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ECIT (European Citizens’ Rights, Involvement and Trust) Foundation: Annual Conference on European Citizenship, 01-02.12.2020, link al programma e per iscriversi;
Lecture Altiero Spinelli 2020 - Sergio Fabbrini, Direttore del Dip. di Scienze Politiche della LUISS e Intesa Sanpaolo Chair on European Governance, “Dopo le presidenziali negli Stati Uniti: quali lezioni dal federalismo americano per l'integrazione”, 02.12.2020, h 17.30 – 19.00; link per iscriversi: https://lecturealtierospinelli2020.eventbrite.it/;
“How Can We Govern Europe?”, il più importante appuntamento italiano dedicato agli affari europei organizzato da Eunews.it, 03.12.2020, link per iscriversi: https://www.eunews.it/hge7/;
VIDEOCONFERENZA SU: “PRIORITA’ DELLA PRESIDENZA TEDESCA DEL CONSIGLIO D’EUROPA”: il 18 novembre la Germania ha assunto lapresidenza di turno del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, la principale organizzazione per i diritti umani del continente. Quali sono le priorità della presidenza tedesca? In che modo il Consiglio d'Europa e le istituzioni dell'UE possono sostenersi a vicenda, soprattutto nella promozione dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in tutta Europa? E quale è il ruolo delle organizzazioni della società civile in tutto questo?
Il Movimento Europeo tedesco, promuove una videoconferenza su questi temi il prossimo venerdì 4 dicembre alle ore 12.00 che si svolgerà in lingua inglese è sarà aperta ai rappresentanti dei gruppi d'interesse in tutta Europa. Insieme a Michael Roth, Ministro di Stato per l'Europa presso il Ministero federale degli Affari Esteri, esploreranno e discuteranno i vari temi e le strategie della presidenza tedesca la Presidente del Movimento Europeo Internazionale ed eurodeputata, Eva Maydell. La moderazione sarà assunta dalla Presidente del Movimento Europeo tedesco, Lynn Selle.
Domande e commenti potranno essere inviati tramite la funzione chat. In caso di domande, si prega di contattare Anna-Lena Arndt (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). Dopo la registrazione, si riceverà il link alla videoconferenza la mattina del 4 dicembre.
Rimanendo in parte sul tema, come si avrà modo di leggere tra i documenti chiave riportati in questa newsletter, il Parlamento europeo ha lanciato un messaggio in un suo recente comunicato stampa di venerdì 26 novembre scorso, in cui esprime preoccupazione per il deterioramento dei diritti fondamentali nell’Unione europea. Rimandando alla relativa sezione per una lettura più approfondita, non c’è che da augurarsi che la lotta alle disuguaglianze prosegua e che tali valori siano rispettati. E se la pandemia sta cambiando i connotati delle relazioni internazionali in maniera inedita nella storia, è compito dell’Europa tener alta l’attenzione e assicurare il massimo impegno affinché il quadro non risulti, in futuro, deteriorato in maniera irreversibile sotto il profilo dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini europei.
Continuando poi con le iniziative che riteniamo di segnalarvi: come pure si è detto nell’editoriale, oggi è la Giornata mondiale delle città per la vita, nella data che ricorda l’abolizione della pena di morte nel Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786. Dal 1997, su iniziativa del Partito Radicale Transnazionale, di Nessuno Tocchi Caino, di Amnesty International e della Comunità di Sant’Egidio la Commissione dell’Onu per i diritti umani adotta ogni anno una risoluzione - inizialmente proposta dal governo italiano e poi da tutta l’Unione europea - per “una moratoria delle esecuzioni capitali in vista della completa abolizione della pena di morte”.
Vi invitiamo poi a leggere ed aderire all’appelloal Governo Italiano, alla Commissione europea, al Consiglio europeo ed al Parlamento europeo per l’adozione dei necessari, non più rinviabili provvedimenti urgenti ed idonei ad arrestare le stragi di esseri umani nel Mediterraneo, che vede tra i suoi firmatari, il responsabile del Movimento europeo per la Puglia, Alberto Maritati, e il Presidente del Movimento europeo – Italia, Pier Virgilio Dastoli.
