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ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

  • 26-30 giugno 2022, Ventotene. «La “nuova” Unione del Next Generation EU e le riforme per il futuro dell’Europa e del Mezzogiorno». IV edizione della Summer School organizzata dall’Associazione Per l’Europa di Ventotene. Quattro giorni di seminari, incontri e lezioni, durante i quali ricercatori, politici e studiosi parleranno di Next generation EU, del futuro dell'Europa e del Mezzogiorno. PROGRAMMA.
  • 29 giugno 2022, online. Tavola rotonda “Enhancing European Democracy: Next Steps Following the CoFoE” promossa da Union of European Federalists. Durante l’incontro si affronterà l'importante questione di quali passi si dovranno seguire per garantire che la Conferenza sul Futuro dell’Europa come esercizio democratico di partecipazione dei cittadini abbia successo. PROGRAMMA e REGISTRAZIONE.
  • 30 giugno 2022, Parigi, ore 9:00-17:30. HIGH LEVEL CONFERENCE CIVIL SOCIETY AND THE FUTURE OF EUROPE. Come processo di follow-up della Convenzione e della Conferenza del futuro dell'Europa, Civil Society Europe, il French Social Economic and Environmental Council e il Mouvement Associatif promuovono una Conferenza ad alto livello sulla società civile e il futuro dell'Europa che sarà organizzata sotto gli auspici della Presidenza francese dell'Unione europea. L'evento mira a fare il punto sulle conclusioni della Conferenza sul futuro dell'Europa dal punto di vista della società civile e esamina il ruolo delle organizzazioni della società civile e lo sviluppo di meccanismi concreti nel loro follow-up. ULTERIORI INFORMAZIONI E PROGRAMMA.
  • 30 giugno 2022, Roma, ore 10:00-18:00. Camera dei Deputati, Sala del Refettorio. Convegno "La nuova Europa federale per unire gli Stati e i popoli per costruire la pace globale". Promosso da AICCRE Puglia, MFE Puglia, Europe Direct Puglia, Centro di Documentazione Europea Università degli Studi di Bari Aldo Moro, AITEF, AEM - Associazione Europa Mediterraneo, Comitato per la Qualità della Vita. PROGRAMMA. Per seguire l'evento online cliccare sul seguente link: https://cdd.webex.com/join/vdc.refettorio
  • 12 luglio 2022, ore 16:00-18:15. Webinar “Transformation” to “Regenerate the Planet and Regenerate Europe” promosso da Movimento Europeo-Italia e think tank The-EPE. Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, sono state avanzate proposte come "Confederazione europea" o "Comunità politica europea". Con gli impegni presi, si tratterebbe di un nuovo livello di coordinamento, un'"Europa almeno a 36": UE 27 + Ucraina, Georgia e Moldova, Serbia, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo. Potrebbe essere aperto a candidati non UE ed ex membri dell'UE. Il webinar del 12 giugno esplorerà quella che sarebbe la "nuova architettura" dell'Europa con un Consiglio d'Europa sui valori, una Confederazione Europea/Comunità Politica sui partenariati, un'Unione Europea e come potrebbe contribuire a rigenerare l'Europa, il Pianeta e una Società di Fiducia. Il primo panel si svolgerà in francese-italiano con traduzione simultanea. Il secondo è terzo panel si terrà solamente in lingua inglese.  PROGRAMMA. Per partecipare, registrarsi al link: https://forms.gle/T2z7qTUbtyfqGKmUA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Petizione per l’invio di Forze internazionali di interposizione in Ucraina

affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato sulla pace e la sicurezza

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha finalmente chiesto un immediato e temporaneo “cessate il fuoco” in Ucraina dopo sessanta giorni in cui hanno parlato solo le armi.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha già approvato nel 1950 la Risoluzione 377A (Uniting for peace) che autorizza la stessa Assemblea Generale a adottare – a maggioranza qualificata – le misure di peace keeping. Su questa base, quindi, sia i paesi membri dell’Unione Europea che gli Stati che si sono astenuti sulle risoluzioni di condanna della Russia potrebbero chiedere la convocazione di una nuova Assemblea Generale Straordinaria che sostenga l’urgenza di una tregua immediata e che autorizzi l’invio in Ucraina delle Forze Internazionali di pace per garantirla.  

I promotori della petizione sollecitano l’attivazione dello Statuto delle Nazioni Unite, in particolare il suo Capitolo VII che autorizza l’Assemblea Generale a decidere misure di peace keeping per il tramite delle “Forze internazionali di pace” (i cosiddetti Caschi Blu) costituite in base al documento “United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines” affinché sia garantito il rispetto del “cessate il fuoco”.

Fra i diritti essenziali o meglio come fondamento dei diritti essenziali la Carta delle Nazioni Unite del 1945, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966 hanno posto nei rispettivi preamboli il principio della dignità umana.

Fra i crimini che l’armata russa sta compiendo e si prepara a perpetuare in Ucraina vi è il disprezzo della dignità umana su donne, minori e uomini, su tutta la popolazione civile.

La comunità internazionale e con essa l’OSCE e l’Unione europea non sono stati in grado, pur avendone la consapevolezza ed i mezzi, di prevedere la guerra scatenata senza giustificazione alcuna dalla Russia contro l’Ucraina e di far interrompere le operazioni militari.

L’UNICA STRADA A TALE PUNTO PERCORRIBILE APPARE L’INVIO IN UCRAINA - SU DECISIONE A MAGGIORANZA QUALIFICATA DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE DELLE FORZE DI INTERPOSIZIONE (I CASCHI BLU) PREVISTE PER GARANTIRE LE OPERAZIONI DI PEACE KEEPING LA CUI MISSIONE – È BENE RICORDARLO - NON È OFFENSIVA MA È NECESSARIA PER GARANTIRE IL RISPETTO DELLA DECISIONE DI FAR TACERE LE ARMI.

La gravità eccezionale di quel che sta avvenendo dal 24 febbraio in Ucraina e il rifiuto di Vladimir Putin, in primo luogo, di accettare l’avvio di un vero negoziato di pace esige ormai l’uso di strumenti eccezionali. Si tratta di una strada evidentemente difficile, ma l’immane tragedia umanitaria deve spingere la comunità internazionale a tentare di intraprendere anche le strade più impervie e con l’occasione dimostrare al mondo l’immagine che l’ONU è una Istituzione creata a garanzia della giustizia e della libertà dei popoli. 

