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Attenzione europea e globale alla politica fiscale per favorire una crescita equa

Il prossimo 13 luglio si terrà a Bruxelles il Consiglio Ecofin, il primo della presidenza slovena.

Tra i principali argomenti verrà affrontato l’avvio del Recovery and Resilience Facility. Il Consiglio infatti approverà i primi piani nazionali (attraverso le c.d. CDI’s, cioè Council Implementation Decisions) che hanno avuto una positiva valutazione da parte della Commissione europea. Si tratta dei piani di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Portogallo, Spagna e Slovenia. Sulla base di tali decisioni, la Commissione europea potrà procedere alla firma di accordi per la prima erogazione della trance di finanziamento previsto, pari al 13% del Recovery, che ammonta ad un totale di 672 miliardi di euro, di cui una parte costituita da ‘grants’ o contributi a fondo perduto (circa 312 miliardi) e una parte in loans o prestiti agevolati (360 miliardi di euro).

Tutti gli Stati hanno ratificato la decisione di aumentare il massimale delle risorse proprie del bilancio europeo e la decisione è entrata in vigore dallo scorso 1° giugno. Questo ha permesso alla Commissione europea di approvvigionarsi, per erogare le risorse necessarie, sul mercato dei capitali.

I PNRR approvati prevedono investimenti sino al 2026, in settori considerati strategici per il rilancio dell’economia europea quali la transizione verde, la trasformazione digitale, la crescita intelligente sostenibile ed inclusiva, la coesione sociale e territoriale, la salute, le politiche a favore dei giovani.

Gli obiettivi strategici da realizzare sono la sostenibilità ambientale, la produttività, l’equità economica-sociale e di genere, la stabilità macroeconomica.

Ovviamente i piani sono in linea anche con le priorità indicate dalla Commissione nella Annual Growth Strategy (AGS) 2021 che avvia di fatto il processo del cosiddetto semestre europeo (che, di fatto, dura un anno).

Quest’anno il Report della Commissione, nell’ambito dell’attività di monitoraggio e controllo su 12 Stati - Meccanismo di allerta – ne rileva nove con squilibri macroeconomici e tre – tra cui l’Italia - con gravi squilibri. La pandemia ha sicuramente peggiorato la situazione macroeconomica del nostro paese per il quale è richiesto maggior rigore nella attuazione di quelle riforme necessarie ed evidenziate ormai da anni e un attento e veloce utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea, oltre che la realizzazione di interventi per aumentare la produttività ed il PIL. Questi obiettivi sono stati previsti nel PNRR approvato dalla Commissione, grazie al fatto che si è potuto contare su risorse europee.

L’Unione ha dunque effettuato un passo in avanti in tema di risorse messe a disposizione degli Stati e al tempo stesso ha approvato a Porto durante la presidenza portoghese un piano di azione per attuare gli obiettivi strategici sociali approvati nel 2017 al Vertice di Göteborg, ai quali non si era mai dato seguito. In quell’occasione si è anche deciso che nell’analisi del PIL dei vari paesi nella sua attività di monitoraggio e vigilanza, la Commissione terrà conto anche di indicatori sociali. Dunque, un’attenzione agli aspetti sociali legati alla ripresa economica.

Sicuramente quelle prese in contrasto alla pandemia, sono decisioni importanti da un punto di vista finanziario e sociale, ma da inserire sempre in un contesto di controllo della spesa pubblica dei singoli Stati. Infatti, anche se è un sentire comune quello di non togliere sostegni economici, perché la ripresa è ancora non stabilizzata e la pandemia non definitivamente sotto controllo, la cornice del semestre europeo con attenzione al PIL e in particolare alla spesa pubblica, rimane quella di riferimento.

I ministri si confronteranno anche sul pacchetto finanziario a supporto di una economia sostenibile, presentato dalla Commissione lo scorso 6 luglio, che comprende: la Strategia per il finanziamento della transizione verso un’economia sostenibile; il Regolamento sui green bonds considerati un importante strumento finanziario per attirare risparmio privato complementare alle risorse europee messe a disposizione, soprattutto da indirizzare verso le PMI che hanno maggiori difficoltà di approvvigionamento di risorse finanziarie; una serie di atti delegati per garantire informazioni e trasparenza sulle attività svolte da società finanziarie e non; il Regolamento sulla Taxonomy, intesa come sistema di classificazione delle attività economiche che contribuiscono a realizzare obiettivi ambientali e che sono individuate sulla base di dati scientifici; infine strumenti di mercato proposti da operatori finanziari al fine di evitare il c.d. green washing’ del denaro investito.

