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A meno di un mese di distanza dalla pubblicazione dell'ultima newsletter del 2020, si fa quasi fatica a trovare un punto dal quale riprendere il discorso sull'attualità europea. Rispetto al 16 dicembre scorso, data della pubblicazione della newsletter n. 41/2020, vi sono alcuni elementi di novità sul tavolo che richiedono attenzione: anzitutto, la Brexit. Dopo l'ultima telefonata della vigilia di Natale tra Ursula Von der Leyen e Boris Johnson, è stato diffuso, il 25 dicembre, il corposo documento relativo agli accordi per l'uscita del Regno Unito dalla Ue, che affronta, capitolo per capitolo, i vari aspetti su cui si dovrà basare il futuro delle relazioni reciproche. Si tratta di un passaggio importante che, come si è avuto modo di notare, sta generando un dibattito vivo e che si potrà inquadrare meglio anche attraverso la lettura di alcuni testi che proponiamo nella relativa sezione di questo primo numero del 2021. Inoltre, vi consigliamo di addentrarvi nel web, alla ricerca di numerose occasioni di confronto sul tema della Brexit – in webinar e seminari – con gli esperti e gli addetti ai lavori.
Gennaio 2021 segna anche l'avvio del semestre di Presidenza portoghese del Consiglio dell'Unione, ispirata al motto "Tempo di agire: per una ripresa equa, verde e digitale", come si apprende sul sito istituzionale, dove è anche possibile sfogliare l'elenco delle priorità fissate e accedere al calendario commentato.
Inoltre, i lavori del Movimento europeo in Italia sono ormai ripresi. Nel fine settimana scorso, il Presidente, Pier Virgilio Dastoli, è intervenuto in occasione di due eventi dedicati alla memoria di Ursula Hirschmann: il primo è quello organizzato da MinervaLab Sapienza con NoiReteDonne (NRD), l'8 gennaio scorso, proprio in coincidenza con il trentennale dalla sua scomparsa, per ripartire dal valore della memoria; il secondo è “Un'europea errante”, organizzato per sabato 9, alle ore 18, dall'Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, tutti e due promossi con il sostegno del Movimento europeo. In entrambe le occasioni, si è avuto modo di comprendere vari aspetti della vita e dell'azione politica, sempre in prima linea, di Ursula Hirschmann: per l'Europa, ma anche per i diritti umani, per i diritti delle donne e per l'antifascismo.
Quel che è avvenuto a Washington il 6 gennaio e quel che ne è seguito con conseguenze che si dipaneranno a lungo durante la presidenza di Jo Biden hanno suscitato reazioni e analisi che riguardano la fragilità della democrazia statunitense - e più in generale la fragilità dei sistemi democratici nel mondo - sottoposti a stress crescenti e a sfide a cui gli Stati nazionali e le organizzazioni internazionali nate dopo la seconda guerra mondiale, per evitarne gli orrori, non hanno saputo e potuto dare delle risposte adeguate.
Come abbiamo scritto in altre occasioni, la gestione autoritaria del potere conquistato da Donald Trump nel novembre 2016 non è stata e non è purtroppo un fenomeno isolato del XXI secolo se consideriamo la perversione in atto in tutti i continenti, dall’America Latina con Jair Bolsonaro in Brasile e Nicolas Maduro in Venezuela, all’Euroasia con Recep Tayyip Erdogan in Turchia, Viktor Orban in Ungheria, Mateusz Morawiecki in Polonia, Xi Jinping in Cina, Vladimir Putin in Russia, Kim Jong-un in Corea, per giungere al Medio e al Vicino Oriente con Abdel Fattah al-Sisi in Egitto, Bashar al-Assad in Siria e Benjamin Netanyahu in Israele, per non parlare di stati-canaglia come l’Arabia Saudita.
Varrebbe la pena di rileggere le teorie del potere sociale sviluppate da Michael Mann che ha fondato la sociologia storica e che ha sollecitato le nostre riflessioni sui rapporti sui “lati oscuri della democrazia” (the dark side of democracy) legati al riemergere nella modernità e nelle democrazie della violenza, giungendo all’estremo delle pulizie etniche.
