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Dalle notizie pervenute sul finire della settimana scorsa, si può intuire che ci si trovi in un momento di passaggi essenziali all'interno dell'Unione europea. Accanto infatti alla crisi di governo che si sta vivendo in Italia, emergono altre crisi in Estonia e Olanda: in entrambi i casi, ciò è dovuto a problemi giudiziari interni alla maggioranza; a causa di un caso di sospetta corruzione che avrebbe interessato “diverse personalità vicine al primo ministro” per il primo dei due Stati membri e, per il secondo, in relazione a “uno scandalo legato ai sussidi per l'infanzia”. Nel mentre, da Bruxelles si rivolge un invito a proseguire nell'avvio dei programmi per il Recovery plan e, in questa settimana, si svolgerà la sessione plenaria del Parlamento europeo, da lunedì a giovedì pomeriggio. Sono questi gli elementi salienti su cui concentrare l'attenzione e, per comprendere l'orientamento futuro delle politiche europee, è opportuno considerare anche il fatto che, in questa settimana, ci saranno il giuramento e poi l'insediamento alla Casa bianca del nuovo Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avvenimento che si ricollega al tema già trattato dell'auspicabile ritorno al multilateralismo, da e verso oltreoceano. Ciò dovrebbe innescare reazioni positive – tuttavia in tempi non prevedibili, ad oggi - anche in Europa; nel frattempo, nell'ordine delle priorità rimarrà in testa la pandemia; nonostante tutti gli sforzi, continua infatti a registrarsi un alto numero di vittime ovunque nel mondo, si parla già di terza ondata e della diffusione delle varianti del virus.
Ecco un possibile filo conduttore per comprendere quale sia lo stato attuale delle relazioni interne all'Unione europea, mentre rimangono ancora aperte numerose finestre di impegno per gli addetti ai lavori: stato di diritto, questione migratoria, fiscalità comune europea, sovranità digitale, politiche ambientali, cooperazione giudiziaria e molto altro. La prima sessione plenaria nel 2021 del Parlamento europeo – che si avvierà con una discussione sul tema del mandato d'arresto europeo – si apre in un clima rallentato e sospeso; ma si deve comunque andare avanti.
Similmente, anche di fronte alle incertezze rispetto alle possibilità effettive di incontro in presenza, per il Movimento europeo in Italia prosegue l'impegno nel programma Resceu: le difficoltà incontrate a Bruxelles nel calendarizzare incontri in presenza e il proseguimento nel cronoprogramma sono infatti anche le nostre, condivise con i partner del progetto.
Fra i dossier su cui si misurerà la differenza fra la politica estera di Donald Trump e quella di Jo Biden ci saranno i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e, per la proprietà transitiva, la distanza o la vicinanza fra gli USA e l’UE in un teatro geopolitico sensibile come quello delle relazioni con l’Asia.
La maggior parte dei commentatori ha sottolineato che i primi mesi o meglio i primi cento giorni della presidenza Biden saranno dedicati principalmente alla politica interna come dimostra l’annunciato Recovery Plan dotato di 1900 miliardi di dollari e la campagna di vaccinazione di massa.
La linea dei consiglieri del Presidente eletto e i suoi vested interests fanno invece prevedere una sostanziale continuità nelle relazioni con la Cina – seppure lasciando cadere il linguaggio demagogico e aggressivo di Donald Trump dopo una iniziale apertura – e nel sostegno alle big tech statunitensi per rafforzare la loro competitività di fronte ai colossi produttivi cinesi nelle nuove tecnologie.
Si tratta di due terreni su cui si giocheranno le differenti se non le divergenti priorità strategiche fra le due rive dell’Atlantico.
Come sappiamo, i governi europei dei 27 hanno annunciato il 30 dicembre 2020 la loro volontà di sottoscrivere con la Cina, dopo sette anni di negoziati, un accordo bilaterale per gli investimenti, il Comprehensive Agreement on Investment: presentato come un successo per le capacità competitive europee sul mercato cinese, un annuncio che ha suscitato critiche da parte della nuova amministrazione statunitense spingendo il futuro consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ad auspicare che “i partner europei si confrontino con le nostre preoccupazioni comuni sulle pratiche economiche della Cina”.
