schuman, ne vogliamo sottolineare la sua lungimiranza ed attualità.

Fra gli elementi essenziali per la ricostruzione di un Europa culturalmente, socialmente ed economicamente stravolta dalla seconda guerra mondiale, emergono tre elementi per noi prioritari:

  1. Il fine ultimo del progetto europeo è rappresentato dalla costituzione di una Federazione a livello continentale.
  2. Il mantenimento della pace a livello continentale e mondiale deve rappresentare una priorità assoluta per gli Stati europei.
  3. I popoli europei devono essere solidali ed aperti fra loro e con il mondo che li circonda, ponendo una particolare attenzione al mediterraneo e all’Africa

L'Europa dei padri fondatori, la Nostra Europa, è ancora incompleta. Per poter raggiungere l'obiettivo dobbiamo sempre avere chiari i valori che la rappresentano, per preservarli e svilupparli in vista delle elezioni europee nel 2024.

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Il Decreto legge lavoro alla prova  delle indicazioni europee. Esclusioni irragionevoli e offerte di lavoro “indecenti”

        1. Il 5 maggio, dopo molte indiscrezioni della stampa e bozze provvisorie, è stato pubblicato il decreto “lavoro”, un testo che prevede, nel consueto coacervo di norme tra loro enormemente distanti e di competenza di  diversi Ministeri (ma il Presidente e della Repubblica non aveva invitato solennemente ad attenersi allo spirito ed alla lettera della Costituzione?) “misure urgenti per l’inclusione sociale e per l’accesso al mondo del lavoro”, cioè la controriforma dell’istituto del reddito di cittadinanza (RDC) già abrogato con la legge di bilancio. Si tratta di una necessità ed urgenza auto-provocata dal Governo che avrebbe potuto avanzare le sue proposte nel momento in cui aveva ritenuto di cancellare il RDC (la legge di bilancio peraltro appare la sede più appropriata per una revisione di misure di welfare così importanti) e che certamente non offre copertura alle diposizioni che rimettono in discussione la governance della Rai o di altri enti pubblici, il trattamento degli ex lettori di lingua universitari o l’istituzione di un Fondo per le attività socio-educative per i minori etc.

Concentreremo la nostra attenzione sulla creazione di due nuove misure (la terza che riguarda i percettori del RDC che rimarrebbero-potendo lavorare- senza tutela da luglio in poi appare meno rilevante) che decolleranno dal 1.1.2024 denominate rispettivamente assegno di inclusione e supporto per la formazione e il lavoro perché ci sembra che l’opera di contrasto alla povertà ed al rischio di esclusione sociale messa in campo con queste due misure non sia coerente né con le varie Raccomandazioni emanate nel tempo dal Consiglio in questa materia, né con l’art. 34 terzo comma della Carta dei diritti (e gli artt. 30 e 31 della Carta sociale europea), né infine con gli obiettivi strategici per il 2030 dell’UE che prevedono una riduzione del numero di poveri di almeno 15 milioni. Non a caso, nelle scarne premesse del decreto, non si rinviene alcun richiamo alle indicazioni sovranazionali ed al Bill of rights UE che invece erano ben individuate nelle premesse del RDC.

Cominciamo dalla prima misura che è quella “ base”: l’assegno  di inserimento dell’importo di 500 euro mensili (più eventualmente un contributo per l’affitto di 280 euro) incrementato secondo una scala di equivalenza parametrata al numero ed alle qualità degli appartenenti al nucleo familiare ripercorre lo schema del RDC anche se, in generale, riduce piuttosto energicamente l’effetto della scala di equivalenza con qualche vantaggio per i disabili. I requisiti (non oltre 9.360 ISEE, un reddito familiare di non oltre 6.000 complessivi annui, un patrimonio mobiliare non superiore ai 6.000 euro aumentato in relazione al numero dei componenti, un patrimonio immobiliare di valore non superiore ai 30.000 euro per le seconde case cui viene aggiunto il valore della casa di residenza ove superi i 150.000 euro) sono, salvo l’aggressione al principio, prima seguito per il RDC, della irrilevanza della casa di proprietà ove si abita, simili a quelli del RDC. Simile al RDC è la duplice strada indicata ai beneficiari della messa a disposizione dei servizi sociali per patti per l’inclusione oppure - se possono lavorare - dell’avviamento ai centri per l’impiego (per i quali non è previsto alcun rafforzamento) per la sottoscrizione di un progetto personalizzato di attivazione lavorativa o formativa([1]).

