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VI SEGNALIAMO

  • 12-13 aprile, Napoli. IV Conferenza dei Sindacati Metalmeccanici del Mediterraneo dal titolo “LA QUALITÀ DEL LAVORO DI FRONTE ALLE TRASFORMAZIONI INDUSTRIALI NELL’AREA MEDITERRANEA. Organizzata dalla Fim Cisl, dal sindacato metalmeccanico turco Türk Metal Sendikası, dal sindacato francese FGMM CFDT, e dai sindacati spagnoli dell’industria USO Industria e UGT FICA. Maggiori informazioni. PROGRAMMA.
  • Venerdì 14 aprile, Roma, ore 16:00. Convegno “Scegliere direttamente il capo? I presidenzialismi” promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, dal Movimento Europeo Italia e Salviamo la Costituzione presso l'Università di Roma “La Sapienza” – Facoltà di Giurisprudenza – Aula 9. L’incontro sarà trasmesso in streaming su https://youtu.be/ypWWYsjqM1c. LOCANDINA.
  • Venerdì 14 aprile, Roma, ore 17:00. Evento di lancio del progetto "RescEU 2.0, Way to european elections" un progetto di partecipazione giovanile realizzato nella cornice della Sezione giovanile del Movimento europeo Italia. Ulteriori informazioni e registrazione. PROGRAMMA.
  • Sabato 15 aprile, ore 09:45. Corso di formazione Le Scienze della sostenibilità IV Edizione “Che cos’è questa Sostenibilità?” Webinar di inaugurazione promosso dall’Università degli Studi di Roma La Sapienza. PROGRAMMA e LINK per PARTECIPARE.
  • Mercoledì 19 aprile, ore 17:00. Presentazione del volume “Discriminazione algoritmica. Una prospettiva comparata” di Elena Falletti (Giappichelli, 2022). L’incontro, che si svolgerà in modalità mista presenza/distanza, è promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso e dal Movimento europeo. Sarà possibile seguire la diretta streaming sul canale YouTube della Fondazione Basso. PROGRAMMA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

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14 aprile

  • Roma, Convegno “Scegliere direttamente il capo? I presidenzialismi” (Fondazione Lelio e Lisli Basso, Movimento Europeo Italia e Salviamo la Costituzione)
  • Roma, evento di lancio del progetto "RescEU 2.0, Way to european elections" GETTING READY FOR RESCEU

 

15 aprile

  • Roma, Corso di formazione Le Scienze della sostenibilità IV Edizione “Che cos’è questa Sostenibilità?”

 

17 aprile

  • Roma, primo incontro di creazione di un gruppo di amiche ed amici del Giardino dei Giusti di Roma (promosso dalla Fondazione Gariwo)

 

19 aprile

  • Roma, presentazione del volume “Discriminazione algoritmica. Una prospettiva comparata” di Elena Falletti (Giappichelli, 2022)

 

 

 

 

 

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La nostra Dichiarazione su una nuova politica migratoria europea ha ricevuto il sostegno dei Movimenti europei in Spagna, Francia e Polonia ed è stata considerata come la base per l'elaborazione di una presa di posizione comune del Movimento europeo Internazionale.

 

PER UNA NUOVA POLITICA MIGRATORIA EUROPEA

Altre vittime ci sono state durante questo week end nel Mediterraneo su un barcone anzi un gommone con 47 persone – donne, bambini e uomini – che si è rovesciato nelle acque di un mare forza 6 trascinando fra le onde il suo carico di umanità: secondo il gelido calcolo dei soccorritori diciassette persone sono state tratte in salvo ma trenta migranti sono dispersi e forse non si troveranno mai.

Di fronte a queste nuove morti con una confusa attribuzione delle responsabilità o accuse reciproche ci troviamo di fronte ad una ripetitiva e grottesca rappresentazione che non cambia la realtà di una situazione che si perpetua da oltre un decennio e che ha sepolto in quella tomba - che gli arabi chiamano Mar Bianco di Mezzo - decine di migliaia di persone.

Si tratta tuttavia di una minoranza di tutti coloro che hanno lasciato la vita e la speranza di una vita dignitosa nel deserto che separa l’Africa sub-sahariana dai paesi che si affacciano su quel mare, nelle carceri della Libia, nei campi di concentramento in Grecia, in Marocco e in Turchia e nelle impervie rotte terrestri della via dei Balcani.

A questo quadro drammatico si aggiunge ora la decisione della Commissione europea di fornire nuovi mezzi alla Guardia Costiera libica rafforzando così le sue capacità di riportare chi fugge dal terrore e dalle torture in un paese in cui sono noti i trattamenti disumani subiti dai migranti che provengono dall’Africa sub-sahariana.

