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Vi proponiamo un intervento di Anna Maria Villa, che collabora con il Movimento europeo in Italia a iniziative per la formazione su tematiche europee. Anna Maria Villa ha ricoperto numerosi incarichi di dirigenza in diversi ambiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quali l'Ufficio cittadinanza europea, Mercato interno e Affari generali e illustra in questo suo articolo lo stato dell'arte in materia di presentazione dei progetti per il Next Generation Eu.

 

Un percorso ad ostacoli per ottenere risorse vitali per il nostro paese

I danni economico sociali-causati dall’attuale pandemia sono stati e continuano ad essere devastanti per tutta l’Europa e per il mondo.

La Commissione europea, il Parlamento europeo e i 27 stati membri hanno concordato un piano di ripresa senza precedenti nella storia dell’Unione, mettendo a disposizione degli stati membri oltre 1800 miliardi di euro, costituiti dalla somma delle risorse previste dal nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-27 approvato lo scorso Novembre pari a 1074,3 miliardi di euro  e quelle dell’iniziativa NextGenerationEU pari a 750 miliardi di euro.

Obiettivi di questo eccezionale sforzo finanziario sono sia quello di uscire nel più breve tempo possibile da una crisi che attanaglia tutta l’Europa e sia quello di considerare questo impegnativo sforzo comune come un’opportunità per dar vita ad un’Europa più moderna, sostenibile e resiliente di fronte ad esigenze impreviste, che possono improvvisamente manifestarsi in futuro.

Proprio a questo riguardo, il Consiglio ed il Parlamento si sono mossi in particolare per un ulteriore rafforzamento delle risorse destinate al QFP per finanziare 10 programmi di lungo termine ed in particolare: Orizzonte Europa, Erasmus plus, EU4health, Fondo per la gestione integrata delle frontiere, Diritti e Valori, Europa creativa, InvestEU, Agenzia europea della guardia di frontiera, aiuto umanitario.

Inoltre c’è da notare che la decisione sulla possibilità di aumentare risorse proprie per finanziare questo incremento del budget pluriennale, che permette alla Commissione di contrarre prestiti sul mercato dei capitali, dovrà essere ratificata da tutti i paesi dell’UE sulla base delle loro norme costituzionali.

NextgenerationEU sarà dunque il nuovo strumento di difesa temporaneo attraverso il quale la Commissione europea potrà raccogliere fondi sul mercato dei capitali per fronteggiare i gravi danni economico-sociali dovuti alla pandemia e realizzare un’Europa verde, moderna e più resiliente rispetto alle sfide future. Fulcro del programma è il dispositivo per la ripresa e la resilienza con 627,5 miliardi di euro da erogare attraverso prestiti e sovvenzioni, per sostenere gli Stati membri nelle riforme e nei relativi investimenti, che i vari programmi nazionali per la ripresa e la resilienza dovranno indicare e che dovranno pervenire a Bruxelles entro il prossimo 30 aprile.

Nextgenerationeu prevede anche fondi per sostenere la coesione ed i territori d’Europa con ReactEU, iniziativa di investimento che destina a tali obiettivi 47,5 miliardi di euro. I fondi pari a 13,5 miliardi per l’Italia verranno erogati attraverso il fondo europeo di sviluppo regionale (FRSR) il fondo sociale europeo (FSE) ed il fondo europeo per aiuti agli indigenti ( FEAD) .

Per l’Italia le risorse complessive disponibili dovrebbero ammontare a 209 miliardi di euro di cui 191,4 provenienti dalla Recovery and Resilience Facility. Del suddetto totale di 209 miliardi, 127,4 sono costituiti da prestiti, 63,7 da sussidi e 17,6 da altri fondi.

Le risorse saranno indirizzate a finanziare sei iniziative faro riguardanti: istruzione e formazione professionale; digitalizzazione; lotta alla corruzione e contrasto all’evasione; semplificazione della burocrazia; riduzione dei tempi della giustizia; mercato del lavoro.

Quali dunque saranno le prossime improrogabili scadenze previste per l’Italia?

L’attuale crisi politica sicuramente mal si coniuga con la ristrettezza dei tempi che ormai ci dividono dall’invio del nostro piano a Bruxelles il 30 aprile.

Il piano (in particolare solo il documento centrale e non gli allegati) deve ancora pervenire alla Commissione Politiche europee alla Camera, per poter poi arrivare in aula entro il 7 febbraio, dove sicuramente i partiti avanzeranno richieste di modifiche ed integrazioni. Il piano, quindi, dovrà essere sottoposto al confronto con le parti sociali. Anche i documenti allegati al piano, che costituiscono parte integrante dello stesso e riguardano più specificatamente le principali riforme richieste dalla Commissione europea (Giustizia, Fisco, PA ecc.) seguiranno successivamente la stessa procedura. Una volta ultimato questo complesso iter, il governo sarà chiamato ad approvare la versione definitiva del piano e dei relativi allegati. Sempre il governo dovrà decidere inoltre in merito alla governance e alla task force per il monitoraggio di queste azioni.

Una volta terminata la procedura interna italiana, dagli inizi di maggio si avvierà l’iter europeo per l’approvazione del Piano. La Commissione ha due mesi per decidere, il Consiglio quattro settimane, così come il Comitato economico e sociale europeo che darà il suo parere.

Se ciascuna istituzione darà parere favorevole ed il piano verrà approvato, all’Italia verrà erogata una prima tranche pari al 13% dei finanziamenti previsti, mentre il resto lo sarà entro il 2026, in base agli stati di avanzamento delle iniziative.

