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Il Parlamento europeo rimette in gioco la discrezionalità sin qui utilizzata dal Consiglio e dalla Commissione europea nella tutela dello “stato di diritto”

Un’energica Risoluzione del Parlamento europeo del 18 gennaio 2024 approvata con una larghissima maggioranza (ben 345 voti contro 104, quest’ultimi espressione  in sostanza dei soli gruppi sovranisti,  e 29 astensioni) ha espresso  la “ profonda preoccupazione” per la situazione in Ungheria ulteriormente deterioratasi per l’approvazione di un pacchetto di “misure di protezione nazionale” non adeguatamente sottoposte al vaglio parlamentare e a quello dell’opinione pubblica che “ offre all’esecutivo maggiori opportunità di mettere a tacere e stigmatizzare le  voci e gli oppositori indipendenti” (punto E). Questa iniziativa si aggiunge alla situazione perdurante da anni di attentati ai diritti fondamentali  di vari gruppi vulnerabili come “donne, persone LGBTIQ+, rom, migranti, richiedenti asilo e rifugiati senza che istituzioni indipendenti siano in grado di proteggerli o siano disposte a farlo” (punto C). Il governo peraltro ha promosso iniziative per il controllo dei media statali e privati e il 3 maggio Il Parlamento ungherese ha approvato un pacchetto di riforma del sistema giudiziario senza però rivedere le recenti nomine politiche dei vertici dello stesso.

Su questa base ricognitiva il Parlamento non ritiene giustificabile la decisione della Commissione di autorizzare il pagamento di circa 10 miliardi (per altri circa  20 miliardi la sospensione dei pagamenti è stata mantenuta alla luce dei Regolamenti sulla condizionalità, a cominciare da quello n. 2092/2020) , nell’ambito dei progetti del Recovery Plan, all’Ungheria già in precedenza bloccati per la verificata  “insussistenza delle condizioni abilitanti orizzontali della Carta dei diritti concernenti l’indipendenza del potere giudiziario”, che invece la Commissione ha ritenuto con decisione del 13.12.2023 ora  soddisfatte. Per il Parlamento la decisione è infondata stante la carenza della normativa ungherese circa meccanismi di adeguato “controllo o procedure di appalto pubblico intesi a garantire la sana gestione finanziaria e la protezione del bilancio UE”; rileva ancora che “ anche dopo le recenti riforme l’Ungheria non soddisfi il livello di indipendenza della magistratura fissato nella Carta” dei diritti a cominciare dal permanere di “ostacoli nei rinvii pregiudiziali” o nella nomina degli organi di vertice e disciplinari del sistema giudiziario, invitando la Commissione a disporre nuovi accertamenti quando le nuove norme introdotte  ( o i previsti nuovi sistema di audit e controllo) avranno dimostrato la loro efficacia (punto 6).  Si sottolineano le perduranti  aggressioni allo stato di diritto anche al di là dell’organizzazione giudiziaria: “le autorità ungheresi devono garantire pari opportunità di accesso ai finanziamenti dell'UE per i cittadini, le imprese, la società civile, le ONG e gli enti locali e regionali, e devono assicurare un controllo giudiziario indipendente e meccanismi di denuncia imparziali ed efficaci; condanna le pratiche discriminatorie sistemiche segnalate nei confronti del mondo accademico, dei giornalisti, dei partiti politici e della società civile, come pure delle imprese in alcuni settori; si rammarica delle pratiche commerciali di matrice politica che conferiscono un vantaggio sleale ai concorrenti, delle procedure di appalto pubblico non trasparenti e manipolate, delle offerte pubbliche di acquisto da parte del governo e di entità con legami con il Primo ministro e dell'utilizzo dei fondi dell'UE per arricchire alleati politici del governo in contraddizione con le norme dell'UE in materia di concorrenza e appalti pubblici; sottolinea che lo Stato di diritto è fondamentale per il funzionamento del mercato unico nell'UE” (punto 7).

Pur non essendo una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione la Risoluzione non è meramente dichiarativa e simbolica poiché  incarica il  proprio servizio giuridico di adottare quanto prima le misure necessarie ed opportune in relazione alla decisione di scongelamento dei  fondi di cui si è detto tra cui un esame della legittimità della decisione presso la Corte di giustizia ex art. 163 del TFUE  e rammenta “la possibilità per il Parlamento di applicare le misure giuridiche e politiche a sua disposizione qualora la Commissione sblocchi i fondi senza che i criteri siano soddisfatti o qualora essa non garantisca la piena attuazione della legislazione pertinente, in considerazione della sua responsabilità di agire in veste di custode dei trattati e di tutelare gli interessi finanziari dell'UE; ricorda che la Commissione è politicamente responsabile dinanzi al Parlamento” (punto 11).

Il Parlamento quindi non solo reagisce molto energicamente a questa “apertura di credito” nei confronti dell’Ungheria basate su misure ancora non rodate quanto ad efficacia sull’indipendenza della magistratura ma riapre lo scenario della lotta  europea per il rispetto della rule of the law in tutti gli stati membri (in questa fase con urgenza per l’Ungheria definito nella Risoluzione “ redime ibrido di democrazia autocratica”).

 In primo luogo perché si trae occasione dall’episodio dello “sblocco” parziale dei fondi per stigmatizzare ancora l’inerzia del Consiglio nel dar seguito alla procedura di cui all’art. 7 TUE : “deplora vivamente l'incapacità del Consiglio di compiere progressi significativi nell'ambito delle procedure in corso di cui all'articolo 7, paragrafo 1, TUE; ribadisce il suo appello al Consiglio a tener conto di tutti i nuovi sviluppi che interessano lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti fondamentali; ribadisce il suo invito al Consiglio a formulare raccomandazioni nel quadro di tale procedura; sottolinea che il Consiglio condivide la responsabilità della protezione dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e che il mancato rispetto di tale responsabilità avrebbe conseguenze durature e potenzialmente dannose; invita il Consiglio europeo e gli Stati membri ad agire e a determinare se l'Ungheria abbia commesso gravi e persistenti violazioni dei valori dell'UE ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, TUE; insiste sul rispetto del ruolo e delle competenze del Parlamento ( punto n. 2).