Questa  decisione sarà per noi inaccettabile almeno fino a quando non sarà possibile creare in Libia dei centri - sotto il controllo dell’UNHCR e dell’OIM - per esaminare le richieste di asilo o l’inserimento in flussi legali o i rimpatri assistiti nei paesi di origine laddove saranno praticabili accordi bilaterali sostenendo nello stesso tempo il rappresentante delle Nazioni Unite nella promozione del processo di stabilizzazione assistito da un gruppo di contatto con una iniziativa del Consiglio di Sicurezza osteggiata dalla Russia.

Se i capi di Stato o di governo dell’Unione europea o i loro ministri degli interni chiamati a gestire operazioni di polizia studiassero la geografia che circonda il Mare Bianco di Mezzo si renderebbero conto della assurdità di una politica migratoria come è stata definita nel Consiglio europeo del 9 febbraio 2023 che si chiude e si limita:

  • al controllo delle frontiere esterne,
  • ai respingimenti e alle riammissioni nei paesi di origine,
  • agli “ingenti investimenti” per creare delle infrastrutture di protezione,
  • agli ostacoli all’azione delle organizzazioni non governative,
  • all’ideologia del pull factor,
  • e al principio del paese di prima accoglienza.

Andando al di là dei principi della accoglienza e della ospitalità nel rispetto delle convenzioni internazionali, della Carta dei diritti fondamentali e della CEDU, si tratta di definire una nuova politica migratoria europea.

Essa deve coinvolgere nella misura del possibile i paesi di origine dei migranti e dei richiedenti asilo e facilitare il consenso delle opinioni pubbliche in particolare delle giovani generazioni contribuendo alla lotta contro le strumentalizzazioni e alle infondate paure ancestrali dei movimenti secolari di popolazioni.

Le istituzioni europee dovrebbero chiedere ad Eurostat un rapporto dettagliato

  • sui paesi di origine di chi emigra e di chi chiede asilo,
  • sui trend dello sviluppo demografico nei paesi in via di sviluppo ed in particolare nell’Africa sub-sahariana,
  • sulla crescita o meglio sulla decrescita demografica nei paesi dell’Unione europea e sui trend di invecchiamento delle nostre popolazioni,
  • sulle percentuali di cittadini di paesi terzi nei paesi dell’Unione europea suddivisi per regioni e anche fra aree urbane e aree agricole,
  • sulle aggregazioni di comunità etniche,
  • sui trend di matrimoni misti,
  • sui numeri della piccola e media imprenditoria insieme all’artigianato che fanno capo a cittadini non comunitari,
  • sugli equilibri di genere e generazionali.

Le istituzioni europee dovrebbero chiedete al Servizio Europeo per l’Azione Esterna un rapporto dettagliato

  • sulle vere ragioni dei push factors legati ai conflitti interni e ai conflitti fra stati,
  • sullo stato delle desertificazioni nei paesi dell’Africa sub-sahariana,
  • sulle cause e sugli effetti delle espropriazioni delle terre,
  • sul livello di mancata realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile 2030 in quei paesi ed in particolare “povertà e fame zero” (1-2), la “salute” (3), l’ “acqua pulita” (6), la “riduzione delle diseguaglianze” (10), la “lotta al cambiamento climatico” (13), la “pace” e la “giustizia” (16).

Sulla base di questi due rapporti e sapendo che i flussi migratori sono un fenomeno permanente mondiale e non solo continentale, le istituzioni europee dovrebbero a nostro avviso promuovere insieme alle Nazioni Unite, all’UNHCR e all’OIM entro la fine dell’anno e sotto presidenza spagnola una conferenza europea su una nuova strategia per le politiche migratorie che sia fondata sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile e sul Patto mondiale per una migrazione sicura, ordinata e regolare.

Essa dovrebbe essere organizzata secondo il modello della democrazia partecipativa adottato dalla Conferenza sul futuro dell’Europa e dunque con la presenza attiva delle organizzazioni che lavorano nei paesi di origine partendo dall’impegno che il Patto mondiale sia adottato da tutti i paesi dell’Ue e quindi anche da Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria che non parteciparono nel 2018 alla Conferenza di Marrakech e che si astennero o votarono contro il Patto Mondiale nella Assemblea delle Nazioni Unite del 19 dicembre 2018.

A conclusione della Conferenza dovrebbero essere a nostro avviso adottati

  • una nuova Convenzione che sostituisca integralmente il Regolamento di Dublino,
  • un protocollo, da accludere al Trattato di Lisbona e in vista della sua più ampia revisione, che superi il capitolo 2 del titolo 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sulle politiche relative ai controlli delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione,
  • una proposta di bilancio rettificativo e suppletivo per creare uno strumento finanziario per il salvataggio in mare (European Sea Rescue o Mare Nostrum europeo) e per porre le basi di una Banca Euromediterranea per dare un impulso decisivo alla cooperazione economica dell’area e favorisca la cooperazione sub-regionale,
  • un mandato alla Commissione europea ed all’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza di proporre al Consiglio e al Parlamento europeo un ampio piano di cooperazione allo sviluppo di tutto il continente africano per contribuire alla realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sulla base di un partenariato pubblico-privato,
  • un programma di educazione delle giovani generazioni che integri e rafforzi le politiche di accoglienza e di ospitalità.

