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S.Gozi

Sandro Gozi

membro del Consiglio di Presidenza del Movimento europeo in Italia

 

 

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Sono trascorsi più di dieci anni dalle ondate di protesta che hanno investito il mondo arabo e che in Europa sono state globalmente denominate “le primavere arabe”.

Si è discusso a lungo se si fosse trattato di rivolte o di rivoluzioni ed in effetti in due casi (Egitto e Tunisia) le proteste hanno certo condotto a un rovesciamento dei regimi autoritari al potere.

Nel caso dell’Egitto la rivoluzione nata nella Piazza della Liberazione (Maidan al-Tahrir) con la caduta di Hosni Mubarak ha prodotto tuttavia la contro-rivoluzione militare di Abdel Fattah al-Sisi con un regime duramente autoritario di cui i due esempi più drammatici e conosciuti in Italia sono l’omicidio di Stato che ha portato alla morte di Giulio Regeni e l’incarcerazione dello studente Erasmus dell’Università di Bologna Patrick Zaky.

Nel caso della Tunisia, la caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Alì - che aveva assunto il potere con un colpo di Stato nel 1987 introducendo una dittatura poliziesca – ha avviato un lento processo di costituzionalizzazione democratica che è ancora ben lontano dal concludersi con un paese in cui la crisi politica si somma a quella economica e sociale aggravata dagli effetti della pandemia.

Le rivolte, trasformatesi per l’Egitto e la Tunisia nelle rivoluzioni che hanno fatto cadere i due dittatori, sono state ampliate dall’uso dei Social Network, in cui i protagonisti sono stati i giovani che rappresentano la metà della popolazione attiva in una fascia di età che va fra i 15 e i 29 anni, esportando le proteste in molti altri paesi arabi del Vicino e Medio Oriente.

Vale la pena di ricordare che le rivolte del 2010-2011 hanno radici in movimenti nati negli anni precedenti come Shabab 6 Abril (“I ragazzi del 6 aprile”) o la coalizione Kifaya, così come vale la pena di vedere i dieci film che ci fanno rivivere le “primavere arabe” (meglio dire “le rivolte che non hanno fatto primavera”) di cui ci ha parlato Catherine Cornet su Internazionale il 25 gennaio 2021.

L’Unione europea ha una particolare e pesante responsabilità negativa della situazione in tutti i paesi arabi del Vicino e del Medio Oriente perché – come è stato detto recentemente – l’insieme degli Stati europei sono pagatori-chiave (key-payers) ma l’Unione europea in quanto tale è un giocatore nullo (no-player) tenendo conto che – con l’eccezione dell’Iraq e dell’Iran insieme alle relazioni israelo-palestinesi – gli Stati Uniti hanno abbandonato l’intera regione da tempo dopo le illusioni nutrite dal discorso di Barak Obama all’Università del Cairo (4 giugno 2009).

I governi europei hanno malauguratamente deciso di lasciar cadere la proposta di Romano Prodi come presidente della Commissione europea (1999-2004) di una “politica di vicinato” e della “cerchia degli amici” sostituendola prima con la più confusa “politica di prossimità”, in cui sono state privilegiate le relazioni con i paesi dell’Europa centrale e orientale destinati a diventare membri a parte intera dell’Unione europea fra il 2004 e il 2013 e poi cancellando il partenariato euro-mediterraneo firmato a Barcellona nel 1995 per privilegiare l’approccio intergovernativo di Nicolas Sarkozy dell’Unione per il Mediterraneo nel luglio 2008.

Stiamo assistendo all’avvio di una nuova ondata di proteste e di rivolte nei paesi arabi a cominciare dall’Algeria e dalla Tunisia ed è urgente e necessario che l’Unione europea, nel quadro dell’obiettivo della sua autonomia strategica, non stia a guardare passivamente quel che avviene nei paesi vicini come uno spettatore dal loggione del teatro geopolitico.

Noi siamo convinti da tempo che fra le due sponde del Mediterraneo ci sia una “comunità di destino” e che ha ragione Romano Prodi quando ci ha ricordato – in occasione dei 25 anni di obiettivi condivisi dalla Convenzione di Barcellona – che i fattori chiave della ripresa sono la cooperazione regionale, la solidarietà e l’istruzione.