La novità devastante concerne, però, che questo schema di protezione non riguarda tutte le famiglie che sono in stato di povertà e che soddisfano gli arcigni criteri selettivi  prima ricordati  ma solo quelle che hanno nel loro nucleo  un minore o un anziano o un disabile: è questa drastica selettività che porterà ad un allarmante ridimensionamento della garanzia dei mezzi elementari di vita escludendo, da quel che dicono le prime simulazioni giornalistiche, centinaia di migliaia di beneficiari del RDC.

Ha recentemente scritto sulla rivista online lavoceinfo Cristiano Gori, ascoltato studioso delle misure contro la povertà, ispiratore del REI, che pur sembra  condividere dell’istituto europeo del reddito minimo garantito una versione molto austera ([2]): “la riforma del reddito di cittadinanza abolisce il diritto di ogni cittadino - quale che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro - a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei e l’Italia diventa l’unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta”. Sono affermazioni  che condividiamo in pieno: l’Italia non solo è stato l’ultimo paese a dotarsi, seguendo le indicazioni dell’Unione europea (e della sua Carta dei diritti all’art. 34.3.), di un sistema nazionale di contrasto al rischio di esclusione sociale onde garantire a tutti un’esistenza libera e dignitosa. Ma è anche lo stato membro che per primo è uscito dalla legalità sovranazionale contravvenendo non solo allo spirito ed alla lettera del suo Bill of rights dell’Unione (ribaditi all’art. 14 dell’European social Pillar) ma persino ad una recente Raccomandazione del Consiglio del 30.1.2023 a favore della quale l’attuale Governo ha votato. Famiglie che potrebbero avere un reddito familiare addirittura al di sotto dei 6000 euro annui o un ISEE ben inferiore ai 9.360 sono escluse per la mancanza di persone nel loro ambito che il legislatore ha ritenuto “meritevoli” di soccorso, anche se nessuno in famiglia è in grado di lavorare: lo stesso Gori parla di un “passaggio storico”, una regressione morale, culturale e sociale del nostro paese in presenza di persistenti dati allarmanti sul dilagante fenomeno del rischio di esclusione sociale che arriverebbe a coinvolgere circa il 19% per cento della popolazione residente che viene affrontato con mezzi che, per definizione, non riescono a coprire interamente  neppure la quota di povertà estrema in base ad una classificazione dei “meritevoli” irragionevole ed eccentrica rispetto agli impegni “europei” di ridurre in modo consistente e progressivo la mala pianta dell’esclusione sociale dai territori dell’Unione. Viene peraltro ribadito l’odioso, duplice, trattamento discriminatorio riservato ai migranti extracomunitari attribuendo il decreto governativo l’accesso alle prestazioni di sostegno al reddito ai soli titolari di un permesso di lungo soggiorno ma non a quelli di un regolare permesso di lavoro cui si aggiunge l’ulteriore elemento di discriminazione indiretta (che colpisce anche gli stessi cittadini dell’Unione) nel richiedere una residenza abnorme di cinque anni nel nostro paese (di cui gli ultimi due continuativi) che, pur più bassa dei precedenti dieci anni, non appare in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia che ritiene ammissibili solo termini molto più brevi. Tali forme di discriminazione sono peraltro in contraddizione con la recente disciplina degli assegni familiari al quale sono stati ammessi sia i titolari di permesso di soggiorno per lavoro con un  requisito di residenza più in linea con quanto ritenuto ammissibile dalla Corte dell’Unione. Questa scelta discriminatoria (che certamente connotava anche il RDC) appare oggi incredibile perché la Commissione europea ha già  messo in mora l’Italia, in sostanza compiendo il prima atto necessario ad avviare una procedura di infrazione, proprio per il trattamento riservato ai migranti (comunitari ed extracomunitari) dalle precedenti forme di contrasto della povertà (Rei e RDC); si tratta quindi una aperta ribellione contro le indicazioni sovranazionali, persino dopo che la Commissione sul punto si è chiaramente espressa.

