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Petizione per l’invio di Forze internazionali di interposizione in Ucraina

affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato sulla pace e la sicurezza

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha finalmente chiesto un immediato e temporaneo “cessate il fuoco” in Ucraina dopo sessanta giorni in cui hanno parlato solo le armi.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha già approvato nel 1950 la Risoluzione 377A (Uniting for peace) che autorizza la stessa Assemblea Generale a adottare – a maggioranza qualificata – le misure di peace keeping. Su questa base, quindi, sia i paesi membri dell’Unione Europea che gli Stati che si sono astenuti sulle risoluzioni di condanna della Russia potrebbero chiedere la convocazione di una nuova Assemblea Generale Straordinaria che sostenga l’urgenza di una tregua immediata e che autorizzi l’invio in Ucraina delle Forze Internazionali di pace per garantirla.  

I promotori della petizione sollecitano l’attivazione dello Statuto delle Nazioni Unite, in particolare il suo Capitolo VII che autorizza l’Assemblea Generale a decidere misure di peace keeping per il tramite delle “Forze internazionali di pace” (i cosiddetti Caschi Blu) costituite in base al documento “United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines” affinché sia garantito il rispetto del “cessate il fuoco”.

Fra i diritti essenziali o meglio come fondamento dei diritti essenziali la Carta delle Nazioni Unite del 1945, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966 hanno posto nei rispettivi preamboli il principio della dignità umana.

Fra i crimini che l’armata russa sta compiendo e si prepara a perpetuare in Ucraina vi è il disprezzo della dignità umana su donne, minori e uomini, su tutta la popolazione civile.

La comunità internazionale e con essa l’OSCE e l’Unione europea non sono stati in grado, pur avendone la consapevolezza ed i mezzi, di prevedere la guerra scatenata senza giustificazione alcuna dalla Russia contro l’Ucraina e di far interrompere le operazioni militari.

L’UNICA STRADA A TALE PUNTO PERCORRIBILE APPARE L’INVIO IN UCRAINA - SU DECISIONE A MAGGIORANZA QUALIFICATA DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE DELLE FORZE DI INTERPOSIZIONE (I CASCHI BLU) PREVISTE PER GARANTIRE LE OPERAZIONI DI PEACE KEEPING LA CUI MISSIONE – È BENE RICORDARLO - NON È OFFENSIVA MA È NECESSARIA PER GARANTIRE IL RISPETTO DELLA DECISIONE DI FAR TACERE LE ARMI.

La gravità eccezionale di quel che sta avvenendo dal 24 febbraio in Ucraina e il rifiuto di Vladimir Putin, in primo luogo, di accettare l’avvio di un vero negoziato di pace esige ormai l’uso di strumenti eccezionali. Si tratta di una strada evidentemente difficile, ma l’immane tragedia umanitaria deve spingere la comunità internazionale a tentare di intraprendere anche le strade più impervie e con l’occasione dimostrare al mondo l’immagine che l’ONU è una Istituzione creata a garanzia della giustizia e della libertà dei popoli. 

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Petition for the deployment of International Intervention Forces in Ukraine

to lay down arms and let negotiations on peace and security begin

The Secretary-General of the United Nations, Antonio Guterres, has finally called for an immediate and temporary "ceasefire" in Ukraine after sixty days of armed violence.

The General Assembly of the United Nations already approved Resolution 377a (Uniting for peace) in 1950, which authorizes the General Assembly to adopt – by qualified majority – the measures of peace keeping. Therefore, both the member countries of the European Union and the States that abstained on the resolutions condemning Russia could request the convening of a new Extraordinary General Assembly. Said Assembly could support the urgency of an immediate truce and authorize sending International Peace Forces to Ukraine to guarantee it.

The signatories of this petition urge the activation of the United Nations Statute, in particular its Chapter VII which authorizes the General Assembly to decide on peace keeping measures through the "International Peace Forces" (the so-called Blue Helmets) established since the document "United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines" to ensure compliance with the "ceasefire".

Among the essential rights, or as the basis of essential rights, the Charter of the United Nations of 1945, the Universal Declaration of Human Rights of 1948 and the United Nations Covenants on Civil, Political, Economic, Social and Cultural Rights of 1966 have placed the principle of human dignity, mentioned in their respective preambles.

The contempt for human dignity regarding women, minors, men, and the whole civilian population, is just one of the heinous crimes committed by the Russian army. Content could reach its peak if the Moscow autocrat decided to parade the Ukrainian prisoners, humiliating them as the Soviets did on the Red Square in 1945 with the prisoners of the Third Reich.

The international community, mainly the OSCE and the European Union – while having the awareness and the means - have not been able to foresee the war unleashed by Russia against Ukraine without any justification and to bring military operations to a halt.

THE ONLY WAY FORWARD AT THIS POINT APPEARS TO BE THE DISPATCH TO UKRAINE OF INTERNATIONAL INTERPOSITION FORCES (THE BLUE HELMETS) TO GUARANTEE THE PEACE KEEPING OPERATIONS. THEIR MISSION – IT SHOULD BE REMINDED - IS NOT OFFENSIVE, BUT IT IS NECESSARY TO ENSURE COMPLIANCE WITH THE CEASEFIRE. THE DECISION SHOULD BE TAKEN BY A QUALIFIED MAJORITY OF THE GENERAL ASSEMBLY OF THE UNITED NATIONS, GOING BEYOND THE STALEMATE TAKING PLACE WITHIN THE SECURITY COUNCIL.

This intervention was also explicitly requested by the Ukrainian Parliament, which called for the deployment of a peacekeeping mission on Ukrainian territory, launching an appeal to the United Nations for international mediation. The exceptional gravity of what has been happening since February 24 in Ukraine and Vladimir Putin's refusal to accept the start of a genuine peace negotiation now requires the adoption of exceptional measures.

This is obviously a difficult road to undertake, but the immense humanitarian tragedy must push the international community to try to take even the most difficult roads and, on this occasion, to show the world that the UN is an institution created to guarantee justice, peace, and the freedom of peoples. 

SOTTOSCRIVI LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

 

 

 

 

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Gli strumenti giusti per affrontare una nuova forma di guerra

La pandemia ha inferto un duro colpo all’economia europea, a cui l’Unione ha reagito decidendo un programma di interventi finanziari senza precedenti: il NexgenerationEU e al tempo stesso congelando il patto di stabilità per permettere ai singoli Stati interventi mirati di sostegno all’economia nazionale e di riflesso europea. In quella occasione gli Stati europei hanno saputo dimostrare una prova di grande solidarietà e unità.

L’invasione della Russia all’Ucraina ha di nuovo messo alla prova l’unità e la solidarietà dell’Unione che ha deciso di schierarsi accanto all’Ucraina in difesa dei principi democratici europei, prendendo una serie di decisioni con le quali sono stati previsti aiuti militari, finanziari ed umanitari all’Ucraina e sanzioni economico-finanziarie alla Russia, con l’obiettivo di riportare il prima possibile i due Paesi ad un tavolo negoziale di pace.

In questa occasione, come nella precedente, è stata palese la necessità di essere compatti, di doversi difendere e sostenere non solo economicamente ma anche militarmente i nostri più profondi principi democratici grazie ai quali siamo potuti vivere per oltre 70 anni in un mondo libero e democratico.