In concreto, il governo Draghi – forte della priorità sottolineata dal Presidente del Consiglio nel suo discorso alle Camere – potrebbe proporre alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza di

  • riaprire il cantiere per una Banca di Sviluppo per il Mediterraneo,
  • predisporre un progetto condiviso di energie rinnovabili da estendere a tutto il continente africano nel quadro dello European Green Deal e dell’Agenda 2030,
  • riprendere il cammino per una rete di università miste Nord-Sud,
  • e introdurre nel nuovo regolamento di attuazione del programma Erasmus Plus 2021-2027 la dimensione di un Erasmus mediterraneo dedicato alle studentesse e agli studenti provenienti dalle università e dai centri di ricerca di tutta la sponda sud del Mediterraneo.

Roma, 22 febbraio 2021

 

 coccodrillo

 

 

 

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A dieci anni dalle “primavere arabe”
L’Unione europea e il Mediterraneo: pagatore-chiave, giocatore nullo

Sono trascorsi più di dieci anni dalle ondate di protesta che hanno investito il mondo arabo e che in Europa sono state globalmente denominate “le primavere arabe”.

Si è discusso a lungo se si fosse trattato di rivolte o di rivoluzioni ed in effetti in due casi (Egitto e Tunisia) le proteste hanno certo condotto a un rovesciamento dei regimi autoritari al potere.

Nel caso dell’Egitto la rivoluzione nata nella Piazza della Liberazione (Maidan al-Tahrir) con la caduta di Hosni Mubarak ha prodotto tuttavia la contro-rivoluzione militare di Abdel Fattah al-Sisi con un regime duramente autoritario di cui i due esempi più drammatici e conosciuti in Italia sono l’omicidio di Stato che ha portato alla morte di Giulio Regeni e l’incarcerazione dello studente Erasmus dell’Università di Bologna Patrick Zaky.

Nel caso della Tunisia, la caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Alì - che aveva assunto il potere con un colpo di Stato nel 1987 introducendo una dittatura poliziesca – ha avviato un lento processo di costituzionalizzazione democratica che è ancora ben lontano dal concludersi con un paese in cui la crisi politica si somma a quella economica e sociale aggravata dagli effetti della pandemia.

Le rivolte, trasformatesi per l’Egitto e la Tunisia nelle rivoluzioni che hanno fatto cadere i due dittatori, sono state ampliate dall’uso dei Social Network, in cui i protagonisti sono stati i giovani che rappresentano la metà della popolazione attiva in una fascia di età che va fra i 15 e i 29 anni, esportando le proteste in molti altri paesi arabi del Vicino e Medio Oriente.

Vale la pena di ricordare che le rivolte del 2010-2011 hanno radici in movimenti nati negli anni precedenti come Shabab 6 Abril (“I ragazzi del 6 aprile”) o la coalizione Kifaya, così come vale la pena di vedere i dieci film che ci fanno rivivere le “primavere arabe” (meglio dire “le rivolte che non hanno fatto primavera”) di cui ci ha parlato Catherine Cornet su Internazionale il 25 gennaio 2021.

L’Unione europea ha una particolare e pesante responsabilità negativa della situazione in tutti i paesi arabi del Vicino e del Medio Oriente perché – come è stato detto recentemente – l’insieme degli Stati europei sono pagatori-chiave (key-payers) ma l’Unione europea in quanto tale è un giocatore nullo (no-player) tenendo conto che – con l’eccezione dell’Iraq e dell’Iran insieme alle relazioni israelo-palestinesi – gli Stati Uniti hanno abbandonato l’intera regione da tempo dopo le illusioni nutrite dal discorso di Barak Obama all’Università del Cairo (4 giugno 2009).

I governi europei hanno malauguratamente deciso di lasciar cadere la proposta di Romano Prodi come presidente della Commissione europea (1999-2004) di una “politica di vicinato” e della “cerchia degli amici” sostituendola prima con la più confusa “politica di prossimità”, in cui sono state privilegiate le relazioni con i paesi dell’Europa centrale e orientale destinati a diventare membri a parte intera dell’Unione europea fra il 2004 e il 2013 e poi cancellando il partenariato euro-mediterraneo firmato a Barcellona nel 1995 per privilegiare l’approccio intergovernativo di Nicolas Sarkozy dell’Unione per il Mediterraneo nel luglio 2008.