Roma, Parigi, Varsavia, Madrid, 24 marzo 2023

  

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Una direttiva su “adeguati redditi minimi” è indispensabile per realizzare la sostenibilità sociale del modello di sviluppo del vecchio continente

          1. Il contrasto del rischio di esclusione sociale e la riduzione della povertà attraverso la piena  garanzia di quello specifico diritto che nei paesi occidentali più avanzati socialmente viene denominato come “reddito minimo garantito” costituisce uno degli aspetti centrali delle policies dell’Unione europea negli ultimi trent’anni ([1]). Si iniziò con una Raccomandazione del 24 giugno 1992, poco prima la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, che ancora fissa le caratteristiche essenziali di questa prestazione rivolta ad assicurare a tutti i cittadini degli stati membri una vita libera e dignitosa attribuendo, a coloro che non dispongono di risorse sufficienti, un sostegno monetario([2]), nonché forme di aiuto indiretto per i bisogni primari (come tariffazioni agevolate per i servizi essenziali), contributi per  il riscaldamento, i trasporti e per le cosidette spese impreviste. La Raccomandazione è stata reiterata nel 2008, in piena crisi economica internazionale, in termini ancor più stringenti  per indurre gli stati al mantenimento delle politiche di riduzione del tasso di povertà assoluta e relativa nonostante l’emergenza economica. Il Parlamento europeo ha, a sua volta, adottato nel tempo Risoluzioni sul reddito minimo molto avanzate (la più nota nell’Ottobre del  2010), sviluppando in senso garantista gli orientamenti e gli sforzi della Commissione e chiedendo che tutti gli stati venissero instradati nelle best practises realizzate da alcuni paesi (soprattutto scandinavi) nella configurazione del diritto sociale ad un minimo vitale (che la letteratura sull’argomento ha chiamato ius existentiae). Si è chiesto di  evitare forme di sostegno inadeguato o modalità di  stigmatizzazione (anche indiretta) della figura dei sussidiati o, ancora, non  collegate a reti pubbliche  efficienti di sostegno e promozione delle persone; si è insistito per effettivi incentivi come l’offerta di opportunità  occupazionali  “congrue”, cioè coerenti con il bagaglio professionale dei soggetti,  per il rientro nel mercato del lavoro o con il mantenimento per un periodo del sussidio, si da evitare il fenomeno del “ poverty entrapment” nel quale rischiano di cadere persone  a lungo escluse dalle dinamiche sociali  attive; si è evidenziato che un sostegno va attribuito anche a chi già lavora, ma da questa attività non riesce a trarre mezzi di vita idonei (il fenomeno dell’in-work poverty).

       2. Con  la proclamazione  della Carta dei diritti nel dicembre del 2000 a Nizza (divenuta poi obbligatoria con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona l’ 1.12.2009) la pretesa ad un reddito minimo garantito è stata “costituzionalizzata” all’art. 34 terzo comma ([3]) in quanto oggi costituisce uno dei  fundamental rights che l’Unione “ riconosce” ai sensi del Preambolo della stessa Carta, il cui “ contenuto essenziale” il diritto o le decisioni ascrivibili all’Unione non possono comprimere e neppure gli stati membri laddove applichino le disposizioni di questa. Anche se sino ad oggi l’UE non ha adottato una normativa vincolante sul punto, certamente la legislazione sovranazionale deve già  rispettare e non compromettere l’esigibilità di tale diritto negli stati membri i cui tratti salienti emergono chiaramente dalla norma: l’attribuzione alle persone in difficoltà (che non hanno risorse sufficienti) di un reddito monetario periodicamente corrisposto per coprire i bisogni essenziali (tra i quali quelli a carattere abitativo) si da condurre una vita decorosa. Anche nell’ambito dell’ordinamento del Consiglio d’Europa la pretesa è stata consacrata negli artt. 30 e 31 della Carta sociale europea (rilevanti sembrano anche gli artt. 12 e 13), così come aggiornata a Torino.