I governi europei, adottando il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, hanno d’altra parte confermato la loro volontà di introdurre fra le nuove risorse proprie le imposte sul web (web tax) destinate a colpire soprattutto i Five Giants del GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), che – pur essendo fra di loro concorrenti – agiscono insieme contro la zona di influenza cinese che si identifica nell’acronimo BATX (Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi).
Se Jo Biden vorrà dare un segnale della sua volontà di difendere i diritti fondamentali nel mondo oltre che negli USA, uno dei primi terreni di conflitto con la Cina dovrà essere l’impegno al rispetto delle convenzioni internazionali che è costantemente violato dalla Repubblica popolare cinese nella regione occidentale dello Xinjiang, con i trattamenti disumani cui è sottoposta la minoranza mussulmana degli uiguri pe non parlare della situazione a Hong Kong e nel Tibet.
Sulla questione dello Xinjiang il nuovo presidente USA troverà la partecipe attenzione del Parlamento europeo, che ha adottato una dura presa di posizione contro la Cina il 17 dicembre 2020 in cui proponeva il bando delle importazioni di prodotti sospettati di essere legati al lavoro forzato uiguro e che contestava l’assenza di qualunque impegno cinese per la soppressione del lavoro forzato sapendo che l’Assemblea sarà chiamata a dare il suo parere conforme sul Comprehensive Agreement on Investment (art. 218 TFUE).
Nessuna disponibilità al compromesso ci sarà invece a Bruxelles nei palazzi della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio sulla web tax se verrà mantenuto l’impegno di tassare i Big Tech entro il 2023, anche se non sarà trovato un accordo fra USA e UE all’interno dell’OCSE.
Noi siamo convinti:
che la difesa dei diritti fondamentali deve essere parte essenziale della autonomia strategica dell’Unione europea affinché il suo ruolo di attore planetario venga affermato con coerenza in tutte le sedi internazionali a cominciare dagli incontri del G20 che si terranno in Italia, dalla prima riunione degli sherpa dei capi di Stato e di governo del prossimo 21-22 gennaio fino al Vertice dei leader a Roma nella Nuvola di Massimiliano Fuksas, il 30 e 31 ottobre 2021;
che la medesima coerenza deve essere affermata, con la stessa determinazione al suo interno, nei confronti delle persistenti violazioni dello stato di diritto in Polonia e Ungheria, così come la Commissione e il Parlamento europeo dovrebbero prestare maggiore attenzione a fenomeni di corruzione che toccano ormai molti paesi membri dell’Unione europea.
Poiché il Comprehensive Agreement on Investment ha come obiettivo quello di migliorare per entrambe le parti l’accesso ai mercati europeo e cinese con particolare riferimento alla trasparenza, alla prevedibilità e alla certezza legale delle condizioni di investimento, varrebbe la pena di ricordare alla commissione per il commercio del Parlamento europeo che, con la direttiva 2006/42/CE, i prodotti europei contengono una certificazione di qualità con la marcatura CE (Comunità Europea) e che le aziende cinesi, per aggirare la certificazione di qualità, hanno creato un marchio CE (China Export) accompagnato talvolta dall’indicazione made in China o talaltra dall’indicazione più criptica per il consumatore europeo made in PRC (People Republic of China) o ancora da nessuna indicazione.
Dopo anni di mancati interventi su questa palese forma di contraffazione, la questione è stata affrontata per ora dalla magistratura ordinaria in alcuni paesi europei e in particolare dalla Cassazione italiana che, non potendo portare in giudizio l’azienda cinese, ha condannato nel 2018 il dettagliante italiano per frode in commercio.
La Cassazione ha evidenziato che, ai fini della sussistenza del reato di frode, basta la semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato “creando una divergenza qualitativa che configura l’illecito penale”.
Nonostante centinaia di sequestri da parte delle forze dell’ordine e il blocco alle frontiere europee di tonnellate di beni provenienti dalla Cina o dal Vietnam o dalla Corea del Nord, continuano a circolare nell’Unione europea i prodotti cinesi con il marchio contraffatto che inganna e spesso danneggia i consumatori europei.
La commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo dovrebbe chiedere che sia inserita nel Comprehensive Agreement on Investment una clausola che obblighi le autorità cinesi ad imporre alle aziende di quel paese la soppressione del marchio contraffatto China Export ed avviare contemporaneamente una iniziativa legislativa sulla base dell’art. 225 TFUE per chiedere alla Commissione europea di sottoporre al Consiglio e al Parlamento europeo una proposta di modifica della Direttiva 2006/42/CE che sostituisca il marchio CE (Comunità Europea) con un marchio UE (Unione europea) sollecitando nello stesso tempo la Commissione a sollevare la questione davanti alla Organizzazione Mondiale del Commercio che, pur non avendo potere esecutivo, può raccomandare che le pratiche commerciali cinesi siano rese compatibili con gli accordi internazionali.
Siamo convinti che su questa questione sarà possibile trovare rapidamente un terreno di intesa con gli Stati Uniti (e molto probabilmente anche con il Giappone) all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
È POSSIBILE (E AUSPICABILE) UNA POLITICA COMUNE EURO-ATLANTICA VERSUS LA CINA?
Fra i dossier su cui si misurerà la differenza fra la politica estera di Donald Trump e quella di Jo Biden ci saranno i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese e, per la proprietà transitiva, la distanza o la vicinanza fra gli USA e l’UE in un teatro geopolitico sensibile come quello delle relazioni con l’Asia.
La maggior parte dei commentatori ha sottolineato che i primi mesi o meglio i primi cento giorni della presidenza Biden saranno dedicati principalmente alla politica interna come dimostra l’annunciato Recovery Plan dotato di 1900 miliardi di dollari e la campagna di vaccinazione di massa.
La linea dei consiglieri del Presidente eletto e i suoi vested interests fanno invece prevedere una sostanziale continuità nelle relazioni con la Cina – seppure lasciando cadere il linguaggio demagogico e aggressivo di Donald Trump dopo una iniziale apertura – e nel sostegno alle big tech statunitensi per rafforzare la loro competitività di fronte ai colossi produttivi cinesi nelle nuove tecnologie.
Si tratta di due terreni su cui si giocheranno le differenti se non le divergenti priorità strategiche fra le due rive dell’Atlantico.
Come sappiamo, i governi europei dei 27 hanno annunciato il 30 dicembre 2020 la loro volontà di sottoscrivere con la Cina, dopo sette anni di negoziati, un accordo bilaterale per gli investimenti, il Comprehensive Agreement on Investment: presentato come un successo per le capacità competitive europee sul mercato cinese, un annuncio che ha suscitato critiche da parte della nuova amministrazione statunitense spingendo il futuro consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ad auspicare che “i partner europei si confrontino con le nostre preoccupazioni comuni sulle pratiche economiche della Cina”.
I governi europei, adottando il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, hanno d’altra parte confermato la loro volontà di introdurre fra le nuove risorse proprie le imposte sul web (web tax) destinate a colpire soprattutto i Five Giants del GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), che – pur essendo fra di loro concorrenti – agiscono insieme contro la zona di influenza cinese che si identifica nell’acronimo BATX (Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi).
Se Jo Biden vorrà dare un segnale della sua volontà di difendere i diritti fondamentali nel mondo oltre che negli USA, uno dei primi terreni di conflitto con la Cina dovrà essere l’impegno al rispetto delle convenzioni internazionali che è costantemente violato dalla Repubblica popolare cinese nella regione occidentale dello Xinjiang, con i trattamenti disumani cui è sottoposta la minoranza mussulmana degli uiguri pe non parlare della situazione a Hong Kong e nel Tibet.
Sulla questione dello Xinjiang il nuovo presidente USA troverà la partecipe attenzione del Parlamento europeo, che ha adottato una dura presa di posizione contro la Cina il 17 dicembre 2020 in cui proponeva il bando delle importazioni di prodotti sospettati di essere legati al lavoro forzato uiguro e che contestava l’assenza di qualunque impegno cinese per la soppressione del lavoro forzato sapendo che l’Assemblea sarà chiamata a dare il suo parere conforme sul Comprehensive Agreement on Investment (art. 218 TFUE).
Nessuna disponibilità al compromesso ci sarà invece a Bruxelles nei palazzi della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio sulla web tax se verrà mantenuto l’impegno di tassare i Big Tech entro il 2023, anche se non sarà trovato un accordo fra USA e UE all’interno dell’OCSE.