A Bruxelles la Commissione informalmente sta già lavorando, dando supporto ai vari stati membri per la compilazione dei rispettivi piani, che poi seguiranno le regole interne di approvazione da parte dei parlamenti nazionali. Ad oggi nessun Paese ha ancora inviato il proprio documento, che deve assolutamente contenere quelle riforme ritenute necessarie per poter continuare a correre; questo è ancora più vero per l’Italia, il cui aumento del Pil sarà essenziale per poter abbattere un debito pubblico divenuto ormai decisamente eccessivo e che al di là della capacità o meno di rispettare gli impegni finanziari inciderà pesantemente sulle generazioni future.

 

 

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Questa settimana parleremo di una recente sentenza attinente al settore delle politiche ambientali; ci sembra opportuno tenuto conto del vasto impegno che si prepara con il Next generation Eu per lo European Green Deal.

I fatti per cui si è svolta la causa si sono verificati nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012: le relazioni fornite dalla Repubblica italiana sull’evoluzione delle concentrazioni di PM10 nell’aria hanno indotto la Commissione europea a recapitare, l’11 luglio 2014, “una lettera di messa in mora riguardante la violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50”. Cosa affermano questi articoli?

L’articolo 13, intitolato «Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana», “al suo paragrafo 1 prevede quanto segue: «Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI”;

L’articolo 23, intitolato «Piani per la qualità dell’aria», dispone che ”Se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo qualsiasi, più qualunque margine di tolleranza eventualmente applicabile, gli Stati membri provvedono a predisporre piani per la qualità dell’aria […] In caso di superamento di tali valori limite dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, i piani per la qualità dell’aria stabiliscono misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile. I piani per la qualità dell’aria possono inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi i bambini. […] Detti piani sono comunicati alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento. Qualora occorra predisporre o attuare piani per la qualità dell’aria relativi a diversi inquinanti, gli Stati membri, se del caso, predispongono e attuano piani integrati per la qualità dell’aria riguardanti tutti gli inquinanti interessati”.

Ne è seguito uno scambio di lettere tra le parti: l'Italia inizialmente ha riconosciuto la violazione dell'articolo 13 e, in relazione all'articolo 23, ha risposto che “occorreva procedere ad una valutazione per ogni zona o agglomerato in questione”. Nella sua prima risposta, le autorità italiane hanno altresì richiesto “una proroga del termine di risposta a tale lettera di messa in mora, che è stata loro concessa”. Tuttavia, questa corrispondenza precedente all'avvio del contenzioso è andata avanti. Ogni volta, le richieste di chiarimento e i dati forniti non sono stati ritenuti sufficienti, fino a che “Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse ancora posto rimedio alle violazioni del diritto dell’Unione contestate, il 13 ottobre 2018 la Commissione ha deciso di proporre il ricorso per inadempimento di cui trattasi. La Repubblica italiana, in applicazione dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha chiesto alla Corte di riunirsi in Grande Sezione”.

L'esito della controversia è stato sfavorevole all'Italia; infatti, il 20 novembre scorso, la Corte di Giustizia Ue ha emesso una sentenza in cui si riconoscono le violazioni degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50 durante il periodo compreso tra il 2006 e il 2017. Nelle conclusioni della sentenza, si potrà notare come vengano riportate anche le specificità delle violazioni verificatesi in diverse regioni italiane. L'Italia è stata condannata anche al pagamento delle spese.

Per approfondire, clicca qui.

Clicca qui per leggere una sintesi ufficiale del testo della sentenza.

 

 

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L'articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali balza all'attenzione più per ciò che al suo interno non viene detto: afferma infatti semplicemente che “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”. Tutto ciò di cui non si parla nell'articolo è materia complessa; il diritto all'uguaglianza di fronte alla legge è un argomento così vasto che c'è ragione di ritenere che mai si smetterà di affrontarlo. Il fatto che si affermi tale diritto all'interno di un testo normativo valido su tutto il territorio dell'Unione europea consente alle cittadine e ai cittadini di poter veder tutelati i propri diritti all'interno dello spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Soffermiamo qui l'attenzione su un aspetto che appare essenziale, quello cioè dell'affermazione dell'Unione come “un’Unione di diritto, il che vuol dire che è fondata non solo sui principi di democrazia e rule of law ma anche di tutela dei diritti fondamentali”. Ruota attorno a questo tema il saggio “Fra interpretazione e dialogo. Il ruolo del giudice nazionale” [*] di Valeria Piccone, Consigliere della Corte di Cassazione, componente del Consiglio Consultivo dei Giudici europei.

Ciò che assume particolare rilievo ai fini del discorso è il fatto che sia riconosciuto alla Carta dei diritti fondamentali un valore determinante “nella ricerca della compatibilità fra il diritto interno e quello dell’Unione: il pregnante riconoscimento dei divieti di discriminazione come espressione di un principio generale di uguaglianza, quale sancito soprattutto dalla seconda decisione con il suo richiamo all’art.6 TUE e alla Carta di Nizza, dotata dello stesso valore giuridico dei Trattati, fa sì, secondo la Corte, che il principio di uguaglianza viva “di una vita propria” che prescinde dai comportamenti attuativi o omissivi degli Stati membri”.

 

[*] Cfr: Angela di Stasi, Lucia Serena Rossi, "Lo spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia a vent'anni dal Consiglio europeo di Tampere", Napoli, Editoriale Scientifica, 2020,pp. 97-138.

 

 

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