Schierandoci a sostegno dell’Ucraina, anche se per nostra fortuna non abbiamo avuto vittime sul campo di battaglia, abbiamo però di fatto iniziato una guerra atipica che ha innescato un periodo di turbolenze economiche, finanziarie e sociali, che si prevede durerà a lungo e che già sta incidendo sul sistema economico in cui siamo sino ad oggi vissuti, cambiandolo in modo radicale.

Le sanzioni e le contro-sanzioni hanno infatti causato un brusco e consistente aumento dei prezzi dei prodotti derivanti da combustibili fossili, allargandosi anche ai prodotti manifatturieri e al costo dei servizi.

L’inflazione, fino a poco fa apparentemente inesistente e comunque sotto controllo, ha improvvisamente raggiunto livelli molto preoccupanti che hanno indotto la Banca Centrale Europea (BCE) ad intervenire dapprima con uno stop al quantitavive easing, quindi all’annuncio di un prossimo aumento dei tassi di interesse e infine con uno scudo finanziario per sostenere i paesi più colpiti da questa politica monetaria forzatamente più restrittiva. Difronte ai due primi strumenti i mercati hanno subito reagito facendo crollare il valore dei titoli di alcuni Stati maggiormente indebitati e facendo conseguentemente aumentare in modo pericoloso lo spread tra questi ed i bund tedeschi.

Dal momento che questa situazione sarebbe potuta diventare esplosiva non solo per i paesi con alto debito pubblico ma per l’intera eurozona, la BCE ha annunciato di voler anticipare la presentazione dello scudo in concomitanza con il primo rialzo dei tassi d’interesse previsto per il prossimo luglio.

Scopo di questo nuovo strumento sarà infatti quello di evitare la frammentazione dei mercati ed il peggioramento degli effetti inflattivi sugli stessi, in un momento in cui si è in presenza di alcune variabili per nulla rassicuranti, quali: la situazione geopolitica in Europa e la decisone di appoggiare l’Ucraina finchè questa riterrà necessario combattere contro il suo invasore; l’aumento dei prezzi di materie prime non solo petrolifere ma anche di quelle necessarie al settore alimentare; l’incertezza nelle catene di approvvigionamento di materie  prime e beni dalla Russia ma anche da altri paesi, soprattutto per quei prodotti necessari per attuare non solo la transizione ecologica, ritenuta uno degli obiettivi prioritari della Commissione e dell’Unione, ma anche il rilancio economico della stessa avviato subito dopo la pandemia con il NextGenerationEU.

La situazione economica, inoltre, si sta aggravando anche per i cambi climatici che stanno creando seri problemi di siccità con impatti negativi in particolare sul settore alimentare, oltre che nel settore delle energie alternative (per es. settore idroelettrico).

In questo contesto, dunque, la BCE sta studiano lo scudo finanziario da inserire nel suo tool box per il controllo dell’inflazione con l’obiettivo di farla ritornare quanto prima al 2% e quello di evitare la frammentazione dei mercati.

In sintesi, lo scudo dovrebbe prevedere che alla scadenza di titoli di alcuni paesi, considerati ‘forti’, le risorse possano essere indirizzate all’acquisto di titoli di paesi considerati ‘più deboli’, quali quelli Italiani, Spagnoli e forse anche Francesi. Tra gli elementi su cui si sta decidendo ci sono:

  • Il tasso dei reinvestimenti in altri titoli delle risorse che si liberano e che dovrebbero essere pari a circa 200 miliardi di euro;
  • Quali saranno i paesi più bisognosi e quali quelli ‘penalizzati’ perché più forti;
  • Le regole che lo scudo dovrà rispettare, prima tra tutte quella di evitare di finanziare debiti pubblici nazionali, oltre essere previsti per un tempo ed un importo totale determinato, la possibilità di essere acquisiti solo sul mercato secondario e non alle aste e di essere rivenduti appena possibile.

Sicuramente lo scudo può avere un effetto positivo sui mercati contribuendo a regolare la liquidità, ma in quanto strumento monetario verrà applicato dalla BCE e non dagli Stati. Questo potrebbe causare fibrillazioni o richieste di condizionalità per il suo utilizzo. Ma non solo ….

Siamo infatti ancora difronte ad una sorta di spaccatura tra politica monetaria decisa della BCE e politica reale nelle sue forme di politica industriale, ambientale, sociale e ricerca ed innovazione decisi dal Consiglio e dal PE.

Quello monetario e quello economico sono però due settori strettamente collegati tra loro.

Si può arginare il divario tra Bund tedeschi e titoli italiani non solo con interventi esterni di carattere monetario, ma anche in modo strutturale con precisi interventi in settori particolarmente fragili, sotto forma di investimenti in grado di generare reddito e rendere il paese più sicuro. Il NextgenerationEU ha avuto sicuramente come obiettivo quello di sostenere e rilanciare le economie dei paesi colpiti dalla pandemia in un’ottica di solidarietà ma si tratta ancora di un sostegno delle economie dei singoli Stati.

La guerra ha invece evidenziato un altro e pericoloso tallone di Achille dell’Unione, per la quale è ricattabile: la mancanza di un’autonomia strategica in campo energetico dell’Unione.  

Questa carenza e la necessità di approvvigionarsi a prezzi decisamente crescenti ha innescato l’inflazione, che la BCE - nell’interesse dell’eurozona - sta arginando con strumenti finanziari in modo ‘autonomo’ rispetto a chi invece ha responsabilità politiche settoriali, cioè tipiche dell’economia reale, ma che spesso decide in base a interessi nazionali.

Sarebbe pertanto, opportuno almeno in questo settore, così vitale per la sopravvivenza economica dell’Unione, pensare ed agire in modo unitario, avviando una strategia comune europea da attuare immediatamente con risorse comuni e secondo un piano energetico europeo condiviso che tenga conto delle specificità dei vari paesi. Si tratta anche questa volta di agire ‘costi quel che costi’ come fu per ‘whatever it takes’, per assicurare quella autonomia strategica dell’Unione in campo energetico e una transizione ecologica comune, assolutamente necessaria non solo per l’ambiente ma per la stessa sopravvivenza dell’Unione.

Un simile cambio di passo, da decidere attraverso magari un Consiglio congiunto ambiente-industria, rassicurerebbe i mercati e farebbe considerare gli strumenti che la BCE sta studiando effettivamente efficaci. In mancanza di questo collegamento le misure rischiano di essere poco credibili, incisive e comunque molto limitate rispetto alle criticità da superare.

Il mercato ‘annusa questa debolezza’ e malgrado gli annunci della BCE di prevedere strumenti di sostegno come lo scudo a fronte di aumenti dei tassi, le borse continuano in modo preoccupante a oscillare….

Roma, 20-6-2022    

Anna Maria Villa                                                                              

 

 

 

 

 

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EUKRAINE, e poi?