Il 2021 sarà da noi consacrato a sollecitare l’attenzione degli studiosi e poi delle istituzioni non solo europee sull’attualità del pensiero dei confinati a Ventotene nel “Manifesto per un’Europa libera e unita” che loro stessi avevano considerato solo un “progetto” e che, non a caso, iniziava con una lunga riflessione sulla “crisi della civiltà moderna” intesa in una dimensione che andava ben al di là del continente europeo.
Con qualche rara eccezione di cui l’Unione europea rappresenta in embrione un caso sui generis, il mondo moderno è fondato su stati-nazione in cui il demos coincide in buona parte con l’ethnos, che si riconoscono in una comune identità che non riguarda necessariamente solo la lingua o la religione o la non religione ma che riguarda soprattutto una coscienza politica all’interno di un determinato territorio, per cui lo stato-nazione esiste laddove il demos e l’ethnos si riconoscono in uno stato-sovrano.
Questa coincidenza fra demos e ethnos appare con grande evidenza nella formulazione del preambolo della costituzione degli Stati Uniti dove essa è stabilita dal “popolo” per sé e per i discendenti al fine di assicurare a sé stesso e non ad altri giustizia, tranquillità domestica, comune difesa, benessere generale e il dono della libertà, un popolo in cui i padri fondatori non intendevano includere le donne, gli schiavi e i nativi americani per dar luogo a un grande progetto di americanizzazione (quello che fu chiamato all’inizio del ventesimo secolo un melting pot) fondato sul principio della integrazione piuttosto che su quello della inclusione.
La democrazia liberale statunitense, facilitata dal modello originale della federazione immaginato dai Padri fondatori e sviluppatasi gradualmente attraverso transizioni che ne hanno mutato il sistema originario, è iniziata ad entrare in crisi ben prima dell’arrivo di Donald Trump quando il sistema dei due grandi partiti è passato da un modello di composite aggregazioni elettorali a contrapposizioni radicalizzate, quando il principio dei pesi e contrappesi (checks and balances) è stato per la prima volta messo in discussione sotto la presidenza di George Bush Jr all’inizio del nuovo secolo ,proseguendo con Barak Obama e poi raggiungendo un apice autoritaria con Donald Trump, quando è stato messa in discussione la separazione dei poteri fra esecutivo, legislativo e giudiziario immaginata da Montesquieu e poi realizzata negli Stati Uniti ed infine quando il sistema economico ha prodotto una crescita delle diseguaglianze sapendo che i “suprematisti” – di cui la parte più rumorosa ha dato l’assalto a Capitol Hill - appartengono alle categorie sociali che hanno approfittato delle diseguaglianze e che non vogliono perderne i vantaggi e che dunque la strada da percorrere è quella di combattere le diseguaglianze per fondare una società più giusta e non quella di ascoltare da sinistra le rivendicazioni delle classi sociali privilegiate, sperando che l’amministrazione di Jo Biden percorra la prima e non la seconda strada.
Di fronte alla fragilità della democrazia americana, resa più evidente dagli anni di Donald Trump, spetta all’Unione europea un ruolo esemplare nel mondo poiché si tratta di sviluppare e portare a compimento il progetto di uno stato multietnico fondato sui principi dell’inclusione e non dell’esclusione, di una democrazia che sia non solo rappresentativa ma anche partecipativa, di prossimità e paritaria, della progressiva riduzione delle diseguaglianze partendo dalla consapevolezza che esistono beni pubblici europei che possono essere garantiti solo da una sovranità condivisa e non dalla contrapposizione e dalla conflittualità fra sovranità assolute di Stati-nazione, da scelte costituzionali che rafforzino la dimensione dello spazio pubblico europeo con veri partiti transnazionali capaci di contribuire alla formazione di una vera coscienza politica sopranazionale.