Solo un’Unione europea più coesa, più solidale, più efficace nelle sue politiche può rispondere alle enormi sfide di questi tempi, che hanno portato ad un 2020 difficile sotto numerosi aspetti, nei vari Stati membri. Rispetto a ciò, è una notizia positiva quella che vede un particolare impegno dei parlamentari italiani Fusacchia, Quartapelle Procopio, Muroni, Tabacci, Palazzotto, Magi, Lattanzio, per un 2021 in cui si possa rilanciare il progetto europeo partendo proprio delle origini, cioè dal Manifesto di Ventotene, di cui ricorrerà l’ottantesimo anno dalla sua stesura. È stato infatti firmato dai suddetti esponenti politici l’emendamento al bilancio dello Stato che consente l’autorizzazione di una spesa di 100.000 euro nel 2021 e 2022, per celebrare la ricorrenza e consentire la diffusione e la valorizzazione del Manifesto di Ventotene. Tali fondi saranno destinati a iniziative di rilievo nazionale con gli studenti e di carattere artistico e culturale.
Da domani e per dodici mesi, l’Italia assumerà per la prima volta la presidenza del G20 - la rete dei paesi più sviluppati nel mondo per percentuale del PiL (90%), di import/export (80%), di popolazione (2/3), di terre coltivate (60%) e di prodotti agricoli (80%) – di cui l’evento principale sarà il vertice dei leader, in presenza se la pandemia lo consentirà, il 30 e 31 ottobre a Bari che farà seguito al G7 sotto presidenza britannica e precederà la COP26 di Glasgow dal 1° al 12 novembre.
Si tratta di una rete intergovernativa nata a Washington nel 2008, dopo l’esplosione della più grande depressione ottanta anni dopo quella del 1929, con l’obiettivo o meglio l’illusione che i “grandi del pianeta” - in un coacervo di democrazie liberali e di paesi autoritari, di sistemi di mercato libero e di capitalismo di Stato, di economie provenienti da decenni di sviluppo industriale e di sistemi produttivi di nuova industrializzazione, di paesi impegnati nel rispetto dello sviluppo sostenibile e Stati ancora molto al di sotto dei criteri di una società gradualmente indipendente da carbonio – sarebbero stati in grado di governare il pianeta sulla via di una cooperazione internazionale fondata sul principio: nessuno resti indietro.
Così non è stato perché tutte le discussioni avvenute dal 2008 in poi intorno al capezzale del sistema finanziario internazionale non hanno portato a nessun risultato tangibile, il pianeta è ben lontano dal rispetto delle tappe intermedie per la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile entro il 2030, e fra i venti (che, come sappiamo, sono diciannove membri permanenti a cui si aggiunge l’Unione europea in quanto tale e poi gli invitati permanenti come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’OCSE e l’ONU) nessuno ha avuto l’idea di rimettere sul tavolo la questione della riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU – ferma da anni – e su cui si è costituito il gruppo Uniting for Consensus di cui è parte attiva il governo italiano.
Fra le proposte, ancora molto minimaliste, del gruppo vi è quella di evitare lo scoglio dei seggi permanenti rafforzando la rappresentatività dei gruppi regionali e assegnando all’Africa il maggior numero di seggi temporanei (ma di lunga durata), riconoscendo all’Asia-Pacifico il più alto incremento percentuale e raddoppiando i seggi di America Latina e Europa orientale.
Se si vuole rilanciare al G20 sotto presidenza italiana una global governance che rimetta all’ordine del giorno il multilateralismo - accantonato durante il quadriennio di Donald Trump ma non solo da Trump – facendolo ruotare intorno all’agenda delle “tre P” (People, Planet, Prosperity), bisogna partire dall’obiettivo prioritario: nessuno resti indietro.
Circola un mappamondo del G20 dove sono indicati con vari colori i paesi membri di diritto del G20, gli invitati permanenti e i possibili invitati nel 2021 che erano già al tavolo virtuale del Vertice a Riad nel 2020.
Colpisce l’occhio geopolitico l’assenza totale fra le tre categorie dei partecipanti – con la sola eccezione del Sud Africa – dei cinquantacinque Stati che fanno parte dell’Unione africana in un vertice e in decine di incontri propedeutici e paralleli in cui si discuterà, ma non si deciderà data la natura del G20, delle conseguenze sociali della digitalizzazione, dei cambiamenti climatici, delle fonti energetiche sostenibili, del commercio internazionale, del terrorismo internazionale e last but not least della lotta alle pandemie “in vista di una ripresa sostenibile, giusta e resiliente”.