Secondo un’opinione sempre più diffusa, paradossale e sproporzionata, la politica di allargamento prima delle Comunità Europee fino al 1986 e poi dell’Unione europea dal 1995 al 2013 sarebbe stata e sarà ancor di più nei negoziati con i Balcani Occidentali (Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo) e con i paesi vicini dell’Europa orientale (Ucraina, Moldova e Georgia) parte integrante della politica estera e della sicurezza comune all’Unione europea, lasciando per ora sullo sfondo la Turchia a cui fu attribuito nel 1999 lo status di candidato e che per il Consiglio soddisfaceva nel 2004 i criteri per l’avvio dei negoziati di adesione.

Nonostante i timidi passi in avanti compiuti ad ogni revisione dei trattati di Roma, sappiamo che le Comunità europee sono nate in assenza di qualunque obiettivo legato al ruolo dell’integrazione europea nel mondo – secondo la logica del gradualismo di Jean Monnet – e che nel corso degli anni l’Unione europea non si è mai dotata di una vera e propria politica estera e di sicurezza comune né tanto meno di adeguati strumenti di difesa comune avendo accettato di essere parte dell’egemonia americana e di usare la sua deterrenza nel quadro della NATO con l’esclusione dei paesi che hanno dichiarato la loro formale neutralità pur sapendo che in caso di pericolo avrebbero potuto contare sull’ombrello atlantico.

È così che l’Unione europea non dispone di una politica estera comune verso il continente africano, verso il Vicino e il Medio Oriente, verso la regione indo-cinese e verso l’America Centrale e l’America Latina e non ha una posizione comune sulla riforma delle Nazioni Unite e sui grandi negoziati internazionali come quelli sulle armi tradizionali, le armi chimiche e le armi nucleari né tanto meno sul controllo della vendita degli armamenti ai paesi terzi.

Al fine di mantenere l’azione esterna sotto il controllo e il potere di decisione degli Stati, i governi hanno deciso con il Trattato di Lisbona nel 2009 di frammentare l’azione esterna dell’Unione europea in parti separate:

  • dedicando un articolo a sé alla “politica di vicinato” (art. 8 TUE) nella quale dovevano essere compresi la Georgia, la Moldova e l’Ucraina che “non avevano vocazione a divenire membri dell’Unione europea” (Consiglio europeo di Salonicco nel giugno 2003) e che Romano Prodi avrebbe voluto dedicare alla “politica di prossimità” nel quadro del ring of friends, precursore della attuale idea di una comunità politica europea, che escludeva la Turchia candidata dal 1999 e la Russia con cui era stato sottoscritto nel 2005 a Mosca un partenariato strategico in quattro spazi comuni (economia, libertà, sicurezza e ricerca) che richiamavano i basket di Helsinki
  • consacrando tutti i titoli V e VI TUE alla vera e propria politica estera, di sicurezza e di difesa e conservando a questo pilastro la sua dimensione confederale senza eccezione alcuna con l’esclusione del ruolo del Parlamento europeo e con il mantenimento del voto all’unanimità
  • inserendo le prospettive di allargamento nelle disposizioni relative alla struttura “costituzionale” dell’Unione europea (art. 49 TUE) su cui ci soffermeremo più avanti parlando delle relazioni con i paesi candidati o eleggibili alla candidatura
  • mantenendo la politica commerciale comune fra le competenze esclusive dell’Unione europea (art. 3 TFUE e 206-207 TFUE) senza immaginare che, pochi anni dopo, la Commissione Juncker avrebbe inopinatamente ceduto alle pressioni degli Stati con la natura ibrida dei trattati commerciali sottoposti contemporaneamente al parere conforme del Parlamento europeo e alle ratifiche dei parlamenti nazionali
  • collocando la cooperazione allo sviluppo e gli aiuti umanitari fra le competenze condivise ma precisando puntigliosamente che l’esercizio di questa competenza non avrebbe “impedito l’azione degli Sati membri”
  • prevedendo una procedura semplificata per il negoziato e la conclusione di accordi internazionali con paesi terzi (216-221)
  • separando in due articoli diversi la solidarietà in caso di aggressione armata (art. 42.7 TUE) o di attacchi terroristici o catastrofi naturali o umane (art. 222 TFUE) con la mobilitazione anche di strumenti militari “per proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile”.

Secondo i trattati originari e fino al Trattato di Maastricht, la politica di allargamento era concepita come uno strumento per ampliare lo spazio economico europeo nella sua dimensione del mercato unico e nelle politiche dell’economia reale che lo accompagnavano  e la capacità di attrazione dell’Unione europea era (e lo è certamente per i Balcani occidentali) principalmente legata al  successo del suo progresso economico e sociale e non già alla garanzia che essa poteva e può dare alla sicurezza esterna dei suoi membri come è apparso chiaro quando l’adesione all’Alleanza Atlantica dei paesi usciti dall’imperialismo sovietico è avvenuta prima della loro adesione all’Unione europea.

Il “grande allargamento” avvenuto fra il 2004 e il 2013 da quindici a ventotto paesi – che la Commissione avrebbe voluto realizzare secondo il metodo graduale della “regata” e che il Consiglio impose con il metodo del “big bang” per i primi otto Stati dell’Europa centrale nonostante la timidezza delle loro riforme interne – era sostanzialmente fondato sull’attrazione economica e sociale (senza sottovalutare le libertà di circolazione) e sulla convinzione dei candidati che la loro appartenenza all’Unione europea li avrebbe aiutati nell’opera di Nation building o re-building dopo più di quaranta anni di mancanza di identità e di indipendenza nel quadro dell’imperialismo sovietico sottovalutando o addirittura ignorando il fatto che l’integrazione europea era stata concepita per superare la divisione del continente in Stati-nazione e realizzare un sistema di sovranità condivisa.

Per chi ha seguito – come comunicatore o come militante europeista – i referendum sull’adesione in Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria nel 2003 è stata significativa l’assenza di qualunque riferimento alla dimensione ideale dell’integrazione europea e di una campagna delle istituzioni europee tesa a sottolineare il fatto  che l’Unione europea era uno “stato di diritto” e che il rispetto dei cosiddetti criteri di Copenaghen del 1993 (la democrazia, l’economia di mercato, la partecipazione al patrimonio della legislazione europea) doveva riguardare non solo chi entrava ma anche chi ne era membro.

Non si può certo sottovalutare il fatto che la realizzazione di un progresso economico e sociale e l’impegno a creare le condizioni di una coesione economica, sociale e territoriale facilitando la riduzione delle disuguaglianze (che si sono accresciute con le politiche di rigore e che hanno reso l’Unione europea meno resiliente quando ha dovuto affrontare le conseguenze della pandemia ed ora quelle della guerra) abbia contribuito alla stabilità di tutta l’area che fa parte dell’Unione europea e dei paesi europei che sono ad essa legati da un accordo di libero scambio.

È tuttavia evidente che la stabilità economica (fino ad ora non accompagnata da una adeguata armonizzazione sociale) non basta in sé, non garantisce una stabilità politica e non contribuisce a rafforzare la capacità di integrazione dell’Unione europea, un obiettivo che fu indicato dai governi su proposta di Jacques Delors al Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 e che è stato presto e sciaguratamente dimenticato.