È previsto inoltre che la Commissione informerà il Consiglio su proposte legislative in corso riguardanti Banking union, Capital Market Union, e la finanza digitale.

La Presidenza slovena infine presenterà il proprio programma.

Il prossimo Ecofin tratterà dunque temi importanti per il rilancio dell’economia europea, preceduto da un incontro altrettanto importante anch’esso focalizzato su questioni finanziarie. Si tratta del G20 che si è tenuto lo scorso 9-10 luglio a Venezia e che ha approvato l’intesa OCSE (132 paesi favorevoli su 139 pari all’80% del PIL globale) su una tassa minima del 15% sulle multinazionali con fatturato oltre i 750 milioni di euro e la ripartizione (pari al 20-30%) del prelievo eccedente il 10% del reddito per le grandi società con un fatturato che supera i 20 miliardi di dollari, nei paesi dove viene prodotto tale fatturato. Si tratta del c.d. doppio pilastro che segna un cambio di passo delle politiche fiscali globali, a sostegno di una più equa concorrenza, con l’obiettivo di contrasto al dumping fiscale. L’accordo dovrebbe essere operativo entro il 2023. La decisione, infatti, richiederà prima della sua applicazione un complesso lavoro di tecnici ed esperti. Rimane in sospeso la questione della web tax tra USA e UE che i primi vorrebbero subito eliminata, mentre l’UE solo ad entrata in vigore della decisione, vale adire nel 2023. Questo mentre l’UE presenterà una sua proposta di tassa digitale al prossimo ECOFIN.  

La decisione presa in ambito G20 è sicuramente auspicata e significativa, e si stima possa prevedere per l’Italia un gettito di 3,7 miliardi, ma alla quale l’Unione purtroppo non si è presentata unita e compatta, per l’astensione di Ungheria, Estonia ed Irlanda.

Il G20 ha inoltre per la prima volta affrontato il Carbon Pricing, tra gli strumenti di lotta alle emissioni di CO2. Si è parlato infatti di una soglia minima globale per il prezzo di emissione di anidride carbonica a livello globale. L’Unione europea ha già un proprio sistema che ha come obiettivo il contrasto alle emissioni (ETS) e che anzi verrà rafforzato.

Senza dubbio è stato importante averne parlato, ma essendo l’ambiente un tema che non conosce frontiere, affinché le decisioni prese e sofferte da un attore globale (come l’Unione, che peraltro aspira a diventare leader in questo settore) per essere efficaci debbono essere seguite anche dal resto del mondo, in particolare Usa e Cina che contribuiscono, rispettivamente con il 14% e con il 34% alle emissioni di CO2 a fronte di un 7% europeo alle emissioni di gas ad effetto serra. Purtroppo, alcuni paesi sono concentrati a sostenere la crescita interna e rimandano queste decisioni, vanificando così gli sforzi compiuti da altri. Si dovrebbero pertanto affrontare tali temi, considerando anche altri settori di interesse comune per favorire un atteggiamento più collaborativo da parte di chi è ancora contrario.

La situazione richiede uno sforzo di responsabilità a tutti i livelli, globale, europeo ma sicuramente anche nazionale.

A livello nazionale, in particolare, è indispensabile evitare prese di posizione che ostacolino o anche semplicemente ritardino riforme da realizzare ormai da anni e da cui dipende la corretta realizzazione di interventi necessari per la nostra ripresa.

A livello UE occorrerebbe, d’altro canto, poter contare su una visione più coesa e unita di tutti i paesi, cosa che ad ogni occasione sembra invece essere smentita. Ci auguriamo che il corretto utilizzo della Facility da parte degli Stati membri, favorisca questa fiducia reciproca- tra Stati e verso le istituzioni -, portando ad una maggior integrazione per poter parlare con una sola voce in sede multilaterale ed internazionale.

Occorre ad ogni livello (nazionale europeo e globale) una maggior presa di coscienza della situazione e un maggior senso di responsabilità comune, tenuto conto delle emergenze tutt’ora in corso per le quali è necessario agire immediatamente. Non farlo rischia di impedire di poter fronteggiare ulteriori crisi perché non si è raggiunto un adeguato e diffuso livello di resilienza.  

