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La nostra Dichiarazione su una nuova politica migratoria europea ha ricevuto il sostegno dei Movimenti europei in Spagna, Francia e Polonia ed è stata considerata come la base per l'elaborazione di una presa di posizione comune del Movimento europeo Internazionale.

 

PER UNA NUOVA POLITICA MIGRATORIA EUROPEA

Altre vittime ci sono state durante questo week end nel Mediterraneo su un barcone anzi un gommone con 47 persone – donne, bambini e uomini – che si è rovesciato nelle acque di un mare forza 6 trascinando fra le onde il suo carico di umanità: secondo il gelido calcolo dei soccorritori diciassette persone sono state tratte in salvo ma trenta migranti sono dispersi e forse non si troveranno mai.

Di fronte a queste nuove morti con una confusa attribuzione delle responsabilità o accuse reciproche ci troviamo di fronte ad una ripetitiva e grottesca rappresentazione che non cambia la realtà di una situazione che si perpetua da oltre un decennio e che ha sepolto in quella tomba - che gli arabi chiamano Mar Bianco di Mezzo - decine di migliaia di persone.

Si tratta tuttavia di una minoranza di tutti coloro che hanno lasciato la vita e la speranza di una vita dignitosa nel deserto che separa l’Africa sub-sahariana dai paesi che si affacciano su quel mare, nelle carceri della Libia, nei campi di concentramento in Grecia, in Marocco e in Turchia e nelle impervie rotte terrestri della via dei Balcani.

A questo quadro drammatico si aggiunge ora la decisione della Commissione europea di fornire nuovi mezzi alla Guardia Costiera libica rafforzando così le sue capacità di riportare chi fugge dal terrore e dalle torture in un paese in cui sono noti i trattamenti disumani subiti dai migranti che provengono dall’Africa sub-sahariana.

Questa  decisione sarà per noi inaccettabile almeno fino a quando non sarà possibile creare in Libia dei centri - sotto il controllo dell’UNHCR e dell’OIM - per esaminare le richieste di asilo o l’inserimento in flussi legali o i rimpatri assistiti nei paesi di origine laddove saranno praticabili accordi bilaterali sostenendo nello stesso tempo il rappresentante delle Nazioni Unite nella promozione del processo di stabilizzazione assistito da un gruppo di contatto con una iniziativa del Consiglio di Sicurezza osteggiata dalla Russia.

Se i capi di Stato o di governo dell’Unione europea o i loro ministri degli interni chiamati a gestire operazioni di polizia studiassero la geografia che circonda il Mare Bianco di Mezzo si renderebbero conto della assurdità di una politica migratoria come è stata definita nel Consiglio europeo del 9 febbraio 2023 che si chiude e si limita:

  • al controllo delle frontiere esterne,
  • ai respingimenti e alle riammissioni nei paesi di origine,
  • agli “ingenti investimenti” per creare delle infrastrutture di protezione,
  • agli ostacoli all’azione delle organizzazioni non governative,
  • all’ideologia del pull factor,
  • e al principio del paese di prima accoglienza.

Andando al di là dei principi della accoglienza e della ospitalità nel rispetto delle convenzioni internazionali, della Carta dei diritti fondamentali e della CEDU, si tratta di definire una nuova politica migratoria europea.

Essa deve coinvolgere nella misura del possibile i paesi di origine dei migranti e dei richiedenti asilo e facilitare il consenso delle opinioni pubbliche in particolare delle giovani generazioni contribuendo alla lotta contro le strumentalizzazioni e alle infondate paure ancestrali dei movimenti secolari di popolazioni.

Le istituzioni europee dovrebbero chiedere ad Eurostat un rapporto dettagliato

  • sui paesi di origine di chi emigra e di chi chiede asilo,
  • sui trend dello sviluppo demografico nei paesi in via di sviluppo ed in particolare nell’Africa sub-sahariana,
  • sulla crescita o meglio sulla decrescita demografica nei paesi dell’Unione europea e sui trend di invecchiamento delle nostre popolazioni,
  • sulle percentuali di cittadini di paesi terzi nei paesi dell’Unione europea suddivisi per regioni e anche fra aree urbane e aree agricole,
  • sulle aggregazioni di comunità etniche,
  • sui trend di matrimoni misti,
  • sui numeri della piccola e media imprenditoria insieme all’artigianato che fanno capo a cittadini non comunitari,
  • sugli equilibri di genere e generazionali.

Le istituzioni europee dovrebbero chiedete al Servizio Europeo per l’Azione Esterna un rapporto dettagliato

  • sulle vere ragioni dei push factors legati ai conflitti interni e ai conflitti fra stati,
  • sullo stato delle desertificazioni nei paesi dell’Africa sub-sahariana,
  • sulle cause e sugli effetti delle espropriazioni delle terre,
  • sul livello di mancata realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile 2030 in quei paesi ed in particolare “povertà e fame zero” (1-2), la “salute” (3), l’ “acqua pulita” (6), la “riduzione delle diseguaglianze” (10), la “lotta al cambiamento climatico” (13), la “pace” e la “giustizia” (16).

Sulla base di questi due rapporti e sapendo che i flussi migratori sono un fenomeno permanente mondiale e non solo continentale, le istituzioni europee dovrebbero a nostro avviso promuovere insieme alle Nazioni Unite, all’UNHCR e all’OIM entro la fine dell’anno e sotto presidenza spagnola una conferenza europea su una nuova strategia per le politiche migratorie che sia fondata sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile e sul Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare.

Essa dovrebbe essere organizzata secondo il modello della democrazia partecipativa adottato dalla Conferenza sul futuro dell’Europa e dunque con la presenza attiva delle organizzazioni che lavorano nei paesi di origine partendo dall’impegno che il Patto mondiale sia adottato da tutti i paesi dell’Ue e quindi anche da Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria che non parteciparono nel 2018 alla Conferenza di Marrakech e che si astennero o votarono contro il Patto Mondiale nella Assemblea delle Nazioni Unite del 19 dicembre 2018.