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Petition for the deployment of International Intervention Forces in Ukraine

to lay down arms and let negotiations on peace and security begin

The Secretary-General of the United Nations, Antonio Guterres, has finally called for an immediate and temporary "ceasefire" in Ukraine after sixty days of armed violence.

The General Assembly of the United Nations already approved Resolution 377a (Uniting for peace) in 1950, which authorizes the General Assembly to adopt – by qualified majority – the measures of peace keeping. Therefore, both the member countries of the European Union and the States that abstained on the resolutions condemning Russia could request the convening of a new Extraordinary General Assembly. Said Assembly could support the urgency of an immediate truce and authorize sending International Peace Forces to Ukraine to guarantee it.

The signatories of this petition urge the activation of the United Nations Statute, in particular its Chapter VII which authorizes the General Assembly to decide on peace keeping measures through the "International Peace Forces" (the so-called Blue Helmets) established since the document "United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines" to ensure compliance with the "ceasefire".

Among the essential rights, or as the basis of essential rights, the Charter of the United Nations of 1945, the Universal Declaration of Human Rights of 1948 and the United Nations Covenants on Civil, Political, Economic, Social and Cultural Rights of 1966 have placed the principle of human dignity, mentioned in their respective preambles.

The contempt for human dignity regarding women, minors, men, and the whole civilian population, is just one of the heinous crimes committed by the Russian army. Content could reach its peak if the Moscow autocrat decided to parade the Ukrainian prisoners, humiliating them as the Soviets did on the Red Square in 1945 with the prisoners of the Third Reich.

The international community, mainly the OSCE and the European Union – while having the awareness and the means - have not been able to foresee the war unleashed by Russia against Ukraine without any justification and to bring military operations to a halt.

THE ONLY WAY FORWARD AT THIS POINT APPEARS TO BE THE DISPATCH TO UKRAINE OF INTERNATIONAL INTERPOSITION FORCES (THE BLUE HELMETS) TO GUARANTEE THE PEACE KEEPING OPERATIONS. THEIR MISSION – IT SHOULD BE REMINDED - IS NOT OFFENSIVE, BUT IT IS NECESSARY TO ENSURE COMPLIANCE WITH THE CEASEFIRE. THE DECISION SHOULD BE TAKEN BY A QUALIFIED MAJORITY OF THE GENERAL ASSEMBLY OF THE UNITED NATIONS, GOING BEYOND THE STALEMATE TAKING PLACE WITHIN THE SECURITY COUNCIL.

This intervention was also explicitly requested by the Ukrainian Parliament, which called for the deployment of a peacekeeping mission on Ukrainian territory, launching an appeal to the United Nations for international mediation. The exceptional gravity of what has been happening since February 24 in Ukraine and Vladimir Putin's refusal to accept the start of a genuine peace negotiation now requires the adoption of exceptional measures.

This is obviously a difficult road to undertake, but the immense humanitarian tragedy must push the international community to try to take even the most difficult roads and, on this occasion, to show the world that the UN is an institution created to guarantee justice, peace, and the freedom of peoples. 

SOTTOSCRIVI LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

 

 

 

 

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L’Unione europea alla prova del suo allargamento

All’indomani della decisione del Consiglio europeo del 23-24 giugno di attribuire lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia e di rinviare l’attribuzione di tale status alla Georgia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno parlato simultaneamente di un “momento storico”.

Sono passati poco meno di venti anni da quando nel 2003 il Consiglio europeo di Salonicco sotto presidenza greca e la Commissione europea presieduta da Romano Prodi avevano elencato i paesi “vicini” che non avevano “vocazione a entrare nell’Unione europea” inserendo nell’elenco l’Ucraina, la Moldova e la Georgia oltre ad Algeria, Armenia, Autorità Palestinese, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Siria e Tunisia.

Romano Prodi aveva proposto di lavorare su un “anello degli amici” (ring of friends) all’interno di una nuova “politica di prossimità” che garantisse la stabilità e l’integrazione soprattutto nella regione euromediterranea ma anche verso l’Europa centrale e Orientale ivi compresa la Turchia, escludendo l’ipotesi della loro futura adesione all’Unione europea (Ue).

La proposta di Romano Prodi fu trasformata dal Consiglio in una più confusa “politica di vicinato”, più ambigua sul tema dell’allargamento e maggiormente spostata verso l’Europa centrale e orientale.

Qualche anno dopo, a Parigi nel 2008, il presidente francese Nicolas Sarkozy propose di abbandonare il partenariato euromediterraneo di Barcellona del 1995 per sostituirlo con l’intergovernativa “Unione per il Mediterraneo” (UpM) che non è stata in grado di prevedere le imminenti primavere arabe del 2010-2011 né di contribuire a rafforzarle per far evolvere quei paesi verso sistemi democratici coerenti con le loro radici storiche e culturali.

In quell’occasione il Movimento europeo propose di ispirarsi al modello della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), avviando con i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo una “comunità politica euromediterranea” di interessi condivisi fondata su un’area di libero scambio, una cooperazione economica, una banca ed una università euro-mediterranee, progetti di ricerca e di sviluppo tecnologico, la sostenibilità ambientale e sociale, i valori comuni del rispetto dei diritti fondamentali e delle minoranze.

Come sappiamo, l’UpM è rimasta invece allo stato di un contenitore vuoto e l’Ue ha rivolto le sue priorità quasi esclusivamente verso l’Europa centrale e l’Europa orientale nella prospettiva di un suo progressivo allargamento ad Est,

Dalle decisioni del Consiglio europeo di Salonicco nel 2003 molta acqua è passata sotto i ponti del fiume Dnipro in Ucraina: vi è stata prima la rivoluzione arancione nel 2004; poi un lungo periodo di corruzione e di ingovernabilità; quindi l’accordo di associazione fra l’Ucraina e l’Ue che il presidente ucraino Viktor Fedorovyc Janukovyc si rifiutò di firmare provocando nel 2014 la cosiddetta rivoluzione pro-europea sulla piazza Maidan (Euromaidan), a cui seguì l’occupazione della Crimea da parte della Russia; gli accordi di Minsk propiziati dalla Francia e dalla Germania ma non dall’Ue e mai rispettati sia dalla Russia che dall’Ucraina nel 2014-2015; l’elezione di Volodymyr Zelensky nel 2019; la decisione al vertice della NATO di Bruxelles nel giugno 2021 di aprirsi ad una futura adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e infine l’aggressione della Russia nella notte del 24 febbraio 2022, un’aggressione che ha violato le frontiere dell’Ucraina e contestato con la violenza la sua indipendenza che era stata proclamata nel 1991.