 

Anna Maria Villa

 

 

 

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L’iniziativa del Coccodrillo 1980-2021

Il processo di integrazione europea, avviato con la dichiarazione di Robert Schuman (scritta da Jean Monnet) del 9 maggio 1950, è passato attraverso periodiche crisi.

Fino al 1980, le crisi si sono concluse con soluzioni che hanno permesso un salto in avanti nella logica e con la continuità immaginata dal metodo comunitario.

All’inizio del 1980, la Comunità era in crisi per molte ragioni e in particolare per:

  • Una crisi istituzionale fra il Parlamento europeo e il Consiglio sulla dimensione e sulla qualità del bilancio europeo
  • Una crisi economica che colpiva la competitività e la crescita dei paesi membri della Comunità europea in un mondo globalizzato
  • Una crisi politica, che colpiva le relazioni fra l’Est e l’Ovest.

Il sistema europeo, nato con i trattati di Roma del 1957, appariva inadeguato per uscire da queste crisi contemporanee ma nessun governo nazionale e la Commissione guidata dall’inconsistente lussemburghese Gaston Thorn avevano mostrato di essere consapevoli di questa inadeguatezza ed avevano anzi risposto con disprezzo alla richiesta del Parlamento europeo di dare capacità fiscale allo SME (l’antesignano dell’UEM) confermando un bilancio europeo asfittico e riconoscendo la legittimità del ricatto britannico di Margaret Thatcher “Voglio indietro i miei soldi”.

Il Parlamento europeo era stato scelto direttamente dalle cittadine e dai cittadini di nove paesi europei per la prima volta nel giugno 1979, ben ventuno anni dopo l’entrata in vigore dei trattati di Roma che avevano previsto l’elezione a suffragio universale, introducendo così un embrione di democrazia rappresentativa.

La grandissima maggioranza dei deputati eletti non pensava alla possibilità che l’assemblea dovesse assumere nel corso della legislatura un ruolo costituente e cioè di andare al di là dei trattati per proporne la revisione.

Essi ritenevano invece che molte fossero ancora le potenzialità dei trattati che avrebbero potuto essere sfruttate dalle istituzioni europee nonostante la quasi unanimità delle decisioni nel Consiglio.

Lo scontro a dicembre 1979 fra il Parlamento e il Consiglio sul bilancio dell’anno successivo sul suo ammontare e sulla qualità delle sue spese concluso nel maggio 1980 con la vittoria del Consiglio (complice la Commissione Thorn) rese invece evidente l’inconsistenza del ruolo di un’assemblea rinchiusa in funzioni quasi esclusivamente consultive.

Il passaggio dall’evidenza a un atto di volontà politico-parlamentare non era tuttavia scontato come fu dimostrato nel giugno 1980 dal dibattito in aula sull’accordo del Consiglio in materia di bilancio e dal mandato del 30 maggio 1980 del Consiglio europeo alla Commissione “senza porre in questione né la responsabilità finanziaria delle politiche europee né i principi fondamentali della PAC…per evitare che situazioni inaccettabili si manifestino” per uno qualunque dei paesi membri (=Regno Unito).

Questo passaggio non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato, fra i deputati europei, Altiero Spinelli eletto come indipendente nelle liste del PCI con un suo programma coerente con le scelte costituzionali e costituenti che egli aveva inutilmente tentato di far adottare da Commissario dalla Commissione europea nel quadro del dibattito suscitato cinque anni prima dal Rapporto Tindemans.

Così aveva descritto Spinelli il 21 giugno di fronte all’assemblea la situazione europea: “l’esistenza dei problemi comuni è ammessa; la necessità di apportarvi delle risposte comuni è riconosciuta; la capacità di formulare queste risposte in una entità politica europea e un’entità amministrativa europea esiste, ma la procedura rende difficile se non impossibile l’elaborazione della concezione europea e la formazione del consenso europeo mentre tale procedura esalta le preparazioni nazionali e favorisce la formazione di consensi interni sui problemi”.

Fondandosi su un pensiero che potremmo definire cartesiano, Spinelli indicò nel suo discorso il contenuto essenziale del progetto, del metodo e dell’agenda.