Noi siamo convinti:
che la difesa dei diritti fondamentali deve essere parte essenziale della autonomia strategica dell’Unione europea affinché il suo ruolo di attore planetario venga affermato con coerenza in tutte le sedi internazionali a cominciare dagli incontri del G20 che si terranno in Italia, dalla prima riunione degli sherpa dei capi di Stato e di governo del prossimo 21-22 gennaio fino al Vertice dei leader a Roma nella Nuvola di Massimiliano Fuksas, il 30 e 31 ottobre 2021;
che la medesima coerenza deve essere affermata, con la stessa determinazione al suo interno, nei confronti delle persistenti violazioni dello stato di diritto in Polonia e Ungheria, così come la Commissione e il Parlamento europeo dovrebbero prestare maggiore attenzione a fenomeni di corruzione che toccano ormai molti paesi membri dell’Unione europea.
Poiché il Comprehensive Agreement on Investment ha come obiettivo quello di migliorare per entrambe le parti l’accesso ai mercati europeo e cinese con particolare riferimento alla trasparenza, alla prevedibilità e alla certezza legale delle condizioni di investimento, varrebbe la pena di ricordare alla commissione per il commercio del Parlamento europeo che, con la direttiva 2006/42/CE, i prodotti europei contengono una certificazione di qualità con la marcatura CE (Comunità Europea) e che le aziende cinesi, per aggirare la certificazione di qualità, hanno creato un marchio CE (China Export) accompagnato talvolta dall’indicazione made in China o talaltra dall’indicazione più criptica per il consumatore europeo made in PRC (People Republic of China) o ancora da nessuna indicazione.
Dopo anni di mancati interventi su questa palese forma di contraffazione, la questione è stata affrontata per ora dalla magistratura ordinaria in alcuni paesi europei e in particolare dalla Cassazione italiana che, non potendo portare in giudizio l’azienda cinese, ha condannato nel 2018 il dettagliante italiano per frode in commercio.
La Cassazione ha evidenziato che, ai fini della sussistenza del reato di frode, basta la semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato “creando una divergenza qualitativa che configura l’illecito penale”.
Nonostante centinaia di sequestri da parte delle forze dell’ordine e il blocco alle frontiere europee di tonnellate di beni provenienti dalla Cina o dal Vietnam o dalla Corea del Nord, continuano a circolare nell’Unione europea i prodotti cinesi con il marchio contraffatto che inganna e spesso danneggia i consumatori europei.
La commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo dovrebbe chiedere che sia inserita nel Comprehensive Agreement on Investment una clausola che obblighi le autorità cinesi ad imporre alle aziende di quel paese la soppressione del marchio contraffatto China Export ed avviare contemporaneamente una iniziativa legislativa sulla base dell’art. 225 TFUE per chiedere alla Commissione europea di sottoporre al Consiglio e al Parlamento europeo una proposta di modifica della Direttiva 2006/42/CE che sostituisca il marchio CE (Comunità Europea) con un marchio UE (Unione europea) sollecitando nello stesso tempo la Commissione a sollevare la questione davanti alla Organizzazione Mondiale del Commercio che, pur non avendo potere esecutivo, può raccomandare che le pratiche commerciali cinesi siano rese compatibili con gli accordi internazionali.
Siamo convinti che su questa questione sarà possibile trovare rapidamente un terreno di intesa con gli Stati Uniti (e molto probabilmente anche con il Giappone) all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Attiriamo la vostra attenzione
Dalle notizie pervenute sul finire della settimana scorsa, si può intuire che ci si trovi in un momento di passaggi essenziali all'interno dell'Unione europea. Accanto infatti alla crisi di governo che si sta vivendo in Italia, emergono altre crisi in Estonia e Olanda: in entrambi i casi, ciò è dovuto a problemi giudiziari interni alla maggioranza; a causa di un caso di sospetta corruzione che avrebbe interessato “diverse personalità vicine al primo ministro” per il primo dei due Stati membri e, per il secondo, in relazione a “uno scandalo legato ai sussidi per l'infanzia”. Nel mentre, da Bruxelles si rivolge un invito a proseguire nell'avvio dei programmi per il Recovery plan e, in questa settimana, si svolgerà la sessione plenaria del Parlamento europeo, da lunedì a giovedì pomeriggio. Sono questi gli elementi salienti su cui concentrare l'attenzione e, per comprendere l'orientamento futuro delle politiche europee, è opportuno considerare anche il fatto che, in questa settimana, ci saranno il giuramento e poi l'insediamento alla Casa bianca del nuovo Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, avvenimento che si ricollega al tema già trattato dell'auspicabile ritorno al multilateralismo, da e verso oltreoceano. Ciò dovrebbe innescare reazioni positive – tuttavia in tempi non prevedibili, ad oggi - anche in Europa; nel frattempo, nell'ordine delle priorità rimarrà in testa la pandemia; nonostante tutti gli sforzi, continua infatti a registrarsi un alto numero di vittime ovunque nel mondo, si parla già di terza ondata e della diffusione delle varianti del virus.