La guerra alle porte dell’Ue, combattuta sul terreno ma anche usando tutti gli strumenti della disinformazione e della propaganda sui social usati sia dall’aggressore che dall’aggredito, ha provocato molti sconvolgimenti all’interno dell’Ue rompendo solide alleanze come quella nata nel 1991 nel cosiddetto gruppo dei quattro di Visegrad, rovesciando la tradizionale politica tedesca della difesa nel quadro dell’Alleanza atlantica ma non dell’Ue e spingendo i paesi formalmente neutrali nell’Ue come la Finlandia e la Svezia a chiedere improvvisamente l’adesione alla NATO.

Proprio la NATO, che era stata definita da Emmanuel Macron nel 2021 in una situazione di morte cerebrale, ha subito dall’aggressione russa un elettrochoc ed è diventata di nuovo il punto di riferimento dell’Occidente in quella che era stata fino al 1989 la guerra fredda fra l’imperialismo sovietico e l’egemonia statunitense.

Nella prospettiva dell’ancora molto eventuale apertura di negoziati di pace, una delle condizioni di un ipotetico compromesso potrebbe essere la rinuncia dell’Ucraina alla domanda di adesione alla NATO, ma quest’ipotesi sembra osteggiata da Washington che avrebbe spinto Kiev ad interrompere i primi incontri fra ucraini e russi ed è apertamente negata dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg che ha invitato Volodymyr Zelensky al Vertice di Madrid alla fine del mese di giugno.

Le conclusioni – per molti inattese - del Consiglio europeo del 23-24 giugno sulla futura adesione di Ucraina e Moldavia all’Ue richiederebbero un dibattito più approfondito di quello diffuso da quasi tutta la stampa europea, che si sviluppi su quattro elementi corrispondenti ad altrettanti rischi per la resilienza dell’Ue se non saremo in grado di fornire rapidamente risposte forti e adeguate.

Il primo elemento riguarda il segnale squisitamente politico che l’Ucraina ha insistentemente chiesto e finalmente ottenuto dall’Ue sulla concessione dello status di candidato rivolto non solo all’interno dell’Ue ma anche alla sua collocazione sul continente europeo.

Se si legge con attenzione l’art. 49 del Trattato di Lisbona sull’Ue – che ha solo parzialmente modificato lo stesso articolo del Trattato di Maastricht – si deve concludere

  • che le condizioni per avviare il processo di adesione non prevedono l’attribuzione formale né da parte del Consiglio europeo né del Consiglio dello status di candidato
  • che lo Stato richiedente deve essere in condizione di rispettare i valori dell’Ue già al momento della domanda di adesione e di impegnarsi a promuoverli durante tutto il processo di adesione
  • che i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo “sono (solo) informati” sulla domanda di adesione, ma che non debbono necessariamente aprire un dibattito politico né tantomeno esprimere un accordo preliminare, essendo stata respinta l’idea avanzata nella “Convenzione sulla costituzione europea” di negoziare a monte un “trattato internazionale” da far ratificare nei paesi membri e nei paesi candidati al fine di essere oggetto di una decisione democratica incontestabile
  • che a partire da questa informativa parlamentare si aprono i negoziati per l’adesione condotti dalla Commissione europea su mandato del Consiglio, tenendo conto che il Consiglio europeo è chiamato ad approvare dei “criteri di eleggibilità” per i paesi candidati, sulla base delle condizioni dettate al Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 (democrazia, economia di mercato e capacità di integrarsi nel patrimonio della legislazione europea), e che fra questi criteri vi è anche la capacità dell’Ue di adattarsi ad una sua dimensione allargata.

Il secondo elemento riguarda le condizioni in cui si aprono le prospettive dell’allargamento all’Europa orientale, in cui si sono avviati o si avvieranno i negoziati con i Balcani occidentali e che sono stati alla base dell’ambiguità su cui sono stati fondati i negoziati per il “grande allargamento” all’Europa centrale avvenuto fra il 2004 e il 2013.

Vale la pena di ricordare che il processo di integrazione europea è nato agli inizi degli anni ’50 per superare la divisione dell’Europa in Stati-nazione in una dimensione sopranazionale e nella prospettiva di gettare le basi di una futura federazione europea.

Fin dal Trattato della CECA - e poi con i trattati di Roma che adottarono la formula più soft di una “unione sempre più stretta”, gli strumenti per realizzare gradualmente l’integrazione europea erano essenzialmente economici ma l’obiettivo era politico perché quegli accordi tra Stati pronti a rinunciare a parte delle loro sovranità avrebbero dovuto essere le prime “assise della futura federazione europea”.

Già il primo allargamento nel 1973 a Regno Unito, Irlanda e Danimarca – che fu accompagnato dal dibattito sul binomio deepening/enlarging - fu pesantemente condizionato da questa ambiguità così come lo fu l’allargamento nel 1995 ad Austria, Finlandia e Svezia perché i nuovi paesi entrarono nelle Comunità europee e poi nell’Ue per abbandonare la fallimentare area europea di libero scambio (EFTA) a favore del mercato unico al contrario della Grecia (1981), della Spagna e del Portogallo (1986)  che aderirono alle Comunità europee come segno delle ritrovate democrazia e libertà.

Come sappiamo, gli allargamenti del 1973 e del 1995, ma anche quelli verso l’Europa mediterranea, non furono preceduti né accompagnati né seguiti dall’indispensabile approfondimento verso l’unione politica che non era prevista né nell’Atto unico del 1986, né nel Trattato di Maastricht del 1992, né nel Trattato di Amsterdam del 1997.

L’ambiguità è diventata più profonda – e talvolta è stata insostenibile – con l’allargamento all’Europa centrale e rischia ora di disintegrare l’Ue con i negoziati di adesione rivolti ai Balcani occidentali e all’Europa orientale se non sarà affermato senza ambiguità il principio secondo cui l’ingresso nella famiglia europea non deve rispondere all’obiettivo rivendicato dai paesi della “nuova Europa” di costruire o di ricostruire delle nazioni (nation building o rebuilding), uscite dal giogo dell’imperialismo sovietico, ma alla scelta di una sovranità condivisa nel quadro di un’unione politica e del primato del diritto europeo.