E’ probabile che il Consiglio europeo del prossimo 23-24 giugno – nonostante le riserve di una minoranza consistente di governi - approvi politicamente l’affrettato parere della Commissione europea per dare all’Ucraina e alla Moldavia il segnale politico che esse sono “eleggibili” alla candidatura, che le “condizioni” elencate dalla Commissione in tema di giustizia, di economia di mercato (gli “oligarchi”), di lotta alla corruzione, di libertà di stampa e – last but not least – di  diritti delle minoranze non saranno preliminari all’atto di candidatura ma che faranno parte dei criteri per aprire i negoziati di adesione (che possono sempre essere interrotti se lo Stato  candidato non rispetterà il calendario delle riforme come di fatto è avvenuto con la Turchia) e che i capi di Stato e di governo confermeranno l’impegno a proseguire i negoziati con i Balcani occidentali senza applicare ai nuovi  candidati procedure eccezionali e discriminatorie nei loro confronti.

Nel complesso mosaico dei negoziati per l’allargamento ai Balcani occidentali da una parte ed ai paesi dell’Europa orientale dall’altra emergeranno presto temi e problemi che richiederanno nello stesso tempo capacità di adattamento dei paesi candidati e un aggiornamento di politiche dell’Unione europea su cui erano già stati raggiunti difficili accordi almeno fimo al 2026 (fine del Next Generation EU) se non fino al termine del Quadro Finanziario Pluriennale nel 2027.

Pensiamo in particolare alla capacità fiscale europea e alla necessità di vere risorse proprie per evitare che le necessità finanziarie dei nuovi paesi si ripercuotano sulle quote dei paesi contributori netti, alla riforma della PAC, agli aiuti alimentari, alle politiche energetiche e alla lotta al cambiamento climatico, alla politica commerciale, alla libera circolazione delle persone e dei  servizi, alle politiche migratorie e al controllo delle frontiere, al dumping sociale, alla prevenzione della criminalità e al rafforzamento del ruolo della Procura Europea e al Mandato di arresto europeo, alla diversità culturali e linguistiche, alle non-discriminazioni e last but not least al rispetto dello stato di diritto e al primato del diritto europeo.

Occorre anche precisare un punto di sostanza e non solo di diritto che è stato ignorato da tutta la stampa. L’accordo nel Consiglio europeo sarà solo la terza tappa dopo la domanda di adesione e il parere della Commissione perché dopo il Consiglio europeo ci dovrà essere un voto di approvazione alla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento europeo allo status di candidato, la decisione all’unanimità del Consiglio e infine l’avvio dei negoziati che dovranno precisare “gli adattamenti che le nuove adesioni comportano per i trattati dell’Unione europea” a cominciare dalla composizione delle istituzioni europee (art. 49 TUE).

Vale la pena di ricordare che i parlamenti nazionali e le opinioni pubbliche, esclusi durante tutta la fase dei negoziati di adesione, saranno chiamati alla fine a dare il loro accordo o a esprimere il loro disaccordo per via parlamentare o referendaria e che i governi al tempo della Convenzione costituente nel 2003 non accettarono la proposta di far precedere l’avvio dei negoziati dalla ratifica di un accordo internazionale.

Considerata la complessità e la durata delle procedure di adesione, Emmanuel Macron si appresta a presentare al Consiglio europeo una sua proposta di “Comunità politica europea” (CPE) che dovrebbe contenere settori che non dovranno dipendere da norme europee (politica estera e della sicurezza, energia, trasporti, investimenti, infrastrutture e libera circolazione a cui il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha aggiunto Erasmus, ricerca e Horizon ed alcuni settore del mercato interno), una comunità aperta ai paesi candidati ma non alternativa all’adesione e ad altri Stati europei non membri dell’Unione europea.

Come sappiamo, Enrico Letta ha presentato un’ipotesi simile di “confederazione” concepita come un vertice informale di Capi di stato e di governo di 36-37 membri che si incontri regolarmente alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo mentre il governo austriaco – molto più prudente sull’ipotesi di una adesione accelerata all’Unione europea – ha proposto in un non paper una new community sull’allargamento e la politica di vicinato più vicina alla dimensione del Consiglio d’Europa con competenze sul mercato unico, il  commercio e la politica fiscale, il clima e l’energia, i trasporti, l’educazione, la scienza e la ricerca, la politica estera, la sicurezza alimentare e le agenzie europee.

Come un fiume carsico, è rinato dalle macerie dell’Ucraina, il tema dell’Europa a cerchi concentrici o a più velocità in un “insieme di sistemi” (come lo definì François Mitterrand) su cui sarà inevitabile riflettere e trovare delle soluzioni innovative quando si riaprirà il cantiere della riforma dell’Unione europea che, per giungere alla fine dei lavori, dovrà eludere il metodo tradizionale di un negoziato intergovernativo preceduto da una convenzione e seguire la via democratica di un processo democratico e costituente che dovrebbe essere avviato dopo le elezioni europee nel maggio 2024 ed essere preceduto da una grande mobilitazione popolare promossa dai federalisti, dalla società civile e dai partiti innovatori.

Roma-Bruxelles, 20 giugno 2022

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

 

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 L'EDITORIALE

EUKRAINE, e poi?

Secondo un’opinione sempre più diffusa, paradossale e sproporzionata, la politica di allargamento prima delle Comunità Europee fino al 1986 e poi dell’Unione europea dal 1995 al 2013 sarebbe stata e sarà ancor di più nei negoziati con i Balcani Occidentali (Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Bosnia Erzegovina, Albania, Kosovo) e con i paesi vicini dell’Europa orientale (Ucraina, Moldova e Georgia) parte integrante della politica estera e della sicurezza comune all’Unione europea, lasciando per ora sullo sfondo la Turchia a cui fu attribuito nel 1999 lo status di candidato e che per il Consiglio soddisfaceva nel 2004 i criteri per l’avvio dei negoziati di adesione.

Nonostante i timidi passi in avanti compiuti ad ogni revisione dei trattati di Roma, sappiamo che le Comunità europee sono nate in assenza di qualunque obiettivo legato al ruolo dell’integrazione europea nel mondo – secondo la logica del gradualismo di Jean Monnet – e che nel corso degli anni l’Unione europea non si è mai dotata di una vera e propria politica estera e di sicurezza comune né tanto meno di adeguati strumenti di difesa comune avendo accettato di essere parte dell’egemonia americana e di usare la sua deterrenza nel quadro della NATO con l’esclusione dei paesi che hanno dichiarato la loro formale neutralità pur sapendo che in caso di pericolo avrebbero potuto contare sull’ombrello atlantico.

È così che l’Unione europea non dispone di una politica estera comune verso il continente africano, verso il Vicino e il Medio Oriente, verso la regione indo-cinese e verso l’America Centrale e l’America Latina e non ha una posizione comune sulla riforma delle Nazioni Unite e sui grandi negoziati internazionali come quelli sulle armi tradizionali, le armi chimiche e le armi nucleari né tanto meno sul controllo della vendita degli armamenti ai paesi terzi.