Ecco un possibile filo conduttore per comprendere quale sia lo stato attuale delle relazioni interne all'Unione europea, mentre rimangono ancora aperte numerose finestre di impegno per gli addetti ai lavori: stato di diritto, questione migratoria, fiscalità comune europea, sovranità digitale, politiche ambientali, cooperazione giudiziaria e molto altro. La prima sessione plenaria nel 2021 del Parlamento europeo – che si avvierà con una discussione sul tema del mandato d'arresto europeo – si apre in un clima rallentato e sospeso; ma si deve comunque andare avanti.
Similmente, anche di fronte alle incertezze rispetto alle possibilità effettive di incontro in presenza, per il Movimento europeo in Italia prosegue l'impegno nel programma Resceu: le difficoltà incontrate a Bruxelles nel calendarizzare incontri in presenza e il proseguimento nel cronoprogramma sono infatti anche le nostre, condivise con i partner del progetto.
L'articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali balza all'attenzione più per ciò che al suo interno non viene detto: afferma infatti semplicemente che “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”. Tutto ciò di cui non si parla nell'articolo è materia complessa; il diritto all'uguaglianza di fronte alla legge è un argomento così vasto che c'è ragione di ritenere che mai si smetterà di affrontarlo. Il fatto che si affermi tale diritto all'interno di un testo normativo valido su tutto il territorio dell'Unione europea consente alle cittadine e ai cittadini di poter veder tutelati i propri diritti all'interno dello spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Soffermiamo qui l'attenzione su un aspetto che appare essenziale, quello cioè dell'affermazione dell'Unione come “un’Unione di diritto, il che vuol dire che è fondata non solo sui principi di democrazia e rule of law ma anche di tutela dei diritti fondamentali”. Ruota attorno a questo tema il saggio “Fra interpretazione e dialogo. Il ruolo del giudice nazionale” [*] di Valeria Piccone, Consigliere della Corte di Cassazione, componente del Consiglio Consultivo dei Giudici europei.
Ciò che assume particolare rilievo ai fini del discorso è il fatto che sia riconosciuto alla Carta dei diritti fondamentali un valore determinante “nella ricerca della compatibilità fra il diritto interno e quello dell’Unione: il pregnante riconoscimento dei divieti di discriminazione come espressione di un principio generale di uguaglianza, quale sancito soprattutto dalla seconda decisione con il suo richiamo all’art.6 TUE e alla Carta di Nizza, dotata dello stesso valore giuridico dei Trattati, fa sì, secondo la Corte, che il principio di uguaglianza viva “di una vita propria” che prescinde dai comportamenti attuativi o omissivi degli Stati membri”.
[*] Cfr: Angela di Stasi, Lucia Serena Rossi, "Lo spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia a vent'anni dal Consiglio europeo di Tampere", Napoli, Editoriale Scientifica, 2020,pp. 97-138.
La giurisprudenza europea
Questa settimana parleremo di una recente sentenza attinente al settore delle politiche ambientali; ci sembra opportuno tenuto conto del vasto impegno che si prepara con il Next generation Eu per lo European Green Deal.
I fatti per cui si è svolta la causa si sono verificati nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012: le relazioni fornite dalla Repubblica italiana sull’evoluzione delle concentrazioni di PM10 nell’aria hanno indotto la Commissione europea a recapitare, l’11 luglio 2014, “una lettera di messa in mora riguardante la violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50”. Cosa affermano questi articoli?
L’articolo 13, intitolato «Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana», “al suo paragrafo 1 prevede quanto segue: «Gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI”;
L’articolo 23, intitolato «Piani per la qualità dell’aria», dispone che ”Se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo qualsiasi, più qualunque margine di tolleranza eventualmente applicabile, gli Stati membri provvedono a predisporre piani per la qualità dell’aria […] In caso di superamento di tali valori limite dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, i piani per la qualità dell’aria stabiliscono misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile. I piani per la qualità dell’aria possono inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi i bambini. […] Detti piani sono comunicati alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento. Qualora occorra predisporre o attuare piani per la qualità dell’aria relativi a diversi inquinanti, gli Stati membri, se del caso, predispongono e attuano piani integrati per la qualità dell’aria riguardanti tutti gli inquinanti interessati”.