In questo quadro le perversioni del presidenzialismo dovrebbero spingerci ad affrontare la questione della leadership europea che era stata – a nostro avviso malauguratamente - sintetizzata nel 2013 nella formula degli Spitzenkandidaten, una formula giudicata allora da Le Monde come una fausse bonne idée, superando la sterile contrapposizione fra Consiglio europeo e Parlamento europeo e mettendo da parte l’ipotesi di una repubblica europea presidenziale o semipresidenziale con un “presidente eletto dal popolo” (poiché non esiste un popolo europeo ma esistono cittadine e cittadini europei dotati di diritti ma anche di doveri) per scegliere la via più adatta alla natura dell’Unione europea di governi federali di coalizionecon poteri limitati ma reali che rispondano di fronte ad una doppia autorità legislativa e di bilancio che rappresenti su un piano di uguaglianza e secondo un sistema proporzionale da una parte le cittadine e i cittadini europei e dall’altra gli Stati, creando spazi di adeguata capacità di intervento per i poteri locali e regionali (la parola “città” è ignorata dal Trattato di Lisbona, N.d.R.).
Food for thought per la Conferenza sul futuro dell’Europa e per il successivo lavoro costituente del Parlamento europeo in vista delle elezioni europee del maggio 2024.
LA FRAGILITÀ DELLA DEMOCRAZIA STATUNITENSE E LE CONSEGUENZE DA TRARRE SUL FUTURO DELL’EUROPA
Quel che è avvenuto a Washington il 6 gennaio e quel che ne è seguito con conseguenze che si dipaneranno a lungo durante la presidenza di Jo Biden hanno suscitato reazioni e analisi che riguardano la fragilità della democrazia statunitense - e più in generale la fragilità dei sistemi democratici nel mondo - sottoposti a stress crescenti e a sfide a cui gli Stati nazionali e le organizzazioni internazionali nate dopo la seconda guerra mondiale, per evitarne gli orrori, non hanno saputo e potuto dare delle risposte adeguate.
Come abbiamo scritto in altre occasioni, la gestione autoritaria del potere conquistato da Donald Trump nel novembre 2016 non è stata e non è purtroppo un fenomeno isolato del XXI secolo se consideriamo la perversione in atto in tutti i continenti, dall’America Latina con Jair Bolsonaro in Brasile e Nicolas Maduro in Venezuela, all’Euroasia con Recep Tayyip Erdogan in Turchia, Viktor Orban in Ungheria, Mateusz Morawiecki in Polonia, Xi Jinping in Cina, Vladimir Putin in Russia, Kim Jong-un in Corea, per giungere al Medio e al Vicino Oriente con Abdel Fattah al-Sisi in Egitto, Bashar al-Assad in Siria e Benjamin Netanyahu in Israele, per non parlare di stati-canaglia come l’Arabia Saudita.
Varrebbe la pena di rileggere le teorie del potere sociale sviluppate da Michael Mann che ha fondato la sociologia storica e che ha sollecitato le nostre riflessioni sui rapporti sui “lati oscuri della democrazia” (the dark side of democracy) legati al riemergere nella modernità e nelle democrazie della violenza, giungendo all’estremo delle pulizie etniche.
Il 2021 sarà da noi consacrato a sollecitare l’attenzione degli studiosi e poi delle istituzioni non solo europee sull’attualità del pensiero dei confinati a Ventotene nel “Manifesto per un’Europa libera e unita” che loro stessi avevano considerato solo un “progetto” e che, non a caso, iniziava con una lunga riflessione sulla “crisi della civiltà moderna” intesa in una dimensione che andava ben al di là del continente europeo.
Con qualche rara eccezione di cui l’Unione europea rappresenta in embrione un caso sui generis, il mondo moderno è fondato su stati-nazione in cui il demos coincide in buona parte con l’ethnos, che si riconoscono in una comune identità che non riguarda necessariamente solo la lingua o la religione o la non religione ma che riguarda soprattutto una coscienza politica all’interno di un determinato territorio, per cui lo stato-nazione esiste laddove il demos e l’ethnos si riconoscono in uno stato-sovrano.
Questa coincidenza fra demos e ethnos appare con grande evidenza nella formulazione del preambolo della costituzione degli Stati Uniti dove essa è stabilita dal “popolo” per sé e per i discendenti al fine di assicurare a sé stesso e non ad altri giustizia, tranquillità domestica, comune difesa, benessere generale e il dono della libertà, un popolo in cui i padri fondatori non intendevano includere le donne, gli schiavi e i nativi americani per dar luogo a un grande progetto di americanizzazione (quello che fu chiamato all’inizio del ventesimo secolo un melting pot) fondato sul principio della integrazione piuttosto che su quello della inclusione.