A conclusione della Conferenza dovrebbero essere a nostro avviso adottati

  • una nuova Convenzione che sostituisca integralmente il Regolamento di Dublino,
  • un protocollo, da accludere al Trattato di Lisbona e in vista della sua più ampia revisione, che superi il capitolo 2 del titolo 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sulle politiche relative ai controlli delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione,
  • una proposta di bilancio rettificativo e suppletivo per creare uno strumento finanziario per il salvataggio in mare (European Sea Rescue o Mare Nostrum europeo) e per porre le basi di una Banca Euromediterranea per dare un impulso decisivo alla cooperazione economica dell’area e favorisca la cooperazione sub-regionale,
  • un mandato alla Commissione europea ed all’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza di proporre al Consiglio e al Parlamento europeo un ampio piano di cooperazione allo sviluppo di tutto il continente africano per contribuire alla realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sulla base di un partenariato pubblico-privato,
  • un programma di educazione delle giovani generazioni che integri e rafforzi le politiche di accoglienza e di ospitalità.

Roma, Parigi, Varsavia, Madrid, 24 marzo 2023

  

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PER AGIRE L’UNIONE EUROPEA DEVE PROGRAMMARE IL PROPRIO FUTURO

L’Unione europea è una complessa ma non complicata organizzazione in cui l’esecuzione delle politiche è affidata largamente agli Stati membri o, a nome degli Stati membri, ai poteri sub-statuali e solo in misura molto ridotta alle istituzioni che noi chiamiamo per comodità sovranazionali ma che agiscono di fatto per delega degli Stati membri.

Si tratta del metodo o dell’ingranaggio inventato da Jean Monnet agli inizi degli anni cinquanta dello scorso secolo che ha funzionato egregiamente quando è stato necessario ed urgente creare il mercato comune del carbone e dell’acciaio (la CECA) ma che ha funzionato molto meno bene quando è stato necessario creare un mercato comune (MEC o CEE) per la libera circolazione delle persone, dei beni, dei capitali e dei servizi.

Il mercato è rimasto sostanzialmente bloccato fino a quando Jacques Delors ne ha fatto la priorità della sua presidenza decennale (1985-1995) ma che si è sbloccato solo parzialmente perché esistono ancora oggi ostacoli nella libera circolazione dei servizi e dei capitali mentre sono andati crescendo nuovi ostacoli nella libera circolazione dei beni e la libera circolazione delle persone è sottoposta a vincoli inimmaginabili all’interno di uno Stato membro.

Jean Monnet, il quale aveva inizialmente pensato che il mercato comune dell’energia atomica (EURATOM o CEEA) avrebbe costituito il settore di avanguardia dell’integrazione europea come lo era stato il mercato del carbone e dell’acciaio, non aveva previsto che le Comunità europee prima e l’Unione europea poi avrebbero dovuto reagire a delle sfide emergenziali in cui l’affidamento dell’esecuzione delle azioni agli Stati membri avrebbe creato fenomeni di inefficienza e diseguaglianze tali da mettere in pericolo la stessa esistenza di un’integrazione europea condivisa.

Lo abbiamo vissuto in un crescendo di problemi irrisolti nei primi venti anni di questo nuovo secolo

  • con la crisi finanziaria che ha provocato conseguenze profonde nei sistemi sociali e l’esplosione di fenomeni di euroscetticismo,
  • con il terrorismo di matrice o di ispirazione islamica sospinto anche da azioni temerarie degli Stati Uniti,
  • con l’aumento dei flussi migratori durante i conflitti in Siria ma non solo in Siria che ha provocato irragionevoli paure ancestrali nelle popolazioni europee,
  • con i disastri ambientali originati dalle cause di origine umana del cambiamento climatico e dall’inquinamento,
  • con la pandemia provocata dal COVID ben più ampia delle precedenti epidemie che avrebbero dovuto essere per tutti un segnale di allarme,
  • ed infine con sconvolgimento geopolitico provocato dalla brutale e imperialista aggressione ordinata da Vladimir Putin contro l’Ucraina con metodi che richiamano alla memoria le violenze del Terzo Reich.

L’Unione europea ha cercato di reagire a queste emergenze, non avendo avuto dagli Stati i mezzi per agire, ma

  • la risposta alla crisi finanziaria è stata non solo inadeguata ma controproducente con strumenti sostanzialmente intergovernativi (il Fiscal Compact e il MES) affiancati da un pacchetto di regole (Six Pack, Two Pack e Semestre Europeo) scarsamente trasparenti e ben lontane da una vera politica macro-economica europea,
  • la lotta al terrorismo è stata solo nazionale e il solo aiuto “sovranazionale” è venuto dal Mandato di Arresto Europeo,
  • la gestione dei flussi migratori è rimasta affidata ai paesi di prima accoglienza con effetti politici e sociali dirompenti,
  • e la transizione ecologica è solo embrionale nonostante l’avvicinarsi della scadenza del 2030.

Di fronte alla pandemia e alla guerra e cioè alle più gravi crisi di questo secolo l’Unione europea ha mostrato di essere capace di reagire alle sfide emergenziali ma è stata finora incapace di prevedere e programmare il proprio futuro e dunque di gettare le basi da una parte di una “unione della salute” e dall’altra di definire gli elementi essenziali della sua autonomia strategica e contribuire a costruire la pace uscendo dalla guerra.

Vorremmo limitarci oggi a sollevare alcune questioni relative alla risposta emergenziale di fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia che, come sappiamo, si è tradotta nell’adozione di alcuni strumenti finanziari di cui il più importante è il Next Generation EU.