Sulla base della costituzionalizzazione del reddito minimo l’UE ha però avviato  già nel 2000 un’opera di coordinamento tra i vari sistemi di reddito minimo nazionale cercando di renderli più efficaci, inclusivi ed anche di generalizzarne l’adozione. Nell’ambito del cosidetto “metodo aperto di coordinamento”  (MAC) cioè di un sistema di soft law nei settori sociali (soprattutto di welfare) nei quali l’Unione o non ha competenza legislativa o ritiene di non doverla usare  si è avviato un confronto serrato tra stati membri e Commissione (molto seguito anche dal Parlamento) per verificare quali fossero le migliori pratiche da seguire nel contrasto del rischio di esclusione sociale cercando  meccanismi di monitoraggio e valutazioni condivise per affrontare il fenomeno e per promuovere le soluzioni più avanzate ed efficaci in concreto. La stretta sugli stati sul reddito minimo si è accentuata allorché l’obiettivo della riduzione di un  quinto dei cittadini europei a rischio di esclusione sociale (20 milioni) è diventata uno degli obiettivi della Strategia 20-20 e quando, più tardi, gli indicatori di povertà sono entrati a far parte dei social scoreboard indicators  nella sorveglianza macroeconomica sui paesi membri, nel  cosidetto semestre europeo.

L’European social Pillar proclamato a Göteborg in Svezia nel 2017 che dovrebbero guidarci verso un'Europa sociale forte, equa, inclusiva e piena di opportunità per il XXI secolo ha opportunamente precisato la garanzia sociale dell’art. 34 della Carta di Nizza  nel senso che “ chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto ad un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso ai beni e servizi. Per chi può lavorare il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi al (re)inserimento nel mercato del lavoro” (diritto/principio n. 14). Nella nuova formulazione vengono in rilievo l’ adeguatezza delle prestazioni dovute (in vista del raggiungimento dello scopo dell’istituto che è quello di assicurare una vita decorosa a tutti), l’aggancio tra sussidio monetario e fornitura agevolata di beni e servizi essenziali e la predisposizione di incentivi per far si che il rientro nel mercato del lavoro sia vantaggioso per la persona, in una logica promozionale e non coercitiva.

         3. Questo lungo e complesso cammino istituzionale per l‘introduzione del reddito minimo nei territori dell’Unione, nel quadro di una battaglia di civiltà contro la povertà e l’esclusione sociale, è stata un’impresa coronata di notevoli ed insperati  successi, nonostante si sia servita in gran parte degli strumenti di soft Law  come le Raccomandazioni sia pure connesse a Testi di rilievo costituzionale come la Carta dei diritti. Nel quadro della governance macroeconomica  sovranazionale effettivamente negli ultimi anni la pressione di Bruxelles perché si  riducesse il tasso nazionale di povertà secondo gli indici europei si è fatto molto pressante e in varie occasioni si è suggerito l’adozione di sanzioni indirette come l’esclusione dei paesi renitenti (capitanati sino al 2017 dall’Italia) dai fondi di coesione. Nel 2019 con l’introduzione anche in Italia del reddito di cittadinanza, che è una forma di realizzazione dell’istituto del reddito minimo garantito coperto dalla Carta dei diritti e dalle Raccomandazioni,  anche gli ultimi paesi restii ad accettare le indicazioni europee  (Italia e Grecia) si sono arresi ed oggi tutti i 27 stati membri hanno schemi operanti di tutela della dignità essenziale delle persone: il reddito minimo può finalmente dirsi una tradizione costituzionale comune. Gli organi sovranazionali hanno saputo rendere “virtuosi” gli stati (anche se con gradi di virtuosità  diversissimi)  grazie anche ad una narrazione fortemente evocativa  della semantica dei diritti fondamentali ed in particolare del meta-diritto che ne costituisce il collante e la base ultima: la tutela della dignità essenziale della persona. A questa narrazione costituzionale i Testi e gli atti europei(pur non obbliganti) hanno aggiunto la forza espressiva della filosofia influente  che è stata prescelta per illuminare le policies sociali UE e cioè la teoria della capabilities di Amartya Sen e la scuola della fioritura umana che certamente non tollera che si lasci gli ultimi a marcire nella miseria e nei  ghetti della post-modernità.

Ma questa può dirsi solo una preistoria della lotta alla povertà che non è stata piegata e sradicata ma solo limitata in U.E. L’obiettivo della strategia 20-20 non è stato raggiunto e quello nuovo (per il 2030) della riduzione di 15 milioni del numero di persone a rischio esclusione sociale appare problematico per quanto sia più realistico. Inediti problemi affettano la società europea e i processi produttivi continentali che il recente Report di un gruppo di esperti nominato dalla Commissione europea ([4]) ha chiamato megatrends che possono costituire fattori  di emarginazione sociale e povertà come una crescente ageing population, le nuove forme del lavoro (circa il 40% dei lavoratori UE hanno contratti atipici di cui il 14% sono lavoratori indipendenti, in genere esclusi dalle protezioni tipiche del lavoro dipendente e con un accesso molto limitato al welfare state), l’impatto delle nuove tecnologie (che sembrano portare ad un maggiore dualismo tra le personale qualificato o meno e portare ad una più forte ed imprevedibile discontinuità nei percorsi di lavoro).