        2. A questa prima prestazione se ne aggiunge un’altra denominata supporto per la formazione ed il lavoro che spetta ai soggetti(tra i 18 ed i 59 anni) che possono lavorare ma appartenenti a nuclei familiari che hanno un ISEE al di sotto dei 6000 euro annui (nelle bozze del DL si leggeva anche “in povertà assoluta) che godono di 350 euro, non integrabili in ragione del numero di persone che appartengono al nucleo né con contributi per l’affitto e, soprattutto, per soli 12 mesi non rinnovabili, contravvenendo così alle varie  Raccomandazioni sul reddito minimo dell’UE che stabiliscono che tutte le prestazioni di contrasto della povertà durino sino a che permane la situazione di bisogno. I percettori sono obbligati a seguire corsi di formazione, ad accettare le offerte di lavoro proposte ma anche a partecipare a progetti utili alla collettività (torna così lo spettro dei lavori socialmente utili che la Corte di giustizia ed anche quella di cassazione sulla scia della prima  ha ritenuto in linea generale forme truffaldine di mascheramento di un lavoro routinario sottopagato). L’ISEE cosi straordinariamente basso,non integrabile a certe condizioni verso una soglia più alta, l’entità del supporto e la durata della prestazione escludono in pratica che questo sussidio possa aiutare anche i cosiddetti working- poor, come faceva il RDC che consentiva di incrementare il salario percepito con un lavoro sino alla soglia minima di sussistenza.