La democrazia liberale statunitense, facilitata dal modello originale della federazione immaginato dai Padri fondatori e sviluppatasi gradualmente attraverso transizioni che ne hanno mutato il sistema originario, è iniziata ad entrare in crisi ben prima dell’arrivo di Donald Trump quando il sistema dei due grandi partiti è passato da un modello di composite aggregazioni elettorali a contrapposizioni radicalizzate, quando il principio dei pesi e contrappesi (checks and balances) è stato per la prima volta messo in discussione sotto la presidenza di George Bush Jr all’inizio del nuovo secolo ,proseguendo con Barak Obama e poi raggiungendo un apice autoritaria con Donald Trump, quando è stato messa in discussione la separazione dei poteri fra esecutivo, legislativo e giudiziario immaginata da Montesquieu e poi realizzata negli Stati Uniti ed infine quando il sistema economico ha prodotto una crescita delle diseguaglianze sapendo che i “suprematisti” – di cui la parte più rumorosa ha dato l’assalto a Capitol Hill - appartengono alle categorie sociali che hanno approfittato delle diseguaglianze e che non vogliono perderne i vantaggi e che dunque la strada da percorrere è quella di combattere le diseguaglianze per fondare una società più giusta e non quella di ascoltare da sinistra le rivendicazioni delle classi sociali privilegiate, sperando che l’amministrazione di Jo Biden percorra la prima e non la seconda strada.
Di fronte alla fragilità della democrazia americana, resa più evidente dagli anni di Donald Trump, spetta all’Unione europea un ruolo esemplare nel mondo poiché si tratta di sviluppare e portare a compimento il progetto di uno stato multietnico fondato sui principi dell’inclusione e non dell’esclusione, di una democrazia che sia non solo rappresentativa ma anche partecipativa, di prossimità e paritaria, della progressiva riduzione delle diseguaglianze partendo dalla consapevolezza che esistono beni pubblici europei che possono essere garantiti solo da una sovranità condivisa e non dalla contrapposizione e dalla conflittualità fra sovranità assolute di Stati-nazione, da scelte costituzionali che rafforzino la dimensione dello spazio pubblico europeo con veri partiti transnazionali capaci di contribuire alla formazione di una vera coscienza politica sopranazionale.
In questo quadro le perversioni del presidenzialismo dovrebbero spingerci ad affrontare la questione della leadership europea che era stata – a nostro avviso malauguratamente - sintetizzata nel 2013 nella formula degli Spitzenkandidaten, una formula giudicata allora da Le Monde come una fausse bonne idée, superando la sterile contrapposizione fra Consiglio europeo e Parlamento europeo e mettendo da parte l’ipotesi di una repubblica europea presidenziale o semipresidenziale con un “presidente eletto dal popolo” (poiché non esiste un popolo europeo ma esistono cittadine e cittadini europei dotati di diritti ma anche di doveri) per scegliere la via più adatta alla natura dell’Unione europea di governi federali di coalizionecon poteri limitati ma reali che rispondano di fronte ad una doppia autorità legislativa e di bilancio che rappresenti su un piano di uguaglianza e secondo un sistema proporzionale da una parte le cittadine e i cittadini europei e dall’altra gli Stati, creando spazi di adeguata capacità di intervento per i poteri locali e regionali (la parola “città” è ignorata dal Trattato di Lisbona, N.d.R.).
Food for thought per la Conferenza sul futuro dell’Europa e per il successivo lavoro costituente del Parlamento europeo in vista delle elezioni europee del maggio 2024.
Attiriamo la vostra attenzione
A meno di un mese di distanza dalla pubblicazione dell'ultima newsletter del 2020, si fa quasi fatica a trovare un punto dal quale riprendere il discorso sull'attualità europea. Rispetto al 16 dicembre scorso, data della pubblicazione della newsletter n. 41/2020, vi sono alcuni elementi di novità sul tavolo che richiedono attenzione: anzitutto, la Brexit. Dopo l'ultima telefonata della vigilia di Natale tra Ursula Von der Leyen e Boris Johnson, è stato diffuso, il 25 dicembre, il corposo documento relativo agli accordi per l'uscita del Regno Unito dalla Ue, che affronta, capitolo per capitolo, i vari aspetti su cui si dovrà basare il futuro delle relazioni reciproche. Si tratta di un passaggio importante che, come si è avuto modo di notare, sta generando un dibattito vivo e che si potrà inquadrare meglio anche attraverso la lettura di alcuni testi che proponiamo nella relativa sezione di questo primo numero del 2021. Inoltre, vi consigliamo di addentrarvi nel web, alla ricerca di numerose occasioni di confronto sul tema della Brexit – in webinar e seminari – con gli esperti e gli addetti ai lavori.