Ciascuno dei temi che saranno in agenda al G20 contiene una domanda a cui i leader non saranno quasi certamente in grado di rispondere, che riguarda tutti e cinque i continenti e che è legata al fenomeno epocale dei flussi migratori destinati a crescere a causa degli effetti del cambiamento climatico, delle conseguenze sociali della pandemia e di un commercio internazionale sempre meno equo e solidale.
Il tema del governo mondiale dei flussi migratori non deve mai essere separato dal diritto alla dignitò umana che viene putroppo calpestato in molti paesi del G20, a cominciare dall’Arabia Saudita che ha ospitato a distanza la riunione dei leader del 2020. Vogliamo ricordarlo proprio oggi, la Giornata mondiale delle città per la vita (a cui dedichiamo una notizia in questa newsletter) dedicata all’abolizione della pena di morte come pena comminata in almeno un terzo degli Stati appartenenti al G20.
Tutto ciò spinge ad invitare al tavolo dei leader i rappresentanti dell’Unione africana non potendosi sostenere che il leader del Sud Africa ne è il presidente e che dunque potrà essere a Bari a doppio titolo.
Suggeriamo al governo italiano di offrire come lettura essenziale ai leader e alle delegazioni una copia del Manifesto di Ventotene (di cui ricorre nel 2021 l’ottantesimo anniversario) che esiste non solo nelle ventiquattro lingue ufficiali dell’Unione europea ma anche in arabo e che potrebbe essere facilmente tradotto in cinese, russo, giapponese, turco e nelle principali lingue africane come abbiamo recentemente suggerito al Ministro Enzo Amendola (LINK), sottolineando che il rilancio del multilateralismo suppone una battaglia senza quartiere al principio della sovranità assoluta, una riflessione sulla crisi della civiltà contemporanea su cui si basa la parte iniziale del Manifesto e un riconoscimento del fatto che la Federazione europea è l’unica garanzia di una pacifica cooperazione “in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.
G20: NESSUNO RESTI INDIETRO L’INSEGNAMENTO DEL MANIFESTO DI VENTOTENE
Da domani e per dodici mesi, l’Italia assumerà per la prima volta la presidenza del G20 - la rete dei paesi più sviluppati nel mondo per percentuale del PiL (90%), di import/export (80%), di popolazione (2/3), di terre coltivate (60%) e di prodotti agricoli (80%) – di cui l’evento principale sarà il vertice dei leader, in presenza se la pandemia lo consentirà, il 30 e 31 ottobre a Bari che farà seguito al G7 sotto presidenza britannica e precederà la COP26 di Glasgow dal 1° al 12 novembre.
Si tratta di una rete intergovernativa nata a Washington nel 2008, dopo l’esplosione della più grande depressione ottanta anni dopo quella del 1929, con l’obiettivo o meglio l’illusione che i “grandi del pianeta” - in un coacervo di democrazie liberali e di paesi autoritari, di sistemi di mercato libero e di capitalismo di Stato, di economie provenienti da decenni di sviluppo industriale e di sistemi produttivi di nuova industrializzazione, di paesi impegnati nel rispetto dello sviluppo sostenibile e Stati ancora molto al di sotto dei criteri di una società gradualmente indipendente da carbonio – sarebbero stati in grado di governare il pianeta sulla via di una cooperazione internazionale fondata sul principio: nessuno resti indietro.
Così non è stato perché tutte le discussioni avvenute dal 2008 in poi intorno al capezzale del sistema finanziario internazionale non hanno portato a nessun risultato tangibile, il pianeta è ben lontano dal rispetto delle tappe intermedie per la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile entro il 2030, e fra i venti (che, come sappiamo, sono diciannove membri permanenti a cui si aggiunge l’Unione europea in quanto tale e poi gli invitati permanenti come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’OCSE e l’ONU) nessuno ha avuto l’idea di rimettere sul tavolo la questione della riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU – ferma da anni – e su cui si è costituito il gruppo Uniting for Consensus di cui è parte attiva il governo italiano.