Inoltre correttamente il Parlamento sviluppa una concezione “olistica” del rispetto dei “valori” di cui all’art. 2 TUE che contempli unitariamente l’insieme dei comportamenti tenuti da uno stato membro in ordine al rispetto dei diritti fondamentali della Carta che sono connessi, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, ai valori dell’Unione: “sottolinea che le misure necessarie per l'erogazione dei finanziamenti dell'UE, quali definite dalle pertinenti decisioni adottate a norma del regolamento recante disposizioni comuni, del regolamento RRF e del regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto, devono essere trattate come un unico pacchetto integrale, e che non dovrebbero essere effettuati pagamenti anche se vi sono progressi in uno o più ambiti ma permangono carenze in altri” ( punto 9) e “ribadisce il suo invito alla Commissione ad avvalersi appieno degli strumenti a sua disposizione per far fronte a un evidente rischio di violazione grave dei valori fondanti dell'Unione da parte dell'Ungheria, con particolare riferimento alle misure finanziarie e alle procedure d'infrazione accelerate, alle domande di provvedimenti provvisori dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea e alle misure inerenti alla mancata esecuzione delle sentenze della Corte; si attende un'azione tempestiva in seguito all'adozione del pacchetto di "protezione della sovranità nazionale" (punto 10).

Infine il Parlamento pone già la questione se l’Ungheria, salvo radicali riforme ancora non in vista, sia o meno idonea ad assumere la Presidenza semestrale: “evidenzia l'importante ruolo della Presidenza del Consiglio nel portare avanti i lavori del Consiglio sulla legislazione dell'UE, garantendo la continuità dell'agenda dell'UE e rappresentando il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni dell'UE; si chiede se l'Ungheria sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito nel 2024, in considerazione della sua inosservanza del diritto dell'UE, dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione; ricorda che in alcuni casi il Presidente del Consiglio europeo potrebbe essere sostituito dal membro del Consiglio europeo che rappresenta lo Stato membro che esercita la presidenza semestrale del Consiglio; chiede al Consiglio di trovare quanto prima soluzioni adeguate per attenuare tali rischi; ricorda che il Parlamento può adottare le opportune misure qualora tale soluzione non venga trovata" (punto n. 8) .

In conclusione va osservato come in questi anni i meccanismi di controllo sul rispetto dei valori dell’Unione, seppure molto a rilento, abbiano cominciato a funzionare soprattutto sul lato del rispetto della rule of law, attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha collegato la tutela dell’art. 47 della Carta alla salvaguardia dello stato di diritto ( ed anche dei connessi valori come uguaglianza e non discriminazione) coadiuvata dai severi monitoraggi azionati dal Parlamento e  dalla Commissione ([1]).  I due aspetti che sono rimasti problematici sono da un lato i meccanismi sanzionatori dell’art. 7, una volta attivata la procedura, bloccati dall’inerzia immotivata ed irresponsabile del Consiglio e dall’altra la necessità di avere una visione unitaria della tutela dei diritti fondamentali laddove sia a repentaglio il rispetto complessivo dei valori ultimi del processo d’integrazione. Per lo  stato di diritto vi è stata una  certa reazione  che andrebbe resa più energica ed efficace ma per gli altri valori questa è ancora molto carente.

Da ciò la proposta del Movimento europeo che condivide la richiesta votata il  22 novembre del 2023 del Parlamento europeo di riformare l’art. 7 TUE dando un ruolo valutativo decisionale nella procedura  alla Corte di giustizia come era previsto nel cosidetto Progetto Spinelli nel 1984. Oggi il meccanismo previsto dal Trattato all’art. 7 ha come riferimento procedure e accertamenti obiettivi che si collegano in buona sostanza alla violazione dei diritti della Carta: appare quindi matura la decisione di affidare un ruolo centrale alla Corte di giustizia nel mettere in mora uno Stato e nel sanzionarlo come previsto nel Progetto del 1984, superando l‘immobilismo attuale. In attesa della modifica del Trattato, il Movimento propone però da subito di rafforzare il ruolo della Agenzia europea per i diritti fondamentali soprattutto sul lato ispettivo e preventivo (oggi assenti) e di creare una Commissione di esperti indipendenti dell’UE sul modello della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa onde offrire alla mobilitazione istituzionale e giudiziaria per i “valori” una prospettiva integrata ed unitaria e dotata dell’autorevolezza espressa da un Collegio di insigni studiosi continentali.

Giuseppe Bronzini

Segretario generale del Movimento europeo

 

[1] Cfr. G. Bronzini La giurisprudenza della Corte di giustizia e la protezione “ anticipata” dello stato di diritto. Il ruolo delle norme dei Trattati e della Carta dei diritti, in La Cittadinanza europea n. 1/2022, p. 57 ss

 

 

 

 

 

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IL SILENZIO DI URSULA VON DER LEYEN E IL FUTURO GOVERNO DELL’EUROPA

Ursula von der Leyen non è ancora uscita dal suo silenzio assordante sull’ipotesi di succedere a sé stessa alla presidenza della Commissione europea a novembre 2024 per “governare” l’Unione europea fino al 2029.

Il suo silenzio è probabilmente legato all’incertezza degli equilibri politici europei che la spingono da una parte ad “accarezzare il pelo dei conservatori ed in particolare di Giorgia Meloni nell’ipotesi in cui i voti del gruppo ECR o di una sua parte possano essere essenziali per avere la maggioranza assoluta nel Parlamento europeo e d’altra parte a blandire i capi di Stato e di governo all’interno di un Consiglio europeo dove il voto dei primi ministri conservatori è tuttora irrilevante perché, secondo le regole del Trattato, essi non costituiscono nemmeno una minoranza di blocco di quattro governi.

Ursula von der Leyen ricorda bene che la sua personale investitura, nel luglio 2019, avvenne di stretta misura e vorrà certamente evitare che nell’aula di Strasburgo il 17 luglio 2024 – se sarà lei la prescelta dal Consiglio europeo – prevalgano le ostilità nei suoi confronti di una parte del PPE (nemo propheta in patria), di una parte dei Socialisti ma anche dei Liberali per non parlare dei Verdi.

Come sappiamo, il Trattato non prevede il metodo dei candidati di punta (Spitzenkandidaten) inventato nel 2013 dall’allora presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, nell’illusione che sarebbe stato lui il successore del portoghese José Manuel Barroso, mai accettato dal Consiglio europeo che intende applicare invece la procedura secondo cui “tenendo conto delle elezioni europee e dopo aver proceduto alle consultazioni appropriate (il Consiglio europeo) decidendo a maggioranza qualificata propone al Parlamento europeo un candidato alla funzione di presidente della Commissione” (art. 17.7 TUE).

I Popolari che si riuniranno a Bucarest il 6 marzo e i Socialisti che li precederanno a Roma il 1° marzo hanno inserito nei loro statuti il metodo dei candidati di punta senza concordare questo metodo con il Consiglio europeo per cui i Socialisti incoroneranno il lussemburghese e commissario europeo per il lavoro e i diritti sociali Nicolas Schmit mentre i Popolari dovranno decidere se incoronare Ursula von der Leyen chiedendole di scendere nell’agone elettorale europeo o rinunciare al candidato di punta o incoronare pro forma un altro candidato di bandiera come fu Manfred Weber nel 2019.