Stiamo assistendo all’avvio di una nuova ondata di proteste e di rivolte nei paesi arabi a cominciare dall’Algeria e dalla Tunisia ed è urgente e necessario che l’Unione europea, nel quadro dell’obiettivo della sua autonomia strategica, non stia a guardare passivamente quel che avviene nei paesi vicini come uno spettatore dal loggione del teatro geopolitico.

Noi siamo convinti da tempo che fra le due sponde del Mediterraneo ci sia una “comunità di destino” e che ha ragione Romano Prodi quando ci ha ricordato – in occasione dei 25 anni di obiettivi condivisi dalla Convenzione di Barcellona – che i fattori chiave della ripresa sono la cooperazione regionale, la solidarietà e l’istruzione.

In concreto, il governo Draghi – forte della priorità sottolineata dal Presidente del Consiglio nel suo discorso alle Camere – potrebbe proporre alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza di

  • riaprire il cantiere per una Banca di Sviluppo per il Mediterraneo,
  • predisporre un progetto condiviso di energie rinnovabili da estendere a tutto il continente africano nel quadro dello European Green Deal e dell’Agenda 2030,
  • riprendere il cammino per una rete di università miste Nord-Sud,
  • e introdurre nel nuovo regolamento di attuazione del programma Erasmus Plus 2021-2027 la dimensione di un Erasmus mediterraneo dedicato alle studentesse e agli studenti provenienti dalle università e dai centri di ricerca di tutta la sponda sud del Mediterraneo.

Roma, 22 febbraio 2021

 

 coccodrillo

 


 

Perché sostenere il Movimento europeo in Italia

S.Gozi

Sandro Gozi

membro del Consiglio di Presidenza del Movimento europeo in Italia

 


 

Attiriamo la vostra attenzione

Proprio mentre svolgevamo le ultime correzioni della newsletter, dal Congo giungeva la notizia dell'uccisione, in un attentato a un convoglio delle Nazioni Unite, dell'ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci e del loro autista. Un fatto di una tale gravità, oltre che per il dramma immane dei familiari e degli amici delle vittime, rappresenta una preoccupante minaccia al ruolo della diplomazia e della cooperazione internazionale nel paziente lavoro di dialogo con aree di crisi.
Nell'esprimere sentite condoglianze ai familiari degli uccisi, dobbiamo tristemente prendere atto delle tragiche difficoltà che si incontrano proprio guardando all'instaurazione di meccanismi di pace e di solidarietà tra le due sponde del Mediterraneo e nei confronti del continente africano.

Inizia una settimana intensa, a partire dal Consiglio Affari esteri del 22 febbraio, che sarà dedicato tra l'altro alla delicata sfera dei rapporti tra Unione europea e Federazione russa. Tra gli eventi di primo piano, inoltre, il Consiglio europeo del 25 e 26 febbraio dedicato al prosieguo della strategia di contrasto alla pandemia da covid 19. Il Parlamento europeo discuterà importanti rapporti nella mini sessione plenaria del 24 e 25 febbraio.

Passando alle attività del Movimento europeo in Italia, vi segnaliamo la tavola rotonda “L’Europa che verrà” organizzata dagli Stati generali delle donne, nell'ambito della maratona d'Europa: per l'occasione, il Presidente Pier Virgilio Dastoli avrà il compito di coordinare i lavori. L'incontro sarà diffuso sul canale You Tube di Stati generali donne: https://www.youtube.com/channel/UCc8egOYFSK9q0-zGl2gBtdw/videos?view=0&sort=dd&shelf_id=1

 

 


 

ll Whatever it takes: l’economia del governo Draghi

 R.Sommella

ll Whatever it takes: l’economia del governo Draghi

con Roberto Sommella (podcast)

 

 


 

Vi segnaliamo

 

 


 

Documenti chiave


 


 

Testi della settimana

 

 


 

Cosa bolle in pentola in Europa: cronache dell’Eurogruppo

 di Anna Maria Villa

 Si è tenuta, lo scorso 15 febbraio, la consueta riunione mensile dell’Eurogruppo, il gruppo informale dei ministri delle finanze della zona euro, presieduta dal presidente Paschal Donohe.

Tra i primi argomenti all’ordine del giorno, le prospettive macroeconomiche e i principali temi di politica economica finanziaria e di bilancio che verranno affrontati in dettaglio nei prossimi mesi.