Fra le proposte, ancora molto minimaliste, del gruppo vi è quella di evitare lo scoglio dei seggi permanenti rafforzando la rappresentatività dei gruppi regionali e assegnando all’Africa il maggior numero di seggi temporanei (ma di lunga durata), riconoscendo all’Asia-Pacifico il più alto incremento percentuale e raddoppiando i seggi di America Latina e Europa orientale.
Se si vuole rilanciare al G20 sotto presidenza italiana una global governance che rimetta all’ordine del giorno il multilateralismo - accantonato durante il quadriennio di Donald Trump ma non solo da Trump – facendolo ruotare intorno all’agenda delle “tre P” (People, Planet, Prosperity), bisogna partire dall’obiettivo prioritario: nessuno resti indietro.
Circola un mappamondo del G20 dove sono indicati con vari colori i paesi membri di diritto del G20, gli invitati permanenti e i possibili invitati nel 2021 che erano già al tavolo virtuale del Vertice a Riad nel 2020.
Colpisce l’occhio geopolitico l’assenza totale fra le tre categorie dei partecipanti – con la sola eccezione del Sud Africa – dei cinquantacinque Stati che fanno parte dell’Unione africana in un vertice e in decine di incontri propedeutici e paralleli in cui si discuterà, ma non si deciderà data la natura del G20, delle conseguenze sociali della digitalizzazione, dei cambiamenti climatici, delle fonti energetiche sostenibili, del commercio internazionale, del terrorismo internazionale e last but not least della lotta alle pandemie “in vista di una ripresa sostenibile, giusta e resiliente”.
Ciascuno dei temi che saranno in agenda al G20 contiene una domanda a cui i leader non saranno quasi certamente in grado di rispondere, che riguarda tutti e cinque i continenti e che è legata al fenomeno epocale dei flussi migratori destinati a crescere a causa degli effetti del cambiamento climatico, delle conseguenze sociali della pandemia e di un commercio internazionale sempre meno equo e solidale.
Il tema del governo mondiale dei flussi migratori non deve mai essere separato dal diritto alla dignitò umana che viene putroppo calpestato in molti paesi del G20, a cominciare dall’Arabia Saudita che ha ospitato a distanza la riunione dei leader del 2020. Vogliamo ricordarlo proprio oggi, la Giornata mondiale delle città per la vita (a cui dedichiamo una notizia in questa newsletter) dedicata all’abolizione della pena di morte come pena comminata in almeno un terzo degli Stati appartenenti al G20.
Tutto ciò spinge ad invitare al tavolo dei leader i rappresentanti dell’Unione africana non potendosi sostenere che il leader del Sud Africa ne è il presidente e che dunque potrà essere a Bari a doppio titolo.
Suggeriamo al governo italiano di offrire come lettura essenziale ai leader e alle delegazioni una copia del Manifesto di Ventotene (di cui ricorre nel 2021 l’ottantesimo anniversario) che esiste non solo nelle ventiquattro lingue ufficiali dell’Unione europea ma anche in arabo e che potrebbe essere facilmente tradotto in cinese, russo, giapponese, turco e nelle principali lingue africane come abbiamo recentemente suggerito al Ministro Enzo Amendola (LINK), sottolineando che il rilancio del multilateralismo suppone una battaglia senza quartiere al principio della sovranità assoluta, una riflessione sulla crisi della civiltà contemporanea su cui si basa la parte iniziale del Manifesto e un riconoscimento del fatto che la Federazione europea è l’unica garanzia di una pacifica cooperazione “in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.
Rimanendo in parte sul tema, come si avrà modo di leggere tra i documenti chiave riportati in questa newsletter, il Parlamento europeo ha lanciato un messaggio in un suo recente comunicato stampa di venerdì 26 novembre scorso, in cui esprime preoccupazione per il deterioramento dei diritti fondamentali nell’Unione europea. Rimandando alla relativa sezione per una lettura più approfondita, non c’è che da augurarsi che la lotta alle disuguaglianze prosegua e che tali valori siano rispettati. E se la pandemia sta cambiando i connotati delle relazioni internazionali in maniera inedita nella storia, è compito dell’Europa tener alta l’attenzione e assicurare il massimo impegno affinché il quadro non risulti, in futuro, deteriorato in maniera irreversibile sotto il profilo dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini europei.