Si è molto discusso e si sta discutendo in queste settimane dei ritardi italiani nell’esecuzione del piano che, come è noto ai più, si chiama PNRR e cioè Piano Nazionale per il recupero e la resilienza e che riguardano sia gli investimenti finanziati con prestiti e sovvenzioni che dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2026 sia le riforme che dovranno invece continuare a sviluppare nel tempo nel quadro delle missioni legate alla transizione digitale ed ambientale ma anche alla giustizia e alla pubblica amministrazione.

A causa dell’esistenza di questi ritardi, il governo italiano ha dovuto chiedere un mese ulteriore di valutazione da parte della Commissione europea per l’attribuzione della terza quota di finanziamenti pari a 19 miliardi di Euro relativi al raggiungimento dei 55 obiettivi previsti dal piano italiano.

Sulle ragioni e sulle conseguenze dei  ritardi sono intervenuti recentemente nel suo rapporto periodico la Corte dei Conti così come lo Studio Ambrosetti suscitando legittime e forti preoccupazioni per le diseguaglianze generazionali, di genere e territoriali fra Nord e Sud ma anche per le difficoltà nella realizzazione delle riforme.

Tali difficoltà potrebbero essere solo in parte risolte con l’entrata in vigore del cosiddetto “Codice degli appalti” redatto dal Consiglio di Stato su incarico del governo Draghi che il ministro Matteo Salvini si è  auto-attribuito quando le uniche modifiche introdotte nel codice da Salvini sono state quelle peggiorative ed in particolare quelle relative alle aggiudicazioni dirette.

Che in Italia esistano delle strozzature o degli ostacoli a cominciare dalle inefficienze della pubblica amministrazione è cosa nota e la responsabilità non è né  del governo Meloni né dagli altri governi della precedente legislatura che, a vario titolo, hanno partecipato al negoziato del Next Generation EU e poi alla redazione del PNRR italiano.

Che ci fossero dei difetti nel  PNRR presentato dal governo italiano a Bruxelles, e solennemente approvato a Roma da Ursula von der Leyen ivi compresi dei progetti molto discutibili come gli stadi di calcio di Firenze e Venezia, è indiscutibile a cominciare dalla mancanza di trasparenza nonostante le sollecitazioni della società civile affinché l’opinione pubblica possa monitorare l’attuazione dei progetti e dalla violazione degli obiettivi di una politica di informazione e comunicazione adeguata prescritti dalle regole della Commissione europea e approvate dai  governi.

Sappiamo anche che il governo Meloni, già prima di essersi insediato nello scorso ottobre, si era cullato e forse si culla ancora nell’illusione che possa essere fatta slittare la scadenza dell’esecuzione degli investimenti al di là del 31 dicembre 2026 così come avviene alla fine di ogni quadro finanziario pluriennale per i  fondi di coesione.

La Commissione europea ha ripetuto più volte che la flessibilità può  essere applicata alla quantità e alla qualità dei progetti ma non alla scadenza del 31 dicembre 2026.

Il Presidente della Repubblica e la Corte dei Conti ci hanno ricordato che il successo della realizzazione del PNRR sarà una buona o meglio un’ottima cosa per l’Italia ma anche per l’Unione europea nel suo insieme perché il successo del Next Generation EU faciliterà la possibilità che alla conclusione del Quadro Finanziario Pluriennale nel 2027 l’Unione europea possa programmare il suo futuro con una adeguata capacità fiscale autonoma rispetto a quella degli Stati membri e non solo reagire alle emergenze.

Per avere un quadro dell’esecuzione del Next Generation EU al  di là del dibattito italiano vale la pene di leggere quel che ha scritto Francesca Basso  sul  Corriere della Sera del 2 aprile nel suo ben documentato articolo “Francia e Germania più indietro dell’Italia – Solo la Spagna ha già incassato la terza tranche” con dati precisi sui rapporti fra prestiti e sovvenzioni insieme al pagamento o alla richiesta dei pagamenti da parte degli Stati membri.

La preoccupazione sullo stato di attuazione del Next Generation EU deve riguardare tutta l’Unione europea per due ragioni di fondo che concernono il suo “peccato originale” e le prospettive del rimborso del debito pubblico contratto dalla Commissione per finanziare la parte delle sovvenzioni e non dei prestiti entro il 2056.

Per quanto riguarda il “peccato originale”, la proposta iniziale della Commissione europea per agire -  e non solo reagire - nella logica di una programmazione del futuro dell’Unione europea era fondata su un piano articolato fra due terzi di investimenti su beni pubblici europei eseguiti direttamente dalla stessa Commissione e solo un terzo affidato agli Stati membri sotto forma di sovvenzioni o prestiti.

La decisione del Consiglio europeo, accettata anche dal Parlamento europeo, è stata l’adozione di un Next Generation EU tutto consacrato a sovvenzioni e prestiti per progetti e investimenti nazionali.

Per quanto riguarda il rimborso del debito pubblico europeo contratto dalla Commissione europea su mandato dei governi esso può avvenire

  • o attraverso i contributi degli Stati in una percentuale legata al Prodotto Interno Lordo Nazionale come avviene per la quota maggiore del bilancio europeo
  • o attraverso nuove e vere risorse proprie come un dazio alle frontiere esterne sui prodotti ad alto contenuto di carbonio
  • e/o attraverso una tassa sulle multinazionali del web o una quota di un’imposta nazionale come avviene per l’IVA
  • e/o attraverso l’introduzione di risorse fiscali su settori ad alto impatto economico e sociale negativo come è stato proposto dal Movimento europeo insieme al Centro Studi sul Federalismo ed al Centro per l’Economia reale.

L’occasione per aprire un dibattito sui  difetti strutturali del Next Generation EU e per consentire all’Unione europea di programmare il proprio futuro agendo e non solo reagendo deve essere data dalla revisione a metà percorso del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027.