Dopo uno stato dell’arte sulla situazione sanitaria a seguito della pandemia sia a livello mondiale che europeo, i ministri si sono scambiati punti di vista sulle ricadute e sulle prossime ed urgenti sfide che l’Unione europea dovrà affrontare per poter recuperare le perdite subite e rilanciare un’Europa resiliente e produttiva, considerando anche le previsioni di inverno pubblicate dalla Commissione europea.

Tutti sono stati concordi nel convenire che per poter affrontare in modo più consapevole ed efficace tali sfide è prioritario ed urgente uscire il prima possibile dalla pandemia, che ha una caratteristica ormai assodata: l’incertezza circa il suo andamento e le sue conseguenze.

Sicuramente sono stati realizzati grandi progressi in materia sanitaria, che hanno visto la produzione di vaccini in tempi quanto mai ristretti, ma rimangono ancora seri problemi di approvvigionamento e distribuzione, oltre che di monitoraggio degli stessi vaccinati per verificare sino a che punto la copertura data dal vaccino o dagli anticorpi prodotti dopo aver contratto la stessa malattia può essere efficace.

Questa lotta con i tempi non è solo necessaria per la ripresa dell’economia, ma anche per evitare l’insorgere delle c.d. varianti, che potrebbero essere particolarmente nocive. Occorrono dunque impegno da parte delle autorità europee e nazionali, ma anche una forte collaborazione da parte delle cittadine e dei cittadini.

Proprio a causa di questa incertezza, ancora evidente e non facilmente aggredibile, si potrebbe assistere ad una troppo lenta ripresa dell’economia europea a partire dalla prossima primavera, con una maggiore accelerazione solo nella seconda metà dell’anno.

Per non bloccare questa ripresa, i ministri hanno convenuto sulla necessità di riaprire il contesto economico finanziario in modo lento e controllato e al contempo di continuare a garantire per tutto il tempo necessario, interventi di protezione sociali in favore di categorie particolarmente colpite dalla disoccupazione, in particolare donne e giovani.

Ciò andrebbe realizzato evitando rigidità nel ripristino di alcune regole, in particolare quelle fiscali, che potrebbero frenare la ripartenza degli Stati più colpiti.

Le risorse già stanziate con il ‘Recovery Plan’ (il Next Generation EU), infatti da sole rischiano di non essere sufficienti ad assicurare il ritorno ai livelli di sviluppo antecedenti alla crisi.

In questo contesto di forte incertezza rimane assolutamente necessario un forte coordinamento nelle decisioni economico-finanziarie da prendere sia a livello europeo che nazionale.

È infatti auspicabile che la ripartenza non aumenti quelle divergenze già presenti prima della pandemia o addirittura ne inneschi altre ugualmente destabilizzanti a livello internazionale.

Una ripartenza dell’Europa, non coordinata ed efficace e non realizzata in tempi brevi, potrebbe infatti avere anche riflessi sul mercato internazionale, dove ad esempio l’Amministrazione Biden - grazie ad una massiccia campagna vaccinale - ha investito notevoli risorse per il contrasto alla crisi economica e sociale e interventi ad hoc che potrebbero iniziare a recuperare celermente posizioni nel mondo.

Tutto ciò potrebbe causare – malgrado un deciso miglioramento dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa – possibili disequilibri globali.

L’Eurogruppo seguirà costantemente questo andamento per poter intervenire per tempo ove necessario. A questo fine è anche indirizzata la discussione sullo schema di bilancio, più opportuno, per arrivare ad un accordo tra gli Stati (‘common understanding’) prima dell’estate.

Esiste sul tavolo una proposta di trasformazione radicale delle regole di bilancio su cui i paesi si dovranno esprimere, tenendo presente ad esempio il criterio della sostenibilità delle nuove regole e l’impatto che queste decisioni avranno sulla stessa governance europea.

Si è inoltre discusso del ruolo dell’euro, dopo l’Eurosummit dello scorso dicembre e la pubblicazione della Comunicazione della Commissione europea sul sistema economico e fiscale europeo, con l’obiettivo di promuovere l’autonomia strategica della valuta rispetto ad altre.

Questo obiettivo è sicuramente collegato alla realizzazione di altri punti strategici del programma dell’Eurogruppo, in particolare il completamento dell’Unione economica monetaria (UEM), l’Unione bancaria, l’Unione del mercato dei capitali, la corretta e coordinata implementazione del Next generation EU, nonché l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari per coinvolgere il capitale privato (euro-bond).

