L'articolo 53 della Carta dei diritti fondamentali ci sembra quello su cui aprire una riflessione non banale, questa settimana. Leggiamolo: “Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri”. C'è da chiedersi come suonino a pochi giorni dal rilascio dell'avvocato Aytaç Ünsal, su decisione del governo turco, dopo il diniego della sua scarcerazione da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Vero è che questo organo giurisdizionale non fa parte dell'Unione europea; tuttavia, nel deliberare, occupandosi di tutelare i diritti umani, dovrebbe tener conto anche di quanto statuito dall'articolo 53 della Carta che qui sembrano ignorati. L'articolo 53, infatti, guarda oltre la sfera di azione dell'Unione, perché fa riferimento a tutte quelle disposizioni limitative o lesive dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti non solo dal diritto dell'Unione, ma anche dal diritto internazionale.
Per comprendere meglio la situazione attuale, pochi giorni fa è stato pubblicato sull'Huffington Post un approfondito articolo a firma del giornalista Mariano Giustino, corrispondente di “Radio Radicale” dalla Turchia. Giustino – in un'analisi che è anche un reportage, in quanto descrive la situazione vista da vicino – concentra la sua attenzione sulla pesantissima situazione turca, con un titolo che riassume bene la situazione: “La vergognosa debacle dei diritti umani in Turchia”. Ma non si limita a fotografare la situazione interna a questo stato, in quanto pone l'attenzione sulle contraddizioni, in questa vicenda, della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, il cui presidente Robert Spanó, dopo il diniego di scarcerazione dell'avvocato Ünsal, si è recato il 3 settembre scorso “all’Università statale di Istanbul per ricevere una Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza e poi tenere domani, ad Ankara, presso l’Accademia di Giustizia turca, una Lectio Magistralis […] Spanó non visiterà Aytaç Ünsal” scriveva Giustino poco prima della decisione del suo rilascio.
La conferenza di Spanó ha lanciato comunque un monito forte e chiaro sui limiti nell'esercizio del potere da parte di un governo e Giustino ne ha ripreso i contenuti in un successivo articolo del 5 settembre: “Lo stato di diritto include il principio di legalità, il principio di certezza del diritto, il principio di uguaglianza delle persone davanti alla legge, il principio che l’esecutivo non può avere un potere illimitato, il principio della possibilità di un ricorso dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale e il diritto a un processo equo. Tutti questi principi mirano a proteggere l’individuo dall’arbitrio, soprattutto nei rapporti tra individuo e Stato”.
Mentre il presidente della Corte europea dei Diritti dell’Uomo pronunciava queste parole, giungeva dalla Corte di cassazione turca (Yargıtay), un provvedimento di scarcerazione per motivi di ordine sanitario nei confronti di Aytaç, una misura temporanea per consentirgli “di nutrirsi e curarsi per poi riprendere il suo status di detenuto, se nel frattempo non sarà raggiunto da altri ordini di arresto per altre accuse, come non di rado capita per gli oppositori politici in Turchia. […] Parrebbe che la Magistratura turca, sul caso Aytaç Ünsal, si sia voluta mostrare più liberale della Cedu che solo tre giorni prima aveva invece ritenuto che lo stato detentivo dell’avvocato in digiuno da 213 giorni non fosse di per sé lesivo della sua vita”.
Vale la pena di riprendere il punto in cui Giustino, sull'Huffington Post, descrive le sue condizioni di detenzione: “ricoverato in una stanza per prigionieri nel grande ospedale pandemico Kanuni Sultan Süleyman della megalopoli turca. La stanza di Ünsal non ha ventilazione e le luci sono sempre accese, denuncia il parlamentare curdo del Partito democratico dei popoli (HDP) Ömer Faruk Gergerlioğlu. Aytaç Ünsal, legale dell’Associazione degli avvocati progressisti (ÇHD), 32 anni, è stato condannato in appello con sentenza del 16 ottobre 2019 a 10 anni e 6 mesi di carcere per “appartenenza ad una organizzazione terroristica e per esserne un dirigente”, dopo aver subito, secondo i suoi legali, un processo farsa. […] I parenti di Aytaç hanno lanciato l’allarme: ‘’Liberatelo! Altrimenti morirà presto’’. Nella relazione redatta dall’ospedale dove è ricoverato, si afferma che il suo sistema immunitario di Aytaç è collassato e che è dunque ancora più rischioso lasciarlo in un ospedale durante il periodo della pandemia. Nermin Ünsal, madre di Aytaç, ha detto che suo figlio non riesce più a dormire: “Il suo dolore è aumentato terribilmente. Rimane sveglio per tre ore dopo solo mezz’ora di sonno“. Aytaç è nel precipizio della morte, ha piaghe alla bocca e alla gola, non ha più sensibilità alle mani. Non può restare in piedi perché quando si alza le dita sono doloranti e anche una piccola pressione è per lui doloroso come sentire una lama di un coltello. Non sopporta la luce e nemmeno il più piccolo rumore e sta perdendo l’olfatto. Il suo volto è una maschera mortuaria. Le sue guance e il suo corpo sono macchiati di piaghe simili all’acne e alcuni organi rischiano la cancrena. “Sta andando rapidamente verso la morte – sono le parole struggenti della mamma - è necessario compiere un passo concreto se vogliamo mantenerlo in vita. Chiedo alle autorità di fermare questa morte”.
- Sabrina Lupi
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