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L’ultima newsletter di questo 2020 giunge mentre è in corso la sessione plenaria del Parlamento europeo, al termine del Consiglio europeo che ha posto le premesse per accordi che, specialmente sul tema dei diritti, non rappresentano un netto avanzamento, anzi. Come abbiamo sostenuto, in una nota diffusa il 10 dicembre scorso, “La proposta di compromesso:
- Attribuisce sorprendentemente priorità alle identità nazionali degli stati membri e non al rispetto dello stato di diritto
- Introduce un complicato meccanismo destinato a rinviare nel tempo ogni decisione sulle condizionalità di attribuire i fondi previsti dal bilancio e dal Next Generation EU
- Non protegge gli interessi delle cittadine e dei cittadini dell’Unione
- Concede agli stati membri che non rispettano lo stato di diritto il diritto di rivolgersi al Consiglio europeo che sarà chiamato a formulare una posizione comune secondo il principio del consenso”.
L’Unione europea, che ha un impianto istituzionale che persegue, tra gli altri, il fine di assicurare la solidarietà e la reciproca collaborazione tra gli Stati suoi membri, non dovrebbe accettare compromessi al ribasso sul piano dei diritti fondamentali. Sono molte le storie alle quali pensare, sul finire di quest’anno. Abbiamo quindi scelto di richiamare un’infografica dedicata ad Antonio Megalizzi, giovanissimo giornalista vittima della follia terrorista, appena due anni fa a Strasburgo. Altri esempi non mancano. La vicenda di Giulio Regeni, ancora non conclusasi positivamente per l’Italia, è un altro importante caso in cui sono evidenti le violazioni perpetrate ai danni di un cittadino italiano ed europeo. E nell’Europa di oggi è anche possibile, per il presidente di uno Stato membro fondatore come la Francia, assegnare una onorificenza quale la Gran Croce della Legion d'Onore al presidente egiziano Al Sisi, nonostante la gravissima situazione che vive l’Egitto per quanto riguarda lo stato di diritto. Ciò ha scatenato una serie di polemiche, portando personalità come Corrado Augias, Sergio Cofferati, Luciana Castellina e Giovanna Melandri a rinunciare al prestigioso riconoscimento. Anche Emilio Gabaglio, già dirigente della Cisl e della Ces, socio onorario Movimento europeo, nonché il segretario generale Paolo Ponzano, sono orientati in tal senso.
Sul tema del rispetto dello stato di diritto, riteniamo importante segnalare che sta circolando una lettera dell’associazione polacca dei giudici "Iustitia". Gli amici magistrati che ci seguono possono leggerla e firmarla cliccando su questo link.
Portiamo infine alla vostra attenzione alcune iniziative che vedranno la partecipazione del Movimento europeo, augurandoci che, in tema di diritti, alle dichiarazioni possano seguire scelte coerenti con i principi che si enunciano (e che, troppo spesso, vengono disapplicati):
"L'Europa supera i veti e approva il piano per la prossima generazione europea", intervento del presidente Pier Virgilio Dastoli in diretta su "Europa in Onda", per un commento sullo stato di diritto in Europa, 17.12.2020, h 18.30, Link al podcast: https://t.me/europainonda
Con l’augurio di trascorrere festività serene, in cui si ha anche l’occasione di riflettere forse un po’ di più che in passato, vi inviamo l’arrivederci alla prossima edizione.
Durante il regime dei colonnelli in Grecia (1967-1974) le Comunità europee furono chiamate a decidere se l’accordo di associazione sottoscritto nel 1963 fra Bruxelles e Atene dovesse essere rispettato fino in fondo da Bruxelles, ivi compresa la clausola secondo cui l’accordo preludeva ad una futura domanda di adesione della Grecia alle Comunità europee (pacta sunt servanda) o se l’arrivo dei colonnelli al potere e le loro atrocità dovesse congelarlo, in attesa del ritorno alla democrazia che potremmo definire ateniese (rebus sic stantibus).
Come sanno molti anziani democratici greci, su proposta di Altiero Spinelli e con il voto contrario del liberale tedesco Ralf Dahrendorf – poi diventato baronetto di Sua Maestà Elisabetta II e euroscettico – la Commissione propose e il Consiglio decise di chiudere le porte in faccia ai colonnelli contribuendo così alla lenta ma inesorabile agonia del regime militare.
Non fu la prima e l’ultima volta in cui i valori democratici prevalsero a Bruxelles accantonando gli interessi economici e commerciali perché lo stesso trattamento fu riservato al “regime-canaglia” di Francisco Franco che, cosciente di essere alla fine della sua dittatura, aveva avviato verso Bruxelles una inverosimile operazione di captatio benevolentiae, bloccata dopo l’esecuzione a Barcellona il 2 marzo 1974 dell’anarchico Salvador Puig i Antich con il metodo della garrota.
All’interno dell’Unione europea la questione della scelta fra democrazia e autoritarismo si pose con l’arrivo al potere in Austria, alle elezioni legislative in ottobre 1999, del populista Haider provocando l’apparente sospensione delle relazioni bilaterali fra gli allora quattordici membri dell’Unione europea e il governo di Vienna che ripresero un anno dopo grazie ad un rapporto – degno di Ponzio Pilato – scritto dal finlandese Ahtisaari, dal tedesco Frowein e dallo spagnolo Oreja a nome del Consiglio d’Europa in cui si sosteneva che il governo austriaco era impegnato “nel proseguimento della lotta contro il razzismo, l’antisemitismo, la discriminazione e la xenofobia”.
