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Vi presentiamo questa settimana un testo del noto studioso Federico Fabbrini, docente di Diritto dell'Unione europea presso la School of Law & Government della Dublin City University: “Brexit, tra Diritto e Politica”. Il volume è il risultato di un'analisi che inizia già da prima dell'evento dell'uscita del Regno Unito dalla Ue, ragionando sulle cause e sui fattori che hanno determinato l'esito referendario del 23 giugno 2016. Lo stile adottato dall'autore consente di rivolgersi sia ad esperti e addetti ai lavori che al pubblico in generale. Attraverso una documentazione ampia che indaga sui rapporti tra Ue e Regno Unito, Fabbrini ricostruisce le fasi del processo Brexit unendo più piani di indagine, poiché la questione ha riguardato sia la sfera della comunicazione sui media, sia quella del complesso intreccio di aspetti giuridici su cui si sono fondate le relazioni tra Ue e Regno Unito, basandosi sui Trattati e sul diritto europeo.

 

 

 

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Vi proponiamo, questa settimana, una sentenza interessante perché entra nel merito delle modalità di applicazione del mandato d'arresto europeo, uno degli istituti che rappresentano un caposaldo per l'affermazione della cooperazione giudiziaria. La Grande Sezione della Corte, il 17 dicembre 2020, ha infatti emesso una sentenza che fornisce alcuni chiarimenti rispetto a tale questione: è possibile eseguire un mandato d'arresto europeo quando la richiesta provenga da un Paese – nel caso specifico, la Polonia – in cui c'è ragione di ritenere che la situazione interna relativa allo stato di diritto sia tale da non garantire l'indipendenza del potere giudiziario? Già in altri casi ci siamo occupati del rispetto dello stato di diritto nei nuovi Stati membri, là dove effettivamente esistono criticità non di poco conto.

In questo caso, si è trattato di arrivare a dei chiarimenti rispetto ad una richiesta di mandato d'arresto europeo partita dalla Polonia nei confronti di due cittadini di questo Stato che si trovavano in Olanda. A supporto dei dubbi del giudice che ha rinviato la questione alla Corte, nel testo della sentenza si rinvengono le motivazioni alla base di tali perplessità e, per opportuna conoscenza, le riportiamo qui di seguito. Si tratta dei seguenti punti:

la sentenza del Sąd Najwyższy (Izba Pracy i Ubezpieczeń Społecznych) (Corte suprema, sezione per il lavoro e la previdenza sociale), del 5 dicembre 2019, nella quale detto organo giurisdizionale, pronunciandosi nella controversia che ha dato luogo alla domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑585/18, ha dichiarato che il Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura, Polonia) non era, nella sua attuale composizione, un organo imparziale e indipendente dai poteri legislativo ed esecutivo;

il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica di Polonia (causa C‑791/19) e l’ordinanza della Corte dell’8 aprile 2020, Commissione/Polonia (C‑791/19 R, EU:C:2020:277);

l’adozione, il 20 dicembre 2019, da parte della Repubblica di Polonia, di una nuova legge relativa al sistema giudiziario, entrata in vigore il 14 febbraio 2020, che ha indotto la Commissione ad avviare, il 29 aprile successivo, una procedura di infrazione inviando a tale Stato membro una lettera di diffida riguardante detta nuova legge, e

lo svolgimento di un’udienza, il 9 giugno 2020, dinanzi al Sąd Najwyższy (Izba Dyscyplinarna) (Corte suprema, sezione disciplinare), riguardante la revoca dell’immunità penale di un giudice polacco e la pronuncia di una sentenza nella stessa data”.

Secondo la Corte, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo verso un Paese in cui si ritenga che vi siano carenze nell'indipendenza della magistratura “non può negare la qualità di «autorità giudiziaria emittente» [...] senza effettuare una verifica concreta e precisa che tenga conto, in particolare, della situazione individuale di detta persona, della natura del reato di cui trattasi e del contesto fattuale nel quale si inserisce detta emissione, ivi comprese le dichiarazioni di autorità pubbliche che possano interferire nel trattamento da riservare a un caso individuale”. Ciò implica quindi che spetti alle autorità olandesi effettuare le opportune verifiche previste nella sentenza, anche se, come si può notare sfogliando il testo della stessa, qualche forma di verifica era stata tentata senza ottenere risposta da parte della Corte suprema polacca. Si apprende infatti, leggendo la sentenza, che “il pubblico ministero ha [...] posto un quesito riguardante il Sąd Najwyższy (Corte suprema) all’autorità giudiziaria di emissione del mandato d’arresto europeo in questione nonché, per il tramite di Eurojust, allo stesso Sąd Najwyższy (Corte suprema), senza tuttavia ottenere risposta”.

Ciò testimonia che ci si trovi di fronte ad un caso di particolare interesse rispetto alle modalità concrete attraverso cui applicare la sentenza della Corte di Giustizia europea: c'è ragione di ritenere che la suddetta attività di verifica sia di particolare complessità.

Per approfondire, clicca qui.                                                       

 

 

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L'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali è dedicato alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato. In sintonia con l'articolo 29, sul diritto di accesso ai servizi di collocamento, trattato la settimana scorsa, si colloca nella sezione dedicata alla solidarietà, un ambito strettamente connesso, come si può notare, a quello dei diritti dei lavoratori. Afferma l'articolo 30 che “Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”. Pur nel rispetto delle differenziazioni in base al contesto di ciascuno Stato membro o anche di quelle su base regionale, questo tipo di tutela deve essere operante conformemente anche al diritto dell'Unione europea: è così che si apre uno spazio di riflessione rispetto all'azione che potrà essere operata in sede europea con gli assunti di una nuova politica che sembra si stia delineando e che si basa su alcuni obiettivi da realizzare.

Rispetto ad un mondo del lavoro ricco di incognite, a causa della complessità del capitalismo contemporaneo che è dematerializzato, sempre più legato agli umori dei mercati finanziari, in cui si compete con sistemi quali quello cinese, russo, di Paesi cioè che basano le proprie scelte politiche su presupposti assai differenti da quelli dell'economia di mercato occidentale, l'Unione si è posta l'obiettivo di garantire tutele sociali basate sulla legge, nel caso di perdita del lavoro, e ricorrendo all'azione della contrattazione sindacale. Oggi, queste tutele possono e devono essere riaffermate a livello europeo realizzando nuove conquiste del lavoro, quali quella di un reddito minimo in tutti gli Stati membri, e affermando i principi del pilastro europeo dei diritti sociali, molto concentrato sulle tutele nel mondo del lavoro ma ancora non tradotto in una nuova legislazione sociale e del lavoro che possa colmare le lacune esistenti. Continueremo ad occuparcene anche nelle prossime newsletter.

 

 

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