Al fine di mantenere l’azione esterna sotto il controllo e il potere di decisione degli Stati, i governi hanno deciso con il Trattato di Lisbona nel 2009 di frammentare l’azione esterna dell’Unione europea in parti separate:

  • dedicando un articolo a sé alla “politica di vicinato” (art. 8 TUE) nella quale dovevano essere compresi la Georgia, la Moldova e l’Ucraina che “non avevano vocazione a divenire membri dell’Unione europea” (Consiglio europeo di Salonicco nel giugno 2003) e che Romano Prodi avrebbe voluto dedicare alla “politica di prossimità” nel quadro del ring of friends, precursore della attuale idea di una comunità politica europea, che escludeva la Turchia candidata dal 1999 e la Russia con cui era stato sottoscritto nel 2005 a Mosca un partenariato strategico in quattro spazi comuni (economia, libertà, sicurezza e ricerca) che richiamavano i basket di Helsinki
  • consacrando tutti i titoli V e VI TUE alla vera e propria politica estera, di sicurezza e di difesa e conservando a questo pilastro la sua dimensione confederale senza eccezione alcuna con l’esclusione del ruolo del Parlamento europeo e con il mantenimento del voto all’unanimità
  • inserendo le prospettive di allargamento nelle disposizioni relative alla struttura “costituzionale” dell’Unione europea (art. 49 TUE) su cui ci soffermeremo più avanti parlando delle relazioni con i paesi candidati o eleggibili alla candidatura
  • mantenendo la politica commerciale comune fra le competenze esclusive dell’Unione europea (art. 3 TFUE e 206-207 TFUE) senza immaginare che, pochi anni dopo, la Commissione Juncker avrebbe inopinatamente ceduto alle pressioni degli Stati con la natura ibrida dei trattati commerciali sottoposti contemporaneamente al parere conforme del Parlamento europeo e alle ratifiche dei parlamenti nazionali
  • collocando la cooperazione allo sviluppo e gli aiuti umanitari fra le competenze condivise ma precisando puntigliosamente che l’esercizio di questa competenza non avrebbe “impedito l’azione degli Sati membri”
  • prevedendo una procedura semplificata per il negoziato e la conclusione di accordi internazionali con paesi terzi (216-221)
  • separando in due articoli diversi la solidarietà in caso di aggressione armata (art. 42.7 TUE) o di attacchi terroristici o catastrofi naturali o umane (art. 222 TFUE) con la mobilitazione anche di strumenti militari “per proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile”.

Secondo i trattati originari e fino al Trattato di Maastricht, la politica di allargamento era concepita come uno strumento per ampliare lo spazio economico europeo nella sua dimensione del mercato unico e nelle politiche dell’economia reale che lo accompagnavano  e la capacità di attrazione dell’Unione europea era (e lo è certamente per i Balcani occidentali) principalmente legata al  successo del suo progresso economico e sociale e non già alla garanzia che essa poteva e può dare alla sicurezza esterna dei suoi membri come è apparso chiaro quando l’adesione all’Alleanza Atlantica dei paesi usciti dall’imperialismo sovietico è avvenuta prima della loro adesione all’Unione europea.

Il “grande allargamento” avvenuto fra il 2004 e il 2013 da quindici a ventotto paesi – che la Commissione avrebbe voluto realizzare secondo il metodo graduale della “regata” e che il Consiglio impose con il metodo del “big bang” per i primi otto Stati dell’Europa centrale nonostante la timidezza delle loro riforme interne – era sostanzialmente fondato sull’attrazione economica e sociale (senza sottovalutare le libertà di circolazione) e sulla convinzione dei candidati che la loro appartenenza all’Unione europea li avrebbe aiutati nell’opera di Nation building o re-building dopo più di quaranta anni di mancanza di identità e di indipendenza nel quadro dell’imperialismo sovietico sottovalutando o addirittura ignorando il fatto che l’integrazione europea era stata concepita per superare la divisione del continente in Stati-nazione e realizzare un sistema di sovranità condivisa.

Per chi ha seguito – come comunicatore o come militante europeista – i referendum sull’adesione in Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria nel 2003 è stata significativa l’assenza di qualunque riferimento alla dimensione ideale dell’integrazione europea e di una campagna delle istituzioni europee tesa a sottolineare il fatto  che l’Unione europea era uno “stato di diritto” e che il rispetto dei cosiddetti criteri di Copenaghen del 1993 (la democrazia, l’economia di mercato, la partecipazione al patrimonio della legislazione europea) doveva riguardare non solo chi entrava ma anche chi ne era membro.

Non si può certo sottovalutare il fatto che la realizzazione di un progresso economico e sociale e l’impegno a creare le condizioni di una coesione economica, sociale e territoriale facilitando la riduzione delle disuguaglianze (che si sono accresciute con le politiche di rigore e che hanno reso l’Unione europea meno resiliente quando ha dovuto affrontare le conseguenze della pandemia ed ora quelle della guerra) abbia contribuito alla stabilità di tutta l’area che fa parte dell’Unione europea e dei paesi europei che sono ad essa legati da un accordo di libero scambio.

È tuttavia evidente che la stabilità economica (fino ad ora non accompagnata da una adeguata armonizzazione sociale) non basta in sé, non garantisce una stabilità politica e non contribuisce a rafforzare la capacità di integrazione dell’Unione europea, un obiettivo che fu indicato dai governi su proposta di Jacques Delors al Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 e che è stato presto e sciaguratamente dimenticato.

E’ probabile che il Consiglio europeo del prossimo 23-24 giugno – nonostante le riserve di una minoranza consistente di governi - approvi politicamente l’affrettato parere della Commissione europea per dare all’Ucraina e alla Moldavia il segnale politico che esse sono “eleggibili” alla candidatura, che le “condizioni” elencate dalla Commissione in tema di giustizia, di economia di mercato (gli “oligarchi”), di lotta alla corruzione, di libertà di stampa e – last but not least – di  diritti delle minoranze non saranno preliminari all’atto di candidatura ma che faranno parte dei criteri per aprire i negoziati di adesione (che possono sempre essere interrotti se lo Stato  candidato non rispetterà il calendario delle riforme come di fatto è avvenuto con la Turchia) e che i capi di Stato e di governo confermeranno l’impegno a proseguire i negoziati con i Balcani occidentali senza applicare ai nuovi  candidati procedure eccezionali e discriminatorie nei loro confronti.

Nel complesso mosaico dei negoziati per l’allargamento ai Balcani occidentali da una parte ed ai paesi dell’Europa orientale dall’altra emergeranno presto temi e problemi che richiederanno nello stesso tempo capacità di adattamento dei paesi candidati e un aggiornamento di politiche dell’Unione europea su cui erano già stati raggiunti difficili accordi almeno fimo al 2026 (fine del Next Generation EU) se non fino al termine del Quadro Finanziario Pluriennale nel 2027.

Pensiamo in particolare alla capacità fiscale europea e alla necessità di vere risorse proprie per evitare che le necessità finanziarie dei nuovi paesi si ripercuotano sulle quote dei paesi contributori netti, alla riforma della PAC, agli aiuti alimentari, alle politiche energetiche e alla lotta al cambiamento climatico, alla politica commerciale, alla libera circolazione delle persone e dei  servizi, alle politiche migratorie e al controllo delle frontiere, al dumping sociale, alla prevenzione della criminalità e al rafforzamento del ruolo della Procura Europea e al Mandato di arresto europeo, alla diversità culturali e linguistiche, alle non-discriminazioni e last but not least al rispetto dello stato di diritto e al primato del diritto europeo.

