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L’Europa unita è quella in cui avviene la libera circolazione di merci, persone, beni e capitali. Accanto all’esercizio di questi diritti per i cittadini europei, è necessario affermare lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Ecco perché questa settimana proponiamo la lettura di un testo che, anche se un po’ datato, aveva analizzato le caratteristiche del quadro normativo esistente tra fine 2004 e inizi 2005, nel momento in cui cioè, dopo che, il 29 ottobre 2004, si era svolta a Roma la cerimonia trasmessa in eurovisione della firma del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, doveva avvenire la sua ratifica in tutti gli Stati membri. Oggi come ieri, perseguire l’obiettivo di affermare lo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia è un’attività complessa e lo si è evidenziato anche in numerose altre pubblicazioni. Tuttavia, quello richiamato, è un volume particolarmente interessante e ancora attuale per comprendere i nodi critici di allora e la loro successiva evoluzione, con la bocciatura da parte di Francia e Olanda del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e la successiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona. È una lettura interessante anche tenuto conto della particolare esperienza in ambito giuridico dei suoi curatori, cioè Elena Paciotti, magistrato dal 1967 al 1999 ed europarlamentare dal 1999 al 2004, con incarichi specifici presso la Commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni e Giuliano Amato, che non ha bisogno di presentazioni, ma di cui di cui ricordiamo il suo ruolo vicepresidente della Convenzione europea tra il 2002 e il 2003, e attualmente, dal 2013, giudice costituzionale.

 

In relazione all'esigenza di una maggiore armonizzazione nel percorso di uscita dalla crisi - tema parallelo, ma con dei punti di connessione con il testo sopracitato, specialmente rispetto all'obiettivo di una maggiore integrazione politica europea - segnaliamo altresì in questa sezione l'analisi del dott. Marco Buti, Capo di Gabinetto del Commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni, sull'attuale crisi finanziaria dovuta al Covid-19: "A tale of two crises: Lessons from the financial crisis to prevent the Great Fragmentation".

 

 

 

 

 

 

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Questa settimana, poniamo alla vostra attenzione il caso di un ricorso presentato dalla Commissione europea nei confronti delll’Ungheria; la scelta è motivata dal fatto che, non da oggi, si lamentano le carenze di tale Stato membro rispetto al tema del rispetto dello stato di diritto. Abbiamo già dedicato al tema la newsletter n. 10 di questa serie, alla quale vi rimandiamo per poter leggere anche le dichiarazioni dell’eurodeputato ungherese Sandor Ronai, che traccia il quadro della situazione nel suo Stato; il testo integrale dell’intervista è reperibile cliccando qui. A intervenire nel procedimento, anche il Regno di Svezia, che ha chiesto di intervenire nella controversia, a sostegno delle conclusioni della Commissione. L’iter è partito il 14 luglio 2017, quando la Commissione “ha inviato all’Ungheria una lettera di diffida […] nella quale si è affermato che tale Stato membro, avendo adottato la legge sulla trasparenza, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE nonché degli articoli 7, 8 e 12 della Carta, e gli ha impartito un termine di un mese per presentare osservazioni. Il 17 luglio 2017, l’Ungheria ha chiesto una proroga di tale termine, che la Commissione le ha negato.  Il 14 agosto e il 7 settembre 2017, l’Ungheria ha inviato alla Commissione due serie di osservazioni relative alla lettera di diffida, contestando la fondatezza degli addebiti ivi contenuti. Il 5 ottobre 2017, la Commissione ha emesso un parere motivato […] nel quale ha dichiarato che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 63 TFUE e degli articoli 7, 8 e 12 della Carta, avendo introdotto restrizioni discriminatorie, ingiustificate e non necessarie in relazione alle donazioni estere a favore delle organizzazioni della società civile mediante le disposizioni della legge sulla trasparenza che impongono obblighi di registrazione, di dichiarazione e di pubblicità a determinate categorie di organizzazioni della società che beneficiano direttamente o indirettamente di un sostegno estero di importo superiore a una certa soglia, e che prevedono la possibilità di applicare sanzioni alle organizzazioni che non rispettano gli obblighi in questione. La Commissione ha altresì impartito all’Ungheria un termine di un mese per adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato o per presentarle osservazioni.  Il 12 ottobre 2017, l’Ungheria ha chiesto una proroga di tale termine, che la Commissione le ha negato. Il 5 dicembre 2017, l’Ungheria ha inviato alla Commissione osservazioni relative al parere motivato, contestando la fondatezza degli addebiti ivi contenuti.  Non persuasa da dette osservazioni, la Commissione ha deciso, il 7 dicembre 2017, di proporre il ricorso di cui trattasi”. Il 2 agosto 2018, il Regno di Svezia ha chiesto di intervenire nella controversia, a sostegno delle conclusioni della Commissione.