Il terzo elemento riguarda la decisione del Consiglio europeo del 23-24 giugno di rinviare sine die il processo di revisione del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 in un momento ben diverso della storia dell’Europa e di lasciare pericolosamente nel limbo l’idea di Emmanuel Macron di una “comunità politica europea” (o la comunità geopolitica europea di Charles Michel o la Confederazione di Enrico Letta o la nuova Comunità del governo austriaco) con la conseguenza di aprire la via a nuovi allargamenti e bloccare temporaneamente la via all’approfondimento che appare invece urgente e necessario per l’autonomia strategica dell’Ue e la sua dimensione geopolitica.

A tale dimensione appartengono le priorità della dimensione euro-mediterranea e della cooperazione euro-africana che anzi ne sono un tassello essenziale.

Il Movimento europeo ha deciso di impegnarsi a riflettere e ad elaborare delle proposte sulla piattaforma di cooperazione politica al di là dell’Ue che dovrà operare durante i negoziati di adesione e forse oltre la loro conclusione, su un nuovo partenariato euro-mediterraneo ed euro-africano e sulle prospettive della pace e della sicurezza in Europa nel quadro di una Conferenza che si ispiri agli accordi di Helsinki e di Ginevra del 1975 (Helsinki-2) e che il Movimento europeo ha sollecitato come iniziativa dell’Ue in collaborazione con l’Osce e con le Nazioni Unite, una proposta ripresa e rilanciata dal presidente Sergio Mattarella nel suo intervento davanti alla Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 aprile 2022 e dal presidente del Consiglio Mario Draghi davanti al Parlamento italiano alla vigilia del Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Ricordiamo in questo quadro la petizione per l’invio di Caschi Blu in Ucraina lanciata su Change.org il 25 aprile 2022 e l’appello per la pace promosso il 20 giugno 2022 insieme al direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, ANPI, ARCI inviato alle istituzioni europee e presentato al governo italiano.

Il quarto elemento è legato all’ipocrisia che si è diffusa in tutta l’Ue secondo cui all’accelerazione dell’attribuzione dello status di candidato all’Ucraina (e alla Moldova) dovrà far seguito un’accelerazione delle procedure di adesione, accantonando tutti i principi che sono posti alla base dell’appartenenza all’Ue e creando un’acuta tensione con i paesi candidati o candidati all’adesione nei Balcani occidentali così come forti contrasti sono immediatamente emersi in Georgia fra la società civile pro-europea e il governo accusato di aver fatto fallire la domanda di adesione..

È indispensabile che le istituzioni europee chiariscano alle opinioni pubbliche dei paesi membri, dei paesi candidati e dei paesi candidati alla candidatura che essi saranno più forti in una Ue più forte, che essi saranno deboli in una Ue indebolita dal conflitto fra apparenti interessi nazionali e che gli Stati ed i popoli che vorranno rafforzare la dimensione sovranazionale dell’Ue  saranno pronti a percorrere strade giuridicamente e politicamente innovative per superare l’ostilità dei difensori delle sovranità assolute dentro e fuori l’Ue.

L’occasione di questa nuova fase dell’ampliamento dell’Ue verso i Balcani occidentali e l’Europa orientale sarà preziosa e rappresenterà un “momento storico” solo se sarà colta per aprire il cantiere europeo chiuso frettolosamente con il Trattato di Lisbona, rafforzare le competenze europee nelle politiche che richiedono azioni e decisioni europee, ribadire il primato del diritto europeo laddove è stato riconosciuto all’Ue il potere di agire, abbandonare la dimensione confederale nella politica estera e della sicurezza, rilanciare la dimensione euro-mediterranea e euro-africana, promuovere i diritti fondamentali senza discriminazione, riformare il sistema politico dell’Ue in una logica federale,

Il Movimento europeo è pronto a contribuire alla mobilitazione delle cittadine e dei cittadini europei rilanciando la piattaforma digitale sul futuro dell’Europa troppo frettolosamente chiusa dalla Commissione europea, facilitando l’organizzazione di panel transnazionali attraverso il ruolo dei poteri locali e regionali, promuovendo un “congresso d’Europanel maggio 2023 ad un anno dalle elezioni europee e in occasione del settantacinquesimo anniversario del Congresso d’Europa che fu organizzato all’Aja nel 1948 .

A fronte dell’ipotesi giuridicamente infondata di un ricorso “in carenza” del Parlamento europeo contro il Consiglio europeo, “reo” della mancata decisione di convocare una convenzione per modificare il Trattato di Lisbona (sapendo che l’art. 48 non prevede termini di tempo per questa decisione), l’Assemblea dovrà promuovere una grande campagna pan-europea di dialogo e di dibattito con la società civile ed i parlamenti nazionali e mantenere aperto il dinamismo innovatore della democrazia partecipativa nella Conferenza sul futuro dell’Europa creando le condizioni politiche e democratiche per trasformare le elezioni europee nel maggio 2024 nel primo atto di un processo costituente.

Bruxelles-Roma, 28 giugno 2022

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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- Petizione per l'invio dei Caschi Blu in Ucraina

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 L'EDITORIALE

L’Unione europea alla prova del suo allargamento

All’indomani della decisione del Consiglio europeo del 23-24 giugno di attribuire lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldavia e di rinviare l’attribuzione di tale status alla Georgia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno parlato simultaneamente di un “momento storico”.

Sono passati poco meno di venti anni da quando nel 2003 il Consiglio europeo di Salonicco sotto presidenza greca e la Commissione europea presieduta da Romano Prodi avevano elencato i paesi “vicini” che non avevano “vocazione a entrare nell’Unione europea” inserendo nell’elenco l’Ucraina, la Moldova e la Georgia oltre ad Algeria, Armenia, Autorità Palestinese, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Siria e Tunisia.

Romano Prodi aveva proposto di lavorare su un “anello degli amici” (ring of friends) all’interno di una nuova “politica di prossimità” che garantisse la stabilità e l’integrazione soprattutto nella regione euromediterranea ma anche verso l’Europa centrale e Orientale ivi compresa la Turchia, escludendo l’ipotesi della loro futura adesione all’Unione europea (Ue).