Nel frattempo, i Verdi avranno scelto a Lione i loro candidati di bandiera (un candidato e una candidata dove è in lizza l’italiana Benedetta Scuderi) mentre la nebbia è fitta sugli eventuali candidati liberale e della sinistra ed è ancora più fitta sugli orientamenti dei sovranisti-nazionalisti dell’ECR (conservatori) e dell’ID di Matteo Salvini, Marine Le Pen e Alice Weidel e cioè la leader dell’estrema destra tedesca che ha rilevato recentemente le sue simpatie per i movimenti neo-nazisti e per il piano di deportazione degli immigrati in Africa negli stessi giorni della marcia neo-fascista ad Acca Laurentia.

Secondo le molto incerte ipotesi diffuse mensilmente da Europe elects e rilanciate pedissequamente da Euractiv e Ansa, una maggiorana PPE-ECR-ID sarebbe matematicamente e politicamente impossibile e lo sarebbe politicamente ancora di più se il centro-destra volesse imbarcare i Liberali per sbarcare i Socialisti mentre l’ipotesi più probabile sarebbe fondata su una nuova “maggioranza Ursula” che unì nel novembre 2019 PPE-S&D-ALDE/Renew Europe imbarcando gli irrilevanti conservatori del PiS per votare il “loro” commissario all’agricoltura Janusz Wojciechowski, che potrebbe imbarcare nel 2024 gli irrilevanti voti di Fratelli d’Italia nel caso in cui Giorgia Meloni riuscisse a collocare nella Commissione un suo parente (Francesco Lollobrigida) costringendolo a scendere dal treno del suo governo in corsa o un suo sodale (Raffaele Fitto) mandando a Bruxelles l’uomo del PNRR e fosse così obbligata a votare per il nuovo esecutivo anche se ci fossero i Socialisti in maggioranza provocando l’ira funesta di Matteo Salvini.

La situazione sarà più complicata rispetto al 2019 perché l’annuncio improvviso ma prevedibile di Charles Michel di voler lasciare anticipatamente la presidenza del Consiglio europeo per candidarsi al Parlamento europeo e - bontà sua - alla presidenza della assemblea costringerà il Consiglio europeo a nominare nello stesso tempo a fine giugno i due presidenti.

La doppia nomina a fine giugno sarà inevitabile per evitare di affidare la presidenza del Consiglio europeo a Viktor Orban il cui governo avrà l’onore e l’onere di presiedere il Consiglio dell’UE dal 1° luglio al 31 dicembre 2024 a meno che lo stesso Consiglio europeo a maggioranza qualificata e sulla base dell’art. 236 TFUE decida di sottrarre a Viktor Orban onore e onere anticipando di un semestre la presidenza polacca del Consiglio dell’UE prevista dal 1° gennaio al 30 giugno 2025 ora che il PiS è stato democraticamente relegato all’opposizione pur mantenendo nel Palazzo di Ulica Krakowskie Przedmiescie il presidente della Repubblica Andrzej Duda - complice degli ex ministri Mariusz Kaminski e Maciej Wazik - fino all’agosto 2025.

Di fronte a questa imprevista situazione istituzionale, circola a Bruxelles, a Parigi e a Roma l’ipotesi che Emmanuel Macron su suggerimento di Jacques Attali possa proporre al Consiglio europeo di mettere fine alla situazione grottesca creata con il Trattato di Lisbona con la coabitazione fra il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione - provocando in questi quattro anni imbarazzanti equivoci internazionali - che potrebbe essere risolta con una “unione personale” delle due presidenze come proposero Giuliano Amato e Pierre Lequiller alla Convenzione sull’avvenire dell’Europa nel 2002 e come sarebbe indirettamente consentito dallo stesso Trattato di Lisbona (art. 15.6.d TUE).

Negli ultimi mesi, Ursula von der Leyen ha intensificato i suoi sforzi su questioni con posizioni che non sempre hanno suscitato un consenso unanime od anche largamente maggioritario fra i governi e nel Parlamento europeo

  • come in materia migratoria dove prevale da gennaio il suo approccio securitario e il suo refrain “siamo noi che decidiamo chi entra”,
  • o negli strettissimi rapporti con l’Ucraina e il presidente Zelensky che hanno portato ad una accelerazione delle procedure di adesione di quel paese all’Unione europea,
  • o infine con la piattaforma STEP (Strategic Technologies for Europe Platform) immaginata dalla stessa Ursula von der Leyen a settembre 2023 come un cospicuo Fondo di Sovranità per investimenti industriali dotato di 100 miliardi di nuovo debito pubblico europeo proposto da Thierry Breton e Paolo Gentiloni ma ora ridotto ad un esiguo contributo di dieci miliardi incapace di innescare una vera politica industriale europea in grado di affermare un rinnovato e competitivo modello produttivo europeo nel lungo periodo.

Abbiamo dovuto prendere atto a dicembre dello stallo nel Consiglio europeo sulla revisione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 (QFP) di cui facevano parte i cinquanta miliardi per l’Ucraina e il più che modesto STEP.

Vedremo se si troverà un accordo al Vertice straordinario del 1° febbraio, che dovrà poi essere adottato all’unanimità in un regolamento ad hoc dal Consiglio previa approvazione del Parlamento europeo o se lo stesso Parlamento europeo – con un atto istituzionalmente insurrezionale – respingerà al mittente la revisione del QFP che ignora le necessità finanziarie europee legate a precise priorità politiche ed economiche e al rafforzamento della capacità fiscale europea nelle entrate e nelle spese (richiamata più volte da Mario Draghi) per l’offerta di beni pubblici europei.

Nel frattempo, il dibattito europeo si è animato perché Emmanuel Macron a Davos ha preso una posizione netta a favore di un debito  pubblico europeo fondato su Eurobond per aprire la strada ad investimenti europei a lungo termine, certo nella difesa ma anche nell’industria civile e nella transizione socialmente giusta mentre la prima ministra estone Kaja Kallas – rilanciando la richiesta dei paesi baltici di una linea di difesa comune al confine esterno con la Russia e la Bielorussia – ha sorprendentemente dichiarato la disponibilità del suo governo “frugale” per un nuovo debito pubblico europeo limitandolo alla spesa pubblica militare e il tema dell’esercito europeo è entrato con forza nella campagna per le elezioni europee con la proposta complementare di un futuro  commissario europeo alla difesa diverso dall’Alto Rappresentante.