Il discorso non suscitò grande interesse poiché la maggioranza di popolari, socialisti e liberali erano preoccupati dal rischio di mettere in discussione il difficile accordo raggiunto fra i governi dove – con maggioranze variabili – erano qua e là presenti tutte e tre le famiglie politiche.

Ciò obbligò Spinelli a trasformare il suo discorso in una lettera che fu inviata il 25 giugno a tutti i deputati europei a cui risposero inizialmente otto parlamentari di varie culture politiche.

Il 9 luglio 1980 nasceva così a Strasburgo e in una cena nel Ristorante Crocodile il Club del Coccodrillo su iniziativa di Altiero Spinelli.

Grazie al Club, che fu il primo intergruppo nel Parlamento europeo, l’assemblea decise il 9 luglio 1981 di creare una commissione ad hoc con l’incarico di elaborare un progetto di riforma dei trattati comunitari e delle iniziative para comunitarie.

Il 14 febbraio 1984 l’assemblea adottò a larga maggioranza il progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea (“progetto Spinelli”) con l’obiettivo di chiederne la ratifica direttamente ai parlamenti nazionali senza passare da un negoziato diplomatico e dalla firma unanime dei governi nazionali.

Quel progetto fu il frutto di un compromesso democratico a cui contribuirono parlamentari popolari, socialisti, liberali, gollisti, conservatori inglesi, comunisti e radicali italiani.

Più di quaranta anni dopo la nascita del Club del Coccodrillo il Movimento europeo ritiene che il Parlamento europeo debba riprendere la via indicata da quel metodo e il contenuto del progetto del 1984 cogliendo l’occasione della Conferenza sul futuro dell’Europa e rivolgendosi agli innovatori nei parlamenti nazionali e alle organizzazioni della società civile per chiedere loro di offrire un contributo di idee ed il sostegno ad una procedura democratica e costituente.

Solo così potrà essere portato a compimento il processo di integrazione europea iniziato il 9 maggio 1950 con la Dichiarazione Schuman.

Strasburgo, 9 luglio 2021

coccodrillo

 

 

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Ultime da Bruxelles

- Testi in evidenza e consigli di lettura

Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale

Next Generation EU a cura di Euractiv

Europa dei diritti

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 

 

 

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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

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Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

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 L'EDITORIALE

L’iniziativa del Coccodrillo 1980-2021

Il processo di integrazione europea, avviato con la dichiarazione di Robert Schuman (scritta da Jean Monnet) del 9 maggio 1950, è passato attraverso periodiche crisi.

Fino al 1980, le crisi si sono concluse con soluzioni che hanno permesso un salto in avanti nella logica e con la continuità immaginata dal metodo comunitario.

All’inizio del 1980, la Comunità era in crisi per molte ragioni e in particolare per:

  • Una crisi istituzionale fra il Parlamento europeo e il Consiglio sulla dimensione e sulla qualità del bilancio europeo
  • Una crisi economica che colpiva la competitività e la crescita dei paesi membri della Comunità europea in un mondo globalizzato
  • Una crisi politica, che colpiva le relazioni fra l’Est e l’Ovest.

Il sistema europeo, nato con i trattati di Roma del 1957, appariva inadeguato per uscire da queste crisi contemporanee ma nessun governo nazionale e la Commissione guidata dall’inconsistente lussemburghese Gaston Thorn avevano mostrato di essere consapevoli di questa inadeguatezza ed avevano anzi risposto con disprezzo alla richiesta del Parlamento europeo di dare capacità fiscale allo SME (l’antesignano dell’UEM) confermando un bilancio europeo asfittico e riconoscendo la legittimità del ricatto britannico di Margaret Thatcher “Voglio indietro i miei soldi”.

Il Parlamento europeo era stato scelto direttamente dalle cittadine e dai cittadini di nove paesi europei per la prima volta nel giugno 1979, ben ventuno anni dopo l’entrata in vigore dei trattati di Roma che avevano previsto l’elezione a suffragio universale, introducendo così un embrione di democrazia rappresentativa.

La grandissima maggioranza dei deputati eletti non pensava alla possibilità che l’assemblea dovesse assumere nel corso della legislatura un ruolo costituente e cioè di andare al di là dei trattati per proporne la revisione.

Essi ritenevano invece che molte fossero ancora le potenzialità dei trattati che avrebbero potuto essere sfruttate dalle istituzioni europee nonostante la quasi unanimità delle decisioni nel Consiglio.