Gennaio 2021 segna anche l'avvio del semestre di Presidenza portoghese del Consiglio dell'Unione, ispirata al motto "Tempo di agire: per una ripresa equa, verde e digitale", come si apprende sul sito istituzionale, dove è anche possibile sfogliare l'elenco delle priorità fissate e accedere al calendario commentato.
Inoltre, i lavori del Movimento europeo in Italia sono ormai ripresi. Nel fine settimana scorso, il Presidente, Pier Virgilio Dastoli, è intervenuto in occasione di due eventi dedicati alla memoria di Ursula Hirschmann: il primo è quello organizzato da MinervaLab Sapienza con NoiReteDonne (NRD), l'8 gennaio scorso, proprio in coincidenza con il trentennale dalla sua scomparsa, per ripartire dal valore della memoria; il secondo è “Un'europea errante”, organizzato per sabato 9, alle ore 18, dall'Istituto di studi federalisti Altiero Spinelli, tutti e due promossi con il sostegno del Movimento europeo. In entrambe le occasioni, si è avuto modo di comprendere vari aspetti della vita e dell'azione politica, sempre in prima linea, di Ursula Hirschmann: per l'Europa, ma anche per i diritti umani, per i diritti delle donne e per l'antifascismo.
Riprendiamo ad occuparci della Carta dei diritti fondamentali trattando l'articolo 42, dedicato al tema del diritto di accesso ai documenti. Afferma che “qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione”. Le istituzioni europee hanno dedicato una crescente attenzione al tema della trasparenza e, in relazione al perseguimento di tale obiettivo, gli sforzi non sono mancati; ripercorrendo la storia anche degli ultimi quindici anni, appare evidente il fatto che si è voluto innovare il modo in cui l'Unione comunica con i suoi cittadini, a fronte di una certa complessità del funzionamento dei meccanismi decisionali. Ancora oggi l'Unione ha davanti a sé nuovi obiettivi per poter essere percepita vicina ai cittadini, a maggior ragione nei periodi di crisi quale quello che stiamo attraversando. Ciò implica peraltro che sia indispensabile una partecipazione attiva di tutti gli europei, con il dialogo e il dibattito.
Il diritto di accesso ai documenti istituzionali prodotti da Parlamento, Commissione e Consiglio consente di informarsi nei dettagli e su temi di interesse specifico: sono numerosi quindi gli strumenti a disposizione dei cittadini per informarsi e tale ampia disponibilità di documenti implica che sia possibile rispondere a richieste di informazione con livelli di complessità più o meno elevati. Con riferimento alla situazione attuale del modo in cui può essere esercitato il diritto di accesso a tali fonti, il problema attuale appare più qualitativo che quantitativo: la comunicazione istituzionale europea oggi è ampiamente presente e diffusa, ma probabilmente è necessario un maggiore impegno per conoscere meglio i fruitori della materia e mettere a disposizione dei cittadini maggiori occasioni di orientamento, anche per contrastare il fenomeno della disinformazione che purtroppo si può manifestare non solo tra utenti inesperti, ma anche tra gli addetti ai lavori.