Ne è seguito uno scambio di lettere tra le parti: l'Italia inizialmente ha riconosciuto la violazione dell'articolo 13 e, in relazione all'articolo 23, ha risposto che “occorreva procedere ad una valutazione per ogni zona o agglomerato in questione”. Nella sua prima risposta, le autorità italiane hanno altresì richiesto “una proroga del termine di risposta a tale lettera di messa in mora, che è stata loro concessa”. Tuttavia, questa corrispondenza precedente all'avvio del contenzioso è andata avanti. Ogni volta, le richieste di chiarimento e i dati forniti non sono stati ritenuti sufficienti, fino a che “Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse ancora posto rimedio alle violazioni del diritto dell’Unione contestate, il 13 ottobre 2018 la Commissione ha deciso di proporre il ricorso per inadempimento di cui trattasi. La Repubblica italiana, in applicazione dell’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, ha chiesto alla Corte di riunirsi in Grande Sezione”.
L'esito della controversia è stato sfavorevole all'Italia; infatti, il 20 novembre scorso, la Corte di Giustizia Ue ha emesso una sentenza in cui si riconoscono le violazioni degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50 durante il periodo compreso tra il 2006 e il 2017. Nelle conclusioni della sentenza, si potrà notare come vengano riportate anche le specificità delle violazioni verificatesi in diverse regioni italiane. L'Italia è stata condannata anche al pagamento delle spese.
Clicca qui per leggere una sintesi ufficiale del testo della sentenza.
Economia
Vi proponiamo un intervento di Anna Maria Villa, che collabora con il Movimento europeo in Italia a iniziative per la formazione su tematiche europee. Anna Maria Villa ha ricoperto numerosi incarichi di dirigenza in diversi ambiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quali l'Ufficio cittadinanza europea, Mercato interno e Affari generali e illustra in questo suo articolo lo stato dell'arte in materia di presentazione dei progetti per il Next Generation Eu.
Un percorso ad ostacoli per ottenere risorse vitali per il nostro paese
I danni economico sociali-causati dall’attuale pandemia sono stati e continuano ad essere devastanti per tutta l’Europa e per il mondo.
La Commissione europea, il Parlamento europeo e i 27 stati membri hanno concordato un piano di ripresa senza precedenti nella storia dell’Unione, mettendo a disposizione degli stati membri oltre 1800 miliardi di euro, costituiti dalla somma delle risorse previste dal nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-27 approvato lo scorso Novembre pari a 1074,3 miliardi di euro e quelle dell’iniziativa NextGenerationEU pari a 750 miliardi di euro.
Obiettivi di questo eccezionale sforzo finanziario sono sia quello di uscire nel più breve tempo possibile da una crisi che attanaglia tutta l’Europa e sia quello di considerare questo impegnativo sforzo comune come un’opportunità per dar vita ad un’Europa più moderna, sostenibile e resiliente di fronte ad esigenze impreviste, che possono improvvisamente manifestarsi in futuro.
Proprio a questo riguardo, il Consiglio ed il Parlamento si sono mossi in particolare per un ulteriore rafforzamento delle risorse destinate al QFP per finanziare 10 programmi di lungo termine ed in particolare: Orizzonte Europa, Erasmus plus, EU4health, Fondo per la gestione integrata delle frontiere, Diritti e Valori, Europa creativa, InvestEU, Agenzia europea della guardia di frontiera, aiuto umanitario.
Inoltre c’è da notare che la decisione sulla possibilità di aumentare risorse proprie per finanziare questo incremento del budget pluriennale, che permette alla Commissione di contrarre prestiti sul mercato dei capitali, dovrà essere ratificata da tutti i paesi dell’UE sulla base delle loro norme costituzionali.