Continuando poi con le iniziative che riteniamo di segnalarvi: come pure si è detto nell’editoriale, oggi è la Giornata mondiale delle città per la vita, nella data che ricorda l’abolizione della pena di morte nel Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786. Dal 1997, su iniziativa del Partito Radicale Transnazionale, di Nessuno Tocchi Caino, di Amnesty International e della Comunità di Sant’Egidio la Commissione dell’Onu per i diritti umani adotta ogni anno una risoluzione - inizialmente proposta dal governo italiano e poi da tutta l’Unione europea - per “una moratoria delle esecuzioni capitali in vista della completa abolizione della pena di morte”.
Vi invitiamo poi a leggere ed aderire all’appelloal Governo Italiano, alla Commissione europea, al Consiglio europeo ed al Parlamento europeo per l’adozione dei necessari, non più rinviabili provvedimenti urgenti ed idonei ad arrestare le stragi di esseri umani nel Mediterraneo, che vede tra i suoi firmatari, il responsabile del Movimento europeo per la Puglia, Alberto Maritati, e il Presidente del Movimento europeo – Italia, Pier Virgilio Dastoli.
Solo un’Unione europea più coesa, più solidale, più efficace nelle sue politiche può rispondere alle enormi sfide di questi tempi, che hanno portato ad un 2020 difficile sotto numerosi aspetti, nei vari Stati membri. Rispetto a ciò, è una notizia positiva quella che vede un particolare impegno dei parlamentari italiani Fusacchia, Quartapelle Procopio, Muroni, Tabacci, Palazzotto, Magi, Lattanzio, per un 2021 in cui si possa rilanciare il progetto europeo partendo proprio delle origini, cioè dal Manifesto di Ventotene, di cui ricorrerà l’ottantesimo anno dalla sua stesura. È stato infatti firmato dai suddetti esponenti politici l’emendamento al bilancio dello Stato che consente l’autorizzazione di una spesa di 100.000 euro nel 2021 e 2022, per celebrare la ricorrenza e consentire la diffusione e la valorizzazione del Manifesto di Ventotene. Tali fondi saranno destinati a iniziative di rilievo nazionale con gli studenti e di carattere artistico e culturale.
Vi segnaliamo
ECIT (European Citizens’ Rights, Involvement and Trust) Foundation: Annual Conference on European Citizenship, 01-02.12.2020, link al programma e per iscriversi;
Lecture Altiero Spinelli 2020 - Sergio Fabbrini, Direttore del Dip. di Scienze Politiche della LUISS e Intesa Sanpaolo Chair on European Governance, “Dopo le presidenziali negli Stati Uniti: quali lezioni dal federalismo americano per l'integrazione”, 02.12.2020, h 17.30 – 19.00; link per iscriversi: https://lecturealtierospinelli2020.eventbrite.it/;
“How Can We Govern Europe?”, il più importante appuntamento italiano dedicato agli affari europei organizzato da Eunews.it, 03.12.2020, link per iscriversi: https://www.eunews.it/hge7/;
VIDEOCONFERENZA SU: “PRIORITA’ DELLA PRESIDENZA TEDESCA DEL CONSIGLIO D’EUROPA”: il 18 novembre la Germania ha assunto lapresidenza di turno del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, la principale organizzazione per i diritti umani del continente. Quali sono le priorità della presidenza tedesca? In che modo il Consiglio d'Europa e le istituzioni dell'UE possono sostenersi a vicenda, soprattutto nella promozione dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in tutta Europa? E quale è il ruolo delle organizzazioni della società civile in tutto questo?
Il Movimento Europeo tedesco, promuove una videoconferenza su questi temi il prossimo venerdì 4 dicembre alle ore 12.00 che si svolgerà in lingua inglese è sarà aperta ai rappresentanti dei gruppi d'interesse in tutta Europa. Insieme a Michael Roth, Ministro di Stato per l'Europa presso il Ministero federale degli Affari Esteri, esploreranno e discuteranno i vari temi e le strategie della presidenza tedesca la Presidente del Movimento Europeo Internazionale ed eurodeputata, Eva Maydell. La moderazione sarà assunta dalla Presidente del Movimento Europeo tedesco, Lynn Selle.