Questo dibattito è evidentemente legato al tema più ampio della riforma europea perché – contrariamente a quel che pensano i “confederali” (da ultimo, de minimis non curat praetor, Giulio Tremonti) che straparlano di un esercito europeo in una Europa delle patrie nazionaliuna vera difesa europea, comune o unica, non può essere disgiunta dalla creazione di un governo europeo di natura federale accettando il fatto che il controllo della politica estera e della sicurezza appartenga più e principalmente alla “Camera alta” e cioè al Consiglio con decisioni a maggioranza qualificata, come negli Stati Uniti appartiene al Senato, che alla “Camera Bassa” e cioè al Parlamento europeo.

Ursula von der Leyen, alla disperata ricerca di una ragion d’essere della sua conferma e di una roadmap per la prossima legislatura, ci ha già preannunciato il suo programma del futuro “governo” europeo:

  • il rapido allargamento dell’Unione europea ai paesi candidati ed in primis all’Ucraina che vorrebbe addirittura entrare prima degli altri con negoziati che passano soprattutto dalle mani della Commissione europea,
  • l’approfondimento insieme all’allargamento (hand to hand) da inserire in una “comunicazione” al Consiglio e al Parlamento europeo che potrebbe innaturalmente coincidere con i quaranta anni del “progetto Spinelli” il 14 febbraio 2024 affinché il secondo (deepening) non ostacoli il primo (enlarging) - purtroppo con buona pace di coloro che insistono sull’idea che, mentre i candidati all’adesione proseguono sulla via delle riforme interne, noi dobbiamo fare le nostre riforme interne – sposando così la scelta immobilista di inserire le riforme europee nei trattati di adesione secondo la linea prevalente fra i governi che non hanno nessuna intenzione di convocare una convenzione né a marzo né a giugno 2024 e che vogliono iscrivere invece questa modesta invenzione nella “agenda strategica 2024-2029” auto-adottata dopo le elezioni europee
  • ed infine la difesa europea - dirottando le risorse europee dalle spese ambientali, digitali e sociali agli investimenti militari - da proporre in una seconda “comunicazione” che Ursula von der Leyen vorrebbe far coincidere con l’anniversario dell’aggressione della Russia di Vladimir Putin alla indipendenza e all’inviolabilità dell’Ucraina il 24 febbraio 2024.

Non v’è traccia nel pensiero di Ursula von der Leyen della dimensione geopolitica dell’Unione europea che pure era apparsa come una meteora nel suo programma strategico 2019-2024 insieme alle transizioni ambientale e digitale, né del ruolo politico e diplomatico che potrebbe e dovrebbe svolgere l’Europa sui due fronti russo-ucraino e medio-orientale per quel che sta avvenendo sui campi di guerra e in vista di quel che potrebbe avvenire quando si insedierà il 20 gennaio 2025 alla Casa Bianca il 47mo presidente degli Stati Uniti d’America, né della visione – consentiteci di dirlo – dell’Europa sociale di Jacques Delors che dovrebbe essere al centro dell’incontro di Val Duchesse del prossimo 20 marzo.

Noi siamo cocciutamente convinti che la prossima legislatura dovrà essere costituente nel senso del ruolo di leadership del Parlamento eletto e che la riapertura del cantiere europeo - chiuso nel 2009 dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ulteriormente indebolito dai governi dopo il primo “no” nel referendum irlandese del 12 giugno 2008 - dovrà condurre a costituire una nuova Comunità federale (o una Repubblica europea) a valle del processo costituente aperta a quei paesi e a quei popoli che ne accetteranno valori, competenze e regole democratiche ma pronta ad associare in forme diverse di cooperazione quei paesi e quei popoli europei che decideranno di non volerne farne parte (l’Europa di due cerchi concentrici).

Dalle elezioni europee emergerà una minoranza federalista di forze politiche e di parlamentari  che condivideranno già in campagna elettorale la nostra cocciutaggine e che saranno pronti a proporre una insurrezione istituzionale per opporsi all’immobilismo dei governi così come emergerà una minoranza di nazionalisti rumorosi e che fra l’una e l’altra ci sarà un’area più vasta – che Altiero Spinelli chiamava “la palude” – e cioè un terreno di azione politica su cui lavorare per convincere la maggioranza del Parlamento europeo “ad uscire ancora una volta e presto in mare aperto predisponendo i migliori mezzi per catturare il pesce e per proteggerlo dai pescecani” (dall’ultimo discorso al Parlamento  europeo di Altiero Spinelli, il 16 gennaio 1986) o dove prevarrà chi accetterà che l’Unione europea resti prigioniera dello status quo.

Roma, 21 gennaio 2024

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

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 L'EDITORIALE

IL SILENZIO DI URSULA VON DER LEYEN E IL FUTURO GOVERNO DELL’EUROPA

Ursula von der Leyen non è ancora uscita dal suo silenzio assordante sull’ipotesi di succedere a sé stessa alla presidenza della Commissione europea a novembre 2024 per “governare” l’Unione europea fino al 2029.

Il suo silenzio è probabilmente legato all’incertezza degli equilibri politici europei che la spingono da una parte ad “accarezzare il pelo dei conservatori ed in particolare di Giorgia Meloni nell’ipotesi in cui i voti del gruppo ECR o di una sua parte possano essere essenziali per avere la maggioranza assoluta nel Parlamento europeo e d’altra parte a blandire i capi di Stato e di governo all’interno di un Consiglio europeo dove il voto dei primi ministri conservatori è tuttora irrilevante perché, secondo le regole del Trattato, essi non costituiscono nemmeno una minoranza di blocco di quattro governi.

Ursula von der Leyen ricorda bene che la sua personale investitura, nel luglio 2019, avvenne di stretta misura e vorrà certamente evitare che nell’aula di Strasburgo il 17 luglio 2024 – se sarà lei la prescelta dal Consiglio europeo – prevalgano le ostilità nei suoi confronti di una parte del PPE (nemo propheta in patria), di una parte dei Socialisti ma anche dei Liberali per non parlare dei Verdi.

Come sappiamo, il Trattato non prevede il metodo dei candidati di punta (Spitzenkandidaten) inventato nel 2013 dall’allora presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, nell’illusione che sarebbe stato lui il successore del portoghese José Manuel Barroso, mai accettato dal Consiglio europeo che intende applicare invece la procedura secondo cui “tenendo conto delle elezioni europee e dopo aver proceduto alle consultazioni appropriate (il Consiglio europeo) decidendo a maggioranza qualificata propone al Parlamento europeo un candidato alla funzione di presidente della Commissione” (art. 17.7 TUE).

I Popolari che si riuniranno a Bucarest il 6 marzo e i Socialisti che li precederanno a Roma il 1° marzo hanno inserito nei loro statuti il metodo dei candidati di punta senza concordare questo metodo con il Consiglio europeo per cui i Socialisti incoroneranno il lussemburghese e commissario europeo per il lavoro e i diritti sociali Nicolas Schmit mentre i Popolari dovranno decidere se incoronare Ursula von der Leyen chiedendole di scendere nell’agone elettorale europeo o rinunciare al candidato di punta o incoronare pro forma un altro candidato di bandiera come fu Manfred Weber nel 2019.