La proposta di Romano Prodi fu trasformata dal Consiglio in una più confusa “politica di vicinato”, più ambigua sul tema dell’allargamento e maggiormente spostata verso l’Europa centrale e orientale.

Qualche anno dopo, a Parigi nel 2008, il presidente francese Nicolas Sarkozy propose di abbandonare il partenariato euromediterraneo di Barcellona del 1995 per sostituirlo con l’intergovernativa “Unione per il Mediterraneo” (UpM) che non è stata in grado di prevedere le imminenti primavere arabe del 2010-2011 né di contribuire a rafforzarle per far evolvere quei paesi verso sistemi democratici coerenti con le loro radici storiche e culturali.

In quell’occasione il Movimento europeo propose di ispirarsi al modello della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), avviando con i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo una “comunità politica euromediterranea” di interessi condivisi fondata su un’area di libero scambio, una cooperazione economica, una banca ed una università euro-mediterranee, progetti di ricerca e di sviluppo tecnologico, la sostenibilità ambientale e sociale, i valori comuni del rispetto dei diritti fondamentali e delle minoranze.

Come sappiamo, l’UpM è rimasta invece allo stato di un contenitore vuoto e l’Ue ha rivolto le sue priorità quasi esclusivamente verso l’Europa centrale e l’Europa orientale nella prospettiva di un suo progressivo allargamento ad Est,

Dalle decisioni del Consiglio europeo di Salonicco nel 2003 molta acqua è passata sotto i ponti del fiume Dnipro in Ucraina: vi è stata prima la rivoluzione arancione nel 2004; poi un lungo periodo di corruzione e di ingovernabilità; quindi l’accordo di associazione fra l’Ucraina e l’Ue che il presidente ucraino Viktor Fedorovyc Janukovyc si rifiutò di firmare provocando nel 2014 la cosiddetta rivoluzione pro-europea sulla piazza Maidan (Euromaidan), a cui seguì l’occupazione della Crimea da parte della Russia; gli accordi di Minsk propiziati dalla Francia e dalla Germania ma non dall’Ue e mai rispettati sia dalla Russia che dall’Ucraina nel 2014-2015; l’elezione di Volodymyr Zelensky nel 2019; la decisione al vertice della NATO di Bruxelles nel giugno 2021 di aprirsi ad una futura adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica e infine l’aggressione della Russia nella notte del 24 febbraio 2022, un’aggressione che ha violato le frontiere dell’Ucraina e contestato con la violenza la sua indipendenza che era stata proclamata nel 1991.

La guerra alle porte dell’Ue, combattuta sul terreno ma anche usando tutti gli strumenti della disinformazione e della propaganda sui social usati sia dall’aggressore che dall’aggredito, ha provocato molti sconvolgimenti all’interno dell’Ue rompendo solide alleanze come quella nata nel 1991 nel cosiddetto gruppo dei quattro di Visegrad, rovesciando la tradizionale politica tedesca della difesa nel quadro dell’Alleanza atlantica ma non dell’Ue e spingendo i paesi formalmente neutrali nell’Ue come la Finlandia e la Svezia a chiedere improvvisamente l’adesione alla NATO.

Proprio la NATO, che era stata definita da Emmanuel Macron nel 2021 in una situazione di morte cerebrale, ha subito dall’aggressione russa un elettrochoc ed è diventata di nuovo il punto di riferimento dell’Occidente in quella che era stata fino al 1989 la guerra fredda fra l’imperialismo sovietico e l’egemonia statunitense.

Nella prospettiva dell’ancora molto eventuale apertura di negoziati di pace, una delle condizioni di un ipotetico compromesso potrebbe essere la rinuncia dell’Ucraina alla domanda di adesione alla NATO, ma quest’ipotesi sembra osteggiata da Washington che avrebbe spinto Kiev ad interrompere i primi incontri fra ucraini e russi ed è apertamente negata dal segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg che ha invitato Volodymyr Zelensky al Vertice di Madrid alla fine del mese di giugno.

Le conclusioni – per molti inattese - del Consiglio europeo del 23-24 giugno sulla futura adesione di Ucraina e Moldavia all’Ue richiederebbero un dibattito più approfondito di quello diffuso da quasi tutta la stampa europea, che si sviluppi su quattro elementi corrispondenti ad altrettanti rischi per la resilienza dell’Ue se non saremo in grado di fornire rapidamente risposte forti e adeguate.

Il primo elemento riguarda il segnale squisitamente politico che l’Ucraina ha insistentemente chiesto e finalmente ottenuto dall’Ue sulla concessione dello status di candidato rivolto non solo all’interno dell’Ue ma anche alla sua collocazione sul continente europeo.

Se si legge con attenzione l’art. 49 del Trattato di Lisbona sull’Ue – che ha solo parzialmente modificato lo stesso articolo del Trattato di Maastricht – si deve concludere

  • che le condizioni per avviare il processo di adesione non prevedono l’attribuzione formale né da parte del Consiglio europeo né del Consiglio dello status di candidato
  • che lo Stato richiedente deve essere in condizione di rispettare i valori dell’Ue già al momento della domanda di adesione e di impegnarsi a promuoverli durante tutto il processo di adesione
  • che i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo “sono (solo) informati” sulla domanda di adesione, ma che non debbono necessariamente aprire un dibattito politico né tantomeno esprimere un accordo preliminare, essendo stata respinta l’idea avanzata nella “Convenzione sulla costituzione europea” di negoziare a monte un “trattato internazionale” da far ratificare nei paesi membri e nei paesi candidati al fine di essere oggetto di una decisione democratica incontestabile
  • che a partire da questa informativa parlamentare si aprono i negoziati per l’adesione condotti dalla Commissione europea su mandato del Consiglio, tenendo conto che il Consiglio europeo è chiamato ad approvare dei “criteri di eleggibilità” per i paesi candidati, sulla base delle condizioni dettate al Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 (democrazia, economia di mercato e capacità di integrarsi nel patrimonio della legislazione europea), e che fra questi criteri vi è anche la capacità dell’Ue di adattarsi ad una sua dimensione allargata.

Il secondo elemento riguarda le condizioni in cui si aprono le prospettive dell’allargamento all’Europa orientale, in cui si sono avviati o si avvieranno i negoziati con i Balcani occidentali e che sono stati alla base dell’ambiguità su cui sono stati fondati i negoziati per il “grande allargamento” all’Europa centrale avvenuto fra il 2004 e il 2013.