Proprio la Commissione ha ritenuto nel suo Action Plan di l’attuazione del Social Pillar del Marzo del 2021 di prevedere una nuova Raccomandazione sul reddito minimo nonostante le reti associative europee che seguono il tema della lotta alla povertà (come l’Eapn) abbiano da tempo suggerito l’adozione di una Direttiva, così come affermato anche dal Comitato economico sociale ([5]) nel 2018 perché la situazione in UE- pur avendo visto molto miglioramenti anche in virtù di provvedimenti emergenziali per fronteggiare la crisi del Covid- appare sempre preoccupante, soprattutto in alcuni paesi non solo di recente adesione, ma membri da tempo come la Spagna e la Grecia o  addirittura fondatori come l’Italia.

Abbiamo già avuto modo di trattare in questo sito  la proposta di Raccomandazione della Commissione europea del 27 settembre 2022 oggi sostanzialmente trasfusa nella Raccomandazione del Consiglio del 30 gennaio 2023 ([6]): la ricostruzione offerta dalla Commissione è piuttosto impietosa dimostrando come le caratteristiche essenziali della misura di cui all’art. 34 della Carta siano dalla maggioranza degli stati non rispettate, soprattutto sul punto dell’adeguatezza, dell’individualizzazione della protezione,  del rispetto della dignità e decoro delle persone assistite, non supportare da reti di appoggio ed indirizzo pubblico anche in ordine all’offerta di lavori dignitosi, capaci di durare nel tempo e coerenti con le aspettative individuali e le competenze acquisite. In effetti la proposta ed oggi la Raccomandazione sono piuttosto energiche nell’indicare agli stati la via da perseguire per combattere la mala pianta dell’emarginazione sociale. Tuttavia il Parlamento europeo ha approvato, con una maggioranza piuttosto ampia, il 15 marzo del 2023 una secca ed impegnata Risoluzione ( P9_TA (2023)0076) relativa a un adeguato reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva. La Risoluzione parte da un agghiacciante dato: nel 2021 nell’UE 95,4 milioni di persone erano a rischio di povertà o di esclusione sociale (misurate dal tasso AROPE, condiviso a livello europeo) il che equivale al 21,7% della popolazione Ue. Rileva poi il Parlamento che

“attualmente, in tutti gli Stati membri sono in vigore vari tipi di regimi di reddito minimo, ma che il loro impatto non è stato sufficiente in termini di convergenza verso l'alto o di riduzione della povertà; che ogni paese europeo ha fissato i regimi a un livello inferiore alla propria soglia del rischio di povertà (AROP) e che alcuni di questi regimi non raggiungono nemmeno il 20 % della soglia AROPE, il che significa, in pratica, che i beneficiari del reddito minimo non hanno un introito sufficiente per arrivare a fine mese; che gli Stati membri hanno compiuto progressi disomogenei nel garantire l'adeguatezza, la copertura e l'adozione dei regimi di reddito minimo, nonché nell'attuare misure di attivazione del mercato del lavoro e misure che consentono l'accesso ad altri beni e servizi abilitanti; che i tassi di utilizzo dei sussidi sono bassi e che manca coordinamento tra sostegno al reddito, politiche attive del mercato del lavoro e servizi sociali; che i regimi di reddito minimo nazionali fanno parte di sistemi di protezione sociale più ampi e che questo aspetto dovrebbe essere considerato all'atto di valutare l'efficacia di tali regimi”.

Si aggiunge che “i meccanismi di coordinamento delle politiche utilizzati negli ultimi 30 anni, quali la raccomandazione del Consiglio, del 24 giugno 1992, in cui si definiscono i criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale, rafforzati dalla raccomandazione della Commissione, del 3 ottobre 2008, relativa all'inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro, non si sono dimostrati sufficientemente efficaci per far fronte alle sfide individuate e ridurre l'esclusione sociale e la povertà in modo incisivo, integrato e sostenibile; che negli ultimi anni la maggior parte degli Stati membri ha adottato misure per migliorare i propri regimi di reddito minimo, in combinazione con altre politiche sociali, che tuttavia si sono rivelate inadeguate a far fronte alle sfide individuate; che le riforme a livello nazionale non sono state sufficientemente esaustive e che la loro attuazione è stata spesso tardiva; che i dati evidenziano che negli ultimi decenni si è registrato un aumento delle disparità di reddito in diversi Stati membri e che l'esclusione sociale continua a essere una sfida importante”.

Pertanto il Parlamento (punto n. 20) invita esplicitamente la Commissione a

“considerare come ulteriore misura dell’UE, a seguito della Raccomandazione del Consiglio, una direttiva relativa a un reddito minimo adeguato, al fine di garantire il reinserimento delle persone assenti dal mercato del lavoro, nel rispetto del principio di sussidiarietà, delle specificità dei sistemi nazionali di protezione sociale e delle competenze degli stati membri”.