Domande e commenti potranno essere inviati tramite la funzione chat. In caso di domande, si prega di contattare Anna-Lena Arndt (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). Dopo la registrazione, si riceverà il link alla videoconferenza la mattina del 4 dicembre.
Nel ventennale della proclamazione della Carta dei diritti fondamentali, che ricorrerà esattamente sabato prossimo, 7 dicembre, questa rubrica ha il compito di fornire spunti di riflessione sempre nuovi. Ecco quindi che, volendo occuparci dell’articolo 21, sulla “non discriminazione”, possiamo intanto avviare il discorso considerando che già in numerose altre newsletter abbiamo trattato il tema dell’uguaglianza, al quale è dedicato il capo III della Carta (artt. 21-26). Cominciamo con il definire in che modo si possa declinare il principio di uguaglianza, attraverso l’elencazione dei vari tipi di discriminazione di cui si occupa il primo comma. Le discriminazioni possono essere fondate: “sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.
Abbiamo già trattato vari casi in cui la Corte di Giustizia dell’Ue è stata chiamata a valutare il fatto se i provvedimenti degli Stati membri in tali ambiti – per esempio sul tema dell’immigrazione, della cittadinanza, dei diritti di persone su cui pendono procedimenti penali – siano stati o meno coerenti con il diritto a non essere discriminati e vi invitiamo perciò anche a rileggere i vari di numeri di questa edizione 2020 della newsletter. Quello che qui ci sembra importante evidenziare è il fatto che l’affermazione dell’uguaglianza può intendersi come una continua conquista da parte dei soggetti che si vedono coinvolti in vicende giudiziarie o in provvedimenti di una autorità pubblica che rischiano di recare in sé aspetti discriminatori.
L’Unione europea si pone quindi l’obiettivo, anche con l’articolo 21, di rimediare a situazioni che di fatto impediscono un pieno e completo sviluppo della persona umana rispetto anche al principio di uguaglianza. Per perseguire tale scopo, interviene anche l’articolo 9 del Trattato di Lisbona in cui si afferma che “L'Unione rispetta, in tutte le sue attività, il principio dell'uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”. Tali affermazioni sono in linea con quanto previsto al secondo comma dell’articolo 21, secondo cui “Nell’ambito d’applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi”.
La giurisprudenza europea
Come afferma il prof. Paolo Ponzano, segretario generale del Movimento Europeo e docente di Diritto dell’Ue presso il Collegio europeo di Parma, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha svolto un ruolo importante “nell’estensione dei diritti del lavoratore o del migrante che circola liberamente in seno alla Comunità grazie alla sua equiparazione quasi integrale al cittadino dello Stato in cui risiede o in cui esercita la sua attività economica”[*]. Nel saggio da cui è tratta la presente citazione, vengono citati una serie di casi in cui alla Corte è spettato il compito di dirimere questioni riguardanti la sfera della cittadinanza:
La sentenza Cowan del 1989, in cui “si trattava di stabilire se la corresponsione di un indennizzo previsto dal diritto francese a favore delle vittime di aggressioni residenti in Francia potesse essere estesa anche a favore di un cittadino inglese che aveva subito un aggressione nella metropolitana di Parigi dove si trovava come turista. La Corte ha ritenuto che ad usufruire della libertà di prestazione dei servizi non siano solo persone che si spostano nella Comunità europea per offrirli e prestarli ma anche quelle che si spostano per cercarli e riceverli. Quindi l’indennizzo andava esteso al Sig. Cowan”;
La sentenza Micheletti (1992), in cui “la CEG ha ritenuto che una persona provvista di doppia cittadinanza (argentina e italiana) non potesse essere privato di una cittadinanza dell’Unione (quella italiana) solo perché la legislazione spagnola lo considerava solo argentino”;
La sentenza nel caso Martinez Sala del 1998, in cui “la Corte riconosce ad una cittadina spagnola residente in Germania il diritto di beneficiare di un’allocazione per l’educazione di suo figlio che gli era stata rifiutata con la motivazione che la legislazione tedesca accordava tale allocazione ai soli nazionali ed agli stranieri in possesso di un permesso di soggiorno sul territorio nazionale (permesso di cui la Signora Sala non disponeva)”;
La sentenza Chen (2004), con cui “la CEG ha ritenuto che i giudici inglesi non potessero negare rilievo all’acquisizione della cittadinanza irlandese da parte di una signora figlia di cittadini cinesi ma nata nell’Irlanda del Nord, che aveva usufruito del fatto che l’Irlanda attribuisce la propria cittadinanza anche ai nati nell’Irlanda del Nord”;
La sentenza Rottmann (2010), con cui “la CEG ha affermato il principio che gli Stati membri, anche se restano competenti per determinare i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza, devono rispettare il diritto europeo nell’esercizio di tale competenza. Pertanto una decisione di revoca della naturalizzazione che implichi la perdita della cittadinanza europea deve essere valutata alla luce del principio di proporzionalità e non può privare ingiustamente un cittadino della sua cittadinanza statale”.