         3. Comunque è sulle persone che possono lavorare che si scatena la volontà punitiva del legislatore (certamente non molto compassionevole) che aggredisce con determinazione il principio di “congruità” nell’offerta di lavoro (nelle sue varie  componenti) che strutturava il sistema del RDC. Se effettivamente il RDC rispondeva a criteri di universalismo selettivo (rivolto solo a chi si trovava in grave difficoltà) ed era  condizionato all’accettazione di proposte di lavoro va rimarcato che doveva trattarsi di un lavoro “decente” secondo criteri di equità (anche riguardo alla sua praticabilità) e di riguardo alle competenze ed all’esperienza delle persone. Nel RDC il soggetto era costretto ad accettare solo la terza proposta di lavoro, l’occupazione doveva trovarsi ad una distanza ragionevole dal luogo di residenza, il trattamento economico era quello contrattuale ma aveva necessariamente una durata minima (almeno sei mesi a tempo determinato o a tempo indeterminato) e, soprattutto l’offerta doveva rispettare l’insieme di competenze formali ed informali del soggetto in modo da non dequalificarlo e di offrire alla persone una vera  chance di valorizzazione individuale minimamente coerente con i percorsi già intrapresi.   Scopriamo invece nel DL (art. 9)  che l’offerta  può anche essere a termine, anche in somministrazione e part-time (di almeno il 60% dell’orario pieno), ma la norma non fissa alcun limite minimo e quindi il rapporto può essere anche di un giorno con una distanza sino a 80 km dalla residenza (se è tempo indeterminato in tutto il territorio nazionale). Per dare un’idea dell’inaudita violenza, anche morale,che si eserciterà sul soggetto che riceverà  una delle due prestazioni previste possiamo fare una simulazione: questi potrebbe essere costretto a recarsi per un giorno sino ad 80 KM da casa per un contratto part-time che, considerato che in alcuni settori il salario minimo è di circa 4 euro, comporterebbe un compenso di  meno di 20 euro giornaliere, a pena  di perdere il sussidio (che decade al primo rifiuto). Una violenza mortificante estrema nei confronti dei più deboli e degli esclusi per colpa di una società che non ha trovato sufficienti occasioni di lavoro “decente” e che oggi si vendica nei confronti  delle vittime giudicate colpevoli dei  tragici insuccessi di un sistema produttivo. E’ difficile oggi comprendere a pieno ed in concreto i meccanismi di irreggimentazione e di costrizione ai “lavoretti” che verranno dispiegati per accompagnare le persone sussidiate perché mancano ancora decine di decreti ministeriali che dovrebbero essere adottati in pochi mesi, a cominciare da una schedatura di massa di poveri che ricorda quella britannica dell’Universal credit, che hanno attirato l’attenzione della Corte di Strasburgo per violazione della privacy. Il principio di “ congruità sostanziale” dell’offerta di lavoro che vale in linea generale anche per i cassa integrati o i percettori di Naspi  è attenuato (art. 5) da una previsione che riguarda beneficiari dell’assegno di inclusione relativa all’istituzione di una piattaforma digitale che “agevola la ricerca di lavoro, l’individuazione di attività di formazione e rafforzamento delle competenze tenendo conto da una parte delle esperienze educative e formative e delle competenze pregresse del beneficiario, dall’altra della disponibilità di offerte di lavoro, di corsi di formazione  di progetti utili alla collettività”. Manca una tassativa indicazione che le offerte dovrebbero rispettare in modo vincolante le competenze acquisite in quanto le dequalificazioni sono una forma di attentato alla dignità essenziale delle persone; la norma sembrerebbe solo un vago  orientamento per i progettatori di questa piattaforma, non una chiara prescrizione per chi poi decide quale lavoro affidare. Questa ambigua direttiva non opera per i percettori del “supporto” che invece rimangano in balia dei decisori amministratori che gestiscono quello che devono fare. Ma, anche a voler ipotizzare che il principio di congruità sostanziale sia in qualche modo penetrato nel DL, per lavori che presuppongono  un minimo di qualificazione e di addestramento l’assunzione per un giorno o pochi mesi difficilmente può avere un valore di capacitazione reale e con effetti duraturi del soggetto, mancando il tempo materiale per l’inserimento nel processo produttivo (non sembra un caso che il Ministero dell’Agricoltura ha parlato di raccolte di ortaggi nelle campagne). I soggetti in carico ben difficilmente potranno rifiutare offerte di lavoro di durata così esigua perché potrebbero perdere il sussidio dovendo dimostrare (davanti a chi: il giudice del lavoro?) che non sono coerenti con il loro bagaglio professionale e le loro competenze. La proclamata attivazione delle persone si converte così in un drammatico spreco di risorse umane, di dequalificazione forzata, che impoverisce la società e mortifica le persone. Infine la perdita totale del sussidio in caso di rifiuto anche di una sola proposta ci sembra sia in rotta di collisione con la finalità anche “alimentari“ e di emergenza umanitaria di un reddito minimo([3]): il Tribunale costituzionale tedesco, ad esempio, ha recentemente affermato che se il soggetto assistito contravviene agli obblighi previsti non può essere annullata la quota del RMG che  consente l’accesso ai beni primari e cosi operano le best practises dei paesi europei più progrediti socialmente.

       4. Si ricorda conclusivamente quanto stabilito il 30 gennaio nella Raccomandazione del Consiglio del 30.1.2023 che anche l’Italia ha votato (che si aggiunge a quanto già precisato in quella del 1992 e del 2008 il cui contenuto è rimasto in vigore):