L’Ungheria ha anzitutto contestato la ricevibilità del ricorso: la Commissione avrebbe infatti ”imposto di presentare le proprie osservazioni sulla lettera di diffida e poi sul parere motivato entro il termine di un mese, anziché quello di due mesi che viene abitualmente applicato nell’ambito dei procedimenti precontenziosi; in secondo luogo, ha respinto le sue domande di proroga del medesimo termine con spiegazioni sommarie e stereotipate che non giustificavano la sussistenza di una particolare urgenza e, in terzo luogo, ha deciso di proporre il ricorso di cui trattasi soltanto due giorni dopo aver ricevuto le sue osservazioni sul parere motivato”. Su questo punto, la Corte ha respinto l’istanza dello Stato membro: “l’Ungheria non fornisce la prova del fatto che il comportamento della Commissione abbia reso più difficile la confutazione degli addebiti di tale istituzione. Del resto, dall’esame dello svolgimento del procedimento precontenzioso, quale ricordato ai punti da 15 a 20 della presente sentenza, consta, anzitutto, che, dopo aver presentato osservazioni relative alla lettera di diffida entro il termine di un mese impartitole dalla Commissione, l’Ungheria ha presentato, tre settimane dopo, nuove osservazioni al riguardo, che sono state accettate dalla stessa istituzione. Detto Stato membro ha poi presentato osservazioni relative al parere motivato in un termine di due mesi, corrispondente a quello abitualmente applicato nell’ambito dei procedimenti precontenziosi, sebbene gli fosse stato imposto un termine di un mese a tal fine, e tali osservazioni sono state anch’esse accettate dalla Commissione. Infine, dall’analisi dei documenti scambiati durante il procedimento precontenzioso e dall’atto introduttivo del giudizio emerge che la Commissione ha preso in debita considerazione l’insieme delle osservazioni formulate dall’Ungheria nelle diverse fasi del procedimento in questione. Pertanto, non è dimostrato che il comportamento della Commissione abbia reso più difficile la confutazione degli addebiti di tale istituzione da parte dell’Ungheria, violando in tal modo i diritti della difesa. Di conseguenza, il ricorso è ricevibile”. E anche il giudizio della Corte è stato sfavorevole allo stato ungherese. Essa ha infatti constatato la Corte ha constatato che “la legge sulla trasparenza non può essere giustificata né da una ragione imperativa di interesse generale relativa all’aumento della trasparenza del finanziamento associativo né dai motivi di ordine pubblico e di sicurezza pubblica menzionati all’articolo 65, paragrafo 1, lettera b), TFUE. […] Si deve concludere che l’Ungheria, avendo adottato le disposizioni della legge sulla trasparenza di cui al punto 65 della presente sentenza, è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi dell’articolo 63 TFUE”.

Per approfondire, clicca qui.

 

 

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Al tema della Giustizia nell’Unione europea, è dedicato, all’interno della Carta, il Capo VI, con gli articoli dal 47 al 50. L’articolo 49, in particolare, si occupa dei principi di legalità e proporzionalità dei reati e delle pene. Il primo comma afferma infatti che “Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale”: si pone quindi attenzione non solo ai comportamenti attivi dell’individuo, ma anche alle conseguenze del venir meno ad un obbligo, attraverso omissioni. Vengono menzionati, in riferimento a ciò, sia il diritto di ciascuno Stato membro che il diritto internazionale e non quindi, il diritto dell’Unione europea, volendo con ciò riconoscere a tali diritti una portata globale e non solo legata all’appartenenza in qualità di membro dell’Ue.

Si fissano poi i principi a garanzia della persona riconosciuta responsabile di un reato, affermando che “Non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. E inoltre, “Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima”. D’altro canto, si riconosce, al secondo comma, che “Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni”. Anche in questo caso, si fa riferimento, più che all’Unione europea, alla comunità internazionale di cui essa fa parte e nei confronti della quale si ha l’impegno a cooperare per attuare soluzioni diplomatiche, pacifiche e volte al progresso reciproco.

Infine, il terzo comma della Carta parla del principio di proporzionalità, secondo cui “Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato” e ciò deve poter valere sia in senso sia positivo che negativo. Ci troviamo di fronte all’affermazione di principi di portata molto ampia; in concreto, per comprendere in che misura essi siano rispettati nei vari Stati, c’è da considerare ciascuno di essi applica il proprio codice penale – ciascuno è il frutto di tradizioni giuridiche diverse nel  tempo e nella Storia – ragion per cui tale principio di proporzionalità trova applicazione differente in base al contesto e poter cooperare per una armonizzazione del diritto tra i vari Stati appare un lavoro molto complesso. Come afferma il Presidente di sezione della Corte di Cassazione Giovanni Diotallevi nel suo saggio “Dalle rogatorie all’ordine di indagine europeo”, la cooperazione giudiziaria a livello europeo è ritenuta dallo stesso “uno dei passaggi più delicati delle nostre riflessioni; vengono infatti in rilievo due dei suoi cardini fondamentali: il principio del mutuo riconoscimento e quello della reciproca fiducia tra Stati, dove il ruolo della giurisdizione è portato a muoversi su quel crinale delicatissimo tra le scelte legislative di politica giudiziaria, l’efficacia e l’efficienza del servizio giustizia e le aspettative della società civile con ricadute sensibili che impegnano l’attività del giudice in una perdurante fase di rivisitazione della qualità e delle caratteristiche dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”[1].

 

[1] Cfr: “Lo Spazio Europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia a vent’anni dal Consiglio europeo di Tampere”, a cura di Angela di Stasi, Lucia Serena Rossi, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, pp. 367 – 380.

 

 

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