Vale la pena di ricordare che il processo di integrazione europea è nato agli inizi degli anni ’50 per superare la divisione dell’Europa in Stati-nazione in una dimensione sopranazionale e nella prospettiva di gettare le basi di una futura federazione europea.

Fin dal Trattato della CECA - e poi con i trattati di Roma che adottarono la formula più soft di una “unione sempre più stretta”, gli strumenti per realizzare gradualmente l’integrazione europea erano essenzialmente economici ma l’obiettivo era politico perché quegli accordi tra Stati pronti a rinunciare a parte delle loro sovranità avrebbero dovuto essere le prime “assise della futura federazione europea”.

Già il primo allargamento nel 1973 a Regno Unito, Irlanda e Danimarca – che fu accompagnato dal dibattito sul binomio deepening/enlarging - fu pesantemente condizionato da questa ambiguità così come lo fu l’allargamento nel 1995 ad Austria, Finlandia e Svezia perché i nuovi paesi entrarono nelle Comunità europee e poi nell’Ue per abbandonare la fallimentare area europea di libero scambio (EFTA) a favore del mercato unico al contrario della Grecia (1981), della Spagna e del Portogallo (1986)  che aderirono alle Comunità europee come segno delle ritrovate democrazia e libertà.

Come sappiamo, gli allargamenti del 1973 e del 1995, ma anche quelli verso l’Europa mediterranea, non furono preceduti né accompagnati né seguiti dall’indispensabile approfondimento verso l’unione politica che non era prevista né nell’Atto unico del 1986, né nel Trattato di Maastricht del 1992, né nel Trattato di Amsterdam del 1997.

L’ambiguità è diventata più profonda – e talvolta è stata insostenibile – con l’allargamento all’Europa centrale e rischia ora di disintegrare l’Ue con i negoziati di adesione rivolti ai Balcani occidentali e all’Europa orientale se non sarà affermato senza ambiguità il principio secondo cui l’ingresso nella famiglia europea non deve rispondere all’obiettivo rivendicato dai paesi della “nuova Europa” di costruire o di ricostruire delle nazioni (nation building o rebuilding), uscite dal giogo dell’imperialismo sovietico, ma alla scelta di una sovranità condivisa nel quadro di un’unione politica e del primato del diritto europeo.

Il terzo elemento riguarda la decisione del Consiglio europeo del 23-24 giugno di rinviare sine die il processo di revisione del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 in un momento ben diverso della storia dell’Europa e di lasciare pericolosamente nel limbo l’idea di Emmanuel Macron di una “comunità politica europea” (o la comunità geopolitica europea di Charles Michel o la Confederazione di Enrico Letta o la nuova Comunità del governo austriaco) con la conseguenza di aprire la via a nuovi allargamenti e bloccare temporaneamente la via all’approfondimento che appare invece urgente e necessario per l’autonomia strategica dell’Ue e la sua dimensione geopolitica.

A tale dimensione appartengono le priorità della dimensione euro-mediterranea e della cooperazione euro-africana che anzi ne sono un tassello essenziale.

Il Movimento europeo ha deciso di impegnarsi a riflettere e ad elaborare delle proposte sulla piattaforma di cooperazione politica al di là dell’Ue che dovrà operare durante i negoziati di adesione e forse oltre la loro conclusione, su un nuovo partenariato euro-mediterraneo ed euro-africano e sulle prospettive della pace e della sicurezza in Europa nel quadro di una Conferenza che si ispiri agli accordi di Helsinki e di Ginevra del 1975 (Helsinki-2) e che il Movimento europeo ha sollecitato come iniziativa dell’Ue in collaborazione con l’Osce e con le Nazioni Unite, una proposta ripresa e rilanciata dal presidente Sergio Mattarella nel suo intervento davanti alla Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 aprile 2022 e dal presidente del Consiglio Mario Draghi davanti al Parlamento italiano alla vigilia del Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Ricordiamo in questo quadro la petizione per l’invio di Caschi Blu in Ucraina lanciata su Change.org il 25 aprile 2022 e l’appello per la pace promosso il 20 giugno 2022 insieme al direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, ANPI, ARCI inviato alle istituzioni europee e presentato al governo italiano.

Il quarto elemento è legato all’ipocrisia che si è diffusa in tutta l’Ue secondo cui all’accelerazione dell’attribuzione dello status di candidato all’Ucraina (e alla Moldova) dovrà far seguito un’accelerazione delle procedure di adesione, accantonando tutti i principi che sono posti alla base dell’appartenenza all’Ue e creando un’acuta tensione con i paesi candidati o candidati all’adesione nei Balcani occidentali così come forti contrasti sono immediatamente emersi in Georgia fra la società civile pro-europea e il governo accusato di aver fatto fallire la domanda di adesione..

È indispensabile che le istituzioni europee chiariscano alle opinioni pubbliche dei paesi membri, dei paesi candidati e dei paesi candidati alla candidatura che essi saranno più forti in una Ue più forte, che essi saranno deboli in una Ue indebolita dal conflitto fra apparenti interessi nazionali e che gli Stati ed i popoli che vorranno rafforzare la dimensione sovranazionale dell’Ue  saranno pronti a percorrere strade giuridicamente e politicamente innovative per superare l’ostilità dei difensori delle sovranità assolute dentro e fuori l’Ue.

L’occasione di questa nuova fase dell’ampliamento dell’Ue verso i Balcani occidentali e l’Europa orientale sarà preziosa e rappresenterà un “momento storico” solo se sarà colta per aprire il cantiere europeo chiuso frettolosamente con il Trattato di Lisbona, rafforzare le competenze europee nelle politiche che richiedono azioni e decisioni europee, ribadire il primato del diritto europeo laddove è stato riconosciuto all’Ue il potere di agire, abbandonare la dimensione confederale nella politica estera e della sicurezza, rilanciare la dimensione euro-mediterranea e euro-africana, promuovere i diritti fondamentali senza discriminazione, riformare il sistema politico dell’Ue in una logica federale,

Il Movimento europeo è pronto a contribuire alla mobilitazione delle cittadine e dei cittadini europei rilanciando la piattaforma digitale sul futuro dell’Europa troppo frettolosamente chiusa dalla Commissione europea, facilitando l’organizzazione di panel transnazionali attraverso il ruolo dei poteri locali e regionali, promuovendo un “congresso d’Europanel maggio 2023 ad un anno dalle elezioni europee e in occasione del settantacinquesimo anniversario del Congresso d’Europa che fu organizzato all’Aja nel 1948 .