“Si raccomanda agli Stati membri di fornire e, ove necessario, rafforzare solide reti di sicurezza sociale che garantiscano una vita dignitosa in tutte le fasi della vita, combinando un adeguato sostegno al reddito, mediante prestazioni di reddito minimo e altre prestazioni di accompagnamento monetarie e in natura, e fornendo un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali. L’erogazione di prestazioni in natura può coadiuvare un solido sostegno al reddito. … Al fine di garantire un adeguato sostegno al reddito, si raccomanda agli Stati membri di fissare il livello del reddito minimo mediante una metodologia trasparente e solida definita conformemente al diritto nazionale e coinvolgendo i pertinenti portatori di interessi. Si raccomanda che tale metodologia tenga conto delle fonti di reddito complessive, delle esigenze specifiche e delle situazioni di svantaggio delle famiglie, del reddito di un lavoratore a basso salario o di un lavoratore che percepisce il salario minimo, del tenore di vita e del potere d’acquisto, dei livelli dei prezzi e del relativo andamento, nonché di altri elementi pertinenti. …Pur salvaguardando gli incentivi alla (re)integrazione e alla permanenza nel mercato del lavoro per chi può lavorare, si raccomanda che il sostegno al reddito delle persone che non dispongono di risorse sufficienti raggiunga un livello almeno equivalente a uno degli elementi seguenti: a) la soglia nazionale di rischio di povertà; oppure b) il valore monetario dei beni e dei servizi necessari, tra cui un’alimentazione adeguata, l’alloggio, l’assistenza sanitaria e i servizi essenziali, secondo le definizioni nazionali; oppure c) altri livelli comparabili ai livelli di cui alla lettera a) o b), stabiliti dalla legge o dalla prassi nazionale.

Si raccomanda agli Stati membri di garantire che tutte le persone che non dispongono di risorse sufficienti, compresi i giovani adulti, siano coperte da un reddito minimo stabilito per legge, definendo: a) criteri di ammissibilità trasparenti e non discriminatori che salvaguardino l’accesso effettivo al reddito minimo a prescindere dalla disponibilità di un indirizzo permanente, assicurando nel contempo che la durata del soggiorno legale sia proporzionata; b) soglie per l’accertamento delle fonti di reddito stabilite in base al tenore di vita di famiglie di diverso tipo e di diverse dimensioni in un determinato Stato membro e che tengano conto in modo proporzionato degli altri tipi di redditi (e patrimoni) del nucleo familiare; c) il tempo necessario per trattare la domanda, garantendo nel contempo che la decisione sia emessa senza inutili ritardi e nella pratica non oltre 30 giorni dalla presentazione della domanda stessa; d) la continuità dell’accesso al reddito minimo fintanto che le persone che non dispongono di risorse sufficienti soddisfano i criteri e le condizioni di ammissibilità stabiliti dalla legge, prevedendo nel contempo riesami periodici dell’ammissibilità e garantendo l’accesso a misure specifiche e proporzionate di inclusione attiva per le persone in grado di lavorare; e) procedure di reclamo e di ricorso semplici, rapide, imparziali e gratuite, garantendo nel contempo che le persone che non dispongono di risorse sufficienti ne siano a conoscenza e abbiano un accesso effettivo a tali procedure; f) misure volte a garantire che le reti di sicurezza sociale rispondano a vari tipi di crisi e siano in grado di attenuare efficacemente le conseguenze socioeconomiche negative di tali crisi.

Si raccomanda agli Stati membri di incoraggiare o agevolare il pieno utilizzo del reddito minimo: a) riducendo gli oneri amministrativi, anche mediante la semplificazione delle procedure di domanda e la fornitura di indicazioni passo per passo a coloro che ne hanno bisogno, prestando nel contempo attenzione alla disponibilità di strumenti digitali e non digitali; b) garantendo l’accesso a informazioni facilmente fruibili, gratuite e aggiornate sui diritti e sugli obblighi connessi al reddito minimo; c) rivolgendosi alle persone che non dispongono di risorse sufficienti per sensibilizzarle e agevolare l’utilizzo del reddito minimo, in particolare tra le famiglie monoparentali, anche attraverso il coinvolgimento dei pertinenti portatori di interessi a livello nazionale, regionale e locale; d) adottando misure per combattere la stigmatizzazione e i pregiudizi inconsci legati alla povertà e all’esclusione sociale; e) adottando misure per migliorare o sviluppare metodologie di valutazione e valutando periodicamente il mancato utilizzo del reddito minimo in base a tali metodologie e, se del caso, le relative misure di attivazione del mercato del lavoro, individuando gli ostacoli e mettendo in atto misure correttive “.