Un euro forte e resiliente anche a livello internazionale significa infatti maggior sicurezza economica e sociale dei cittadini europei. Questo argomento verrà affrontato nella riunione del 15 marzo.

Altro tema importante è stato quello della solvibilità aziendale. Gli strumenti europei e nazionali hanno sicuramente contribuito a sostenere il settore economico.  Tuttavia, data la forte crisi sofferta e l’elevata incertezza della situazione attuale, che incidono sul contesto economico dove operano le imprese, queste ultime potrebbero molto verosimilmente trovarsi difronte ad ulteriori crisi e non essere in grado di affrontarle.

È necessario dunque minimizzare i danni e ripensare a ciò che si intende per insolvenza.  Di questo l’Eurogruppo si farà carico a metà aprile. Il presidente Donohe ha dunque sottolineato che ci troviamo ancora di fronte ad un’incertezza sanitaria e quindi economica, che bisogna cercare di operare per aumentare il Coordinamento tra Stati per acquisire quel Consenso necessario per superare questa incertezza e dare più Certezze ai cittadini: questo il significato delle tre ‘C’ che debbono condurre la strategia europea.

Un grande e complesso lavoro, che in ogni caso conferma un deciso cambio di visione a livello europeo. L’Unione europea, ma anche l’Italia, corre un rischio troppo elevato per la responsabilità di devastanti ricadute sociali. Il momento è difficile ma come ogni momento di crisi profonda può gettare le basi per un cambio radicale di rotta, soprattutto in considerazione del fatto che nessuno Stato - da solo - può essere in grado di reagire e crescere. L’Unione europea diventa oggi ancor più necessaria e indispensabile.

 

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

Continuando a trattare il tema dei diritti dei lavoratori – questione, come si ricorda, connessa al tema della solidarietà – questa settimana ci soffermiamo sull'articolo 32 della Carta dei diritti fondamentali, dedicato al divieto del lavoro minorile e alla protezione dei giovani sul luogo di lavoro. Sono due aspetti molto importanti e vengono trattati fissando alcuni capisaldi in base ai quali il legislatore possa orientare le sue scelte. In tema di minori, si stabilisce anzitutto che “Il lavoro minorile è vietato” e che “L’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, fatte salve le norme più favorevoli ai giovani ed eccettuate deroghe limitate”. Forse nelle società europee si dà per scontato che valgano tali principi, eppure esistono contesti in cui tali principi devono ancora trovare affermazione. Se si pensa alle storie di minori addestrati dalla criminalità organizzata - senza quindi necessariamente guardare a situazioni di sfruttamento del lavoro minorile in Paesi extraeuropei - è noto che tali attività illecite si basano proprio sul coinvolgimento anche di minori che, proprio per la loro innocenza, possono meglio contribuire a fornire inconsapevolmente delle coperture nel traffico di stupefacenti, per esempio. La crisi da covid 19 ha messo in chiaro, rispetto al perseguimento di reati a livello europeo, che ci si trova di fronte ad una sfida che deve essere affrontata, per contrastare in ogni modo l'avanzamento della criminalità; è peraltro anche uno dei punti chiave dell'azione del nuovo governo.

Venendo al secondo comma dell'articolo 32, si apprende come si rivolga ai giovani nel fissare condizioni adeguate all'avvio della propria attività lavorativa; afferma infatti che “I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, mentale, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione”. Ciascuna delle aree di prevenzione a cui fa riferimento questo comma potrebbero essere trattate a sé, dedicando una riflessione o realizzando un focus sullo stato dell'arte. Tuttavia, rimanendo sul tema dell'azione che può e deve essere realizzata dall'Italia, in qualità di Stato membro e fondatore dell'Unione europea, attualmente ci si trova di fronte al compito – in salita – di fornire risposte adeguate alla crisi in corso, guardando anzitutto alle nuove generazioni e assumendosi le connesse onerose responsabilità con uno slancio e una determinazione adeguati: le nuove generazioni – si sente di dire spesso in questi giorni – giudicheranno l'operato di questi mesi di attività politico – istituzionale, perché la qualità del futuro che ci aspetta è strettamente connesso al coraggio delle scelte che si attueranno.