Nel frattempo, i Verdi avranno scelto a Lione i loro candidati di bandiera (un candidato e una candidata dove è in lizza l’italiana Benedetta Scuderi) mentre la nebbia è fitta sugli eventuali candidati liberale e della sinistra ed è ancora più fitta sugli orientamenti dei sovranisti-nazionalisti dell’ECR (conservatori) e dell’ID di Matteo Salvini, Marine Le Pen e Alice Weidel e cioè la leader dell’estrema destra tedesca che ha rilevato recentemente le sue simpatie per i movimenti neo-nazisti e per il piano di deportazione degli immigrati in Africa negli stessi giorni della marcia neo-fascista ad Acca Laurentia.

Secondo le molto incerte ipotesi diffuse mensilmente da Europe elects e rilanciate pedissequamente da Euractiv e Ansa, una maggiorana PPE-ECR-ID sarebbe matematicamente e politicamente impossibile e lo sarebbe politicamente ancora di più se il centro-destra volesse imbarcare i Liberali per sbarcare i Socialisti mentre l’ipotesi più probabile sarebbe fondata su una nuova “maggioranza Ursula” che unì nel novembre 2019 PPE-S&D-ALDE/Renew Europe imbarcando gli irrilevanti conservatori del PiS per votare il “loro” commissario all’agricoltura Janusz Wojciechowski, che potrebbe imbarcare nel 2024 gli irrilevanti voti di Fratelli d’Italia nel caso in cui Giorgia Meloni riuscisse a collocare nella Commissione un suo parente (Francesco Lollobrigida) costringendolo a scendere dal treno del suo governo in corsa o un suo sodale (Raffaele Fitto) mandando a Bruxelles l’uomo del PNRR e fosse così obbligata a votare per il nuovo esecutivo anche se ci fossero i Socialisti in maggioranza provocando l’ira funesta di Matteo Salvini.

La situazione sarà più complicata rispetto al 2019 perché l’annuncio improvviso ma prevedibile di Charles Michel di voler lasciare anticipatamente la presidenza del Consiglio europeo per candidarsi al Parlamento europeo e - bontà sua - alla presidenza della assemblea costringerà il Consiglio europeo a nominare nello stesso tempo a fine giugno i due presidenti.

La doppia nomina a fine giugno sarà inevitabile per evitare di affidare la presidenza del Consiglio europeo a Viktor Orban il cui governo avrà l’onore e l’onere di presiedere il Consiglio dell’UE dal 1° luglio al 31 dicembre 2024 a meno che lo stesso Consiglio europeo a maggioranza qualificata e sulla base dell’art. 236 TFUE decida di sottrarre a Viktor Orban onore e onere anticipando di un semestre la presidenza polacca del Consiglio dell’UE prevista dal 1° gennaio al 30 giugno 2025 ora che il PiS è stato democraticamente relegato all’opposizione pur mantenendo nel Palazzo di Ulica Krakowskie Przedmiescie il presidente della Repubblica Andrzej Duda - complice degli ex ministri Mariusz Kaminski e Maciej Wazik - fino all’agosto 2025.

Di fronte a questa imprevista situazione istituzionale, circola a Bruxelles, a Parigi e a Roma l’ipotesi che Emmanuel Macron su suggerimento di Jacques Attali possa proporre al Consiglio europeo di mettere fine alla situazione grottesca creata con il Trattato di Lisbona con la coabitazione fra il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione - provocando in questi quattro anni imbarazzanti equivoci internazionali - che potrebbe essere risolta con una “unione personale” delle due presidenze come proposero Giuliano Amato e Pierre Lequiller alla Convenzione sull’avvenire dell’Europa nel 2002 e come sarebbe indirettamente consentito dallo stesso Trattato di Lisbona (art. 15.6.d TUE).

Negli ultimi mesi, Ursula von der Leyen ha intensificato i suoi sforzi su questioni con posizioni che non sempre hanno suscitato un consenso unanime od anche largamente maggioritario fra i governi e nel Parlamento europeo

  • come in materia migratoria dove prevale da gennaio il suo approccio securitario e il suo refrain “siamo noi che decidiamo chi entra”,
  • o negli strettissimi rapporti con l’Ucraina e il presidente Zelensky che hanno portato ad una accelerazione delle procedure di adesione di quel paese all’Unione europea,
  • o infine con la piattaforma STEP (Strategic Technologies for Europe Platform) immaginata dalla stessa Ursula von der Leyen a settembre 2023 come un cospicuo Fondo di Sovranità per investimenti industriali dotato di 100 miliardi di nuovo debito pubblico europeo proposto da Thierry Breton e Paolo Gentiloni ma ora ridotto ad un esiguo contributo di dieci miliardi incapace di innescare una vera politica industriale europea in grado di affermare un rinnovato e competitivo modello produttivo europeo nel lungo periodo.

Abbiamo dovuto prendere atto a dicembre dello stallo nel Consiglio europeo sulla revisione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 (QFP) di cui facevano parte i cinquanta miliardi per l’Ucraina e il più che modesto STEP.

Vedremo se si troverà un accordo al Vertice straordinario del 1° febbraio, che dovrà poi essere adottato all’unanimità in un regolamento ad hoc dal Consiglio previa approvazione del Parlamento europeo o se lo stesso Parlamento europeo – con un atto istituzionalmente insurrezionale – respingerà al mittente la revisione del QFP che ignora le necessità finanziarie europee legate a precise priorità politiche ed economiche e al rafforzamento della capacità fiscale europea nelle entrate e nelle spese (richiamata più volte da Mario Draghi) per l’offerta di beni pubblici europei.

Nel frattempo, il dibattito europeo si è animato perché Emmanuel Macron a Davos ha preso una posizione netta a favore di un debito  pubblico europeo fondato su Eurobond per aprire la strada ad investimenti europei a lungo termine, certo nella difesa ma anche nell’industria civile e nella transizione socialmente giusta mentre la prima ministra estone Kaja Kallas – rilanciando la richiesta dei paesi baltici di una linea di difesa comune al confine esterno con la Russia e la Bielorussia – ha sorprendentemente dichiarato la disponibilità del suo governo “frugale” per un nuovo debito pubblico europeo limitandolo alla spesa pubblica militare e il tema dell’esercito europeo è entrato con forza nella campagna per le elezioni europee con la proposta complementare di un futuro  commissario europeo alla difesa diverso dall’Alto Rappresentante.