Roma, 3 aprile 2023

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee del maggio 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Attiriamo la vostra attenzione

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

- PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E ALLA CAMERA DEI DEPUTATI 

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 

 

 

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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee del maggio 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Attiriamo la vostra attenzione

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

- PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E ALLA CAMERA DEI DEPUTATI 

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

PER AGIRE L’UNIONE EUROPEA DEVE PROGRAMMARE IL PROPRIO FUTURO

L’Unione europea è una complessa ma non complicata organizzazione in cui l’esecuzione delle politiche è affidata largamente agli Stati membri o, a nome degli Stati membri, ai poteri sub-statuali e solo in misura molto ridotta alle istituzioni che noi chiamiamo per comodità sovranazionali ma che agiscono di fatto per delega degli Stati membri.

Si tratta del metodo o dell’ingranaggio inventato da Jean Monnet agli inizi degli anni cinquanta dello scorso secolo che ha funzionato egregiamente quando è stato necessario ed urgente creare il mercato comune del carbone e dell’acciaio (la CECA) ma che ha funzionato molto meno bene quando è stato necessario creare un mercato comune (MEC o CEE) per la libera circolazione delle persone, dei beni, dei capitali e dei servizi.

Il mercato è rimasto sostanzialmente bloccato fino a quando Jacques Delors ne ha fatto la priorità della sua presidenza decennale (1985-1995) ma che si è sbloccato solo parzialmente perché esistono ancora oggi ostacoli nella libera circolazione dei servizi e dei capitali mentre sono andati crescendo nuovi ostacoli nella libera circolazione dei beni e la libera circolazione delle persone è sottoposta a vincoli inimmaginabili all’interno di uno Stato membro.

Jean Monnet, il quale aveva inizialmente pensato che il mercato comune dell’energia atomica (EURATOM o CEEA) avrebbe costituito il settore di avanguardia dell’integrazione europea come lo era stato il mercato del carbone e dell’acciaio, non aveva previsto che le Comunità europee prima e l’Unione europea poi avrebbero dovuto reagire a delle sfide emergenziali in cui l’affidamento dell’esecuzione delle azioni agli Stati membri avrebbe creato fenomeni di inefficienza e diseguaglianze tali da mettere in pericolo la stessa esistenza di un’integrazione europea condivisa.

Lo abbiamo vissuto in un crescendo di problemi irrisolti nei primi venti anni di questo nuovo secolo

  • con la crisi finanziaria che ha provocato conseguenze profonde nei sistemi sociali e l’esplosione di fenomeni di euroscetticismo,
  • con il terrorismo di matrice o di ispirazione islamica sospinto anche da azioni temerarie degli Stati Uniti,
  • con l’aumento dei flussi migratori durante i conflitti in Siria ma non solo in Siria che ha provocato irragionevoli paure ancestrali nelle popolazioni europee,
  • con i disastri ambientali originati dalle cause di origine umana del cambiamento climatico e dall’inquinamento,
  • con la pandemia provocata dal COVID ben più ampia delle precedenti epidemie che avrebbero dovuto essere per tutti un segnale di allarme,
  • ed infine con sconvolgimento geopolitico provocato dalla brutale e imperialista aggressione ordinata da Vladimir Putin contro l’Ucraina con metodi che richiamano alla memoria le violenze del Terzo Reich.

L’Unione europea ha cercato di reagire a queste emergenze, non avendo avuto dagli Stati i mezzi per agire, ma

  • la risposta alla crisi finanziaria è stata non solo inadeguata ma controproducente con strumenti sostanzialmente intergovernativi (il Fiscal Compact e il MES) affiancati da un pacchetto di regole (Six Pack, Two Pack e Semestre Europeo) scarsamente trasparenti e ben lontane da una vera politica macro-economica europea,
  • la lotta al terrorismo è stata solo nazionale e il solo aiuto “sovranazionale” è venuto dal Mandato di Arresto Europeo,
  • la gestione dei flussi migratori è rimasta affidata ai paesi di prima accoglienza con effetti politici e sociali dirompenti,
  • e la transizione ecologica è solo embrionale nonostante l’avvicinarsi della scadenza del 2030.

Di fronte alla pandemia e alla guerra e cioè alle più gravi crisi di questo secolo l’Unione europea ha mostrato di essere capace di reagire alle sfide emergenziali ma è stata finora incapace di prevedere e programmare il proprio futuro e dunque di gettare le basi da una parte di una “unione della salute” e dall’altra di definire gli elementi essenziali della sua autonomia strategica e contribuire a costruire la pace uscendo dalla guerra.

Vorremmo limitarci oggi a sollevare alcune questioni relative alla risposta emergenziale di fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia che, come sappiamo, si è tradotta nell’adozione di alcuni strumenti finanziari di cui il più importante è il Next Generation EU.

Si è molto discusso e si sta discutendo in queste settimane dei ritardi italiani nell’esecuzione del piano che, come è noto ai più, si chiama PNRR e cioè Piano Nazionale per il recupero e la resilienza e che riguardano sia gli investimenti finanziati con prestiti e sovvenzioni che dovranno concludersi entro il 31 dicembre 2026 sia le riforme che dovranno invece continuare a sviluppare nel tempo nel quadro delle missioni legate alla transizione digitale ed ambientale ma anche alla giustizia e alla pubblica amministrazione.

A causa dell’esistenza di questi ritardi, il governo italiano ha dovuto chiedere un mese ulteriore di valutazione da parte della Commissione europea per l’attribuzione della terza quota di finanziamenti pari a 19 miliardi di Euro relativi al raggiungimento dei 55 obiettivi previsti dal piano italiano.

Sulle ragioni e sulle conseguenze dei  ritardi sono intervenuti recentemente nel suo rapporto periodico la Corte dei Conti così come lo Studio Ambrosetti suscitando legittime e forti preoccupazioni per le diseguaglianze generazionali, di genere e territoriali fra Nord e Sud ma anche per le difficoltà nella realizzazione delle riforme.