E’ noto che i criteri per aderire all’Unione europea sono formalmente molto rigorosi, essendosi ispirati a quelli che furono adottati dal Consiglio europeo di Copenaghen nell’aprile 1978 (secondo cui “il rispetto e il mantenimento della democrazia rappresentativa e dei diritti dell’uomo in ciascuno degli Stati membri costituiscono degli elementi essenziali dell’appartenenza alle Comunità europee”) e poi nel giugno 1993 che unirono ai criteri politici quelli economici.
Si noti en passant che i criteri del 1978 riguardavano indistintamente l’adesione e l’appartenenza alle Comunità pur non essendo stati inseriti nei trattati esistenti, mentre quelli del 1993 riguardavano solo l’adesione precisando le condizioni fissate dal Trattato di Maastricht.
Si noti ancora la differenza fra la formula asciutta del Progetto Spinelli secondo cui “ogni Stato europeo democratico” può chiedere di aderire all’Unione europea e la formula apparentemente più ricca ma di fatto più lasca del Trattato di Lisbona secondo cui ogni Stato europeo “che rispetta i valori previsti dall’art. 2 TUE e si impegna a promuoverli può chiedere di diventare membro dell’Unione”.
Cade dunque il rapporto fra il carattere democratico (seppure limitato alla democrazia rappresentativa) e l’appartenenza alle Comunità e ora all’Unione europea.
Approfittando di questa ambiguità e della sostanziale inefficacia delle procedure che dovrebbero consentire all’Unione europea di sanzionare uno Stato (ma di fatto un governo) che viola i valori indicati nell’art. 2, l’ungherese Viktor Orban ha costruito dal maggio 2010 quella che egli stesso ha chiamato “democrazia illiberale” in un discorso tenuto il 28 luglio 2018 alla Summer Open University and Student Camp organizzata da Fidesz, il partito da lui portato nel 1998 da posizioni liberali e pro-europee ad un conservatorismo nazionale di estrema destra.
Cinque anni dopo il partito nazionalista polacco del Diritto e della Giustizia, che aveva già condiviso governi di coalizione fra il 2005 e il 2007, ha a sua volta conquistato i pieni poteri nel Parlamento e alla presidenza della Repubblica, creando così al centro dell’Europa uno spazio politico di quasi cinquanta milioni di abitanti al cui interno i principi essenziali dello Stato di diritto sono gradualmente ma inesorabilmente violati, la corruzione è diffusa, le relazioni con i paesi terzi vicini confliggono con gli orientamenti nella politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, così come confligge l’insieme giuridico che appartiene al controllo delle frontiere, all’immigrazione, all’asilo, alla cooperazione civile, penale e di polizia.
Il compromesso raggiunto al Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre sulla cosiddetta “dichiarazione interpretativa” del Regolamento relativo alla condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione non ha certo valore giuridicamente vincolante perché impegna formalmente solo il Consiglio europeo, che lo ha inserito nelle sue conclusioni, ma – al di là dei tempi più lunghi di applicazione delle misure finanziarie per recuperare o ridurre sovvenzioni concesse a Stati che abbiano violato i principi dello Stato di diritto – restano in vigore in Polonia e Ungheria tutte quelle decisioni legislative e costituzionali che rappresentano delle gravi rotture degli elementi essenziali dello stato di diritto così come è stato definito concordemente dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa e dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Il vulnus di cui soffre l’Unione europea dal 2010 in Ungheria e dal 2015 in Polonia non sarà dunque annullato dal regolamento votato a maggioranza qualificata dal Consiglio e dal Parlamento europeo, mentre rimarrà inapplicabile l’art. 7 del Trattato Di Lisbona che affida al Consiglio europeo il potere di constatare all’unanimità l’esistenza di una violazione “grave e persistente” dei valori indicati nell’’art. 2 TUE e che prevede sanzioni talmente ipotetiche da aver consentito, subito dopo il Consiglio europeo del 10-11 dicembre, al Parlamento ungherese l’adozione di una modifica della costituzione in materia di diritto di famiglia che lede i principi della non discriminazione sia all’interno dell’Ungheria che verso l’insieme dei cittadini europei.
Questo vulnus è il prodotto di un’Unione europea che chiede ai suoi membri il rispetto dello Stato di diritto ma che lo viola al suo interno quando il Consiglio europeo esercita funzioni legislative che gli sono interdette dal Trattato, quando il Consiglio europeo o il Consiglio o la Commissione violano il principio della trasparenza, quando il Trattato non prevede l’accesso specifico alla Corte per violazione dei diritti fondamentali, quando il sistema dell’Unione europea non rispetta il principio dell’equilibrio istituzionale, quando i governi nel loro insieme e all’interno dell’Unione europea non operano secondo il principio di responsabilità ed infine quando non prevale il principio del primato della legge europea sulle leggi nazionali.
Superato lo scoglio del bilancio pluriennale e del piano per la nuova generazione europea ci attendiamo ora che il Parlamento europeo (im)ponga nell’agenda della Conferenza sul futuro dell’Europa il tema della trasformazione dell’Unione in uno stato di diritto.