Lo scontro a dicembre 1979 fra il Parlamento e il Consiglio sul bilancio dell’anno successivo sul suo ammontare e sulla qualità delle sue spese concluso nel maggio 1980 con la vittoria del Consiglio (complice la Commissione Thorn) rese invece evidente l’inconsistenza del ruolo di un’assemblea rinchiusa in funzioni quasi esclusivamente consultive.

Il passaggio dall’evidenza a un atto di volontà politico-parlamentare non era tuttavia scontato come fu dimostrato nel giugno 1980 dal dibattito in aula sull’accordo del Consiglio in materia di bilancio e dal mandato del 30 maggio 1980 del Consiglio europeo alla Commissione “senza porre in questione né la responsabilità finanziaria delle politiche europee né i principi fondamentali della PAC…per evitare che situazioni inaccettabili si manifestino” per uno qualunque dei paesi membri (=Regno Unito).

Questo passaggio non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato, fra i deputati europei, Altiero Spinelli eletto come indipendente nelle liste del PCI con un suo programma coerente con le scelte costituzionali e costituenti che egli aveva inutilmente tentato di far adottare da Commissario dalla Commissione europea nel quadro del dibattito suscitato cinque anni prima dal Rapporto Tindemans.

Così aveva descritto Spinelli il 21 giugno di fronte all’assemblea la situazione europea: “l’esistenza dei problemi comuni è ammessa; la necessità di apportarvi delle risposte comuni è riconosciuta; la capacità di formulare queste risposte in una entità politica europea e un’entità amministrativa europea esiste, ma la procedura rende difficile se non impossibile l’elaborazione della concezione europea e la formazione del consenso europeo mentre tale procedura esalta le preparazioni nazionali e favorisce la formazione di consensi interni sui problemi”.

Fondandosi su un pensiero che potremmo definire cartesiano, Spinelli indicò nel suo discorso il contenuto essenziale del progetto, del metodo e dell’agenda.

Il discorso non suscitò grande interesse poiché la maggioranza di popolari, socialisti e liberali erano preoccupati dal rischio di mettere in discussione il difficile accordo raggiunto fra i governi dove – con maggioranze variabili – erano qua e là presenti tutte e tre le famiglie politiche.

Ciò obbligò Spinelli a trasformare il suo discorso in una lettera che fu inviata il 25 giugno a tutti i deputati europei a cui risposero inizialmente otto parlamentari di varie culture politiche.

Il 9 luglio 1980 nasceva così a Strasburgo e in una cena nel Ristorante Crocodile il Club del Coccodrillo su iniziativa di Altiero Spinelli.

Grazie al Club, che fu il primo intergruppo nel Parlamento europeo, l’assemblea decise il 9 luglio 1981 di creare una commissione ad hoc con l’incarico di elaborare un progetto di riforma dei trattati comunitari e delle iniziative para comunitarie.

Il 14 febbraio 1984 l’assemblea adottò a larga maggioranza il progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea (“progetto Spinelli”) con l’obiettivo di chiederne la ratifica direttamente ai parlamenti nazionali senza passare da un negoziato diplomatico e dalla firma unanime dei governi nazionali.

Quel progetto fu il frutto di un compromesso democratico a cui contribuirono parlamentari popolari, socialisti, liberali, gollisti, conservatori inglesi, comunisti e radicali italiani.

Più di quaranta anni dopo la nascita del Club del Coccodrillo il Movimento europeo ritiene che il Parlamento europeo debba riprendere la via indicata da quel metodo e il contenuto del progetto del 1984 cogliendo l’occasione della Conferenza sul futuro dell’Europa e rivolgendosi agli innovatori nei parlamenti nazionali e alle organizzazioni della società civile per chiedere loro di offrire un contributo di idee ed il sostegno ad una procedura democratica e costituente.

Solo così potrà essere portato a compimento il processo di integrazione europea iniziato il 9 maggio 1950 con la Dichiarazione Schuman.

Strasburgo, 9 luglio 2021

coccodrillo

 

 

 


 ULTIME DA BRUXELLES

Attenzione europea e globale alla politica fiscale per favorire una crescita equa

Il prossimo 13 luglio si terrà a Bruxelles il Consiglio Ecofin, il primo della presidenza slovena.