Tali difficoltà potrebbero essere solo in parte risolte con l’entrata in vigore del cosiddetto “Codice degli appalti” redatto dal Consiglio di Stato su incarico del governo Draghi che il ministro Matteo Salvini si è  auto-attribuito quando le uniche modifiche introdotte nel codice da Salvini sono state quelle peggiorative ed in particolare quelle relative alle aggiudicazioni dirette.

Che in Italia esistano delle strozzature o degli ostacoli a cominciare dalle inefficienze della pubblica amministrazione è cosa nota e la responsabilità non è né  del governo Meloni né dagli altri governi della precedente legislatura che, a vario titolo, hanno partecipato al negoziato del Next Generation EU e poi alla redazione del PNRR italiano.

Che ci fossero dei difetti nel  PNRR presentato dal governo italiano a Bruxelles, e solennemente approvato a Roma da Ursula von der Leyen ivi compresi dei progetti molto discutibili come gli stadi di calcio di Firenze e Venezia, è indiscutibile a cominciare dalla mancanza di trasparenza nonostante le sollecitazioni della società civile affinché l’opinione pubblica possa monitorare l’attuazione dei progetti e dalla violazione degli obiettivi di una politica di informazione e comunicazione adeguata prescritti dalle regole della Commissione europea e approvate dai  governi.

Sappiamo anche che il governo Meloni, già prima di essersi insediato nello scorso ottobre, si era cullato e forse si culla ancora nell’illusione che possa essere fatta slittare la scadenza dell’esecuzione degli investimenti al di là del 31 dicembre 2026 così come avviene alla fine di ogni quadro finanziario pluriennale per i  fondi di coesione.

La Commissione europea ha ripetuto più volte che la flessibilità può  essere applicata alla quantità e alla qualità dei progetti ma non alla scadenza del 31 dicembre 2026.

Il Presidente della Repubblica e la Corte dei Conti ci hanno ricordato che il successo della realizzazione del PNRR sarà una buona o meglio un’ottima cosa per l’Italia ma anche per l’Unione europea nel suo insieme perché il successo del Next Generation EU faciliterà la possibilità che alla conclusione del Quadro Finanziario Pluriennale nel 2027 l’Unione europea possa programmare il suo futuro con una adeguata capacità fiscale autonoma rispetto a quella degli Stati membri e non solo reagire alle emergenze.

Per avere un quadro dell’esecuzione del Next Generation EU al  di là del dibattito italiano vale la pene di leggere quel che ha scritto Francesca Basso  sul  Corriere della Sera del 2 aprile nel suo ben documentato articolo “Francia e Germania più indietro dell’Italia – Solo la Spagna ha già incassato la terza tranche” con dati precisi sui rapporti fra prestiti e sovvenzioni insieme al pagamento o alla richiesta dei pagamenti da parte degli Stati membri.

La preoccupazione sullo stato di attuazione del Next Generation EU deve riguardare tutta l’Unione europea per due ragioni di fondo che concernono il suo “peccato originale” e le prospettive del rimborso del debito pubblico contratto dalla Commissione per finanziare la parte delle sovvenzioni e non dei prestiti entro il 2056.

Per quanto riguarda il “peccato originale”, la proposta iniziale della Commissione europea per agire -  e non solo reagire - nella logica di una programmazione del futuro dell’Unione europea era fondata su un piano articolato fra due terzi di investimenti su beni pubblici europei eseguiti direttamente dalla stessa Commissione e solo un terzo affidato agli Stati membri sotto forma di sovvenzioni o prestiti.

La decisione del Consiglio europeo, accettata anche dal Parlamento europeo, è stata l’adozione di un Next Generation EU tutto consacrato a sovvenzioni e prestiti per progetti e investimenti nazionali.

Per quanto riguarda il rimborso del debito pubblico europeo contratto dalla Commissione europea su mandato dei governi esso può avvenire

  • o attraverso i contributi degli Stati in una percentuale legata al Prodotto Interno Lordo Nazionale come avviene per la quota maggiore del bilancio europeo
  • o attraverso nuove e vere risorse proprie come un dazio alle frontiere esterne sui prodotti ad alto contenuto di carbonio
  • e/o attraverso una tassa sulle multinazionali del web o una quota di un’imposta nazionale come avviene per l’IVA
  • e/o attraverso l’introduzione di risorse fiscali su settori ad alto impatto economico e sociale negativo come è stato proposto dal Movimento europeo insieme al Centro Studi sul Federalismo ed al Centro per l’Economia reale.

L’occasione per aprire un dibattito sui  difetti strutturali del Next Generation EU e per consentire all’Unione europea di programmare il proprio futuro agendo e non solo reagendo deve essere data dalla revisione a metà percorso del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027.

Roma, 3 aprile 2023

coccodrillo

 

 

 

 


 ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

La nostra Dichiarazione su una nuova politica migratoria europea ha ricevuto il sostegno dei Movimenti europei in Spagna, Francia e Polonia ed è stata considerata come la base per l'elaborazione di una presa di posizione comune del Movimento europeo Internazionale.

 

PER UNA NUOVA POLITICA MIGRATORIA EUROPEA

Altre vittime ci sono state durante questo week end nel Mediterraneo su un barcone anzi un gommone con 47 persone – donne, bambini e uomini – che si è rovesciato nelle acque di un mare forza 6 trascinando fra le onde il suo carico di umanità: secondo il gelido calcolo dei soccorritori diciassette persone sono state tratte in salvo ma trenta migranti sono dispersi e forse non si troveranno mai.

Di fronte a queste nuove morti con una confusa attribuzione delle responsabilità o accuse reciproche ci troviamo di fronte ad una ripetitiva e grottesca rappresentazione che non cambia la realtà di una situazione che si perpetua da oltre un decennio e che ha sepolto in quella tomba - che gli arabi chiamano Mar Bianco di Mezzo - decine di migliaia di persone.