A fronte dell’ipotesi giuridicamente infondata di un ricorso “in carenza” del Parlamento europeo contro il Consiglio europeo, “reo” della mancata decisione di convocare una convenzione per modificare il Trattato di Lisbona (sapendo che l’art. 48 non prevede termini di tempo per questa decisione), l’Assemblea dovrà promuovere una grande campagna pan-europea di dialogo e di dibattito con la società civile ed i parlamenti nazionali e mantenere aperto il dinamismo innovatore della democrazia partecipativa nella Conferenza sul futuro dell’Europa creando le condizioni politiche e democratiche per trasformare le elezioni europee nel maggio 2024 nel primo atto di un processo costituente.

Bruxelles-Roma, 28 giugno 2022

coccodrillo

 

 

 

 


PETIZIONE PER L'INVIO DEI CASCHI BLU IN UCRAINA

Petizione per l’invio di Forze internazionali di interposizione in Ucraina

affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato sulla pace e la sicurezza

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha finalmente chiesto un immediato e temporaneo “cessate il fuoco” in Ucraina dopo sessanta giorni in cui hanno parlato solo le armi.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha già approvato nel 1950 la Risoluzione 377A (Uniting for peace) che autorizza la stessa Assemblea Generale a adottare – a maggioranza qualificata – le misure di peace keeping. Su questa base, quindi, sia i paesi membri dell’Unione Europea che gli Stati che si sono astenuti sulle risoluzioni di condanna della Russia potrebbero chiedere la convocazione di una nuova Assemblea Generale Straordinaria che sostenga l’urgenza di una tregua immediata e che autorizzi l’invio in Ucraina delle Forze Internazionali di pace per garantirla.  

I promotori della petizione sollecitano l’attivazione dello Statuto delle Nazioni Unite, in particolare il suo Capitolo VII che autorizza l’Assemblea Generale a decidere misure di peace keeping per il tramite delle “Forze internazionali di pace” (i cosiddetti Caschi Blu) costituite in base al documento “United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines” affinché sia garantito il rispetto del “cessate il fuoco”.

Fra i diritti essenziali o meglio come fondamento dei diritti essenziali la Carta delle Nazioni Unite del 1945, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966 hanno posto nei rispettivi preamboli il principio della dignità umana.

Fra i crimini che l’armata russa sta compiendo e si prepara a perpetuare in Ucraina vi è il disprezzo della dignità umana su donne, minori e uomini, su tutta la popolazione civile.

La comunità internazionale e con essa l’OSCE e l’Unione europea non sono stati in grado, pur avendone la consapevolezza ed i mezzi, di prevedere la guerra scatenata senza giustificazione alcuna dalla Russia contro l’Ucraina e di far interrompere le operazioni militari.

L’UNICA STRADA A TALE PUNTO PERCORRIBILE APPARE L’INVIO IN UCRAINA - SU DECISIONE A MAGGIORANZA QUALIFICATA DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE DELLE FORZE DI INTERPOSIZIONE (I CASCHI BLU) PREVISTE PER GARANTIRE LE OPERAZIONI DI PEACE KEEPING LA CUI MISSIONE – È BENE RICORDARLO - NON È OFFENSIVA MA È NECESSARIA PER GARANTIRE IL RISPETTO DELLA DECISIONE DI FAR TACERE LE ARMI.

La gravità eccezionale di quel che sta avvenendo dal 24 febbraio in Ucraina e il rifiuto di Vladimir Putin, in primo luogo, di accettare l’avvio di un vero negoziato di pace esige ormai l’uso di strumenti eccezionali. Si tratta di una strada evidentemente difficile, ma l’immane tragedia umanitaria deve spingere la comunità internazionale a tentare di intraprendere anche le strade più impervie e con l’occasione dimostrare al mondo l’immagine che l’ONU è una Istituzione creata a garanzia della giustizia e della libertà dei popoli. 

**********

Petition for the deployment of International Intervention Forces in Ukraine

to lay down arms and let negotiations on peace and security begin

The Secretary-General of the United Nations, Antonio Guterres, has finally called for an immediate and temporary "ceasefire" in Ukraine after sixty days of armed violence.

The General Assembly of the United Nations already approved Resolution 377a (Uniting for peace) in 1950, which authorizes the General Assembly to adopt – by qualified majority – the measures of peace keeping. Therefore, both the member countries of the European Union and the States that abstained on the resolutions condemning Russia could request the convening of a new Extraordinary General Assembly. Said Assembly could support the urgency of an immediate truce and authorize sending International Peace Forces to Ukraine to guarantee it.

The signatories of this petition urge the activation of the United Nations Statute, in particular its Chapter VII which authorizes the General Assembly to decide on peace keeping measures through the "International Peace Forces" (the so-called Blue Helmets) established since the document "United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines" to ensure compliance with the "ceasefire".

Among the essential rights, or as the basis of essential rights, the Charter of the United Nations of 1945, the Universal Declaration of Human Rights of 1948 and the United Nations Covenants on Civil, Political, Economic, Social and Cultural Rights of 1966 have placed the principle of human dignity, mentioned in their respective preambles.

The contempt for human dignity regarding women, minors, men, and the whole civilian population, is just one of the heinous crimes committed by the Russian army. Content could reach its peak if the Moscow autocrat decided to parade the Ukrainian prisoners, humiliating them as the Soviets did on the Red Square in 1945 with the prisoners of the Third Reich.

The international community, mainly the OSCE and the European Union – while having the awareness and the means - have not been able to foresee the war unleashed by Russia against Ukraine without any justification and to bring military operations to a halt.

THE ONLY WAY FORWARD AT THIS POINT APPEARS TO BE THE DISPATCH TO UKRAINE OF INTERNATIONAL INTERPOSITION FORCES (THE BLUE HELMETS) TO GUARANTEE THE PEACE KEEPING OPERATIONS. THEIR MISSION – IT SHOULD BE REMINDED - IS NOT OFFENSIVE, BUT IT IS NECESSARY TO ENSURE COMPLIANCE WITH THE CEASEFIRE. THE DECISION SHOULD BE TAKEN BY A QUALIFIED MAJORITY OF THE GENERAL ASSEMBLY OF THE UNITED NATIONS, GOING BEYOND THE STALEMATE TAKING PLACE WITHIN THE SECURITY COUNCIL.