Occorre anche precisare un punto di sostanza e non solo di diritto che è stato ignorato da tutta la stampa. L’accordo nel Consiglio europeo sarà solo la terza tappa dopo la domanda di adesione e il parere della Commissione perché dopo il Consiglio europeo ci dovrà essere un voto di approvazione alla maggioranza assoluta dei membri del Parlamento europeo allo status di candidato, la decisione all’unanimità del Consiglio e infine l’avvio dei negoziati che dovranno precisare “gli adattamenti che le nuove adesioni comportano per i trattati dell’Unione europea” a cominciare dalla composizione delle istituzioni europee (art. 49 TUE).

Vale la pena di ricordare che i parlamenti nazionali e le opinioni pubbliche, esclusi durante tutta la fase dei negoziati di adesione, saranno chiamati alla fine a dare il loro accordo o a esprimere il loro disaccordo per via parlamentare o referendaria e che i governi al tempo della Convenzione costituente nel 2003 non accettarono la proposta di far precedere l’avvio dei negoziati dalla ratifica di un accordo internazionale.

Considerata la complessità e la durata delle procedure di adesione, Emmanuel Macron si appresta a presentare al Consiglio europeo una sua proposta di “Comunità politica europea” (CPE) che dovrebbe contenere settori che non dovranno dipendere da norme europee (politica estera e della sicurezza, energia, trasporti, investimenti, infrastrutture e libera circolazione a cui il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha aggiunto Erasmus, ricerca e Horizon ed alcuni settore del mercato interno), una comunità aperta ai paesi candidati ma non alternativa all’adesione e ad altri Stati europei non membri dell’Unione europea.

Come sappiamo, Enrico Letta ha presentato un’ipotesi simile di “confederazione” concepita come un vertice informale di Capi di stato e di governo di 36-37 membri che si incontri regolarmente alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo mentre il governo austriaco – molto più prudente sull’ipotesi di una adesione accelerata all’Unione europea – ha proposto in un non paper una new community sull’allargamento e la politica di vicinato più vicina alla dimensione del Consiglio d’Europa con competenze sul mercato unico, il  commercio e la politica fiscale, il clima e l’energia, i trasporti, l’educazione, la scienza e la ricerca, la politica estera, la sicurezza alimentare e le agenzie europee.

Come un fiume carsico, è rinato dalle macerie dell’Ucraina, il tema dell’Europa a cerchi concentrici o a più velocità in un “insieme di sistemi” (come lo definì François Mitterrand) su cui sarà inevitabile riflettere e trovare delle soluzioni innovative quando si riaprirà il cantiere della riforma dell’Unione europea che, per giungere alla fine dei lavori, dovrà eludere il metodo tradizionale di un negoziato intergovernativo preceduto da una convenzione e seguire la via democratica di un processo democratico e costituente che dovrebbe essere avviato dopo le elezioni europee nel maggio 2024 ed essere preceduto da una grande mobilitazione popolare promossa dai federalisti, dalla società civile e dai partiti innovatori.

Roma-Bruxelles, 20 giugno 2022

coccodrillo

 

 

 


ULTIME DA BRUXELLES

Gli strumenti giusti per affrontare una nuova forma di guerra

La pandemia ha inferto un duro colpo all’economia europea, a cui l’Unione ha reagito decidendo un programma di interventi finanziari senza precedenti: il NexgenerationEU e al tempo stesso congelando il patto di stabilità per permettere ai singoli Stati interventi mirati di sostegno all’economia nazionale e di riflesso europea. In quella occasione gli Stati europei hanno saputo dimostrare una prova di grande solidarietà e unità.

L’invasione della Russia all’Ucraina ha di nuovo messo alla prova l’unità e la solidarietà dell’Unione che ha deciso di schierarsi accanto all’Ucraina in difesa dei principi democratici europei, prendendo una serie di decisioni con le quali sono stati previsti aiuti militari, finanziari ed umanitari all’Ucraina e sanzioni economico-finanziarie alla Russia, con l’obiettivo di riportare il prima possibile i due Paesi ad un tavolo negoziale di pace.

In questa occasione, come nella precedente, è stata palese la necessità di essere compatti, di doversi difendere e sostenere non solo economicamente ma anche militarmente i nostri più profondi principi democratici grazie ai quali siamo potuti vivere per oltre 70 anni in un mondo libero e democratico.

Schierandoci a sostegno dell’Ucraina, anche se per nostra fortuna non abbiamo avuto vittime sul campo di battaglia, abbiamo però di fatto iniziato una guerra atipica che ha innescato un periodo di turbolenze economiche, finanziarie e sociali, che si prevede durerà a lungo e che già sta incidendo sul sistema economico in cui siamo sino ad oggi vissuti, cambiandolo in modo radicale.

Le sanzioni e le contro-sanzioni hanno infatti causato un brusco e consistente aumento dei prezzi dei prodotti derivanti da combustibili fossili, allargandosi anche ai prodotti manifatturieri e al costo dei servizi.

L’inflazione, fino a poco fa apparentemente inesistente e comunque sotto controllo, ha improvvisamente raggiunto livelli molto preoccupanti che hanno indotto la Banca Centrale Europea (BCE) ad intervenire dapprima con uno stop al quantitavive easing, quindi all’annuncio di un prossimo aumento dei tassi di interesse e infine con uno scudo finanziario per sostenere i paesi più colpiti da questa politica monetaria forzatamente più restrittiva. Difronte ai due primi strumenti i mercati hanno subito reagito facendo crollare il valore dei titoli di alcuni Stati maggiormente indebitati e facendo conseguentemente aumentare in modo pericoloso lo spread tra questi ed i bund tedeschi.

Dal momento che questa situazione sarebbe potuta diventare esplosiva non solo per i paesi con alto debito pubblico ma per l’intera eurozona, la BCE ha annunciato di voler anticipare la presentazione dello scudo in concomitanza con il primo rialzo dei tassi d’interesse previsto per il prossimo luglio.

Scopo di questo nuovo strumento sarà infatti quello di evitare la frammentazione dei mercati ed il peggioramento degli effetti inflattivi sugli stessi, in un momento in cui si è in presenza di alcune variabili per nulla rassicuranti, quali: la situazione geopolitica in Europa e la decisone di appoggiare l’Ucraina finchè questa riterrà necessario combattere contro il suo invasore; l’aumento dei prezzi di materie prime non solo petrolifere ma anche di quelle necessarie al settore alimentare; l’incertezza nelle catene di approvvigionamento di materie  prime e beni dalla Russia ma anche da altri paesi, soprattutto per quei prodotti necessari per attuare non solo la transizione ecologica, ritenuta uno degli obiettivi prioritari della Commissione e dell’Unione, ma anche il rilancio economico della stessa avviato subito dopo la pandemia con il NextGenerationEU.

La situazione economica, inoltre, si sta aggravando anche per i cambi climatici che stanno creando seri problemi di siccità con impatti negativi in particolare sul settore alimentare, oltre che nel settore delle energie alternative (per es. settore idroelettrico).

In questo contesto, dunque, la BCE sta studiano lo scudo finanziario da inserire nel suo tool box per il controllo dell’inflazione con l’obiettivo di farla ritornare quanto prima al 2% e quello di evitare la frammentazione dei mercati.