Si tratta tuttavia di una minoranza di tutti coloro che hanno lasciato la vita e la speranza di una vita dignitosa nel deserto che separa l’Africa sub-sahariana dai paesi che si affacciano su quel mare, nelle carceri della Libia, nei campi di concentramento in Grecia, in Marocco e in Turchia e nelle impervie rotte terrestri della via dei Balcani.

A questo quadro drammatico si aggiunge ora la decisione della Commissione europea di fornire nuovi mezzi alla Guardia Costiera libica rafforzando così le sue capacità di riportare chi fugge dal terrore e dalle torture in un paese in cui sono noti i trattamenti disumani subiti dai migranti che provengono dall’Africa sub-sahariana.

Questa  decisione sarà per noi inaccettabile almeno fino a quando non sarà possibile creare in Libia dei centri - sotto il controllo dell’UNHCR e dell’OIM - per esaminare le richieste di asilo o l’inserimento in flussi legali o i rimpatri assistiti nei paesi di origine laddove saranno praticabili accordi bilaterali sostenendo nello stesso tempo il rappresentante delle Nazioni Unite nella promozione del processo di stabilizzazione assistito da un gruppo di contatto con una iniziativa del Consiglio di Sicurezza osteggiata dalla Russia.

Se i capi di Stato o di governo dell’Unione europea o i loro ministri degli interni chiamati a gestire operazioni di polizia studiassero la geografia che circonda il Mare Bianco di Mezzo si renderebbero conto della assurdità di una politica migratoria come è stata definita nel Consiglio europeo del 9 febbraio 2023 che si chiude e si limita:

  • al controllo delle frontiere esterne,
  • ai respingimenti e alle riammissioni nei paesi di origine,
  • agli “ingenti investimenti” per creare delle infrastrutture di protezione,
  • agli ostacoli all’azione delle organizzazioni non governative,
  • all’ideologia del pull factor,
  • e al principio del paese di prima accoglienza.

Andando al di là dei principi della accoglienza e della ospitalità nel rispetto delle convenzioni internazionali, della Carta dei diritti fondamentali e della CEDU, si tratta di definire una nuova politica migratoria europea.

Essa deve coinvolgere nella misura del possibile i paesi di origine dei migranti e dei richiedenti asilo e facilitare il consenso delle opinioni pubbliche in particolare delle giovani generazioni contribuendo alla lotta contro le strumentalizzazioni e alle infondate paure ancestrali dei movimenti secolari di popolazioni.

Le istituzioni europee dovrebbero chiedere ad Eurostat un rapporto dettagliato

  • sui paesi di origine di chi emigra e di chi chiede asilo,
  • sui trend dello sviluppo demografico nei paesi in via di sviluppo ed in particolare nell’Africa sub-sahariana,
  • sulla crescita o meglio sulla decrescita demografica nei paesi dell’Unione europea e sui trend di invecchiamento delle nostre popolazioni,
  • sulle percentuali di cittadini di paesi terzi nei paesi dell’Unione europea suddivisi per regioni e anche fra aree urbane e aree agricole,
  • sulle aggregazioni di comunità etniche,
  • sui trend di matrimoni misti,
  • sui numeri della piccola e media imprenditoria insieme all’artigianato che fanno capo a cittadini non comunitari,
  • sugli equilibri di genere e generazionali.

Le istituzioni europee dovrebbero chiedete al Servizio Europeo per l’Azione Esterna un rapporto dettagliato

  • sulle vere ragioni dei push factors legati ai conflitti interni e ai conflitti fra stati,
  • sullo stato delle desertificazioni nei paesi dell’Africa sub-sahariana,
  • sulle cause e sugli effetti delle espropriazioni delle terre,
  • sul livello di mancata realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile 2030 in quei paesi ed in particolare “povertà e fame zero” (1-2), la “salute” (3), l’ “acqua pulita” (6), la “riduzione delle diseguaglianze” (10), la “lotta al cambiamento climatico” (13), la “pace” e la “giustizia” (16).

Sulla base di questi due rapporti e sapendo che i flussi migratori sono un fenomeno permanente mondiale e non solo continentale, le istituzioni europee dovrebbero a nostro avviso promuovere insieme alle Nazioni Unite, all’UNHCR e all’OIM entro la fine dell’anno e sotto presidenza spagnola una conferenza europea su una nuova strategia per le politiche migratorie che sia fondata sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile e sul Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare.

Essa dovrebbe essere organizzata secondo il modello della democrazia partecipativa adottato dalla Conferenza sul futuro dell’Europa e dunque con la presenza attiva delle organizzazioni che lavorano nei paesi di origine partendo dall’impegno che il Patto mondiale sia adottato da tutti i paesi dell’Ue e quindi anche da Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria che non parteciparono nel 2018 alla Conferenza di Marrakech e che si astennero o votarono contro il Patto Mondiale nella Assemblea delle Nazioni Unite del 19 dicembre 2018.

A conclusione della Conferenza dovrebbero essere a nostro avviso adottati

  • una nuova Convenzione che sostituisca integralmente il Regolamento di Dublino,
  • un protocollo, da accludere al Trattato di Lisbona e in vista della sua più ampia revisione, che superi il capitolo 2 del titolo 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sulle politiche relative ai controlli delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione,
  • una proposta di bilancio rettificativo e suppletivo per creare uno strumento finanziario per il salvataggio in mare (European Sea Rescue o Mare Nostrum europeo) e per porre le basi di una Banca Euromediterranea per dare un impulso decisivo alla cooperazione economica dell’area e favorisca la cooperazione sub-regionale,
  • un mandato alla Commissione europea ed all’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza di proporre al Consiglio e al Parlamento europeo un ampio piano di cooperazione allo sviluppo di tutto il continente africano per contribuire alla realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sulla base di un partenariato pubblico-privato,
  • un programma di educazione delle giovani generazioni che integri e rafforzi le politiche di accoglienza e di ospitalità.