Questo dibattito è evidentemente legato al tema più ampio della riforma europea perché – contrariamente a quel che pensano i “confederali” (da ultimo, de minimis non curat praetor, Giulio Tremonti) che straparlano di un esercito europeo in una Europa delle patrie nazionaliuna vera difesa europea, comune o unica, non può essere disgiunta dalla creazione di un governo europeo di natura federale accettando il fatto che il controllo della politica estera e della sicurezza appartenga più e principalmente alla “Camera alta” e cioè al Consiglio con decisioni a maggioranza qualificata, come negli Stati Uniti appartiene al Senato, che alla “Camera Bassa” e cioè al Parlamento europeo.

Ursula von der Leyen, alla disperata ricerca di una ragion d’essere della sua conferma e di una roadmap per la prossima legislatura, ci ha già preannunciato il suo programma del futuro “governo” europeo:

  • il rapido allargamento dell’Unione europea ai paesi candidati ed in primis all’Ucraina che vorrebbe addirittura entrare prima degli altri con negoziati che passano soprattutto dalle mani della Commissione europea,
  • l’approfondimento insieme all’allargamento (hand to hand) da inserire in una “comunicazione” al Consiglio e al Parlamento europeo che potrebbe innaturalmente coincidere con i quaranta anni del “progetto Spinelli” il 14 febbraio 2024 affinché il secondo (deepening) non ostacoli il primo (enlarging) - purtroppo con buona pace di coloro che insistono sull’idea che, mentre i candidati all’adesione proseguono sulla via delle riforme interne, noi dobbiamo fare le nostre riforme interne – sposando così la scelta immobilista di inserire le riforme europee nei trattati di adesione secondo la linea prevalente fra i governi che non hanno nessuna intenzione di convocare una convenzione né a marzo né a giugno 2024 e che vogliono iscrivere invece questa modesta invenzione nella “agenda strategica 2024-2029” auto-adottata dopo le elezioni europee
  • ed infine la difesa europea - dirottando le risorse europee dalle spese ambientali, digitali e sociali agli investimenti militari - da proporre in una seconda “comunicazione” che Ursula von der Leyen vorrebbe far coincidere con l’anniversario dell’aggressione della Russia di Vladimir Putin alla indipendenza e all’inviolabilità dell’Ucraina il 24 febbraio 2024.

Non v’è traccia nel pensiero di Ursula von der Leyen della dimensione geopolitica dell’Unione europea che pure era apparsa come una meteora nel suo programma strategico 2019-2024 insieme alle transizioni ambientale e digitale, né del ruolo politico e diplomatico che potrebbe e dovrebbe svolgere l’Europa sui due fronti russo-ucraino e medio-orientale per quel che sta avvenendo sui campi di guerra e in vista di quel che potrebbe avvenire quando si insedierà il 20 gennaio 2025 alla Casa Bianca il 47mo presidente degli Stati Uniti d’America, né della visione – consentiteci di dirlo – dell’Europa sociale di Jacques Delors che dovrebbe essere al centro dell’incontro di Val Duchesse del prossimo 20 marzo.

Noi siamo cocciutamente convinti che la prossima legislatura dovrà essere costituente nel senso del ruolo di leadership del Parlamento eletto e che la riapertura del cantiere europeo - chiuso nel 2009 dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ulteriormente indebolito dai governi dopo il primo “no” nel referendum irlandese del 12 giugno 2008 - dovrà condurre a costituire una nuova Comunità federale (o una Repubblica europea) a valle del processo costituente aperta a quei paesi e a quei popoli che ne accetteranno valori, competenze e regole democratiche ma pronta ad associare in forme diverse di cooperazione quei paesi e quei popoli europei che decideranno di non volerne farne parte (l’Europa di due cerchi concentrici).

Dalle elezioni europee emergerà una minoranza federalista di forze politiche e di parlamentari  che condivideranno già in campagna elettorale la nostra cocciutaggine e che saranno pronti a proporre una insurrezione istituzionale per opporsi all’immobilismo dei governi così come emergerà una minoranza di nazionalisti rumorosi e che fra l’una e l’altra ci sarà un’area più vasta – che Altiero Spinelli chiamava “la palude” – e cioè un terreno di azione politica su cui lavorare per convincere la maggioranza del Parlamento europeo “ad uscire ancora una volta e presto in mare aperto predisponendo i migliori mezzi per catturare il pesce e per proteggerlo dai pescecani” (dall’ultimo discorso al Parlamento  europeo di Altiero Spinelli, il 16 gennaio 1986) o dove prevarrà chi accetterà che l’Unione europea resti prigioniera dello status quo.

Roma, 21 gennaio 2024

coccodrillo

 

 

 

 


ULTIME DA BRUXELLES

Il Parlamento europeo rimette in gioco la discrezionalità sin qui utilizzata dal Consiglio e dalla Commissione europea nella tutela dello “stato di diritto”

Un’energica Risoluzione del Parlamento europeo del 18 gennaio 2024 approvata con una larghissima maggioranza (ben 345 voti contro 104, quest’ultimi espressione  in sostanza dei soli gruppi sovranisti,  e 29 astensioni) ha espresso  la “ profonda preoccupazione” per la situazione in Ungheria ulteriormente deterioratasi per l’approvazione di un pacchetto di “misure di protezione nazionale” non adeguatamente sottoposte al vaglio parlamentare e a quello dell’opinione pubblica che “ offre all’esecutivo maggiori opportunità di mettere a tacere e stigmatizzare le  voci e gli oppositori indipendenti” (punto E). Questa iniziativa si aggiunge alla situazione perdurante da anni di attentati ai diritti fondamentali  di vari gruppi vulnerabili come “donne, persone LGBTIQ+, rom, migranti, richiedenti asilo e rifugiati senza che istituzioni indipendenti siano in grado di proteggerli o siano disposte a farlo” (punto C). Il governo peraltro ha promosso iniziative per il controllo dei media statali e privati e il 3 maggio Il Parlamento ungherese ha approvato un pacchetto di riforma del sistema giudiziario senza però rivedere le recenti nomine politiche dei vertici dello stesso.