 

 


 

La giurisprudenza europea

In tema di lavoro, questa settimana vi proponiamo una sentenza dell'8 maggio 2019 relativa alle modalità di calcolo dell’indennità di licenziamento e dell’indennità per congedo di riqualificazione spettanti a una lavoratrice: si tratta di un caso interessante perché consente si comprendere come possa verificarsi, in situazioni del genere, una forma di discriminazione indiretta su cui la Corte è chiamata ad esprimersi; tale situazione è descritta nel testo della sentenza come quella “in cui un numero considerevolmente più elevato di donne che di uomini sceglie di beneficiare di un congedo parentale a tempo parziale”. I fatti sono i seguenti:

Il 22 novembre 1999, RE è stata assunta da Materials Research Corporation, divenuta Praxair MRC, in qualità di assistente commerciale, nel contesto di un contratto di lavoro a tempo determinato e in regime di tempo pieno. Con un’appendice del 21 luglio 2000, questo contratto di lavoro è stato trasformato in un contratto in regime di tempo pieno a tempo indeterminato, a far data dal 1° agosto 2000.

RE ha beneficiato di un primo congedo di maternità per il periodo dal 4 febbraio al 19 agosto 2001, seguito da un congedo parentale per l’educazione dei figli dal 6 settembre 2001 al 6 settembre 2003. Successivamente, ha fruito di un secondo congedo di maternità per il periodo dal 6 novembre 2007 al 6 giugno 2008, seguito da un congedo parentale per l’educazione dei figli a far data dal 1° agosto 2008, in forma di riduzione pari a un quinto del suo orario di lavoro. Quest’ultimo congedo doveva terminare il 29 gennaio 2011.

Il 6 dicembre 2010, RE è stata licenziata nel contesto di una procedura di licenziamento collettivo per motivi economici ed ha accettato un congedo di riqualificazione di una durata di nove mesi. Dopo aver rinunciato alla riduzione dell’orario di lavoro a decorrere dal 1° gennaio 2011, RE ha definitivamente lasciato Praxair MRC in data 7 settembre 2011.

Il 30 settembre 2011, RE ha adito il Conseil de prud’hommes de Toulouse (Tribunale del lavoro di Tolosa, Francia) contestando il licenziamento e proponendo varie domande, in particolare per ottenere il pagamento di EUR 941,15 a titolo di integrazione dell’indennità di licenziamento ed EUR 1 423,79 a titolo di integrazione dell’assegno per congedo di riqualificazione. Con decisione del 12 settembre 2013, detto giudice ha respinto le due domande di RE. Con sentenza del 14 ottobre 2016, la cour d’appel de Toulouse (Corte d’appello di Tolosa, Francia) ha confermato il rigetto di dette domande proposte da RE dinanzi al conseil de prud’hommes de Toulouse (Tribunale del lavoro di Tolosa).

Il 14 dicembre 2016, RE ha proposto ricorso in cassazione avverso detta sentenza”.

L'iter ha portato, a partire da questa fase del giudizio, a una diversa attenzione alla situazione dell'interessata nel riconoscimento dei suoi diritti. In particolare, la Corte di Cassazione francese ha ritenuto di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte di Giustizia dell'Unione europea alcuni quesiti attinenti alle richieste della ricorrente riguardanti sia l'intepretazione della “Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 97/75/CE”, sia l'articolo 157 del TFUE relativo alla parità di retribuzione tra uomo e donna. Entrambe queste fonti ostano, come si apprende leggendo il testo della sentenza, a che “Quando un lavoratore assunto a tempo indeterminato e in regime di tempo pieno è licenziato nel momento in cui beneficia di un congedo parentale a tempo parziale, l’indennità di licenziamento e l’indennità per congedo di riqualificazione da versare a detto lavoratore siano determinate, quantomeno in parte, sulla base della retribuzione ridotta che questi percepisce al momento del licenziamento”.

Per approfondire, clicca qui.

 

 


 

 Agenda della settimana

 

22-26 February 2021

 

Monday 22 February

Tuesday 23 February

Wednesday 24 February

Thursday 14 November

Friday 25 February

 

  


Campagna di informazione sull’Europa

 M.Draghi

 

Lega double face

 

 

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Video Antonio Apng

Antonio Argenziano, segretario generale GFE:
“Perché sostenere il Movimento europeo in Italia”

 

 

 

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Videolezione Jef Italia

Jef Italia -Terza lezione del ciclo Accademia Federalista con Pier Virgilio Dastoli,

presidente del Movimento Europeo Italia

 

 

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