La sentenza Zambrano Ruiz, che “va al di là del riconoscimento dello status di cittadino europeo come fondamento dell’acquisizione di prestazioni sociali nell’ipotesi di migrazioni intracomunitarie, per estendere i benefici dello status di cittadino europeo anche quando non c’è circolazione in seno all’Unione europea. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che i figli minori di cittadini provenienti dal Sud America, in quanto nati e residenti in Belgio e quindi cittadini belgi, non potevano essere privati del diritto di risiedere in Belgio né potevano essere costretti ad abbandonare il Belgio per seguire i loro genitori, qualora a quest’ultimi fosse rifiutato il permesso di lavoro in Belgio. Quindi, afferma la CEG, la cittadinanza europea osta a misure nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini europei del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione”.
Emerge quindi come la cittadinanza europea sia, afferma Ponzano, “talmente forte da poter essere invocata davanti alle autorità di un altro Stato membro (anche se acquisita in via strumentale)”. Per chiarire meglio in che modo si possa definire il concetto di cittadinanza europea, ci sembra qui il caso di concludere riprendendo alcuni principi ad essa inerenti, affermati dall’Avvocato generale Poiares Maduro sul caso Rottman e ripresi nel testo di Ponzano: “La cittadinanza dell’Unione presuppone la cittadinanza di uno Stato membro, ma è anche una nozione giuridica e politica autonoma rispetto a quella di cittadinanza nazionale. La cittadinanza europea costituisce qualcosa in più di un insieme di diritti che, di per sé, potrebbero essere concessi anche a coloro che non la possiedono. Essa presuppone l’esistenza di un collegamento di natura politica tra i cittadini europei, anche se non si tratta di un rapporto di appartenenza ad un popolo. Tale nesso politico unisce, al contrario, i popoli dell’Europa. Esso si fonda sul loro impegno reciproco ad aprire le rispettive comunità politiche agli altri cittadini europei e a costruire una nuova forma di solidarietà civica e politica su scala europea. Il nesso politico in questione non presuppone l’esistenza di un unico popolo, ma di uno spazio politico europeo, dal quale scaturiscono diritti e doveri”.
In sintonia con gli argomenti trattati a proposito del tema della non discriminazione, questa settimana alleghiamo il saggio “Framing the Principle of Non-Discrimination on Grounds of Nationality. Art. 18(1) TFEU in the ECJ case law”. A firma della prof.ssa Lucia Serena Rossi, docente ordinario di Diritto dell’Unione europea presso l’Università di Bologna, dall'8 Ottobre 2018 giudice alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, si tratta di un’ampia dissertazione sul principio di non discriminazione nei trattati, in rapporto alle politiche Ue ulteriori a quelle per il riconoscimento della cittadinanza, agli effetti dell’articolo 18 e alla Giurisprudenza della Corte in merito.
Economia in pillole
Vi segnaliamo due eventi svoltisi rispettivamente il 25 e 27 novembre, in cui l’economista Fabio Colasanti, già Direttore al Bilancio della Commissione Europea, assieme ad una serie di ospiti accreditati, ha analizzato i seguenti temi:
Riforma delle regole di bilancio europee, con Daniel Gros (Centre for European Policy Studies) e Mateusz Szczurek (European Fiscal Board, Università di Varsavia);