Su questa base ricognitiva il Parlamento non ritiene giustificabile la decisione della Commissione di autorizzare il pagamento di circa 10 miliardi (per altri circa  20 miliardi la sospensione dei pagamenti è stata mantenuta alla luce dei Regolamenti sulla condizionalità, a cominciare da quello n. 2092/2020) , nell’ambito dei progetti del Recovery Plan, all’Ungheria già in precedenza bloccati per la verificata  “insussistenza delle condizioni abilitanti orizzontali della Carta dei diritti concernenti l’indipendenza del potere giudiziario”, che invece la Commissione ha ritenuto con decisione del 13.12.2023 ora  soddisfatte. Per il Parlamento la decisione è infondata stante la carenza della normativa ungherese circa meccanismi di adeguato “controllo o procedure di appalto pubblico intesi a garantire la sana gestione finanziaria e la protezione del bilancio UE”; rileva ancora che “ anche dopo le recenti riforme l’Ungheria non soddisfi il livello di indipendenza della magistratura fissato nella Carta” dei diritti a cominciare dal permanere di “ostacoli nei rinvii pregiudiziali” o nella nomina degli organi di vertice e disciplinari del sistema giudiziario, invitando la Commissione a disporre nuovi accertamenti quando le nuove norme introdotte  ( o i previsti nuovi sistema di audit e controllo) avranno dimostrato la loro efficacia (punto 6).  Si sottolineano le perduranti  aggressioni allo stato di diritto anche al di là dell’organizzazione giudiziaria: “le autorità ungheresi devono garantire pari opportunità di accesso ai finanziamenti dell'UE per i cittadini, le imprese, la società civile, le ONG e gli enti locali e regionali, e devono assicurare un controllo giudiziario indipendente e meccanismi di denuncia imparziali ed efficaci; condanna le pratiche discriminatorie sistemiche segnalate nei confronti del mondo accademico, dei giornalisti, dei partiti politici e della società civile, come pure delle imprese in alcuni settori; si rammarica delle pratiche commerciali di matrice politica che conferiscono un vantaggio sleale ai concorrenti, delle procedure di appalto pubblico non trasparenti e manipolate, delle offerte pubbliche di acquisto da parte del governo e di entità con legami con il Primo ministro e dell'utilizzo dei fondi dell'UE per arricchire alleati politici del governo in contraddizione con le norme dell'UE in materia di concorrenza e appalti pubblici; sottolinea che lo Stato di diritto è fondamentale per il funzionamento del mercato unico nell'UE” (punto 7).

Pur non essendo una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione la Risoluzione non è meramente dichiarativa e simbolica poiché  incarica il  proprio servizio giuridico di adottare quanto prima le misure necessarie ed opportune in relazione alla decisione di scongelamento dei  fondi di cui si è detto tra cui un esame della legittimità della decisione presso la Corte di giustizia ex art. 163 del TFUE  e rammenta “la possibilità per il Parlamento di applicare le misure giuridiche e politiche a sua disposizione qualora la Commissione sblocchi i fondi senza che i criteri siano soddisfatti o qualora essa non garantisca la piena attuazione della legislazione pertinente, in considerazione della sua responsabilità di agire in veste di custode dei trattati e di tutelare gli interessi finanziari dell'UE; ricorda che la Commissione è politicamente responsabile dinanzi al Parlamento” (punto 11).

Il Parlamento quindi non solo reagisce molto energicamente a questa “apertura di credito” nei confronti dell’Ungheria basate su misure ancora non rodate quanto ad efficacia sull’indipendenza della magistratura ma riapre lo scenario della lotta  europea per il rispetto della rule of the law in tutti gli stati membri (in questa fase con urgenza per l’Ungheria definito nella Risoluzione “ redime ibrido di democrazia autocratica”).

 In primo luogo perché si trae occasione dall’episodio dello “sblocco” parziale dei fondi per stigmatizzare ancora l’inerzia del Consiglio nel dar seguito alla procedura di cui all’art. 7 TUE : “deplora vivamente l'incapacità del Consiglio di compiere progressi significativi nell'ambito delle procedure in corso di cui all'articolo 7, paragrafo 1, TUE; ribadisce il suo appello al Consiglio a tener conto di tutti i nuovi sviluppi che interessano lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti fondamentali; ribadisce il suo invito al Consiglio a formulare raccomandazioni nel quadro di tale procedura; sottolinea che il Consiglio condivide la responsabilità della protezione dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e che il mancato rispetto di tale responsabilità avrebbe conseguenze durature e potenzialmente dannose; invita il Consiglio europeo e gli Stati membri ad agire e a determinare se l'Ungheria abbia commesso gravi e persistenti violazioni dei valori dell'UE ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, TUE; insiste sul rispetto del ruolo e delle competenze del Parlamento ( punto n. 2).

Inoltre correttamente il Parlamento sviluppa una concezione “olistica” del rispetto dei “valori” di cui all’art. 2 TUE che contempli unitariamente l’insieme dei comportamenti tenuti da uno stato membro in ordine al rispetto dei diritti fondamentali della Carta che sono connessi, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, ai valori dell’Unione: “sottolinea che le misure necessarie per l'erogazione dei finanziamenti dell'UE, quali definite dalle pertinenti decisioni adottate a norma del regolamento recante disposizioni comuni, del regolamento RRF e del regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto, devono essere trattate come un unico pacchetto integrale, e che non dovrebbero essere effettuati pagamenti anche se vi sono progressi in uno o più ambiti ma permangono carenze in altri” ( punto 9) e “ribadisce il suo invito alla Commissione ad avvalersi appieno degli strumenti a sua disposizione per far fronte a un evidente rischio di violazione grave dei valori fondanti dell'Unione da parte dell'Ungheria, con particolare riferimento alle misure finanziarie e alle procedure d'infrazione accelerate, alle domande di provvedimenti provvisori dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea e alle misure inerenti alla mancata esecuzione delle sentenze della Corte; si attende un'azione tempestiva in seguito all'adozione del pacchetto di "protezione della sovranità nazionale" (punto 10).

Infine il Parlamento pone già la questione se l’Ungheria, salvo radicali riforme ancora non in vista, sia o meno idonea ad assumere la Presidenza semestrale: “evidenzia l'importante ruolo della Presidenza del Consiglio nel portare avanti i lavori del Consiglio sulla legislazione dell'UE, garantendo la continuità dell'agenda dell'UE e rappresentando il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni dell'UE; si chiede se l'Ungheria sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito nel 2024, in considerazione della sua inosservanza del diritto dell'UE, dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione; ricorda che in alcuni casi il Presidente del Consiglio europeo potrebbe essere sostituito dal membro del Consiglio europeo che rappresenta lo Stato membro che esercita la presidenza semestrale del Consiglio; chiede al Consiglio di trovare quanto prima soluzioni adeguate per attenuare tali rischi; ricorda che il Parlamento può adottare le opportune misure qualora tale soluzione non venga trovata" (punto n. 8) .

In conclusione va osservato come in questi anni i meccanismi di controllo sul rispetto dei valori dell’Unione, seppure molto a rilento, abbiano cominciato a funzionare soprattutto sul lato del rispetto della rule of law, attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha collegato la tutela dell’art. 47 della Carta alla salvaguardia dello stato di diritto ( ed anche dei connessi valori come uguaglianza e non discriminazione) coadiuvata dai severi monitoraggi azionati dal Parlamento e  dalla Commissione ([1]).  I due aspetti che sono rimasti problematici sono da un lato i meccanismi sanzionatori dell’art. 7, una volta attivata la procedura, bloccati dall’inerzia immotivata ed irresponsabile del Consiglio e dall’altra la necessità di avere una visione unitaria della tutela dei diritti fondamentali laddove sia a repentaglio il rispetto complessivo dei valori ultimi del processo d’integrazione. Per lo  stato di diritto vi è stata una  certa reazione  che andrebbe resa più energica ed efficace ma per gli altri valori questa è ancora molto carente.