In sintesi, lo scudo dovrebbe prevedere che alla scadenza di titoli di alcuni paesi, considerati ‘forti’, le risorse possano essere indirizzate all’acquisto di titoli di paesi considerati ‘più deboli’, quali quelli Italiani, Spagnoli e forse anche Francesi. Tra gli elementi su cui si sta decidendo ci sono:

  • Il tasso dei reinvestimenti in altri titoli delle risorse che si liberano e che dovrebbero essere pari a circa 200 miliardi di euro;
  • Quali saranno i paesi più bisognosi e quali quelli ‘penalizzati’ perché più forti;
  • Le regole che lo scudo dovrà rispettare, prima tra tutte quella di evitare di finanziare debiti pubblici nazionali, oltre essere previsti per un tempo ed un importo totale determinato, la possibilità di essere acquisiti solo sul mercato secondario e non alle aste e di essere rivenduti appena possibile.

Sicuramente lo scudo può avere un effetto positivo sui mercati contribuendo a regolare la liquidità, ma in quanto strumento monetario verrà applicato dalla BCE e non dagli Stati. Questo potrebbe causare fibrillazioni o richieste di condizionalità per il suo utilizzo. Ma non solo ….

Siamo infatti ancora difronte ad una sorta di spaccatura tra politica monetaria decisa della BCE e politica reale nelle sue forme di politica industriale, ambientale, sociale e ricerca ed innovazione decisi dal Consiglio e dal PE.

Quello monetario e quello economico sono però due settori strettamente collegati tra loro.

Si può arginare il divario tra Bund tedeschi e titoli italiani non solo con interventi esterni di carattere monetario, ma anche in modo strutturale con precisi interventi in settori particolarmente fragili, sotto forma di investimenti in grado di generare reddito e rendere il paese più sicuro. Il NextgenerationEU ha avuto sicuramente come obiettivo quello di sostenere e rilanciare le economie dei paesi colpiti dalla pandemia in un’ottica di solidarietà ma si tratta ancora di un sostegno delle economie dei singoli Stati.

La guerra ha invece evidenziato un altro e pericoloso tallone di Achille dell’Unione, per la quale è ricattabile: la mancanza di un’autonomia strategica in campo energetico dell’Unione.  

Questa carenza e la necessità di approvvigionarsi a prezzi decisamente crescenti ha innescato l’inflazione, che la BCE - nell’interesse dell’eurozona - sta arginando con strumenti finanziari in modo ‘autonomo’ rispetto a chi invece ha responsabilità politiche settoriali, cioè tipiche dell’economia reale, ma che spesso decide in base a interessi nazionali.

Sarebbe pertanto, opportuno almeno in questo settore, così vitale per la sopravvivenza economica dell’Unione, pensare ed agire in modo unitario, avviando una strategia comune europea da attuare immediatamente con risorse comuni e secondo un piano energetico europeo condiviso che tenga conto delle specificità dei vari paesi. Si tratta anche questa volta di agire ‘costi quel che costi’ come fu per ‘whatever it takes’, per assicurare quella autonomia strategica dell’Unione in campo energetico e una transizione ecologica comune, assolutamente necessaria non solo per l’ambiente ma per la stessa sopravvivenza dell’Unione.

Un simile cambio di passo, da decidere attraverso magari un Consiglio congiunto ambiente-industria, rassicurerebbe i mercati e farebbe considerare gli strumenti che la BCE sta studiando effettivamente efficaci. In mancanza di questo collegamento le misure rischiano di essere poco credibili, incisive e comunque molto limitate rispetto alle criticità da superare.

Il mercato ‘annusa questa debolezza’ e malgrado gli annunci della BCE di prevedere strumenti di sostegno come lo scudo a fronte di aumenti dei tassi, le borse continuano in modo preoccupante a oscillare….

Roma, 20-6-2022    

Anna Maria Villa                                                                              

 

 


PETIZIONE PER L'INVIO DEI CASCHI BLU IN UCRAINA

Petizione per l’invio di Forze internazionali di interposizione in Ucraina

affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato sulla pace e la sicurezza

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha finalmente chiesto un immediato e temporaneo “cessate il fuoco” in Ucraina dopo sessanta giorni in cui hanno parlato solo le armi.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha già approvato nel 1950 la Risoluzione 377A (Uniting for peace) che autorizza la stessa Assemblea Generale a adottare – a maggioranza qualificata – le misure di peace keeping. Su questa base, quindi, sia i paesi membri dell’Unione Europea che gli Stati che si sono astenuti sulle risoluzioni di condanna della Russia potrebbero chiedere la convocazione di una nuova Assemblea Generale Straordinaria che sostenga l’urgenza di una tregua immediata e che autorizzi l’invio in Ucraina delle Forze Internazionali di pace per garantirla.  

I promotori della petizione sollecitano l’attivazione dello Statuto delle Nazioni Unite, in particolare il suo Capitolo VII che autorizza l’Assemblea Generale a decidere misure di peace keeping per il tramite delle “Forze internazionali di pace” (i cosiddetti Caschi Blu) costituite in base al documento “United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines” affinché sia garantito il rispetto del “cessate il fuoco”.

Fra i diritti essenziali o meglio come fondamento dei diritti essenziali la Carta delle Nazioni Unite del 1945, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948 e il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966 hanno posto nei rispettivi preamboli il principio della dignità umana.

Fra i crimini che l’armata russa sta compiendo e si prepara a perpetuare in Ucraina vi è il disprezzo della dignità umana su donne, minori e uomini, su tutta la popolazione civile.

La comunità internazionale e con essa l’OSCE e l’Unione europea non sono stati in grado, pur avendone la consapevolezza ed i mezzi, di prevedere la guerra scatenata senza giustificazione alcuna dalla Russia contro l’Ucraina e di far interrompere le operazioni militari.

L’UNICA STRADA A TALE PUNTO PERCORRIBILE APPARE L’INVIO IN UCRAINA - SU DECISIONE A MAGGIORANZA QUALIFICATA DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE DELLE FORZE DI INTERPOSIZIONE (I CASCHI BLU) PREVISTE PER GARANTIRE LE OPERAZIONI DI PEACE KEEPING LA CUI MISSIONE – È BENE RICORDARLO - NON È OFFENSIVA MA È NECESSARIA PER GARANTIRE IL RISPETTO DELLA DECISIONE DI FAR TACERE LE ARMI.

La gravità eccezionale di quel che sta avvenendo dal 24 febbraio in Ucraina e il rifiuto di Vladimir Putin, in primo luogo, di accettare l’avvio di un vero negoziato di pace esige ormai l’uso di strumenti eccezionali. Si tratta di una strada evidentemente difficile, ma l’immane tragedia umanitaria deve spingere la comunità internazionale a tentare di intraprendere anche le strade più impervie e con l’occasione dimostrare al mondo l’immagine che l’ONU è una Istituzione creata a garanzia della giustizia e della libertà dei popoli. 

**********

Petition for the deployment of International Intervention Forces in Ukraine

to lay down arms and let negotiations on peace and security begin

The Secretary-General of the United Nations, Antonio Guterres, has finally called for an immediate and temporary "ceasefire" in Ukraine after sixty days of armed violence.