Quindi serve una direttiva perché  gli stati non rispettano in genere né i parametri quantitativi della misura (secondo il Report dell’High level di esperti della Commissione già citato si oscilla tra la copertura tra il 5% ed il 40% della media nazionale reddituale, quindi in alcuni paesi il reddito erogato è  platealmente inidoneo a condurre una vita decente). Inoltre le soglie di copertura (take- up) della misura è troppo bassa (meno della metà degli aventi diritto) anche per le modalità stigmatizzanti e coercitive che vi sono connesse o requisiti troppo stretti o irrazionali dal punto di vista selettivo; le occasioni di lavoro sono dequalificanti, l’ insufficienza delle reti di sostegno in alcuni paesi appare cronica così come i controlli e la gestione dei sussidi invasivi ed odiosi, le tariffazioni agevolate per l’accesso a servizi di carattere essenziale valgono solo per alcuni stati (in genere del Nord-europa), la protezione su base familiare conduce a trascurare alcuni membri di questa come le donne o i giovani.

Non ultimo gli stati possono sempre regredire nei livelli acquisiti perché gli standard da rispettare sono contenuti solo in atti di soft law , anche se fortemente presidiati dalla Commissione e da un consolidato sistema di monitoraggio. E’ proprio il caso della paventata riforma del reddito di cittadinanza in Italia con la quale si dovrebbe ridurre l’importo del sussidio, verrebbe limitata l’accessibilità a famiglie con ISEE inferiore a quello giudicato pertinente sino ad oggi, verrebbe aggredito il principio di congruità nelle occasioni di lavoro obbligatoriamente da accettare per i soggetti  che possono operare attivamente, il tutto per conseguire risparmi di qualche miliardo.  

Ricordiamo che la CoFoe (Conferenza su futuro dell’Unione) aveva chiesto un “ quadro comune” per la lotta contro il rischio di esclusione sociale, proprio per evitare quello che rischia di accadere a breve nel “bel paese”.

        4.  Ora le decisione fatta circolare dal Commissario per il lavoro e i diritti sociali Nicolas Schmit, in questi anni grande motore del processo di intensificazione del legame sociale tra i cittadini europei e di attuazione del social Pillar, della Commissione di non recepire la richiesta del Parlamento europeo ma di concentrarsi nel monitoraggio della Raccomandazione del 30 gennaio 2023 è molto deludente e rischia di indebolire (e di oscurarne il progetto) di questa fase di rilancio dell’Europa sociale (nel segno dei valori, diritti e principi della Carta dei diritti). E’ vero che nella proposta della Commissione si sottolineava che i paesi renitenti nel seguire le indicazioni sovranazionali sulla lotta al rischio di esclusione sociale e che dovessero mostrare dati preoccupanti nella gestione del fenomeno, potrebbero essere anche esclusi, come extrema ratio, dai fondi di coesione, ma questa soluzione è si è mostrata sempre troppo politicamente delicata per essere davvero perseguita, soprattutto se a trasgredire fosse un nutrito gruppo di stati membri. Una direttiva peraltro permetterebbe  di diffondere ed armonizzare tutti i contenuti necessari per un provvedimento per salvaguardare la dignità essenziale dei cittadini europei: quantitativi e valutativi. Sotto le regia di una Corte, come quella di giustizia, saggia ed imparziale, questi contenuti, in collaborazione con le Corti nazionali potrebbero nel tempo essere precisati e resi esigenti negli stati membri (in coerenza con il sistema dei diritti definito nella Carta di Nizza) senza diventare un diktat politico- amministrativo. Troppi aspetti sensibili, legati al rispetto della personalità degli assistiti, meritano di essere sottoposti all’attenzione di una Corte dalla vocazione costituzionale senza aspettare una reazione della Commissione al proliferare di nuovo eserciti di poveri nel vecchio continente. Le tre Raccomandazioni varate nel tempo (1992, 2008, 2023) e le varie Risoluzioni del Parlamento forniscono un materiale più che sufficiente (e condiviso da anni nell’ambito del Metodo aperto di coordinamento) per una direttiva sui contenuti essenziali degli schemi di reddito minimo nazionali.