Roma, Parigi, Varsavia, Madrid, 24 marzo 2023

  

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LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

 

3 aprile

  • Roma, Tavola Rotonda: “Le migrazioni internazionali in Europa: un momento di opportunità possibili”. Presentazione dell’International Migration Outlook dell’OCSE (CeSPI ETS e OCSE)

 

5 aprile

  • Webinar ALDA TALK “Defense of Democracy Package” (European Association for Local Democracy)
  • Online International Conference "BUILDING A FUTURE-PROOF EUROPE FOR MIGRATION" (ISPI)
  • Riunione sul Decreto PNRR 3 dell’Osservatorio Civico

 

 


IN EVIDENZA

VI SEGNALIAMO

  • Mercoledì 5 aprile, ore 14:00-15:30. ALDA TALK “Defense of Democracy Package”. Webinar sulle Priorità congiunte per la difesa del Democracy Package con il Gabinetto della Vicepresidente della Commissione europea - Commissaria per la democrazia e la demografia Dubravka Šuica. Il Webinar si svolgerà in lingua inglese ma è prevista anche la traduzione simultanea in italiano. PROGRAMMA. Link per la REGISTRAZIONE.
  • Mercoledì 19 aprile, ore 17:00. Presentazione del volume “Discriminazione algoritmica. Una prospettiva comparata” di Elena Falletti (Giappichelli, 2022). L’incontro, che si svolgerà in modalità mista presenza/distanza, è promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso e dal Movimento europeo. Sarà possibile seguire la diretta streaming sul canale YouTube della Fondazione Basso. PROGRAMMA.

 

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO

 SUL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, DEI VALORI DELL’UNIONE E DEI DIRITTI FONDAMENTALI
CON CARATTERE DI URGENZA

Noi cittadine e cittadini dell’Unione europea, associazioni, persone fisiche di paesi terzi residenti nell’Unione europea

  • Viste le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 9 febbraio ed in particolare il punto 23.e
  • Vista la lettera della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen del 26 gennaio 2023 ai Capi di Stato e di governo, una lettera che sembrerebbe rappresentare un mutamento di approccio della Commissione europea rispetto al Migration Pact del settembre 2020 passando dalla priorità del diritto internazionale, dei principi e dei valori dell’Unione europea e della tutela dei diritti fondamentali ad un’Europa che respinge e che esclude
  • Viste le richieste al Consiglio europeo dei governi di Austria, Danimarca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta e Slovacchia
  • Considerando gli articoli 20, 24 e 227 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
  • Considerando gli articoli 77, 78, 79 e 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
  • Considerando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed in particolate gli articoli 1, 2, 4, 5, 15, 18, 19
  • Considerando la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951
  • Considerando la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1985
  • Considerando la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali del 1950
  • Considerando che i Capi di Stato e di governo dei Ventisette hanno deciso di concentrarsi sul rafforzamento dell’azione esterna, sulla cooperazione in materia di rimpatrio e di riammissione, sul controllo delle frontiere esterne, sulla lotta alla strumentalizzazione dei migranti a fini politici e sulla cooperazione con Europol, Frontex e Eurojust confermando il principio secondo cui il controllo dei flussi di migranti è essenzialmente un problema di sicurezza
  • Considerando che nulla è stato detto dal Consiglio europeo sulle ragioni dei movimenti di popolazioni, che avvengono in larga parte all’interno dei paesi di origine, fra paesi dell’Africa sub-sahariana e verso paesi in via di sviluppo, sul fatto che il cosiddetto pull factor non deriva dalla mancanza di respingimenti e di rimpatri dei migranti irregolari ma dalla fuga inarrestabile dai conflitti interni, dalle guerre fra Stati, dalla fame, dai disastri ambientali e dall’espropriazione delle terre, che i rimpatri in molti casi non sono realizzabili per l’impossibilità di sottoscrivere accordi bilaterali con paesi terzi, che molti rimpatri avranno come conseguenza la morte o la schiavitù dei migranti definiti irregolari e che l’Unione europea avrebbe dovuto adottare da tempo un piano per lo sviluppo dell’Africa
  • Considerando che nulla è stato detto dal Consiglio europeo sul valore aggiunto per le economie europee e per la ricchezza delle nostre culture dall’accoglienza dei migranti economici e sulla necessità di mobilitare risorse umane e finanziarie da mettere a disposizione in particolare dei poteri locali per garantire politiche di inclusione considerandole come gli unici strumenti efficaci per garantire la sicurezza di chi arriva e la sicurezza di chi accoglie
  • Considerando che il prossimo Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni che dovrà dare seguito alle conclusioni del Consiglio europeo si terrà il 9 marzo sotto presidenza svedese.

Riteniamo che il Parlamento europeo debba respingere  le conclusioni del Consiglio europeo - usando tutti gli strumenti istituzionali di cui l’assemblea dispone - in particolare il paragrafo 23.e in cui si afferma:

chiede alla Commissione europea di mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi dell’Unione europea per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture di protezione delle frontiere, dei mezzi di sorveglianza – compresa la sorveglianza aerea – e delle attrezzature. In tale contesto, il Consiglio europeo invita la Commissione a mettere a punto rapidamente la strategia di gestione europea integrata delle frontiere”.

Chiediamo di sapere – in quanto movimento di cittadine, cittadini e persone contribuenti – se saranno esclusi finanziamenti per la costruzione di muri e fili spinati, su quale linea di bilancio saranno prelevati questi fondi, se sarà necessario un bilancio suppletivo e rettificativo su cui l’assemblea avrà l’ultima parola, come si verificherà la pertinenza e la necessità delle spese effettuate, poiché tali ingenti fondi dovrebbero essere prelevati dal bilancio dell’Unione europea, che è finanziato dalle cittadine e dai cittadini europei nonché da tutte le persone che risiedono nell’Unione europea.