The General Assembly of the United Nations already approved Resolution 377a (Uniting for peace) in 1950, which authorizes the General Assembly to adopt – by qualified majority – the measures of peace keeping. Therefore, both the member countries of the European Union and the States that abstained on the resolutions condemning Russia could request the convening of a new Extraordinary General Assembly. Said Assembly could support the urgency of an immediate truce and authorize sending International Peace Forces to Ukraine to guarantee it.

The signatories of this petition urge the activation of the United Nations Statute, in particular its Chapter VII which authorizes the General Assembly to decide on peace keeping measures through the "International Peace Forces" (the so-called Blue Helmets) established since the document "United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines" to ensure compliance with the "ceasefire".

Among the essential rights, or as the basis of essential rights, the Charter of the United Nations of 1945, the Universal Declaration of Human Rights of 1948 and the United Nations Covenants on Civil, Political, Economic, Social and Cultural Rights of 1966 have placed the principle of human dignity, mentioned in their respective preambles.

The contempt for human dignity regarding women, minors, men, and the whole civilian population, is just one of the heinous crimes committed by the Russian army. Content could reach its peak if the Moscow autocrat decided to parade the Ukrainian prisoners, humiliating them as the Soviets did on the Red Square in 1945 with the prisoners of the Third Reich.

The international community, mainly the OSCE and the European Union – while having the awareness and the means - have not been able to foresee the war unleashed by Russia against Ukraine without any justification and to bring military operations to a halt.

THE ONLY WAY FORWARD AT THIS POINT APPEARS TO BE THE DISPATCH TO UKRAINE OF INTERNATIONAL INTERPOSITION FORCES (THE BLUE HELMETS) TO GUARANTEE THE PEACE KEEPING OPERATIONS. THEIR MISSION – IT SHOULD BE REMINDED - IS NOT OFFENSIVE, BUT IT IS NECESSARY TO ENSURE COMPLIANCE WITH THE CEASEFIRE. THE DECISION SHOULD BE TAKEN BY A QUALIFIED MAJORITY OF THE GENERAL ASSEMBLY OF THE UNITED NATIONS, GOING BEYOND THE STALEMATE TAKING PLACE WITHIN THE SECURITY COUNCIL.

This intervention was also explicitly requested by the Ukrainian Parliament, which called for the deployment of a peacekeeping mission on Ukrainian territory, launching an appeal to the United Nations for international mediation. The exceptional gravity of what has been happening since February 24 in Ukraine and Vladimir Putin's refusal to accept the start of a genuine peace negotiation now requires the adoption of exceptional measures.

This is obviously a difficult road to undertake, but the immense humanitarian tragedy must push the international community to try to take even the most difficult roads and, on this occasion, to show the world that the UN is an institution created to guarantee justice, peace, and the freedom of peoples. 

SOTTOSCRIVI LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

 

 


IN EVIDENZA

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

  • 22 - 23 giugno 2022 Parlamento europeo, Sessione Plenaria.
  • 22 giugno 2022, ore 16:00-18:00. Webinar “Comunicare Next generation Eu e Pnrr” (Piattaforma Zoom). Evento formativo promosso dall’Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale con Lucia D'Ambrosi, professore di Comunicazione pubblica e d'impresa, Università Sapienza di Roma e Giacomo D'Arrigo, Autore di "Next generation EU e Pnrr italiano. Analisi governance e politiche per la ripresa". Incontro gratuito. Per informazioni e iscrizioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. PROGRAMMA.
  • 23 giugno 2022, Trieste. Sesta edizione del Trieste Investment Forum 2022, organizzato da MIB Trieste School of Management e FeBAF (Federazione Banche Assicurazioni e Finanza). L'evento si aprirà con un panel sulle conseguenze della guerra in Ucraina e i nuovi scenari geopolitici nell'Est Europa. Successivamente verranno analizzate le implicazioni della guerra nel Mediterraneo e la cooperazione per lo sviluppo economico-finanziario. PROGRAMMAREGISTRAZIONE.
  • 24 giugno 2022, ore 10:00-13:00, Roma. Convegno “Comunicazione pubblica e istituzionale, diritto fondamentale nella traiettoria europea” promosso da Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale e Movimento europeo Italia. L'incontro si svolgerà presso lo Spazio Europa della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea (Via Quattro Novembre, 149 - Roma). La partecipazione è gratuita con posti limitati. Per ragioni organizzative e di sicurezza è necessario accreditarsi tramite l’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. PROGRAMMA.
  • 12 luglio 2022, ore 16:00-18:15. Webinar “Transformation” to “Regenerate the Planet and Regenerate Europe” promosso da Movimento Europeo-Italia e think tank The-EPE. Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, sono state avanzate proposte come "Confederazione europea" o "Comunità politica europea". Con gli impegni presi, si tratterebbe di un nuovo livello di coordinamento, un'"Europa almeno a 36": UE 27 + Ucraina, Georgia e Moldova, Serbia, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo. Potrebbe essere aperto a candidati non UE ed ex membri dell'UE. Il webinar del 12 giugno esplorerà quella che sarebbe la "nuova architettura" dell'Europa con un Consiglio d'Europa sui valori, una Confederazione Europea/Comunità Politica sui partenariati, un'Unione Europea e come potrebbe contribuire a rigenerare l'Europa, il Pianeta e una Società di Fiducia. Il primo panel si svolgerà in francese-italiano con traduzione simultanea. Il secondo e terzo panel si terrà solamente in lingua inglese. Per partecipare, registrarsi al link: https://forms.gle/T2z7qTUbtyfqGKmUA. PROGRAMMA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


 AGENDA EUROPEA

20-26 June 2022

Monday 20 June

Tuesday 21 June

Wednesday 22 June

Thursday 23 June

Friday 24 June

Sunday 26 June

 

 

 


L'ABC DELL'EUROPA DI VENTOTENE
PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO

Einaudi Luigi - L'ABC dell'Europa di Ventotene

Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, licenza Creative Commons).

Einaudi, Luigi di Claudio Cressati

Un federalista liberale.
La fama di Luigi Einaudi è legata alla sua carriera accademica (è stato professore di Scienza delle finanze all’Università e al Politecnico di Torino e alla Bocconi di Milano), alla sua attività di studioso (non si è occupato solo di finanza pubblica, ma di quasi tutti gli ambiti dell’economia, senza dimenticare la storia e il diritto) e, soprattutto, ai prestigiosi ruoli istituzionali che ha successivamente ricoperto, culminati nell’elezione a Presidente della Repubblica nel 1948. Assieme a Benedetto Croce, egli è il più noto intellettuale e politico liberale italiano del ‘900.
Entrambi, dopo un’incertezza iniziale, rappresentarono convintamente l’opposizione interna al fascismo, condotta con gli scarsi strumenti che il regime consentiva a due figure troppo note ed autorevoli a livello nazionale e internazionale per essere colpite direttamente (erano Senatori del Regno e avevano intensi rapporti con numerosi intellettuali e uomini politici in tutta Europa e in America), ma che andavano comunque sempre controllate, spiate, limitate nei movimenti e nei contatti.

Continua su: https://www.peacelink.it/europace/a/49060.html

 

 


CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPA

 

 


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