Tra i principali argomenti verrà affrontato l’avvio del Recovery and Resilience Facility. Il Consiglio infatti approverà i primi piani nazionali (attraverso le c.d. CDI’s, cioè Council Implementation Decisions) che hanno avuto una positiva valutazione da parte della Commissione europea. Si tratta dei piani di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Portogallo, Spagna e Slovenia. Sulla base di tali decisioni, la Commissione europea potrà procedere alla firma di accordi per la prima erogazione della trance di finanziamento previsto, pari al 13% del Recovery, che ammonta ad un totale di 672 miliardi di euro, di cui una parte costituita da ‘grants’ o contributi a fondo perduto (circa 312 miliardi) e una parte in loans o prestiti agevolati (360 miliardi di euro).

Tutti gli Stati hanno ratificato la decisione di aumentare il massimale delle risorse proprie del bilancio europeo e la decisione è entrata in vigore dallo scorso 1° giugno. Questo ha permesso alla Commissione europea di approvvigionarsi, per erogare le risorse necessarie, sul mercato dei capitali.

I PNRR approvati prevedono investimenti sino al 2026, in settori considerati strategici per il rilancio dell’economia europea quali la transizione verde, la trasformazione digitale, la crescita intelligente sostenibile ed inclusiva, la coesione sociale e territoriale, la salute, le politiche a favore dei giovani.

Gli obiettivi strategici da realizzare sono la sostenibilità ambientale, la produttività, l’equità economica-sociale e di genere, la stabilità macroeconomica.

Ovviamente i piani sono in linea anche con le priorità indicate dalla Commissione nella Annual Growth Strategy (AGS) 2021 che avvia di fatto il processo del cosiddetto semestre europeo (che, di fatto, dura un anno).

Quest’anno il Report della Commissione, nell’ambito dell’attività di monitoraggio e controllo su 12 Stati - Meccanismo di allerta – ne rileva nove con squilibri macroeconomici e tre – tra cui l’Italia - con gravi squilibri. La pandemia ha sicuramente peggiorato la situazione macroeconomica del nostro paese per il quale è richiesto maggior rigore nella attuazione di quelle riforme necessarie ed evidenziate ormai da anni e un attento e veloce utilizzo delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea, oltre che la realizzazione di interventi per aumentare la produttività ed il PIL. Questi obiettivi sono stati previsti nel PNRR approvato dalla Commissione, grazie al fatto che si è potuto contare su risorse europee.

L’Unione ha dunque effettuato un passo in avanti in tema di risorse messe a disposizione degli Stati e al tempo stesso ha approvato a Porto durante la presidenza portoghese un piano di azione per attuare gli obiettivi strategici sociali approvati nel 2017 al Vertice di Göteborg, ai quali non si era mai dato seguito. In quell’occasione si è anche deciso che nell’analisi del PIL dei vari paesi nella sua attività di monitoraggio e vigilanza, la Commissione terrà conto anche di indicatori sociali. Dunque, un’attenzione agli aspetti sociali legati alla ripresa economica.

Sicuramente quelle prese in contrasto alla pandemia, sono decisioni importanti da un punto di vista finanziario e sociale, ma da inserire sempre in un contesto di controllo della spesa pubblica dei singoli Stati. Infatti, anche se è un sentire comune quello di non togliere sostegni economici, perché la ripresa è ancora non stabilizzata e la pandemia non definitivamente sotto controllo, la cornice del semestre europeo con attenzione al PIL e in particolare alla spesa pubblica, rimane quella di riferimento.

I ministri si confronteranno anche sul pacchetto finanziario a supporto di una economia sostenibile, presentato dalla Commissione lo scorso 6 luglio, che comprende: la Strategia per il finanziamento della transizione verso un’economia sostenibile; il Regolamento sui green bonds considerati un importante strumento finanziario per attirare risparmio privato complementare alle risorse europee messe a disposizione, soprattutto da indirizzare verso le PMI che hanno maggiori difficoltà di approvvigionamento di risorse finanziarie; una serie di atti delegati per garantire informazioni e trasparenza sulle attività svolte da società finanziarie e non; il Regolamento sulla Taxonomy, intesa come sistema di classificazione delle attività economiche che contribuiscono a realizzare obiettivi ambientali e che sono individuate sulla base di dati scientifici; infine strumenti di mercato proposti da operatori finanziari al fine di evitare il c.d. green washing’ del denaro investito.