This intervention was also explicitly requested by the Ukrainian Parliament, which called for the deployment of a peacekeeping mission on Ukrainian territory, launching an appeal to the United Nations for international mediation. The exceptional gravity of what has been happening since February 24 in Ukraine and Vladimir Putin's refusal to accept the start of a genuine peace negotiation now requires the adoption of exceptional measures.

This is obviously a difficult road to undertake, but the immense humanitarian tragedy must push the international community to try to take even the most difficult roads and, on this occasion, to show the world that the UN is an institution created to guarantee justice, peace, and the freedom of peoples. 

SOTTOSCRIVI LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

 

 


IN EVIDENZA

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

  • 26-30 giugno 2022, Ventotene. «La “nuova” Unione del Next Generation EU e le riforme per il futuro dell’Europa e del Mezzogiorno». IV edizione della Summer School organizzata dall’Associazione Per l’Europa di Ventotene. Quattro giorni di seminari, incontri e lezioni, durante i quali ricercatori, politici e studiosi parleranno di Next generation EU, del futuro dell'Europa e del Mezzogiorno. PROGRAMMA.
  • 29 giugno 2022, online. Tavola rotonda “Enhancing European Democracy: Next Steps Following the CoFoE” promossa da Union of European Federalists. Durante l’incontro si affronterà l'importante questione di quali passi si dovranno seguire per garantire che la Conferenza sul Futuro dell’Europa come esercizio democratico di partecipazione dei cittadini abbia successo. PROGRAMMA e REGISTRAZIONE.
  • 30 giugno 2022, Parigi, ore 9:00-17:30. HIGH LEVEL CONFERENCE CIVIL SOCIETY AND THE FUTURE OF EUROPE. Come processo di follow-up della Convenzione e della Conferenza del futuro dell'Europa, Civil Society Europe, il French Social Economic and Environmental Council e il Mouvement Associatif promuovono una Conferenza ad alto livello sulla società civile e il futuro dell'Europa che sarà organizzata sotto gli auspici della Presidenza francese dell'Unione europea. L'evento mira a fare il punto sulle conclusioni della Conferenza sul futuro dell'Europa dal punto di vista della società civile e esamina il ruolo delle organizzazioni della società civile e lo sviluppo di meccanismi concreti nel loro follow-up. ULTERIORI INFORMAZIONI E PROGRAMMA.
  • 30 giugno 2022, Roma, ore 10:00-18:00. Camera dei Deputati, Sala del Refettorio. Convegno "La nuova Europa federale per unire gli Stati e i popoli per costruire la pace globale". Promosso da AICCRE Puglia, MFE Puglia, Europe Direct Puglia, Centro di Documentazione Europea Università degli Studi di Bari Aldo Moro, AITEF, AEM - Associazione Europa Mediterraneo, Comitato per la Qualità della Vita. PROGRAMMA. Per seguire l'evento online cliccare sul seguente link: https://cdd.webex.com/join/vdc.refettorio
  • 12 luglio 2022, ore 16:00-18:15. Webinar “Transformation” to “Regenerate the Planet and Regenerate Europe” promosso da Movimento Europeo-Italia e think tank The-EPE. Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, sono state avanzate proposte come "Confederazione europea" o "Comunità politica europea". Con gli impegni presi, si tratterebbe di un nuovo livello di coordinamento, un'"Europa almeno a 36": UE 27 + Ucraina, Georgia e Moldova, Serbia, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo. Potrebbe essere aperto a candidati non UE ed ex membri dell'UE. Il webinar del 12 giugno esplorerà quella che sarebbe la "nuova architettura" dell'Europa con un Consiglio d'Europa sui valori, una Confederazione Europea/Comunità Politica sui partenariati, un'Unione Europea e come potrebbe contribuire a rigenerare l'Europa, il Pianeta e una Società di Fiducia. Il primo panel si svolgerà in francese-italiano con traduzione simultanea. Il secondo è terzo panel si terrà solamente in lingua inglese.  PROGRAMMA. Per partecipare, registrarsi al link: https://forms.gle/T2z7qTUbtyfqGKmUA

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


 AGENDA EUROPEA

27 June - 3 July 2022

Monday 27 June

Tuesday 28 June

Wednesday 29 June

Thursday 30 June

Friday 1 July

Saturday 2 July

Sunday 3 July

 

 

 


L'ABC DELL'EUROPA DI VENTOTENE
PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO

Federalismo - L'ABC dell'Europa di Ventotene

Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, seconda edizione, licenza Creative Commons).

Federalismo di Lucio Levi

Nel significato più diffuso, ma riduttivo, il federalismo è un modo di organizzare il potere politico. C’è un significato più ampio secondo il quale federalismo indica una ideologia o un progetto politico, cioè una visione della politica simile al liberalismo o al socialismo. In questa prospettiva, si può affermare che il federalismo non è riducibile a una formula organizzativa, ma è un pensiero che pretende di dare una propria risposta ai problemi dei valori, della società e del corso della storia.

La Federazione
Il termine federalismo deriva dal latino foedus, che significa patto. Una Costituzione federale è infatti un patto con il quale due o più Stati si uniscono sotto l’autorità di un governo federale, che assicura la pace e la soluzione dei conflitti internazionali sulla base del diritto invece che della forza. Esistono due forme di unione tra Stati: la Federazione e la Confederazione. La formazione degli Stati Uniti d’America illustra in modo esemplare l’evoluzione di una unione di Stati dalla forma confederale a quella federale. Le colonie inglesi della fascia atlantica dell’America del Nord, divenute nel 1776 dopo la rivoluzione americana tredici repubbliche indipendenti, costituirono un’organizzazione internazionale, regolata dagli Articoli di Confederazione, che non limitava la sovranità degli Stati. La Confederazione non aveva un potere indipendente dagli Stati dell’unione, ma dipendeva da questi ultimi. Gli Stati avevano un potere superiore a quello della loro unione e le decisioni di quest’ultima avevano il valore di raccomandazioni che gli Stati osservavano a loro discrezione. Solo nel 1787 la Convenzione di Filadelfia riformò la Confederazione e diede vita al primo esempio di patto federale tra Stati sovrani, che segna la nascita di una nuova forma di Stato, appunto la Federazione.

Continua su: https://www.peacelink.it/europace/a/49061.html

 

 


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