Roma, 28 febbraio 2023

 

Vedi la lista completa degli attuali firmatari

 

Il 28 febbraio la Petizione è stata presentata al Parlamento europeo con il sostegno dei Movimenti europei di Italia, Francia, Polonia e Spagna, di Emergency, Eumans, Medel, la rete The Last20, Concord Italia, Legambiente e Open Arms e con il sostegno di mille cittadine e cittadini europei e oltre cento soggetti collettivi.

In data 2 marzo, una analoga Petizione è stata presentata anche alla Camera dei Deputati.

 

LA PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E' ANCORA APERTA AD EVENTUALI SOTTOSCRIZIONI

INVIANDO UN’EMAIL ALL'INDIRIZZO  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

o direttamente su CHANGE.ORG

 

 

 

 

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 SUL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, DEI VALORI DELL’UNIONE E DEI DIRITTI FONDAMENTALI
CON CARATTERE DI URGENZA

Noi cittadine e cittadini dell’Unione europea, associazioni, persone fisiche di paesi terzi residenti nell’Unione europea

  • Viste le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 9 febbraio ed in particolare il punto 23.e
  • Vista la lettera della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen del 26 gennaio 2023 ai Capi di Stato e di governo, una lettera che sembrerebbe rappresentare un mutamento di approccio della Commissione europea rispetto al Migration Pact del settembre 2020 passando dalla priorità del diritto internazionale, dei principi e dei valori dell’Unione europea e della tutela dei diritti fondamentali ad un’Europa che respinge e che esclude
  • Viste le richieste al Consiglio europeo dei governi di Austria, Danimarca, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta e Slovacchia
  • Considerando gli articoli 20, 24 e 227 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
  • Considerando gli articoli 77, 78, 79 e 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
  • Considerando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed in particolate gli articoli 1, 2, 4, 5, 15, 18, 19
  • Considerando la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951
  • Considerando la Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1985
  • Considerando la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali del 1950
  • Considerando che i Capi di Stato e di governo dei Ventisette hanno deciso di concentrarsi sul rafforzamento dell’azione esterna, sulla cooperazione in materia di rimpatrio e di riammissione, sul controllo delle frontiere esterne, sulla lotta alla strumentalizzazione dei migranti a fini politici e sulla cooperazione con Europol, Frontex e Eurojust confermando il principio secondo cui il controllo dei flussi di migranti è essenzialmente un problema di sicurezza
  • Considerando che nulla è stato detto dal Consiglio europeo sulle ragioni dei movimenti di popolazioni, che avvengono in larga parte all’interno dei paesi di origine, fra paesi dell’Africa sub-sahariana e verso paesi in via di sviluppo, sul fatto che il cosiddetto pull factor non deriva dalla mancanza di respingimenti e di rimpatri dei migranti irregolari ma dalla fuga inarrestabile dai conflitti interni, dalle guerre fra Stati, dalla fame, dai disastri ambientali e dall’espropriazione delle terre, che i rimpatri in molti casi non sono realizzabili per l’impossibilità di sottoscrivere accordi bilaterali con paesi terzi, che molti rimpatri avranno come conseguenza la morte o la schiavitù dei migranti definiti irregolari e che l’Unione europea avrebbe dovuto adottare da tempo un piano per lo sviluppo dell’Africa
  • Considerando che nulla è stato detto dal Consiglio europeo sul valore aggiunto per le economie europee e per la ricchezza delle nostre culture dall’accoglienza dei migranti economici e sulla necessità di mobilitare risorse umane e finanziarie da mettere a disposizione in particolare dei poteri locali per garantire politiche di inclusione considerandole come gli unici strumenti efficaci per garantire la sicurezza di chi arriva e la sicurezza di chi accoglie
  • Considerando che il prossimo Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni che dovrà dare seguito alle conclusioni del Consiglio europeo si terrà il 9 marzo sotto presidenza svedese.

Riteniamo che il Parlamento europeo debba respingere  le conclusioni del Consiglio europeo - usando tutti gli strumenti istituzionali di cui l’assemblea dispone - in particolare il paragrafo 23.e in cui si afferma:

chiede alla Commissione europea di mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi dell’Unione europea per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture di protezione delle frontiere, dei mezzi di sorveglianza – compresa la sorveglianza aerea – e delle attrezzature. In tale contesto, il Consiglio europeo invita la Commissione a mettere a punto rapidamente la strategia di gestione europea integrata delle frontiere”.

Chiediamo di sapere – in quanto movimento di cittadine, cittadini e persone contribuenti – se saranno esclusi finanziamenti per la costruzione di muri e fili spinati, su quale linea di bilancio saranno prelevati questi fondi, se sarà necessario un bilancio suppletivo e rettificativo su cui l’assemblea avrà l’ultima parola, come si verificherà la pertinenza e la necessità delle spese effettuate, poiché tali ingenti fondi dovrebbero essere prelevati dal bilancio dell’Unione europea, che è finanziato dalle cittadine e dai cittadini europei nonché da tutte le persone che risiedono nell’Unione europea.

Roma, 28 febbraio 2023

 

Vedi la lista completa degli attuali firmatari

 

Il 28 febbraio la Petizione è stata presentata al Parlamento europeo con il sostegno dei Movimenti europei di Italia, Francia, Polonia e Spagna, di Emergency, Eumans, Medel, la rete The Last20, Concord Italia, Legambiente e Open Arms e con il sostegno di mille cittadine e cittadini europei e oltre cento soggetti collettivi.

In data 2 marzo, una analoga Petizione è stata presentata anche alla Camera dei Deputati.

 

LA PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E' ANCORA APERTA AD EVENTUALI SOTTOSCRIZIONI FINO AL 20 MARZO

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