Sembrerebbe che la Commissione dubiti della chiara sussistenza di una base giuridica per questo “salto” visto che l’art. 153 lettera h) parla di “integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro”  e la lettera c) di “sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori”. La lettera  J) del 153 sulla “lotta contro l’esclusione sociale” non consente l’adozione di direttive sui trattamenti minimi. Tuttavia le prime due ipotesi vanno (come ritenuto dal Comitato economico- sociale) riferite ai “ lavoratori” nel senso della normativa UE sulla sicurezza sociale cioè a persone che possono conseguire uno status lavorativo, non a coloro che già lavorano o sono disoccupati (la lettera h) in effetti parla integrazione di soggetti esclusi dal mercato non di disoccupati o in cerca di prima occupazione). Il regolamento 883/2004 ha già ricompreso (art. 70) nel coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociali le prestazioni non contributive relative ai “redditi minimi di sussistenza” per valorizzare la libertà di circolazione dei cittadini europei che si spostano in altri stati (utilizzando una base giuridica diversa da quelle previste oggi nel titolo X) e la clausola finale di salvaguardia (oggi art. 352 TFUE) finendo per seguire Jacques Delors allorché riteneva, nel lontano 1992, che alla fine un regime comune dei tratti salienti dei sistemi di reddito minimo costituisce un collante  sociale necessario per salvaguardare lo stesso mercato unico e le sue costitutive libertà “comunitarie” proteggendolo dal pericolo di social dumping. Quella immaginazione costruttiva costituzionale di cui la Commissione ha fatto un buon uso per la direttiva sul salario minimo andrebbe sperimentata anche per l’istituto che protegge gli europei dalla miseria e dall’emarginazione. Forse è comprensibile che la Commissione, avendo appena promosso l’approvazione di una Raccomandazione, si concentri sull’implementazione di questa, ma i problemi obiettivi e molto gravi denunziati dal Parlamento europeo ben presto la costringeranno a riprendere in mano la “questione legislativa” e cioè l’assenza di regole certe ed esigibili in ogni stato membro a tutela della comune dignità del cittadino europeo.   

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo  

 

 

[1] Per approfondire cfr. Reddito minimo garantito (a cura del Bin Italia),  Edizioni Gruppo Abele, 2012; Contrasto alla povertà e rischio di esclusione sociale ( a cura di M.G. Greco) , Giappichelli, 2021; Reddito di cittadinanza e pensioni: il riordino del welfare italiano ( a cura di S. Giubboni) , Giappichelli, 2020; Reddito di cittadinanza: verso un welfare più universalistico?, Franco Angeli, 2022; G. Bronzini Il diritto ad un reddito di base, Edizioni Gruppo Abele, 2017

[2] Secondo le fonti internazionali parametrato sul 60% del reddito disponibile nazionale equivalente

[3] “ Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale ed abitativa volte a garantire un’esistenza libera e dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”.

[4] Cfr. High-Level Group nominato dalla Commissione   Ensuring the future of social protection and of the welfare state in EU del 7.2.2023

[5] Microsoft Word - EESC-2018-02210-00-01-AS-TRA-IT.docx (uiltucs.it)

[6] https://movimentoeuropeo.it/component/content/article/9-uncategorised/2255-newsletter-4-ottobre-2022-la-proposta-di-raccomandazione-della-commissione-europea-sul-reddito-minimo#

 
 
 
 
 

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IL PROGETTO FEDERALISTA E LA MISSIONE COSTITUENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO

Nelle stanze chiuse del Parlamento europeo a Bruxelles e Strasburgo ed in grande segretezza sei deputati europei - dalla estrema destra euroscettica del gruppo dei conservatori in cui siedono i polacchi ipernazionalisti del PiS e Fratelli d’Italia fino alla Linke tedesca passando per i popolari, i socialdemocratici, i liberali e verdi - stanno preparando una lunga lista di proposte per dare seguito alle raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa.

Queste raccomandazioni sono ben conservate negli archivi delle istituzioni europee da ormai quasi un anno e il Consiglio e la Commissione hanno emesso il loro verdetto sottolineando che la maggioranza di queste raccomandazioni fa già parte delle politiche in atto dell’Unione europea e che quindi le richieste di ottocento cittadine e cittadini europei estratti a sorte sono state esaudite.

Dicono nei corridoi del Parlamento europeo che il testo di compromesso - in cui dovrebbe tradursi l’accordo fra ipernazionalisti ed europeisti, fra liberisti e progressisti, fra contestatori del diritto europeo e difensori dello stato di diritto - raggiungerà oltre duecento cinquanta pagine.

Ad esse bisognerà aggiungere i pareri delle commissioni per parere che si possono leggere, commissione per commissione, sul sito del Parlamento europeo e che pubblichiamo anche sul nostro sito.

Non sarà semplice usare un mosaico talvolta contradditorio di proposte come uno strumento comprensibile di informazione e comunicazione durante la campagna per le elezioni europee nel maggio o giugno 2024 e bisognerà vedere se i partiti europei, divisi fra di loro ma anche al loro interno, ne faranno un tema centrale dei loro programmi elettorali.

Dicono anche che, per accelerare i tempi, non ci sarà un dibattito preliminare su questo “librone” nella commissione per gli affari costituzionali come la logica parlamentare vorrebbe ma si passerebbe direttamente alla procedura degli emendamenti e alla ricerca di un compromesso sul compromesso perché la commissione affari costituzionali ha fretta di portare a compimento un lavoro avviato un anno fa.