A mi sembra che le misure introdotte che ridurranno di centinaia di migliaia (secondo le prime valutazioni) di persone la platea dei beneficiari di un sostegno contro la povertà (impedendo in modo discriminatorio l’accesso ai migranti anche comunitari) e che introducono sistemi di avvio coercitivo al lavoro  precario  e dequalificato siano non rispettosi della Raccomandazione sotto molteplici aspetti prima indicati.

Nella sua originaria proposta di Raccomandazione la Commissione aveva ricordato che

The European Semester process of economic and employment policy coordination has highlighted structural challenges related to minimum income schemes and related elements such as social inclusion and labour market activation, with a number of Member States receiving related country specific recommendations. The revised social scoreboard20 tracks performance and trends in the Member States, enabling the Commission to monitor progress in addressing the country-specific recommendations. The 2022 guidelines for the employment policies of the Member States state that social protection systems should ensure adequate minimum income benefits for everyone lacking sufficient resources and promote social inclusion by encouraging people to actively participate in the labour market and society, including through targeted provision of social services. For strengthening analytical work, a benchmarking framework was agreed in the Social Protection Committee and its results have been reflected in the Joint Employment Report, country reports and country-specific recommendations”.

La Commissione ha in sostanza avvertito gli stati che gode già di efficaci poteri di sorveglianza macro-economica nell’ambito del semestre europeo come si è visto anche negli ultimi anni nei quali le Raccomandazioni specifiche all’Italia stigmatizzavano sino al 2019 l’insufficienza delle nostre politiche di contrasto alla povertà e l’eccessivo e preoccupante  numero di persone a rischio di esclusone sociale. Nella Raccomandazione del 2021 all’Italia (nel semestre europeo) la Commissione lodava l’estensione del RDC attraverso il reddito di emergenza ma si preoccupava per il fatto che fosse a tempo, chiedendo in sostanza che si migliorassero le politiche già introdotte. Sappiamo tutti che cosa significa resistere alla Commissione nel semestre europeo: studiosi ed esperti hanno già osservato che una grave inadempienza in questo settore, che l’Unione considera strategico perché cartina di tornasole della sostenibilità sociale del modello economico europeo, potrebbe anche comportare l’esclusione dai fondi sociali. Non vorremmo che per risparmiare tra i due ed i tre miliardi a spese degli ultimi l’Italia corresse il rischio di perderne decine.      

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo

 

[1] Molto opinabile è  però l’ esclusione dall’assegno dei soggetti che hanno ricevuto una condanna ad almeno un anno di reclusione, anche convertito in una multa (mentre per il RDC erano esclusi solo coloro che si erano macchiati di gravissimi reati contro la personalità dello stato o di natura associativa) che difetta di razionalità (in genere i paesi membri dell’Unione non hanno forme di sanzione indiretta degli illeciti  di reati non straordinariamente gravi e molto diffusi) portando questi soggetti in una situazione di disperazione che può indurli alla recidiva e di senso di equità perché ricomprende anche ipotesi di reati di minima entità.

[2] Cfr. anche E. Granaglia “ Lavoro e sostegno ai poveri: alcune tensioni trascurate”, in Etica e economia 

[3] Il DL sembra anche in contraddizione con la Convenzione OIL sull’indennità di disoccupazione (ratificata dall’Italia) in ordine al legittimo rifiuto di offerte di lavoro da parte del beneficiario (ad esempio in territori ove è difficile trovare un alloggio etc.) che dovrebbero quanto indirizzare anche le prescrizioni sul dovere di accettare occasioni di occupazione per soggetti esclusi incolpevolmente dal mercato del lavoro o sottopagati al punto da non raggiungere la soglia vitale.

 

 
 
 

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