La giurisprudenza europea
Tra le priorità future di un'Europa coesa, vi è per i cittadini – e di questi tempi si direbbe che sia in vetta all'attenzione – il diritto alla sicurezza sociale e alla salute. Ecco perché vi proponiamo, sul tema, una sentenza della Corte di Giustizia europea che ha riguardato un cittadino ungherese denominato WO. La sua vicenda è così riassunta: “Nel corso del 1987 [...] ha sofferto di un distacco della retina all’occhio sinistro ed ha perso la visione da tale occhio. Nel corso del 2015, a WO è stato diagnosticato un glaucoma all’occhio destro. Le cure somministrategli in diversi istituti di cura ungheresi sono risultate inefficaci, il campo visivo del ricorrente continuava a ridursi e la pressione intraoculare continuava a presentare valori elevati. Dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che, il 29 settembre 2016, WO contattava un medico esercente a Recklinghausen (Germania) e otteneva da quest’ultimo un appuntamento ai fini di un consulto medico per il 17 ottobre 2016. Il medico lo informava che avrebbe dovuto prolungare il suo soggiorno fino al 18 ottobre 2016, data in cui avrebbe avuto luogo, se del caso, un intervento oftalmologico. Nel frattempo, attraverso un esame medico effettuato in Ungheria il 15 ottobre 2016, a WO veniva riscontrata una pressione intraoculare pari a 37 mmHg, ossia un valore ben superiore a quello di 21 mmHg, oltre il quale la pressione intraoculare è considerata anormale. In seguito al consulto medico cui WO si è sottoposto il 17 ottobre 2016 in Germania, il medico esercente in tale Stato membro ha ritenuto che l’intervento oftalmologico dovesse essere effettuato d’urgenza per salvare la vista di WO. Quest’ultimo veniva operato con successo il 18 ottobre 2016”.
Tuttavia, la sua domanda di rimborso delle spese sostenute per l'assistenza sanitaria transfrontaliera veniva successivamente respinta sia dal servizio amministrativo della città di Vas che, a seguito di ricorso, da quello di Budapest: “Secondo tale ufficio, l’intervento oftalmologico era una cura programmata per la quale WO non aveva ottenuto l’autorizzazione preventiva necessaria per poter ottenere un rimborso”.
Perciò, WO si è rivolto al Tribunale amministrativo e del lavoro di Szombathely (Ungheria) avverso la decisione di rigetto del rimborso di tale assistenza sanitaria. Il giudice competente ha ritenuto, in relazione alle istanze del ricorrente, di consultare la Corte di Giustizia europea per l'interpretazione:
dell’articolo 56 TFUE,
dell’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1),
dell’articolo 26, paragrafi 1 e 3, del regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2009, L 284, pag. 1), nonché
dell’articolo 8, paragrafo 1, e dell’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2011, concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera.
Si tratta perciò di un testo complesso, perché fornisce risposte interpretative su una pluralità di meccanismi giuridici che coinvolgono da un lato il livello istituzionale europeo e dall'altro l'ordinamento ungherese. Basterà qui portare all'attenzione un punto chiave della sentenza del 23 settembre 2020 sull'interpretazione dell’articolo 56 TFUE e l’articolo 8, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2011/24/UE: la Corte chiarisce che tali articoli ostano ad una normativa nazionale che escluda “in assenza di autorizzazione preventiva, il rimborso, nei limiti della copertura garantita dal regime di assicurazione malattia dello Stato di affiliazione, delle spese di consultazione medica sostenute in un altro Stato membro”. Un altro punto della sentenza richiama il fatto che, se la persona avente diritto era impossibilitata a richiedere tale autorizzazione, non può essere escluso il rimborso delle spese sanitarie da essa sostenute.
Come è noto, occuparsi di Costituzione dell'Europa comporta anche ragionare sui testi costituzionali degli Stati membri. Se ne parla nell'intervista di “Reset” a Giuliano Amato disponibile tra i testi di questa settimana: è proprio uno dei membri della Convenzione europea sul futuro dell'Europa del 2002 – 2003 ad affermare che “il giorno in cui essi dovessero portare alla trasformazione dell’Unione in Stato federale, ciò potrà avvenire non solo cambiando le norme europee, ma anche le nostre Costituzioni nazionali”.
Ecco uno dei motivi per cui questa settimana proponiamo il testo “La scrittura delle Costituzioni – Il secondo dopoguerra in un quadro mondiale”. Sfogliando l'indice, si potrà meglio apprezzare l'approccio e scoprire come sia stato impostato il volume, costituito da una serie di saggi suddivisi in una sezione dedicata all'Europa ed in una al mondo. “Radio radicale”, il 30 novembre scorso, ha dedicato spazio alla presentazione del volume: per saperne di più, è possibile rivedere l'evento cliccando qui.