Difficile pensare tuttavia che il librone possa essere sottoposto al voto dell’aula prima del prossimo mese di luglio e ciò nella migliore delle ipotesi di calendario.

Se passerà al vaglio dell’aula il librone, e dunque il compromesso sul compromesso del compromesso, sarà inviato agli ambasciatori presso l‘Unione europea e poi al Consiglio sotto presidenza spagnola che, come sappiamo, non sono lì in trepida attesa dell’esito del lavoro parlamentare.

Secondo il Trattato di Lisbona e cioè secondo l’articolo 48 inserito dai governi per mantenere intatto il controllo finale sulle modifiche dei trattati (« we are the owners of the Treaties » scrisse il Consiglio europeo alla vigilia della Conferenza sul futuro dell’Europa affinché fosse chiaro anche al Parlamento europeo, che aveva sommessamente rivendicato la sua « leadership » evitando di usare la scandalosa espressione “potere costituente”, a chi spettava il potere di revisionare i testi intergovernativi) il Consiglio si dovrebbe limitare a inviare il librone al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel affinché egli chieda una decisione a maggioranza dei capi di Stato o di governo molto probabilmente nel vertice europeo di metà dicembre.

Difficile immaginare che gli ambasciatori e poi i ministri non vorranno esaminare nei dettagli il contenuto del librone ma essi dovranno poi inviarlo tel quel al Consiglio europeo senza emendamenti e senza voto a meno che, sempre in base all’art. 48, si realizzi l’ipotesi remota che uno o più governi e/o la Commissione europea non vogliano aggiungere alle proposte di emendamenti ai trattati del Parlamento europeo delle loro proposte.

Il governo austriaco aveva annunciato la sua intenzione di proporre che alcune competenze attribuite dal Trattato di Lisbona all’Unione europea vengano restituire agli Stati membri e non si può escludere che alcuni governi sovranisti decidano di rilanciare la proposta austriaca.

Dopo le ultime elezioni nazionali ed in attesa di quelle polacche è aumentata nel Consiglio europeo la schiera dei capi di Stato o di governo che sono attualmente ostili all’idea di aprire il vaso di Pandora della revisione del Trattato di Lisbona entrato in vigore oltre tredici anni fa quando l‘Europa e il mondo era molto diversi da quelli contemporanei.

Il Consiglio europeo potrebbe respingere a maggioranza semplice l’eventuale proposta del Parlamento europeo di convocare una convenzione ex art. 48 o scegliere la via di una procedura semplificata che prevede solo una conferenza intergovernativa ma per farlo il Consiglio europeo ha bisogno dell’approvazione del Parlamento europeo ed il grottesco Trattato di Lisbona non dice cosa possa avvenire nel caso di una mancata approvazione parlamentare.

Anche i più convinti sostenitori di una parziale revisione del vetusto Trattato di Lisbona sono coscienti del fatto che, a pochi mesi dalle elezioni europee, sarà ben difficile che venga avviata una Convenzione che qualcuno considera avventatamente come il non plus ultra della democrazia europea.

Dopo le elezioni europee il Consiglio sarà gestito per un anno e mezzo dalle presidenze di Polonia, Ungheria e Danimarca i cui governi - se nel frattempo non cambieranno le maggioranze a Varsavia, Budapest e Copenaghen - non sono certo la culla del federalismo europeo.

Vedremo anche quale sarà la “agenda strategica 2024-2029” che sarà adottata dal Consiglio europeo a giugno 2024 e che i capi di Stato o di governo considerano come una sorta di Bibbia per tutta l’Unione europea, chi sarà il nuovo presidente del Consiglio europeo, chi presiederà la Commissione europea e se il nuovo Parlamento europeo vorrà mantenere intonso il compromesso sul compromesso del compromesso che l’aula potrebbe aver adottato a luglio 2023.

Noi continuiamo a ritenere che la via da percorrere sia quella di una missione costituente del nuovo Parlamento europeo (e non di un “mandato” perché non c’è nessuna istituzione legittimata a dargli questo mandato salvo le cittadine e i cittadini sovrani che lo hanno eletto) per proporre un nuovo trattato-costituzionale da sottoporre ad un dibattito con i parlamenti nazionali e non con i governi e poi ad un referendum paneuropeo.

Dovrebbe essere questo a nostro avviso il messaggio forte che dovrebbe essere lanciato nella manifestazione di Strasburgo del 9 maggio 2023 chiedendo al Parlamento europeo di abbandonare il cammino tortuoso della Convenzione e avviare un processo costituente verso la trasformazione dell’Unione europea in una Comunità federale.

Agendo per la resurrezione del progetto federalista.

Montpellier, 9 aprile 2023

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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