È previsto inoltre che la Commissione informerà il Consiglio su proposte legislative in corso riguardanti Banking union, Capital Market Union, e la finanza digitale.

La Presidenza slovena infine presenterà il proprio programma.

Il prossimo Ecofin tratterà dunque temi importanti per il rilancio dell’economia europea, preceduto da un incontro altrettanto importante anch’esso focalizzato su questioni finanziarie. Si tratta del G20 che si è tenuto lo scorso 9-10 luglio a Venezia e che ha approvato l’intesa OCSE (132 paesi favorevoli su 139 pari all’80% del PIL globale) su una tassa minima del 15% sulle multinazionali con fatturato oltre i 750 milioni di euro e la ripartizione (pari al 20-30%) del prelievo eccedente il 10% del reddito per le grandi società con un fatturato che supera i 20 miliardi di dollari, nei paesi dove viene prodotto tale fatturato. Si tratta del c.d. doppio pilastro che segna un cambio di passo delle politiche fiscali globali, a sostegno di una più equa concorrenza, con l’obiettivo di contrasto al dumping fiscale. L’accordo dovrebbe essere operativo entro il 2023. La decisione, infatti, richiederà prima della sua applicazione un complesso lavoro di tecnici ed esperti. Rimane in sospeso la questione della web tax tra USA e UE che i primi vorrebbero subito eliminata, mentre l’UE solo ad entrata in vigore della decisione, vale adire nel 2023. Questo mentre l’UE presenterà una sua proposta di tassa digitale al prossimo ECOFIN.  

La decisione presa in ambito G20 è sicuramente auspicata e significativa, e si stima possa prevedere per l’Italia un gettito di 3,7 miliardi, ma alla quale l’Unione purtroppo non si è presentata unita e compatta, per l’astensione di Ungheria, Estonia ed Irlanda.

Il G20 ha inoltre per la prima volta affrontato il Carbon Pricing, tra gli strumenti di lotta alle emissioni di CO2. Si è parlato infatti di una soglia minima globale per il prezzo di emissione di anidride carbonica a livello globale. L’Unione europea ha già un proprio sistema che ha come obiettivo il contrasto alle emissioni (ETS) e che anzi verrà rafforzato.

Senza dubbio è stato importante averne parlato, ma essendo l’ambiente un tema che non conosce frontiere, affinché le decisioni prese e sofferte da un attore globale (come l’Unione, che peraltro aspira a diventare leader in questo settore) per essere efficaci debbono essere seguite anche dal resto del mondo, in particolare Usa e Cina che contribuiscono, rispettivamente con il 14% e con il 34% alle emissioni di CO2 a fronte di un 7% europeo alle emissioni di gas ad effetto serra. Purtroppo, alcuni paesi sono concentrati a sostenere la crescita interna e rimandano queste decisioni, vanificando così gli sforzi compiuti da altri. Si dovrebbero pertanto affrontare tali temi, considerando anche altri settori di interesse comune per favorire un atteggiamento più collaborativo da parte di chi è ancora contrario.

La situazione richiede uno sforzo di responsabilità a tutti i livelli, globale, europeo ma sicuramente anche nazionale.

A livello nazionale, in particolare, è indispensabile evitare prese di posizione che ostacolino o anche semplicemente ritardino riforme da realizzare ormai da anni e da cui dipende la corretta realizzazione di interventi necessari per la nostra ripresa.

A livello UE occorrerebbe, d’altro canto, poter contare su una visione più coesa e unita di tutti i paesi, cosa che ad ogni occasione sembra invece essere smentita. Ci auguriamo che il corretto utilizzo della Facility da parte degli Stati membri, favorisca questa fiducia reciproca- tra Stati e verso le istituzioni -, portando ad una maggior integrazione per poter parlare con una sola voce in sede multilaterale ed internazionale.

Occorre ad ogni livello (nazionale europeo e globale) una maggior presa di coscienza della situazione e un maggior senso di responsabilità comune, tenuto conto delle emergenze tutt’ora in corso per le quali è necessario agire immediatamente. Non farlo rischia di impedire di poter fronteggiare ulteriori crisi perché non si è raggiunto un adeguato e diffuso livello di resilienza.  

 

Anna Maria Villa

 


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