NextgenerationEU sarà dunque il nuovo strumento di difesa temporaneo attraverso il quale la Commissione europea potrà raccogliere fondi sul mercato dei capitali per fronteggiare i gravi danni economico-sociali dovuti alla pandemia e realizzare un’Europa verde, moderna e più resiliente rispetto alle sfide future. Fulcro del programma è il dispositivo per la ripresa e la resilienza con 627,5 miliardi di euro da erogare attraverso prestiti e sovvenzioni, per sostenere gli Stati membri nelle riforme e nei relativi investimenti, che i vari programmi nazionali per la ripresa e la resilienza dovranno indicare e che dovranno pervenire a Bruxelles entro il prossimo 30 aprile.
Nextgenerationeu prevede anche fondi per sostenere la coesione ed i territori d’Europa con ReactEU, iniziativa di investimento che destina a tali obiettivi 47,5 miliardi di euro. I fondi pari a 13,5 miliardi per l’Italia verranno erogati attraverso il fondo europeo di sviluppo regionale (FRSR) il fondo sociale europeo (FSE) ed il fondo europeo per aiuti agli indigenti ( FEAD) .
Per l’Italia le risorse complessive disponibili dovrebbero ammontare a 209 miliardi di euro di cui 191,4 provenienti dalla Recovery and Resilience Facility. Del suddetto totale di 209 miliardi, 127,4 sono costituiti da prestiti, 63,7 da sussidi e 17,6 da altri fondi.
Le risorse saranno indirizzate a finanziare sei iniziative faro riguardanti: istruzione e formazione professionale; digitalizzazione; lotta alla corruzione e contrasto all’evasione; semplificazione della burocrazia; riduzione dei tempi della giustizia; mercato del lavoro.
Quali dunque saranno le prossime improrogabili scadenze previste per l’Italia?
L’attuale crisi politica sicuramente mal si coniuga con la ristrettezza dei tempi che ormai ci dividono dall’invio del nostro piano a Bruxelles il 30 aprile.
Il piano (in particolare solo il documento centrale e non gli allegati) deve ancora pervenire alla Commissione Politiche europee alla Camera, per poter poi arrivare in aula entro il 7 febbraio, dove sicuramente i partiti avanzeranno richieste di modifiche ed integrazioni. Il piano, quindi, dovrà essere sottoposto al confronto con le parti sociali. Anche i documenti allegati al piano, che costituiscono parte integrante dello stesso e riguardano più specificatamente le principali riforme richieste dalla Commissione europea (Giustizia, Fisco, PA ecc.) seguiranno successivamente la stessa procedura. Una volta ultimato questo complesso iter, il governo sarà chiamato ad approvare la versione definitiva del piano e dei relativi allegati. Sempre il governo dovrà decidere inoltre in merito alla governance e alla task force per il monitoraggio di queste azioni.
Una volta terminata la procedura interna italiana, dagli inizi di maggio si avvierà l’iter europeo per l’approvazione del Piano. La Commissione ha due mesi per decidere, il Consiglio quattro settimane, così come il Comitato economico e sociale europeo che darà il suo parere.
Se ciascuna istituzione darà parere favorevole ed il piano verrà approvato, all’Italia verrà erogata una prima tranche pari al 13% dei finanziamenti previsti, mentre il resto lo sarà entro il 2026, in base agli stati di avanzamento delle iniziative.
A Bruxelles la Commissione informalmente sta già lavorando, dando supporto ai vari stati membri per la compilazione dei rispettivi piani, che poi seguiranno le regole interne di approvazione da parte dei parlamenti nazionali. Ad oggi nessun Paese ha ancora inviato il proprio documento, che deve assolutamente contenere quelle riforme ritenute necessarie per poter continuare a correre; questo è ancora più vero per l’Italia, il cui aumento del Pil sarà essenziale per poter abbattere un debito pubblico divenuto ormai decisamente eccessivo e che al di là della capacità o meno di rispettare gli impegni finanziari inciderà pesantemente sulle generazioni future.
Consigli di lettura
Considerata l'importanza delle politiche ambientali per lo European Green Deal, che si vuole porre al centro del piano post-pandemico per la ripresa, la coesione ed una maggiore integrazione futura, questa settimana vi consigliamo di sfogliare le pubblicazioni disponibili sul sito italiano dell'Agenzia europea dell'ambiente. Coprono un arco venticinquennale e rappresentano un elemento di conoscenza sia per gli esperti che per i neofiti e, dato che il nostro Paese evidenzia ancora purtroppo poca attenzione ai problemi ambientali, senz'altro può essere utile dedicare tempo e impegno ad una loro maggiore conoscenza.