Da ciò la proposta del Movimento europeo che condivide la richiesta votata il  22 novembre del 2023 del Parlamento europeo di riformare l’art. 7 TUE dando un ruolo valutativo decisionale nella procedura  alla Corte di giustizia come era previsto nel cosidetto Progetto Spinelli nel 1984. Oggi il meccanismo previsto dal Trattato all’art. 7 ha come riferimento procedure e accertamenti obiettivi che si collegano in buona sostanza alla violazione dei diritti della Carta: appare quindi matura la decisione di affidare un ruolo centrale alla Corte di giustizia nel mettere in mora uno Stato e nel sanzionarlo come previsto nel Progetto del 1984, superando l‘immobilismo attuale. In attesa della modifica del Trattato, il Movimento propone però da subito di rafforzare il ruolo della Agenzia europea per i diritti fondamentali soprattutto sul lato ispettivo e preventivo (oggi assenti) e di creare una Commissione di esperti indipendenti dell’UE sul modello della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa onde offrire alla mobilitazione istituzionale e giudiziaria per i “valori” una prospettiva integrata ed unitaria e dotata dell’autorevolezza espressa da un Collegio di insigni studiosi continentali.

Giuseppe Bronzini

Segretario generale del Movimento europeo

 

[1] Cfr. G. Bronzini La giurisprudenza della Corte di giustizia e la protezione “ anticipata” dello stato di diritto. Il ruolo delle norme dei Trattati e della Carta dei diritti, in La Cittadinanza europea n. 1/2022, p. 57 ss

 

 

 


 PILLOLE D'EUROPA

Europe elects ci fornisce i dati di una ipotetica distribuzione dei Parlamentari europei dopo le elezioni dal 6 al 9 giugno 2024.

Le proiezioni e le ipotetiche maggioranze non tengono conto:

  • che la somma dei sondaggi nazionali non è fatta sulla base di una ipotetica scelta elettorale alle elezioni europee ma sulla somma dei sondaggi nazionali per le elezioni nazionali. Il risultato delle elezioni europee potrebbe essere significativamente diverso sia perché le leggi elettorali europee sono diverse da quelle nazionali sia perché l'orientamento degli elettori può variare da un collegio all'altro: locale, regionale, nazionale o europeo
  • che i parlamentari europei saranno 720 e non più 705 e che la maggioranza assoluta sarà di 361 e non più di 353
  • che una parte importante dei partiti nazionali del ppe ma anche di Renew Europe non sono disponibili ad allearsi con i partiti sovranisti e di estrema destra del gruppo ID: Raasenblement national, Lega, AFD.

Per tutte queste ragioni i 349 seggi totali che Europe elects riportati pedissequamente da EURACTIV sono sia lontani di tredici deputati dalla maggioranza assoluta sia politicamente non sommabili come alle elementari ci insegnavano a non sommare pere e mele.

L’alleanza fra ppe, socialisti e liberali supererebbe secondo questi molto ipotetici calcoli i 400 deputati che arrivebbero a 440 con i Verdi formando una ipotetica maggioranza Ursula e l’apporto eventuale di fratelli d’italia sarebbe - se Meloni scegliesse per opportunismo la via europea come la scelse il PiS nel 2019 - sarebbe irrilevante.

Detto questo dobbiamo batterrci con vigore pacificamente insurrezionale per sconfiggere la preannunciata crescita dei sovranisti e dell’estrema destra.

 

 

 


LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

 

23 gennaio

  • Webinar "Cittadini, imprese e istituzioni onlife. L'Europa tra diritti delle persone, comunicazione pubblica e regole per il digitale: servizi, mercati, dati, algoritmi" (Associazione "Comunicazione Pubblica", Infocivica-Gruppo di Amalfi e Eurovisioni)
  • Info session call for proposals TOGETHER FOR EUROPE 2024 (EMI)

25 gennaio

  • Riunione Gruppo di lavoro su una nuova governance economica europea (Movimento europeo Italia)

26 gennaio

  • Assemblea Movimento europeo Italia

 

 

    


IN EVIDENZA

 

VI SEGNALIAMO

  • 23 gennaio, ore 15:30-17:30. Webinar "Cittadini, imprese e istituzioni onlife. L'Europa tra diritti delle persone, comunicazione pubblica e regole per il digitale: servizi, mercati, dati, algoritmi" organizzato da Associazione "Comunicazione Pubblica", insieme a Infocivica-Gruppo di Amalfi, con la collaborazione di Eurovisioni. L'incontro intende affrontare il tema della regolazione europea nel delicato lavoro di normazione e di continuo bilanciamento tra gli obiettivi dell'innovazione e della ricerca, le dinamiche del mercato globale, la tutela dei diritti e dei valori dei cittadini dell'Unione. Per partecipare all'evento scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. ULTERIORI INFORMAZIONI E PROGRAMMA.

 

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 20 gennaio, ore 10:00, Aosta. Rete Civica Valle d'Aosta, Europa Verde-Verdi, Young European Greens e Movimento Europeo-Italia, promuovono l’incontro pubblico dal titolo “L'Europa come risorsa e opportunità” in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024. Sarà un’occasione preziosa per ragionare sui temi più importanti, sugli scenari e sui contenuti della ormai prossima campagna elettorale per il Parlamento europeo. LOCANDINA
  • 23 gennaio, ore 15:30-17:30. Webinar "Cittadini, imprese e istituzioni onlife. L'Europa tra diritti delle persone, comunicazione pubblica e regole per il digitale: servizi, mercati, dati, algoritmi" organizzato da Associazione "Comunicazione Pubblica", insieme a Infocivica-Gruppo di Amalfi, con la collaborazione di Eurovisioni. L'incontro intende affrontare il tema della regolazione europea nel delicato lavoro di normazione e di continuo bilanciamento tra gli obiettivi dell'innovazione e della ricerca, le dinamiche del mercato globale, la tutela dei diritti e dei valori dei cittadini dell'Unione. Per partecipare all'evento scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro il 21 gennaio. ULTERIORI INFORMAZIONI E PROGRAMMA.

 

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

  • Calendario delle attività della Camera dei deputati in materia di Unione europea (Settimana 15-21 gennaio 2024). Ufficio Rapporti con l'Unione europea

 

 

 

 

 

 

 

 

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